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grazie Prodi



 
I GLOBALIZZATORI
 

                     di:Paolo Barnard dpbarnard@tin.it

                     Venerdì 9 Giugno 2000 - RAI 3 - ORE 23.00
 
                    Quando si pronuncia la parola
                    Globalizzazione gli animi si scaldano
                    subito. Oggi infatti si assiste a un
                    dibattito sempre più acceso fra i
                    contestatori dei mercati globalizzati da
                    una parte e dall'altra i sostenitori
                    dell'idea che il benessere economico mondiale richieda
                    liberi scambi senza troppe regole politiche o sociali.
                    L'apice di questa diatriba la si è vista nel novembre del
                    '99 con la grande contestazione di Seattle, la città
                    americana che ospitava il massimo vertice di
                    Globalizzazione, sulla quale discesero "sciami" di
                    contestatori da ogni parte del mondo.
 
                    Ma la Globalizzazione cos'è esattamente? E quali sono
                    le sue ricadute sulla società civile? Questa inchiesta
                    mostra solo i lati controversi dei processi globalizzanti, e
                    lo fa intenzionalmente, poiché le ricadute positive ci
                    vengono illustrate ogni giorno, su ogni media, nella
                    pubblicità, e persino dai nostri politici. Ma i pericoli e le
                    zone d'ombra ci sono, e sono proprio quelle su cui si
                    tenta di stendere un velo interessato di silenzio. Iniziamo
                    proprio da alcuni degli esempi più noti.
 
                    L'Europa ha decretato che la carne americana trattata
                    con ormoni artificiali, al contrario della nostra, è
                    pericolosa per la nostra salute e ha deciso di non
                    importarla. Una precauzione che però ci costa molto
                    cara: 340 miliardi di sanzioni americane contro il Vecchio
                    Continente. Una ritorsione decisa all'Organizzazione
                    Mondiale del Commercio nel nome delle regole della
                    Globalizzazione.
 
                    In Toscana e in Piemonte, nel mezzo delle terre più belle
                    e fertili d'Italia la Globalizzazione ha colpito duro. Il
                    tartufo è uno dei nostri prodotti più pregiati e lo
                    esportavamo in grandi quantità negli Stati Uniti
                    d'America; ciò creava reddito per le aziende e i lavoratori
                    italiani. Ma dall'anno scorso gli Stati Uniti hanno deciso di
                    tassare il tartufo del 100%, sbarrandogli la strada. Chi
                    l'ha deciso? L'Organizzazione Mondiale del Commercio
                    nel nome della globalizzazione.
 
                    L'Unione Europea, per proteggere la salute dei nostri
                    bambini, ha detto di no all'importazione di giocattoli che
                    contengono un ammorbidente tossico. Ma anche questa
                    precauzione è oggi nel mirino dell'Organizzazione
                    Mondiale del Commercio e dei suoi accordi di
                    globalizzazione.
 
                    L'Organizzazione Mondiale del Commercio, più nota
                    come WTO, è dunque il grande motore della
                    globalizzazione. Ma cosa c'è che non va nel suo lavoro?
                    L'ho chiesto alla professoressa Susan George, direttrice
                    del Transnational Institute di Amsterdam e considerata
                    oggi il critico più autorevole del sistema globalizzato: "La
                    Globalizzazione dei mercati" inizia la George, "nasce,
                    nella sua forma più spinta, sei anni fa quando 135 nazioni
                    sancirono la nascita del WTO, con i suoi potentissimi
                    accordi. Il problema è che praticamente tutto ciò che
                    compone la nostra esistenza viene trasformato in merce
                    di scambio: dall'istruzione, alla sanità, dalla cultura ai
                    servizi bancari, dalle pensioni ai diritti fondamentali dei
                    lavoratori; e poi la gestione degli asili, l'alimentazione
                    umana, quella animale... In sintesi, siamo come in
                    vendita, sugli scaffali del supermercato globale."
 
                    Il WTO ha sede a Ginevra, e rappresenta oggi 136
                    governi, incluso quello italiano. In teoria al timone del
                    WTO ci dovrebbero essere i ministri del commercio dei
                    vari paesi, ma nella realtà l'Italia e tutti gli stati d'Europa
                    sono rappresentati al WTO dalla Commissione Europea
                    di Romano Prodi, che siede per tutti noi al tavolo delle
                    trattative. Da questo tavolo sono usciti gli accordi sul
                    commercio planetario; ed è precisamente contro questi
                    accordi che è esplosa la protesta a Seattle: l'accusa è
                    che si tratta di regole dotate di poteri enormi, spesso
                    superiori a qualunque legge degli stati nazionali.
 
                    Nella sede ginevrina di questa controversa
                    organizzazione chiedo a Keith Rockwell, uno dei direttori,
                    come ha fatto il WTO a diventare così impopolare: "E'
                    straordinario, vero?" risponde Rockwell con un cenno di
                    assenso, "ma si tratta di un destino che abbiamo in
                    comune con molte altre organizzazioni internazionali: la
                    Commissione Europea è impopolare, il Fondo Monetario lo
                    è anche più di noi, e così la Banca Mondiale. Vede, la
                    gente si sente lontana da questi grandi palazzi di Ginevra
                    o di Brussell, le persone comuni non capiscono né chi
                    siamo né quali saranno gli effetti sulla loro vita degli
                    accordi che qui nascono. Ma vi posso garantire che ogni
                    singolo accordo è passato al vaglio dei vostri governi."
 
                    E allora vediamo questi accordi di globalizzazione: hanno
                    nomi difficili per noi, Accordo Sanitario e Fitosanitario,
                    Barriere Tecniche al Commercio, Diritti di Proprietà
                    Intellettuale e via discorrendo. In tutto formano 27.000
                    pagine di regole e codici, che hanno un potere pari al
                    loro incredibile volume. Per capire meglio facciamo un
                    esempio.
 
