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NIGRIZIA 10/2000 - CHIESE OGGI
CHIESE OGGI
Kenya / L'assassinio di padre Kaiser
IL PREZZO DEL CORAGGIO
Lo hanno ucciso sparandogli a bruciapelo sulla nuca, con un potente fucile
Mark-4, in dotazione alla polizia e al Kenya Wildlife Service. Il cadavere è
stato trovato il 24 agosto nei pressi di Naivasha (70 chilometri a ovest di
Nairobi).
John Anthony Kaiser, statunitense, della Società missionaria di Mill Hill,
era consapevole di essere un bersaglio. Nato nel 1932 a Perham (Minnesota),
ordinato sacerdote nel '64, dopo quasi vent'anni d'impegno nella diocesi di
Kisii, nel 1993 era stato trasferito in quella di Ngong.
Aveva presentato a una commissione d'inchiesta le prove del coinvolgimento
di due ministri, Ole Ntimama e Nicholas Biwot, nei disordini che avevano
insanguinato la zona della Rift Valley nel 1993, al tempo degli scontri
etnici nei quali almeno duemila kikuyu avevano perso la vita. Aveva anche
sollecitato l'incriminazione del deputato Julius Sunkuli (uomo molto vicino
all'esecutivo), accusato di aver violentato diverse ragazze. E aveva
incolpato due ministri di aver inviato guerriglieri in Israele per un
addestramento militare. Lo scorso novembre aveva ricevuto l'ordine di
lasciare il paese, revocato dopo l'intervento dell'ambasciata Usa a Nairobi.
Sono in molti, tra chi lotta per i diritti umani all'interno delle chiese e
delle organizzazioni non governative, ad essere convinti che il coraggio di
queste accuse ha significato la condanna a morte, decretata da influenti
uomini politici. Al termine dei funerali, presieduti dal nunzio apostolico
Giovanni Tonucci, alcune decine di persone si sono dirette verso il vicino
parlamento. Nonostante il dispiegamento delle forze di polizia, sono
riuscite ad avvicinarsi all'edificio con cartelli di protesta e gridando a
squarciagola: "Abbasso gli assassini!". "Se questo omicidio è un messaggio
per la chiesa - aveva detto Tonucci durante l'omelia - deve essere chiaro
che la chiesa non resterà in silenzio di fronte alle violazioni della legge
di Dio e dei diritti umani".
La coalizione dei gruppi per i diritti umani di Nairobi ha condannato l'
esecuzione "politica" di padre Kaiser e non fidandosi delle "inchieste
giudiziarie criminali condotte da un governo di assassini politici" ha
dichiarato che "il governo continua a infrangere i diritti civili e politici
dei keniani con l'impunità". Secondo Human Rights Network, Kaiser è stato
ucciso perché "difendeva i diritti delle donne affrontando i loro
stupratori, uomini di potere, e perché nella sua parrocchia combatteva per
il diritto alla terra dei contadini, minacciati da chi si voleva
impossessare della loro terra perché possedeva gli agganci giusti".
Il potere ha reagito duramente: il capo dello stato in persona, Daniel arap
Moi, ha ingiunto alla chiesa di essere "onesta" sulla vicenda. Stessi
accenti nelle parole di Marsden Madoka, ministro della sicurezza, che con un
testo di due pagine ha invitato i vescovi a porre fine al loro
"atteggiamento bigotto".
Secondo Alex Zanotelli, missionario comboniano a Nairobi, "la morte di padre
Kaiser è un esempio di cosa significa fare missione oggi, per la capacità di
svelare corruzione e ingiustizia del sistema politico keniano. Ha difeso i
diritti dei contadini, privati del loro diritto alla terra, e ha smascherato
la violenza subita dalle donne. Ha avuto il coraggio della denuncia senza
mezze misure: non è per nulla facile nel Kenya di oggi. È stato un
missionario autentico. Fa parte di quella schiera di religiosi che hanno
avuto il coraggio di dire la verità, come fratel Larry Timmons a Nakuru e il
vescovo anglicano Alexander Muge, fatto fuori in un incidente stradale. La
missione in Kenya è e sarà vera solo se seguirà il cammino aperto da uomini
come questi".
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Schio - Sudan / Uniti da Bakhita
SANTA PER LE NUOVE SCHIAVITÙ
Cinquemila da Schio e cinquanta dal Sudan erano attesi a Roma, il 1°
ottobre, insieme con tanti pellegrini da tutto il mondo, per la
canonizzazione di Giuseppina Bakhita, la "Madre Moretta" che dalla schiavitù
nel paese più grande dell'Africa era arrivata al convento canossiano della
cittadina del vicentino. Fu la prima immigrata "di colore" approdata nella
valle Leogra alla fine del secolo scorso.
La ex schiava diventata santa è così una sorridente sfida al dilagare dei
fenomeni di intolleranza attorno a noi, come pure alla discriminazione verso
i cristiani ancora attuale nel suo paese d'origine. Il Sudan infatti soffre
per la guerra civile e arranca in un difficile cammino di democratizzazione
e verso il rispetto dei diritti umani e della libertà religiosa. I sudanesi
trovano in lei un segno di speranza per come venne liberata dalla schiavitù;
ma soprattutto per come è stata capace di guarire, grazie alla sua fede,
dalle conseguenze del male ricevuto.
Se la gioia è grande per il Sudan, non lo è meno per Schio, che ha
approfittato dell'occasione per riflettere sulle tematiche legate all'
integrazione tra le diverse culture, con appuntamenti di carattere religioso
mescolati ad eventi culturali e di spettacolo, con l'intento di arrivare a
una migliore comprensione dell'immigrazione. È infatti indispensabile avere
ben chiaro, come ha affermato il vescovo di Vicenza, che "tutti gli esseri
umani hanno pari fondamentali diritti. Nessuno può venire sfruttato,
considerato strumento. Stiamo diventando, che lo vogliamo o no, una società
multietnica. O ci si aiuta a convivere dialogando o si entra in conflitto.
Chiuderci ad apporti nuovi significherebbe rinunciare alla sfida di vitali
ricambi generazionali e abbandonarsi all'egoismo".
Il programma ha riempito i mesi di settembre e ottobre. Da notare la
"Settimana interculturale" (9-17/9), con cinema africano, mostre ed eventi
culturali, anche un minitorneo interetnico di calcetto; e un convegno
internazionale, il 14 ottobre, sulla schiavitù - realtà vissuta sulla
propria pelle da Bakhita - e le nuove schiavitù, che continuano, con nomi
diversi e per ragioni diverse, ad affiorare un po' ovunque, qui da noi come
in Sudan.
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