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Appello sos per i boscimani
Mi chiamo Paola e ho deciso, grazie al vostro sito, di inviarvi un
relazione su ciò che accade nel silenzio del mondo ad un popolo che da
20.000 riesce a vivere nel deserto e che è costretto oggi a lasciare la
propria terra anche con violenza per motivazioi economiche volute dallo
stesso Stato.
Si tratta dei boscimnai dello Stato del Botswana.
Io ho avuto la fortuna di conoscere questa gente meravigliosa in un viaggio
del febbraio 2002.
spero che questo appello di solidarietà possa giungere a tutti.
Vi ringrazio e attendendo un vos riscontro vi auguro buon lavoro, oltre che
i complimenti sinceri per le vostre iniziative
paola
Relazione viaggio in Botswana
16 febbraio 2002 - 3 marzo 2002
" Incontrare i Boscimani"
Quando il 16 febbraio 2002, in viaggio per il Botswana, sognavo
finalmente l'incontro con i Boscimani, la gioia trasaliva dentro di me.
I Boscimani, il popolo che da più di 20.000 anni riesce a sopravvivere alla
difficoltà del deserto del Kalahari, immedesimandosi totalmente con la
savana, immerso nella musica della natura, in una simbiosi quasi irreale,
in un mondo di profonda spiritualità.
I Boscimani sono gli abitanti originali del Botswana e dell'Africa
meridionale e vivono da migliaia di anni nelle loro terre ancestrali,
dichiarate riserva nazionale negli anni '60 con il nome di Central Kalahari
and Khutse Game Reserves ( CKGR).
La riserva fu istituita dal Governo stesso al fine di garantire una dimora
ai Boscimani e tutelare la fauna e la flora da cui dipende la loro
sopravvivenza.
Abbiamo percorso più di 5000 Km durante la nostra permanenza: da
Joannesburg al Kalahari Gemsbok National Park e di lì a Tsabong per entrare
nel Botswana fino a Ganzi e di lì , attraverso il Central Kalahari and
Khutse Game Reserves ( CKGR) fino a Gaborone e di nuovo a Joannesburg.
Due settimane immergendoci integralmente nella natura, addormentandoci
sotto il cielo stellato e svegliandoci ai primi albori dell'alba. Tutti in
piedi a fare di nuovo i bagagli pronti per un'altra giornata di piena
avventura, nella piena condivisione di una grande gioia alimentata da una
natura affascinante, coinvolgente, dai ritmi unici e profondi.
Dopo aver viaggiato per 7 giorni, dal 17 febbraio al 24 febbraio, tra
estreme difficoltà, essendo il percorso per lo più di pista di sabbia, con
lo sguardo immerso nelle dune rosse e nella savana, dai colori travolgenti
e dai tramonti unici e suggestivi, dormendo ogni notte nell'ascolto degli
sciacalli, iene e leoni che ci venivano a far visita nell'accampamento,
eravamo trepidanti, non vedendo l'ora di poter abbracciare i famosi
Boscimani e di poter condividere, anche se per poco, la loro ritualità.
La sera del 24 febbraio 2002 a Ganzi eravamo tutti felici perché il
mattino successivo, all'alba, saremmo partiti in direzione Xaka per entrare
nel Central Kalahari and Khutse Game Reserves dove vivono i Boscimani, in
un numero che credevamo essere di circa 50.000.
All'alba del lunedì 25 febbraio 2002 partiamo alle ore 6,00 in direzione
Xaka, a circa 72 Km da Xade, riuscendo a giungere verso le 23,00, dopo
ripetuti insabbiamenti delle autovetture, a Xaka senza aver incontrato
alcun boscimane.
Quando siamo entrati nel Central Kalahari and Khutse Game Reserves nessuno
avrebbe mai immaginato di trovare ciò che abbiamo vistoŠŠ
Il giorno 26 febbraio 2002 si riparte verso le 7,00, per dirigerci al
villaggio di Molapo, che si trova all'interno della Central Kalahari and
Khutse Game Reserves, creato dalle autorità britanniche negli anni sessanta
per tutelare i Boscimani.