                    Alla fine degli anni '80 l'Unione Europea decise di vietare
                    l'uso degli ormoni nell'allevamento dei manzi da carne e
                    soprattutto proibì le importazioni di carne agli ormoni
                    dagli Stati Uniti d'America. I nostri scienziati la ritenevano
                    pericolosa per la salute umana. Perché? La risposta la
                    trovo alla periferia di Milano, dove incontro Luca Giove,
                    un professionista di 31 anni che quando era ragazzino
                    ebbe degli strani problemi di salute.
 
                    "Luca Giove cosa ti successe?", gli chiedo appena dopo
                    il nostro incontro davanti a quella che fu una volta  la
                    sua scuola media. Giove ammicca: "A circa 12 anni mi si
                    era gonfiata l'aureola del capezzolo mammario sinistro, e
                    questo era dovuto probabilmente al fatto che avevo
                    mangiato della carne estrogenata, nelle mense di questa
                    scuola."
 
                    Luca Giove, suo malgrado, ha un posto nella storia delle
                    guerre commerciali, poiché la battaglia dell'Europa
                    contro la carne agli ormoni americana inizia proprio dal
                    suo caso, accaduto nel 1981. Il gonfiore del suo
                    capezzolo richiese un intervento chirurgico, e i sintomi di
                    crescita anormali di altri piccoli alunni scatenarono
                    l'allarme negli scienziati europei, fra cui l'italiano
                    Giuseppe Chiumello. I sospetti caddero subito sulla
                    carne agli ormoni che allora circolava liberamente.
 
                    "Luca, hai avuto altri problemi di salute nella tua vita
                    adulta che tu possa ricondurre a questa vicenda?"
 
                    "Ma, diciamo che ho dei problemi a livello spermatico, il
                    numero è sotto la media e anche la motilità. Non so a
                    cosa può essere imputato ma non so cosa si possa
                    escludere a priori. Io ho anche avuto problemi di
                    varicocele e problemi venosi, e non so quanto si possa
                    ricondurre alla carne estrogenata." Giove mi lascia con
                    una raccomandazione: "Guardi, io ne ho passate... spero
                    solo che la mia vicenda possa contribuire a qualcosa di
                    positivo."
 
                    Quindi, dalla fine degli anni '80 l'Unione Europea, per
                    tutelare la salute dei suoi cittadini, decise di vietare le
                    importazioni delle carni agli ormoni. Ma negli Stati Uniti
                    questa decisione non fu affatto gradita. Nel 1996 il
                    governo di Washington, brandendo uno dei potenti
                    accordi di globalizzazione, trascinò l'Europa davanti ai
                    giudici del WTO. Tuttavia, nel farlo, l'amministrazione
                    Clinton aveva ceduto alle pressioni della più potente
                    lobby di allevatori di bestiame statunitense: la National
                    Cattleman Association, come dimostra un documento
                    che ho ottenuto in via riservata, dove si legge:
 
                    "Al signor Bob Drake della National Cattleman
                    Association: come lei ci ha espressamente richiesto,
                    abbiamo iniziato una procedura presso il tribunale del
                    WTO contro il divieto europeo di importare la nostra
                    carne." Il documento di cui parlo non è altro che una
                    lettera autografa dell'allora ministro americano per il
                    commercio Michael Kantor.
 
                    La procedura si concluderà con la condanna dell'Europa,
                    una condanna inappellabile ottenuta grazie proprio a uno
                    di quei potentissimi accordi del WTO di cui parlavo
                    prima. L'Europa tuttavia non si è piegata e ha continuato
                    a tenere la carne agli ormoni fuori dai suoi mercati. Il
                    WTO è allora tornato alla carica e nel luglio del '99 i suoi
                    giudici ci hanno condannati ancora, condannati a pagare
                    un prezzo altissimo: 340 miliardi all'anno sotto forma di
                    sanzioni commerciali americane.
 
                    Le sanzioni americane autorizzate dal WTO hanno
                    colpito le esportazioni europee più pregiate, e fra le
                    vittime italiane si contano i pomodori pelati, i succhi di
                    frutta, il pane e soprattutto il tartufo. Nella splendida valle
                    chianina, in Toscana, incontro il titolare di una azienda
                    specializzata in tartufi, che aveva trovato un grande
                    sbocco di mercato in America. Oggi il sogno è svanito e
                    la sua azienda ha persino vacillato per un attimo. "Mi
                    dica sinceramente: prima di questa vicenda lei aveva mai
                    sentito parlare di globalizzazione o di WTO?" chiedo
                    provocatoriamente. Questo signore di mezza età scuote
                    il capo: "Ammetto la mia ignoranza, io ne prendo nota
                    soltanto adesso, e francamente non so chi siano questi
                    signori."
 
                    Keith Rockwell, al WTO, ammette che è quasi
                    impossibile spiegare a un produttore italiano di tartufi o di
                    pomodori in scatola che è giusto che oggi il loro mercato
                    estero, costruito in anni di fatiche, sia polverizzato da una
                    sentenza di globalizzazione. Rockwell aggiunge: "E'
                    difficile, ed è un problema che non avete solo voi in Italia.
                    Io posso offrire a costoro tutta la mia comprensione, ma
                    le regole sono queste."
 
