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Sudan: 88 persone condannate all'impiccagione e alla crocifissione
- To: africa@peacelink.it
- Subject: Sudan: 88 persone condannate all'impiccagione e alla crocifissione
- From: Daniele Barbieri - Carta <pkdick@fastmail.it>
- Date: Fri, 30 Aug 2002 15:56:04 +0200
Sudan: 88 persone condannate all'impiccagione e alla crocifissione
Amnesty International è seriamente preoccupata per le 88 persone, compresi
due minori, condannate a morte per impiccagione e crocifissione in Sudan a
causa del loro presunto ruolo nel conflitto etnico nel Darfur meridionale.
Secondo Amnesty, le condanne a morte, che l'organizzazione condanna di per
se stesse, sono state emanate senza neanche un giusto processo. La condanna
a morte riguarda anche due minori di 14 anni nonostante il divieto
internazionale sulle condanne a morte per minori. Le Corti di Emergenza,
conosciute anche come corti speciali hanno condannato a morte le 88 persone
il 17 Luglio 2002 a Nyala confermando le accuse di omicidio, rapine armate e
disordine pubblico. Le accuse erano legate alle recenti violenze tra il
gruppo etnico di Rizeigat e quello di Maalaya nel Darfur meridionale. Tutti
gli accusati sono stati processati senza adeguata rappresentanza legale e
alcuni torturati prima del processo. Una settimana dopo, la stessa corte ha
condannato a morte 15 persone, compresa una donna, per i presunti attacchi
contro 2 villaggi del gruppo etnico Four. I capi di accusa erano omicidio,
possesso illegale di armi e banditismo. Le corti speciali sono state
istituite nel Darfur nell'ambito dello stato di emergenza dichiarato nel
1998 che permette di aggirare le procedure giudiziarie del Sudan. Amnesty si
è appellata al capo della giustizia del Darfur l'11 Agosto, ma la sua
richiesta è stata respinta. Il 26 agosto è ricorsa in appello presso l'Alta
Corte. Se questo tentativo fallirà, l'ultima possibilità sarà di ricorrere
alla Corte Costituzionale. Secondo Amnesty, la comunità internazionale
dovrebbe impegnarsi per far sentire la propria opposizione alle esecuzioni.
Il Darfur è una regione che da 19 anni vede diversi gruppi etnici lottare
fra di loro. La regione è incline alla proliferazione di piccole
armi spesso fornite dal governo che ha adottato la strategia di armare e
appoggiare alcuni gruppi etnici locali per combattere il più grande gruppo
armato d'opposizione, lo SPLA (Southern People's Liberation Army). Le corti
speciali non permettono rappresentanza legale per gli accusati e sono
presiedute da due giudici militari e uno civile. Il codice penale del Sudan
si basa sull'interpretazione del governo della Sharia (legge islamica) e
comprende pene come l'amputazione di arti, morte, e morte seguita da
crocifissione. Queste pratiche sono vietate dalle stesse convenzioni
internazionali che il Sudan ha ratificato come la Convenzione Internazionale
sui Diritti Civili e Politici, e quella sui diritti dei Minori. Amnesty
International non prende posizione sull'adozione della Sharia di per
se, ma si oppone incondizionatamente alla pena di morte in quanto viola il
diritto alla vita riconosciuto dal diritto internazionale, e si oppone a
tutte le forme di trattamento o punizione crudele, inumano e degradante.
Per far arrivare alle autorità sudanesi il proprio dissenso è possibile
scrivere, anche in italiano, a:
Ambasciata del Sudan, via Spallanzani 24 00161 Roma, tel. 06/4404377,
e-mail: info@ambasciata-del-sudan.it
(Amnesty International; traduzione di Fabio Quattrocchi fabiocchi@inwind.it)