[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]
...
Jambo!!
Rieccomi qua, dopo il mese "italiano" e un periodo pasquale di silenzio.
E' iniziata la stagione delle piogge. Ovunque fango rosso e caos. Le strade
diventano doppiamente impraticabili dopo queste giornate di pioggia quasi
continua. Oggi ha piovuti poco o niente, anche se grossi nuvolosi hanno
continuamente sorvolato il cielo sopra Kivuli, lasciando intravedere il
cielo di un blu terso. Ora è buio, le rane cantano nella pozza sotto che si
è formata sotto la finestra di casa nostra.
La prossima settimana ricomincio a lavorare a tempo pieno. Anche se alcune
cose sono cambiate dalla mia partenza.
Domani sarei dovuto andare a Kibera, per ricominciare le visite ai malati
con Joseph, ma mi ha detto che ha degli impegni e che quindi si rimanda
tutto alla prossima settimana. Mi ha dato poi un'altra brutta notizia: Mado
la ragazza congolese che stavamo seguendo è mancata a metà marzo, giusto
quattro giorni dopo aver preso la grossa decisione di fare il test per l'
HIV, di riconoscere la malattia quindi, e di aver parlato con Joseph del
risultato (positivo). Mama Esther, invece, ormai in fase terminale, è stata
mandata al villaggio, per morire con la sua famiglia e (cosa non da poco.)
per risparmiare i soldi del viaggio. Mi spiego meglio. Per i Luo (gruppo
etnico della zona del lago Victoria), ma come per tante altri popolazioni
africane, il morto deve essere seppellito nel suo villaggio di origine per
ricongiungersi ai propri antenati. E così, anche se magari una persona è
nata a Nairobi e non è mai stata nel villaggio dei suoi genitori quando
morirà il suo corpo dovrà essere portato lassù, in vicino a qualche gruppo
di capanne sul lago. E pur di rispettare questa tradizione la gente si
indebita per organizzare le spese per il funerale (che tra l'altro ha
altre,
per noi occidentali, assurde usanze di cui magari avrò poi modo di
raccontare.). E il trasporto di una bara da Nairobi a Kisumu costa non
poco.
Hands of Love, quindi, come altre organizzazioni che lavorano con i malati
di AIDS, cerca di far tornare al villaggio i malati quando si vede che sono
allo stremo e pagare quindi solo i 600 scellini di un biglietto di autobus,
piuttosto che i 10000 circa di un carro funebre.
Fatto sta che i due pazienti a cui mi ero più affezionato ora non ci sono
più. E non era stato facile acquistare la fiducia di Mado, giovane, chiusa
nelle sue paure per un male che la stava mangiando piano piano e nella
vergogna di una bellezza che sfumava nelle piaghe della malattia. Ricordo
comunque il suo timore il primo giorno in cui siamo andati a trovarla e il
suo stupore nel vedere un uomo bianco che bussava davanti alla sua capanna.
E poi la gioia gli ultimi giorni quando ci aspettava con l'acqua calda per
il the e una gran voglia di parlare. E le poche parole scambiate nel mio
scarso swahili e francese e nel suo arrancato inglese.
Ora si dovrà ricominciare con altre persone. E quanta fatica di nuovo.
Ancora provare a farsi accettare senza dover essere colui che da soldi,
ancora riuscire a passare per l'amico e non per il bianco che dona la sua
presenza allo sfortunato africano, ancora il timore di non riuscire a
sentirmi a mio agio in alcune situazioni di disagio estremo. Ma Joseph mi
aveva avvisato: "E' un lavoro difficile, soprattutto perché ciò che
costruisci in alcuni mesi si dissolve in pochi minuti". Ma sono contento
ricordando che Esther aveva espresso come ultimo desiderio quello di
tornare
al villaggio, Kakamega, e di morire il più presto possibile, per porre fine
alla sofferenza. Venerdì prossimo cercheremo di ricominciare.
In giro per Nairobi si sente ancora parlare di violenza e di corruzione,
nonostante l'impegno del governo. La scorsa settimana un attacco di un
gruppo di banditi verso le nove di sera nel centro di Ngong, una
cittadina a
pochi chilometri da Nairobi. Hanno rapinato nei bar e nei negozi, clienti e
proprietari, ferito qualche decina di passanti con alcune accoltellate,
rubato alcune macchine e poi spariti nel nulla. Una delle vittime dell'
aggressione è stato Daniel, il nuovo papà di Casa di Anita, che è stato
ritrovato privo di sensi in mezzo alla strada da Patrick, che col pickup di
Anita stava portando alcuni dei feriti in ospedale a Nairobi, Gli hanno
dato
una botta in testa e gli hanno fregato macchina, portafoglio e
cellulare. La
macchina è stata poi ritrovata e la disavventura non ha avuto conseguenze,
dopo una visita al pronto soccorso i medici lo hanno dimesso. Nonostante la
gravità del fatto non se n'è saputo molto in giro perché non ci sono stati
morti.
E la vita, tra fatiche, incomprensioni, senso di impotenza, malinconia e a
volte solitudine, va avanti.
Un abbraccio a tutti
Tutaonana
Carlo
--------------------------------------------------------------------------
Enrico Marcandalli
ramalkandy@iol.it - http://www.peacelink.it
--------------------------------------------------------------------------