                    Abbiamo visto che il WTO è in grado di esercitare un
                    enorme potere. E allora c'è una domanda che sorge
                    spontanea: i nostri politici, quando nel 1994 aderirono a
                    tutti gli accordi del WTO, erano consapevoli di quello che
                    stavano accettando? L'On. Domenico Gallo era senatore
                    proprio in quel periodo e grande esperto della questione,
                    e a lui giro la domanda. "Certamente non c'è stato un
                    dibattito politico pubblico né riservato," inizia Gallo, "le
                    questioni non sono state oggetto di confronto politico in
                    Italia. Scarsa fu anche la sensibilità parlamentare. Tutto
                    è stato vissuto non come un evento di grande importanza
                    globale, ma come un passaggio obbligato, come una
                    festa della modernità, dove non c'era niente da dire
                    perché andava tutto per il meglio."
 
                    Fra i politici italiani, quando si parla di WTO, svetta il
                    nome di Piero Fassino, che fino a poche settimane fa era
                    ministro per il commercio con l'estero, era cioé il nostro
                    maggior esperto istituzionale di globalizzazione. Gli ho
                    sottoposto alcune domande sui punti dolenti che abbiamo
                    appena visto, e su altri che vedremo in questa inchiesta,
                    ma le cose non sono andate nel migliore dei modi. "No!,
                    no! Il suo compito non è di indagare sui punti dolenti.....In
                    questa intervista lei enfatizza i rischi, lei fa il
                    protezionista, io cerco di esaltare le opportunità della
                    globalizzazione!" Ribatto: "Vediamo però come siamo
                    arrivati a dover accettare livelli doppi di diossina nelle
                    nostre carni e sanzioni miliardarie per il nostro rifiuto di
                    importare la carne ormonata americana." Fassino: "Ma
                    la carne agli ormoni non entra in Europa, e poi non
                    c'entra il WTO!..."
 
                    Lo correggo: "Ministro è il WTO che ci ha condannati a
                    pagare miliardi solo perché stiamo proteggendo la salute
                    dei cittadini europei."
 
                    "Senta facciamo così, io non voglio concederle questa
                    intervista... è del tutto folle... l'approccio è folle!" tronca
                    netto il ministro, "mi dia la cassetta, me la consegni".
 
                    Di consegnare la casetta non se ne parla. Lascio
                    Fassino e proseguo nell'indagine. Come abbiamo detto,
                    noi cittadini d'Europa abbiamo delegato la Commissione
                    Europea a trattare per noi al tavolo della globalizzazione.
                    Ma Susan George su questo ha qualcosa da dire: "La
                    Commissione Europea è un organo politico che dovrebbe
                    fare gli interessi di tutti i cittadini quando siede al tavolo
                    del WTO. E invece, da anni la Commissione è al servizio
                    delle multinazionali e delle lobby che le rappresentano.
                    Questo è grave, ed è anche il motivo per cui gli accordi
                    che vengono firmati al WTO sono così di parte. Io parlo
                    di una realtà dimostrata: a lei il compito di indagare."
 
                    E ho indagato girando l'Europa con una domanda fissa
                    nella testa: ci possiamo fidare dei globalizzatori, di chi,
                    come la Commissione Europea, decide per tutti noi al
                    tavolo della globalizzazione?
 
                    Romano Prodi, che della Commissione è oggi il
                    Presidente, mi risponde con parole semplici: "La sua è
                    una domanda imbarazzante. Io penso che l'unico modo è
                    fidarsi di noi."
 
                    E invece in questa indagine ho trovato documenti che
                    sembrerebbero minare la nostra fiducia, e mi sono
                    imbattutto in poteri forti di cui, almeno io, non sospettavo
                    neppure l'esistenza.
 
                    Siamo infatti abituati a immaginare che il potere abiti in
                    stupefacenti palazzi e grattacieli vertiginosi, ma non
                    sempre. In un anomino palazzetto di Brussell risiede
                    forse la più potente lobby industriale del mondo: il Trans
                    Atlantic Business Dialogue (TABD). Report ha chiesto di
                    poter visitare la loro sede, ma come spesso ci accade,
                    non siamo i benvenuti. In questa lobby si raggruppano
                    aziende di calibro mondiale, con fatturati complessivi pari
                    al prodotto interno lordo di intere nazioni. Ed è proprio il
                    TABD che arriva al punto di presentare periodicamente
                    sia alla Commissione Europea che al governo americano
                    una lista di sue priorità per la globalizzazione, di fronte
                    alle quali la Commissione sembra proprio spalancare le
                    porte. Ho ottenuto attraverso contatti a Brussell una
                    copia delle liste di priorità del TABD, che hanno un tono
                    perentorio. Vi si trovano elencate le richieste delle
                    multinazionali, chi deve darsi da fare fra gli organi politici,
                    e ci sono per iscritto tutte le migliori intenzioni della
                    Commissione Europea nel soddisfarle. Prima di Seattle
                    la Commissione ha addirittura incoraggiato questa
                    grande lobby a sottoporle ulteriori richieste, definendole
                    "priorità assolute". Ma è giusto tutto ciò? E giro la
                    domanda al presidente Prodi. "Presidente," inizio, mentre
                    lui sfoglia la documentazione che gli ho appena passato,
                    "qui la vostra risposta sembra decisamente appiattita
                    sugli interessi di questo grande gruppo industriale."
 
                    Prodi scuote il capo: "Fare gli interessi dei gruppi
                    industriali non significa non fare gli interessi della povera
                    gente o dei gruppi ambientalisti. Se lei mi accusa di
                    proteggere gli interessi industriali io dico sì, il problema è
                    di vedere come si armonizzano queste cose."
 
                    Nessuno contesta che la Commissione Europea debba
                    anche pensare agli interessi del mondo degli affari, ma
                    gli uomini di Romano Prodi sono dei politici, col mandato
                    di tutelare gli interessi di tutti i cittadini. I documenti
                    riservati che seguono sembrano invece contraddire in
                    tema di globalizzazione le rassicurazioni del Presidente
                    Prodi. Ne riporto qui alcuni passaggi preoccupanti,
                    ricordando che si tratta di documenti ufficiali che
                    circolavano da tempo fra i burocrati di Brussell:
 
                    
 
                    1997: DISCORSO ALLE INDUSTRIE CHIMICHE DEL
                    VICE PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA
 
                    "Siate tempisti, e cioé diteci per tempo se pensate che
                    qualcosa debba essere fatto, o, ancora meglio, se
                    pensate che qualcosa debba essere stroncato sul
                    nascere."
 