Giungiamo lì verso le ore 12,45 e la scena che si prospetta ai nostri
occhi è agghiacciante.
Non c'è più nulla. E' stato tutto distrutto ed appendiamo di poi che i
Boscimani sono stati deportati una settimana prima dal villaggio per essere
trasportatati a New Xade, un campo di concentramento. E' tremendo vedere
ancora i segni di una popolazione lacerata e forzatamente divelta dalle
proprie radici. Ci sono ancora i resti dei loro oggetti personali, delle
scarpine di bimbo, testimonianza che ci sono anche dei bambini tra quelli
trasportati via, ci sono oggetti di cucina e dei semi all'interno di un
calmiere di legno di cui ho fatto due foto, dimostrazione che qualcuno
stava lavorando mentre sono stati deportati di forza sicuramente contro la
loro stessa volontà.
E di poi, segni evidenti di volontaria distruzione delle loro capanne, sono
ancora manifeste le tracce dei camion che impetuosamente hanno distrutto le
fragili capanne fatte di semplici arbusti.
La rabbia è sempre più crescente ma ciò che più rende il dolore soffocante
è un immenso senso di impotenza che sopraggiunge in tutti noi.
Io prendo alcuni quaderni e libri trovati tra la terra al fine di poter
portare in Italia una testimonianza concreta ed evidente della barbarie che
si sta compiendo, silenziosamente , contro i Boscimani. Il solo camminare
tra i resti di paglia e arbusti, dove fino a dieci giorni prima c'era un
villaggio ridente, con donne, bambini ed anziani; questi ultimi con la
loro saggezza da tramandare ai discendenti in un tangibile e raro esempio
di una famiglia patriarcale, mi opprimeva.
Di poi, continuiamo il cammino e a circa cinquecento metri troviamo alla
nostra destra dei camion con delle tende appostate e degli uomini di
colore, non Boscimani, che indossano delle divise di colore verde. Hanno
con loro anche una ragazza di colore. Sono tutti beatamente sdraiati sotto
l'ombra ed al nostro arrivo ci chiedono chi siamo ma riconosciamo un
ragazzo che la sera prima ci ha aiutato a liberare un'autovettura dalla
sabbia e quindi ci lasciano perdere. Hanno l'acqua ed io riesco a fare le
foto ai loro camion. Sono di Ghanzi ed hanno caricato alcune legna delle
capanne dei Boscimani. Uno di loro ci dice che i Boscimani non ci sono più
e che sono a New Xade. Non insistiamo oltre nelle domande poiché
incominciano a insospettirsi. Ci chiedono come mai siamo lì e noi siamo
costretti a mentire dicendo che ci siamo persi e che dobbiamo attraversare
il deserto del Kalahari per andare fino a Gaborone.
Continuiamo il viaggio e verso le 17,50 giungiamo a Metsiamonong. Lì
troviamo ancora un villaggio dei Boscimani. Che meraviglia, ci sono delle
caprette e degli asinelli, c'è un grande senso di solitudine e di
tristezza, ma con senso di gioia qualcuno ci viene incontro.
Bene, pensiamo, ancora non vengono a deportarli. Dalle umili capanne escono
delle donne anziane vestite di soli stracci. Ci sono anche alcuni uomini,
sono anziani. Sono molto impauriti e timorosi. Ci danno il permesso di
accamparci vicino al loro villaggio. Mentre allestiamo il campo vediamo
venirci incontro due ragazzi ed un bambino. Uno di loro March parla inglese
in quanto è andato a scuola. Gli chiedo se conosce la terribile
deportazione che si stà compiendo e lui mi risponde, con le lacrime agli
occhi, che ne è a conoscenza e che non capisce il perché. Lui non vuole
lasciare la sua terra e i suoi cari. Ci dice che anche lì hanno portato via
gli uomini e le donne più giovani, e che da diversi mesi l'amministrazione
locale ha sospeso le forme necessarie e primarie di assistenza di base,
quale acqua e cibo, limitando fortemente anche il loro diritto alla caccia
con provvedimenti di forte restrizione.