                    
 
                    1997: COMMISSARIO EUROPEO AL COMMERCIO
 
                    "Il Trans Atlantic Business Dialogue è diventato un
                    meccanismo efficace per ancorare le politiche dei
                    governi sugli interessi dei gruppi di affari."
 
                    
 
                    COMMISSIONE EUROPEA, DIRETTORATO
                    GENERALE PER IL COMMERCIO
 
                    "Vogliamo trovare un accordo con gli Stati Uniti per
                    stabilire un sistema di pre-allarme contro le proposte
                    politiche che potranno avere un impatto negativo sulle
                    industrie di servizi."
 
                    Ancorare i governi sugli interessi dei gruppi d'affari?
                    Sistemi di pre allarme contro le proposte politiche? Ma
                    per conto di chi lavorate, presidente Prodi?
 
                    "Guardiamo alle cose più serie" ribatte il Presidente di
                    fronte a quelle carte, "non guardiamo a queste frasi che
                    non dicono assolutamente nulla. Queste sono
                    dichiarazioni che io condivido."
 
                    Eppure, tutto sarebbe più equlibrato se la Commissione
                    Europea, che ci sta globalizzando, ogni tanto chiedesse
                    anche a noi cittadini cosa ne pensiamo. Ma lo fa? Una
                    cosa è certa, i grandi gruppi di servizi, come le
                    finanziarie, le grandi assicurazioni o le banche vengono
                    consultati in tempo reale da un sistema elettronico che si
                    chiama S.I.S., messo in opera dalla Commissione
                    Europea, come prova un altro documento firmato
                    Direttorato Generale1, che recita: "La Commissione
                    Europea ha creato un sistema di consultazione con le
                    industrie dei servizi che permette ai negoziatori della
                    Commissione di consultare rapidamente le aziende e
                    anche i singoli azionisti."
 
                    Chiedo spiegazioni al responsabile di questa iniziativa,
                    Dietrich Barth, nel suo ufficio al quinto piano della
                    Commissione. Barth candidamente conferma:
                    "Quest'anno sono previsti i negoziati del WTO per la
                    liberalizzazione dei servizi. La Commissione ha un
                    assoluto bisogno di conoscere gli interessi dei grandi
                    gruppi d'affari di questo settore." Ma perché Barth, che
                    lavora per i politici, non menziona anche gli interessi dei
                    semplici cittadini? Gli chiedo provocatoriamente: "Sono
                    sicuro che vorrete conoscere anche gli interessi delle
                    persone comuni, o dei gruppi che li rappresentano. Dov'è
                    il sistema elettronico per consultare anche loro?" "L'S.I.S
                    è accessibile anche ai sindacati e ai gruppi di attivisti,
                    non solo all'industria." Risponde sicuro.
 
                    Non mi rimaneva che chiedere conferma di questo sia ai
                    sindacati che agli attivisti. Inizio da Cecilia Brighi, una
                    esperta di globalizzazione dell'Ufficio Internazionale della
                    Cisl, che ribatte seccamente: "Purtoppo i contatti voluti
                    dalla Commissione con i sindacati sui temi della
                    globalizzazione non sono così spinti come quelli che
                    avvengono con le muntinazionali; anzi, praticamente non
                    esistono."
 
                    " Signora Brighi, lei ha mai sentito parlare del S.I.S.?",
                    chiedo a bruciapelo. "No, mai." "Vi hanno informati
                    dell'esistenza di questo sistema?", insisto. "Credo di
                    poter affermare con certezza che le organizzazioni
                    sindacali italiane non siano mai state informate di questo
                    sistema di consultazione." L'Italia è lontana da Brussell, e
                    allora torno in Belgio per chiedere a Friends of the Earth,
                    uno dei più grandi gruppi ambientalisti del mondo, se
                    almeno loro, che hanno la sede a due passi dalla
                    Commissione Europea, hanno mai sentito pronunciare il
                    fatidico nome S.I.S. Mi risponde Alexandra Wandell, e lo
                    fa con grande stupore: "Sfortunatamente è la prima volta
                    che sento parlare di questo sistema di consultazione, me
                    lo sta dicendo lei, a noi non l'hanno mai comunicato. La
                    Commissione Europea dovrebbe smettere di declamare
                    di iniziative che in realtà non ha nessuna intenzione di
                    portare avanti."
 
                    La Commissone Europea ha fatto uno sforzo ciclopico
                    per consultare i business d'Europa prima di Seattle. Ha
                    fatto un sondaggio sui desideri dell'Investment Network,
                    un'altra lobby di giganti industriali che include la Fiat e la
                    Pirelli, e un secondo sondaggio su 10.000 aziende. Tutto
                    documentato da me, nero su bianco. Fra l'altro ho
                    cercato a Brussell anche la sede di questo Investment
                    Network, ma non l'ho trovata. Per forza, perché questo
                    gruppo di multinazionali si riunisce proprio nella sede
                    della Commissione Europea. E anche di tutto ciò ho
                    discusso con Romano Prodi.
 
                    "Vede Presidente, la cosa che preoccupa è che tutto
                    questo sembra non esistere poi con le ONG, coi
                    consumatori, coi sindacati" e attendo la sua reazione.
 
                    "Coi sindacati io sono in colloquio quotidiano," mi
                    rassicura Prodi, "ma se esiste questo Investment
                    Network io francamente non glielo so dire, non lo
                    sapevo, non sapevo neanche che esistessero sondaggi
                    per le imprese, me lo fa vedere lei adesso. Ma se
                    stesse qui dentro lei vedrebbe quanto dialogo c'è con le
                    organizzazioni non governative e con i sindacati."
 
                    Cecilia Brighi, a distanza, replica con altrettanta
                    sicurezza: "Non c'è ancora nulla, non lo hanno
                    assolutamente ancora fatto, non c'è nulla, noi non
                    sappiamo quali sono gli impatti degli accordi già
                    sottoscritti, per esempio in tema di agricoltura o di
                    occupazione, come per esempio non c'è consultazione
                    sui temi sociali nel mondo. Tutto questo va costruito in
                    tempi rapidissimi."
 
                    Che ci sia dialogo è dunque tutto da verificare; ma una
                    cosa verificata invece c'è: anche quando la Commissione
                    comunica con le organizzazioni dei cittadini non sempre
                    c'è da fidarsi. Ho ottenuto due documenti sulla
                    globalizzazione scritti dalla Commissione Europea che
                    dovevano essere identici, intitolati "Regole internazionali
                    per gli investimenti in seno al WTO", stesso protocollo e
                    stessa data: solo che uno era destinato ai burocrati,
                    l'altro ai cittadini. A una lettura più attenta sono emerse
                    differenze radicali nei testi: la versione per la gente
                    comune era tutta un'altra cosa.
 
                    Ma a proposito di fiducia, ritorniamo alla carne agli
                    ormoni americana. Sulla base di quali prove il WTO
                    condannò l'Europa? A rispondere è di nuovo Keith
                    Rockwell: "Quello che le posso dire è che il WTO nel
                    caso di dispute sulla sicurezza degli alimenti decide in
                    base al parere degli scienziati della FAO. A loro fu
                    chiesto di emettere il verdetto sulla carne agli ormoni."
 
                    E infatti un gruppo di scienziati cosiddetti super partes si
                    riunirono proprio alla FAO a Roma, e più precisamente
                    nella commissione chiamata Codex. Dalla FAO partì il
                    verdetto: secondo loro l'Europa aveva torto. Ma gli
                    scienziati della Fao erano davvero super partes, erano
                    davvero imparziali?
 
                    "Certamente" sentenzia con fermezza Alan Randell, uno
                    dei massimi responsabili dei gruppi scientifici della FAO,
                    cui ho rivolto quelle domande. Randell spiega: "Siamo
                    una organizzazione intergovernativa e il nostro compito è
                    di fissare gli standard internazionali per la sicurezza degli
                    alimenti. Abbiamo deciso che gli ormoni nella carne
                    americana non pongono problemi alla salute, e potete
                    fidarvi."
 
                    Pochi giorni dopo aver registrato quelle affermazioni, mi
                    sposto a Londra per un incontro cruciale. L'uomo che mi
                    aspetta alla stazione Victoria vuole rimanere anonimo,
                    perché è un chimico farmaceutico che ha lavorato per 35
                    anni con la grande industria e che oggi ha deciso di
                    raccontare tutto quello che sa sulla cosiddetta
                    indipendenza degli scienziati della FAO. Trovarlo è stata
                    veramente un'impresa, attraverso una serie infinita di
                    contatti. Gli chiedo prima di tutto: perché vuole parlare?
                    "Il mondo sta cambiando, le multinazionali farmaceutiche
                    e agroalimentari hanno assorbito ormai tutto....non
                    so...forse perché mi sto per ritirare dalla scena...ma
                    guardi, io ho visto troppe cose, e c'è un limite per tutti, o
                    forse solo per me." La nostra conversazione continua, e
                    lo invito a venire al dunque, e cioé alle prove di quanto mi
                    vorrebbe rivelare. Questo scienziato dall'aria
                    aristocratica mi invita a sedermi a un tavolo del bar della
                    Royal Albert Hall, e poi inizia: "La documentazione che le
                    mostro era in gran parte segreta, e infatti molti fogli
                    portano il marchio declassificato. Ora, per dimostrarle
                    quanto siano inaffidabili gli organi scientifici della FAO è
                    necessario che le racconti una vicenda parallela a quella
                    che a lei interessa."
 
                    "Guardi questi documenti. E' il novembre del '97, e la
                    FAO si sta preparando a giudicare la sicurezza degli
                    ormoni nel latte, che sono prodotti dalla multinazionale
                    Monsanto. Qui si legge che uno scienziato della FAO, il
                    dott. Nick Weber, aveva passato al dott. Kowalczyk della
                    Monsanto i documenti riservati che solo gli scienziati
                    della FAO avrebbero dovuto leggere prima di emettere il
                    verdetto. Fra questi documenti c'erano persino gli studi
                    della Commissione Europea, che era contraria agli
                    ormoni artificiali. Capisce? La Monsanto poté studiarsi
                    con molto anticipo cosa avrebbero sostenuto i suoi critici
                    durante i dibattimenti. Ma è normale ciò?"
 
                    Non rispondo e lo invito con un cenno del capo a
                    continuare. Lui prosegue: "La FAO esaminò gli ormoni
                    nel latte e in un primo tempo espresse parere positivo.
                    Un trionfo per la Monsanto, ma c'era una nota che
                    stonava. Michael Hansen, un consulente della FAO, non
                    era d'accordo e stava per lanciare un allarme. Ed ecco
                    un fax che la Monsanto spedisce a un funzionario della
                    sanità pubblica, dove si legge: Sembra che Michael
                    Hansen non sia dei nostri. Dei nostri!!, capite che razza
                    di mentalità? La Monsanto considerava gli esperti della
                    FAO roba propria."
 