E' terribile. E' una condanna a morte lenta e feroce.
Mostro a March i quaderni che ho trovato a Molapo e la sua commozione è
evidente. Molapo era il villaggio più grande del Central Kalahari and
Khutse Game Reserves, in cui c'era la scuola.
Ora non esiste più nulla, il villaggio di Molapo è stato totalmente
distrutto e con esso anni e anni di storia e di tradizioni.
Trascorriamo la notte vicino al villaggio di Metsiamonong, cantando con
loro durante la sera, illuminati dal caldo volto della luna, intorno al
loro tiepido e piccolo fuoco, mentre loro iniziano, timidamente, a
danzare. Che immensa gioia. I loro occhi, la loro dolcezza e il loro
linguaggio caratterizzato da una lieve musicalità. Non ho mai conosciuto
un popolo così dolce. Al mattino seguente, prima di ripartire, li andiamo a
salutare portando loro dei doni, acqua, cibo, vestiti, scarpe, Hanno
bisogno di tutto e vivono nella totale indigenza. Le donne sono quasi
totalmente svestite e prive di abiti nuovi.
E' agghiacciante vedere un popolo così ridottoŠ.
Il giorno dopo ci dirigiamo verso Gope, dato che prima di entrare al
Central Kalahari and Khutse Game Reserves ci hanno detto che solo lì
avremmo trovato altri Boscimani.
Durante il percorso molta savana è stata distrutta da un incendio.
Giungiamo a Gope verso le ore 16,00 e lì troviamo un punto di prospezione
geologica di De Beers. Ci sono degli uomini di colore, dipendenti di De
Beers, che insospettiti ci chiedono chi siamo e da dove veniamo nonché
dove andiamo. Lo stesso discorso da parte nostra.
Di poi ci rechiamo a vedere quanti Boscimani ci sono ancora e lì, ad un
raggio di 500 metri in linea d'aria ma molti di più in macchina, quasi in
una perimetrazione circolare ci sono in tutto 4 punti ciascuno con non più
di due capanne con donne e bambini e pochi uomini. Le donne ed i bambini
sono molto affamati e sofferenti. Diamo loro da mangiare e torniamo al
mattino seguente per donare loro vestiti e cibo. La situazione è
straziante. Mancano di tutto, cibo, vestiti, medicine.
Ripartiti con il senso di angoscia e di impotenza di fronte ad un dramma
che si consumava dinanzi ai nostri occhi ci dirigiamo verso GaboroneŠŠlungo
il percorso non abbiamo incontrato più alcun Boscimane
PER OGNUNO DI NOI QUALCOSA DI PROFONDO NELLE PROPRIA VITA E' CAMBIATO.
NESSUNO POTEVA E PUO' FAR FINTA DI NON AVER VISTO O SENTITOŠŠŠ
Oggi i Gana e i Gwi rischiano di essere rapidamente sterminati dallo stesso
governo del Botswana, che da circa dieci anni ha iniziato a cacciare via
dalla Riserva i Boscimani. Le autorità hanno cercato di limitare la caccia
da cui dipende la sopravvivenza di questo popolo, giungendo fino alla
tortura ed alla prigionia.
Le loro abitazioni sono state rase al suolo.
Molti Boscimani sono stati trasferiti in lugubri insediamenti dove non è
possibile né cacciare né raccogliere bacche e radici.
Un uomo Boscimane ha descritto questi campi come " luoghi di morte".
I Boscimani devono essere tutelati dall'intera comunità internazionale.
Nelle poche ore trascorse insieme ci hanno mostrato come loro sopravvivono,
scavando la terra con le proprie mani al fine di trovare un tubero
necessario come cibo, o insegnandoci ad individuare la pianta dalle cui
foglie sgorga una gocciolina di acqua per dissetarsi.
E' compito di ogni uomo difendere un altro uomo, lasciare intatta la
libertà alla vita, e lottare per garantire il diritto inviolabile di
abitare la propria terra
Paola Di Salvatore