                    La mia fonte sosta per il tempo necessario a
                    sorseggiare il bicchiere di vino bianco che gli ho offerto,
                    poi estrae dalla borsa altri fogli, altre prove inedite. E
                    rincara la dose: "Ma alla FAO ci sono altri scienziati
                    gravemente compromessi: sono Margaret Miller e
                    Leonard Ritter. In questo documento riservato del
                    Congresso degli Stati Uniti si legge che la dottoressa
                    Miller era sotto inchiesta perché, da dipendente pubblico,
                    fu sorpresa a lavorare....indovini per chi? Per la
                    Monsanto naturalmente, per conto della quale studiava
                    gli ormoni. Veniamo al dottor Ritter: ho scoperto dagli
                    archivi del parlamento canadese che Ritter è stato più
                    volte pagato del CAHI, una grossa lobby nordamericana
                    di industrie veterinare favorevoli agli ormoni. Insomma,
                    Miller e Ritter, due gioielli di indipendenza interni alla
                    FAO, non le sembra?"
 
                    E allora ricapitoliamo: la mia fonte inglese ha dimostrato
                    che alcuni scienziati consulenti della FAO, e
                    specialmente Nick Weber, Margaret Miller e Leonard
                    Ritter, erano da tempo collusi con una lobby e con una
                    grande multinazionale interessate a vendere ormoni, e
                    nonostante l'evidente conflitto di interessi hanno
                    continuato a decidere della nostra salute per conto della
                    FAO.
 
                    Lo scienziato inglese ora conclude e porta l'affondo
                    decisivo: "E non è proprio la FAO che ha giudicato
                    innocui anche gli ormoni della carne, permettendo così al
                    WTO di condannare l'Europa. Come ci si può fidare? E
                    poi guardi le liste degli scienziati della FAO che nel '99 e
                    nel 2000 hanno di nuovo esaminato gli ormoni americani
                    nella carne: chi ci troviamo? Weber, Miller, Ritter e tutti
                    gli altri. Sono tutti qui, sono sempre qui!"
 
                    Lo fisso con un'unica domanda nella testa: la FAO
                    sapeva, ha mai sospettato qualcosa? "Certo che
                    sapeva," risponde con un accenno di sorriso, "infatti
                    Micheal Hansen, il bastian contrario, scrisse tutto nero su
                    bianco e lo spedì persino al direttore generale della
                    FAO. Tutto si sapeva... persino nei dettagli. Ma questo
                    non ha impedito a noi europei di essere così penalizzati
                    dal verdetto sulla carne agli ormoni."
 
                    Torno a Roma e ricontatto il dirigente della FAO che
                    avevo incontrato pochi giorni addietro. Gli passo le prove
                    contro i dottori Weber, Miller e Ritter, ma lui non sembra
                    molto interessato ai documenti. Li degna appena di
                    un'occhiata e ribatte: "I nostri scienziati sono scelti dalla
                    FAO e dall'Organizzazione Mondiale delle Sanità, e sono
                    confermati nell'incarico dai governi membri. Sono esperti
                    al di sopra di ogni sospetto e le sue affermazioni ci
                    giungono assolutamente nuove."
 
                    Una storia pesantissima questa, nella quale erano in
                    gioco non solo interessi multimiliardari, ma soprattutto la
                    nostra salute. E a questo punto tutto mi potevo aspettare
                    meno che fosse proprio il WTO a rilanciare alla grande,
                    a far esplodere la bomba. E' ancora Rockwell che parla:
                    "Se i vostri governi avessero invocato l'articolo 5.7 del
                    nostro accordo Sanitario e Fitosanitario la battaglia sulla
                    carne agli ormoni non sarebbe mai esistita: niente FAO,
                    niente sanzioni americane, nulla di nulla. L'articolo 5.7 del
                    WTO vi dava il diritto di evitare lo scontro, mentre
                    l'Europa studiava la sicurezza della carne americana." "E
                    perché l'Europa non l'ha usato?" gli chiedo più che
                    sorpreso. Rockwell mi fissa pregustando il colpo ad
                    effetto, e con un che di trionfale aggiunge: "Lo chieda a
                    loro. Non lo hanno mai invocato quell'articolo!"
 
                    Non mi rimane che girare la scottante questione ai
                    massimi responsabili politici, e cioé al ministro Fassino e
                    al Presidente della Commissione Europea Romano
                    Prodi. Perché non è stato invocato quell'articolo?
 
                    Fassino risponde che non lo sa, che ci sarà una ragione
                    legale, e conclude sbrigativo: "Chieda a qualcun altro"
                    dice scuotendo il capo. Romano Prodi invece tenta una
                    battuta ("Non lo so, non sono mica un veterinario!") e poi
                    conclude sostenendo che si tratta di aspetti tecnici "...e
                    non potete venire a chiedere a me."
 
                    Entrambi si sono difesi aggiungendo che l'importante è
                    che la carne agli ormoni non entri in Europa, ma questo
                    francamente non mi basta. Abbiamo miliardi di sanzioni
                    che ci penalizzano ogni giorno, e si tratta della più
                    pericolosa disputa commerciale degli ultimi 20 anni. Se la
                    si poteva evitare appellandosi a un semplice articolo, i
                    nostri massimi dirigenti politici lo avrebbero dovuto
                    sapere. Ma tant'è.
 
                    Io non chiedo più nulla, e scelgo invece di mostrarvi
                    qualcosa di concreto. Parliamo sempre della
                    globalizzazione, del WTO e dei suoi potentissimi accordi.
                    La parola a Susan George: "L' arma più tagliente del
                    WTO è l'accordo sulle Barriere Tecniche al Commercio,
                    che può annullare le leggi degli Stati, quelle delle
                    amministrazioni locali e persino le regole delle piccole
                    organizzazioni non governative. Esso colpisce
                    particolarmente il diritto dei cittadini di sapere come sono
                    fatte le merci che acquistano e da chi sono fatte."
 
                    E infatti questo accordo prende di mira proprio le
                    etichette: le etichette che ci dovrebbero dire se nei
                    giocattoli che diamo ai nostri piccoli ci sono sostanze
                    tossiche, se nei cibi che mangiamo ci sono ingredienti
                    geneticamente modificati, o se i palloni che compriamo
                    sono fatti da bambini sfruttati nei paesi poveri. Iniziamo
                    proprio da questo esempio. Susan George spiega: "Il
                    calcio è sicuramente un grande sport, anche se io sono
                    americana! Ma l'accordo WTO sulle Barriere Tecniche al
                    Commercio ci impedisce proprio di rifiutarci di importare
                    palloni da calcio cuciti dai bambini sfruttati in Asia. Per i
                    globalizzatori un pallone è un prodotto e lo possiamo
                    rifiutare solo se è di cattiva qualità e non se è fatto da
                    piccoli schiavi."
 
                    Damiano Tommasi, mediano della Roma, è da tempo
                    impegnato contro l'importazione di palloni prodotti col
                    lavoro minorile. Un accordo del WTO rischia dunque di
                    vanificare il suo impegno. Lo sapeva? "No, non lo
                    sapevo" mi dice Tommasi al termine di un allenamento di
                    fine campionato. "E' una brutta notizia. E' un altro
                    segnale che l'economia e la globalizzazione prevalgono
                    su qulasiasi altro codice."
 
                    Proprio al ministro Fassino ho sottoposto questo punto
                    dolente degli accordi del WTO, "lei non sa che l'Italia ha
                    firmato le convenzioni dell'Organizzazione Internazionale
                    del Lavoro che ci danno il diritto di rifiutare i palloni
                    prodotti col lavoro minorile!"
 
                    Rispondo: "Ministro, ciò che lei afferma non sembra
                    vero. Io cito accordi del WTO sovranazionali che già
                    sono esistenti e che sono già ratificati dall'Italia."
 
                    Fassino adesso urla: "Ma l'Italia non ha mai ratificato
                    nessun accordo che dice che si possono importare i
                    palloni cuciti dai bambini sfruttati. Credo di sapere la
                    materia di cui sono ministro!...non è possibile!"
 
                    Racconto quanto affermato dal ministro Fassino a Susan
                    George, e lei sorpresa ribatte: "Ma certo che è
                    possibile. Fu purtroppo scritto nero su bianco sia negli
                    accordi del GATT che nell'accordo del WTO, ai punti 2.1
                    e 2.8, e i nostri governi lo dovrebbero sapere."
 
                    Interrogo anche Cecilia Brighi, la sindacalista della Cisl
                    esperta di questioni internazionali. Le dico: "Signora
                    Brighi, a battuta risposta: l'Italia ha firmato le convenzioni
                    dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro che danno
                    la possibilità di bloccare le importazioni di palloni fatti da
                    bambini sfruttati nel terzo mondo..." C'è una pausa, la
                    Brighi ribatte: "Chi ha detto questo?" E io: "Fassino." Lei
                    scuote il capo.
 
                    Nel frattempo al WTO qualcuno sta già protestando
                    contro le regole europee che vietano nei nostri giocattoli
                    l'uso di ammorbidenti tossici. Me ne parla Fabrizio
                    Fabbri, uno dei responsabili di Green Peace Italia: "Sta
                    succedendo che Hong Kong e il Brasile stanno invocando
                    l'intervento del WTO per annullare il provvedimento
                    europeo che vieta i composti chimici pericolosi nei
                    giocattoli per bambini. Il WTO potrebbe ritenere questa
                    misura di tutela della salute un ostacolo alle leggi del
                    libero commercio, in base a un accordo sottoscritto
                    anche dall'Italia che prevede il non utilizzo di ragioni
                    sociali o ambientali come discriminazione commerciale."
                    Fabbri apre una borsa e fa cadere sulla scrivania una
                    miriade di pupazzetti e bamboline colorati, quelli tossici
                    appunto. Ma dovessero tornare questi giocattoli
                    pericolosi, almeno che ci sia un'etichetta che ce li fa
                    distinguere. Fabbri scuote il capo: "Teoricamente
                    sarebbe la misura minima di tutela dei consumatori, ma è
                    quella maggiormente contestata proprio dal WTO."
 
                    Guerra dunque persino alle etichette che ci dovrebbero
                    informare su quello che acquistiamo, ma non solo. Ciò
                    che veramente stupisce è scoprire che chi ha scritto gli
                    accordi di globalizzazione ha voluto che il loro potente
                    braccio si estendesse ben oltre i governi nazionali, e che
                    raggiungesse persino le piccole organizzazioni volontarie.
                    Persino loro. Per capire meglio ciò che ho detto
                    seguiamo la signora Luciana Giordano nello shopping.
                    Questa giovane linguista di Bologna fa parte della nutrita
                    schiera di italiani che acquistano regolarmente il caffé
                    equo & solidale, e questo significa che Luciana sa che il
                    suo caffé è prodotto da lavoratori del terzo mondo
                    tutelati nella dignità e nei diritti fondamentali. Ma come fa
                    a saperlo? Attraverso la presenza sulla confezione
                    dell'etichetta Transfair, oppure comprando il macinato
                    nelle cosiddette Botteghe del mondo. Si tratta di piccole
                    organizzazioni non a fine di lucro, ma sembra proprio
                    che sia loro che le loro etichette violino i contenuti del
                    solito accordo WTO sulle Barriere tecniche al
                    commercio.
 
                    Proprio a Bologna incontro Giorgio Dal Fiume, uno dei
                    massimi dirigenti nazionali della rete equo & solidale e gli
                    chiedo di spiegarmi perché i globalizzatori dei commerci
                    temono così tanto persino le loro etichette: "Perché
                    quello che noi scriviamo in etichetta rende possibile la
                    libera scelta da parte del consumatore" dice Dal Fiume
                    mentre mi fa da guida all'interno di una delle Botteghe
                    del Mondo. "E' paradossale, ma in questo sistema
                    globalizzato siamo noi a difendere il vero funzionamento
                    del mercato, dove a diversa offerta corrisponde una
                    diversa scelta. Ma proprio questo è il punto debole del
                    WTO: può condizionare interi stati ma non può obbligare
                    i cittadini a consumare quello che loro vogliono."
 
                    Forse Dal Fiume ha ragione, ma il WTO può costringere
                    il governo italiano a fare tutto quanto è in suo potere per
                    fermare iniziative come quella per cui si è impegnato. E'
                    scritto infatti nero su bianco nell'accordo sulle Barriere
                    Tecniche al Commercio. Lui lo sapeva? "Sì, ci siamo
                    studiati i testi, ed è per questo che siamo andati a
                    Seattle a contestare con ogni mezzo il WTO" conclude.
 
                    Etichettare le merci, così che il cittadino possa rifiutare
                    quelle che violano i principi etici, o di protezione
                    dell'ambiente e della propria salute è un diritto
                    fondamentale che il WTO sembra volerci togliere. In tutto
                    ciò sono chiare le pressioni esercitate dai colossi
                    industriali, e non sono illazioni: ho trovato due documenti
                    che non lasciano dubbi. Il primo, stilato dalla Camera di
                    Commercio Internazionale (un'altra lobby di multinazionali
                    che comprende anche la Pirelli e la nostra Confindustria)
                    chiedeva al cancelliere tedesco Schroeder (poco prima
                    della storica conferenza del WTO a Seattle) quanto
                    segue: I programmi di etichettatura ecologica dei
                    prodotti possono creare barriere al libero commercio, e
                    vogliamo su questo una urgente applicazione degli
                    accordi del WTO. Nel secondo documento ho trovato
                    un'esplicita richiesta del Trans Atlantic Business
                    Dialogue, che recita: Alla Commissione Europea
                    chiediamo che un accordo internazionale sugli
                    investimenti non sia indebolito da clausole sui diritti dei
                    lavoratori o sulla tutela dell'ambiente.
 
                    Si comprende così come anche la legge europea
                    sull'etichettatura obbligatoria dei cibi contenenti geni
                    modificati sia finita nel mirino del WTO, e infatti il
                    governo di Washington ha già iniziato a Ginevra una
                    procedura legale per costringere Brussell a tornare sui
                    suoi passi. Eppure quella legge non è poi così severa:
                    essa infatti dice che se i geni modificati sono presenti nei
                    cibi sotto la quantità dell'1%, non vanno dichiarati in
                    etichetta. E io ho voluto fare una prova. Ho infatti
                    comprato alcuni prodotti contenenti soia: dicono che la
                    soia oggi sia quasi tutta geneticamente modificata, ma
                    nelle etichette dei biscotti VitaSystem, dei crackers
                    Misura, di quelli della Cereal e del pane a fette della
                    Barilla non è segnalato alcunché. E allora sono andato a
                    farli anlizzare. Ecco i risultati delle analisi. Pane alla soia
                    della Barilla: nessuna presenza di soia transgenica;
                    crackers della Misura, anche qui nulla di geneticamente
                    modificato; veniamo alla Cereal: idem come prima, e
                    cioé niente geni manipolati; e infine abbiamo i biscotti
                    della VitaSystem, e qui la soia transgenica c'era, ma
                    nella percentuale dello 0,6%, e la legge europea, come
                    dicevo, non prevede che questa quantità si debba
                    segnalare in etichetta. Ciò significa che noi consumatori
                    stiamo comunque ingerendo e sperimentando cibo
                    transgenico, anche se in piccole quantità, e questo prima
                    che la scienza sappia con certezza quali saranno gli
                    effetti sulla nostra salute.
              
 

                    AGGIORNAMENTI
 
              
                    Informazioni aggiuntive su Globalizzatori
                    del: 30/10/2000 01:21
                    di: Redazione Report
 
                    Proprio dalla nostra inchiesta è emerso, fra le altre cose,
                    un evidente conflitto d'interessi fra gli scienziati della Fao
                    che hanno giudicato la carne agli ormoni americana e i
                    costruttori dell'ormone stesso. Questo contrasto, il 12
                    luglio scorso, è stato l'oggetto di un'interrogazione
                    parlamentare presentata al Parlamento Europeo, con la
                    quale si chiede alla Commissione di far luce su tutti i
                    punti da noi denunciati. È questo il primo passo.
 
 
 
 
 
                    Ogni informazione più specifica può essere richiesta alla
                    redazione di Report, in V. Teulada 66. 00195 ROMA. Tel
                    06.36866393. E-mail: report@rai.it
                    Oppure ai singoli autori delle inchieste. Le e-mail
                    personali sono visibili nelle descrizioni delle puntate in
                    onda
 
 
 
                        WTO:
                        www.wto.org
 
                        Commissione Europea DG1:
                        http://europa.eu.int/comm/trade/index.htm
 
                        FAO:
                        www.fao.org
 
                        Trans Atlantic Business Dialogue:
                        www.tabd.com
 
                        International Chamber of Commerce:
                        www.iccwbo.org
 
                        Corporate Europe Observatory:
                        www.xs4all.nl
 
                        Friends of the Earth:
                        www.foe.org
 
                        Public Citizen:
                        www.tradewatch.org
 
                        Transnational Institute:
                        www.worldcom.nl/tni/wto

 
 
 
Ciao
 
                                 -MATTEO-
 
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