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NIGRIZIA LUGLIO/AGOSTO 2000 - Chiese Oggi - Misago



CHIESE OGGI

Rwanda / Ma il Vescovo non era genocidario

NON PASSI INVANO IL MOMENTO DI GRAZIA
Emmanuel Ntakarutimana

ASSOLUZIONE PIENA PER AUGUSTIN MISAGO, VESCOVO DI GIKONGORO DAL 1992,
ACCUSATO DI GENOCIDIO DAL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA IN PERSONA IL 7 APRILE
1999 (NIGRIZIA, 5/99, 3 E 61; 6/99, 61; 12/99, 59; 5/00, 63). "MISAGO E'
LIBERO. MISAGO HA VINTO IL PROCESSO", HA CONCLUSO IL GIUDICE DEL TRIBUNALE
DI KIGALI, IL 15 GIUGNO SCORSO.

Gli avvocati di parte civile avevano richiesto per lui la pena di morte. I
difensori hanno fatto, da parte loro, un lavoro eccellente e scientifico
nello smontare le tesi accusatorie. Ma come interpretare la sentenza, visto
che il processo ha avuto da subito connotazioni politiche prima che
giudiziarie?

Cominciamo dalla congiuntura interna. La classe al potere appare oggi piu'
fragile che mai, scossa com’e' da una serie di successive crisi. Il
presidente dell’assemblea nazionale, tutsi, che aveva tentato di dare il via
a un’operazione "mani pulite", si e' visto costretto all’esilio. Il primo
ministro, hutu, ha rassegnato le dimissioni. Anche altri ministri. Il
consigliere politico alla presidenza, tutsi, e' assassinato da uomini in
uniforme. Destini simili toccano ad altri esponenti del regime. Anche
Pasteur Bizimungu, hutu, il presidente accusatore di Misago, e'
politicamente morto (Nigrizia, 5/00, 55).

E' una sorda lotta di clan, da non leggere solo in chiave hutu/tutsi. Si
approfondisce la frattura tra i tutsi rientrati dall’Uganda, dal Burundi e
altrove nel mondo, da una parte, e i superstiti del genocidio dall’altra.
Gli oriundi dall’Uganda sembrano voler assumere il controllo di tutti i
settori della vita del paese. Le azioni degli oppositori armati hutu si sono
intensificate. Nuove ondate di rifugiati arrivano in Tanzania, che
raccontano di soprusi e di morti. Sull’Akagera, il corso d’acqua che fa da
frontiera tra Tanzania e Rwanda, si sono visti galleggiare dei cadaveri
decapitati. Mentre sono sempre irrisolte le "eredita'" del ’94: i 130mila
carcerati in attesa di giudizio, i conflitti sulla proprieta' di terre e
case, la fatica di sopravvivere di vedove ed orfani…

A livello regionale, la guerra in Congo, che doveva essere un’avventura
gloriosa di pochi giorni, si e' impantanata e smarrisce ogni giorno di piu'
la sua giustificazione politica. Anche il pretesto di mantenere una fascia
di sicurezza attorno al territorio nazionale non regge piu', quando le
truppe vengono inviate a migliaia di chilometri dalle frontiere. Le alleanze
con l’Uganda e certi gruppi congolesi si sfilacciano sempre piu' (vedi pag.
11) e gli stessi banyamulenge del Congo si sono ormai dissociati dalle vere
intenzioni del Rwanda. Emergono ormai con chiarezza le mire di natura
economica: i diamanti, l’oro, il legname del Congo…

Il sogno di un grande impero, dall’Eritrea all’Africa australe, guidato dai
tutsi, non e' piu' proponibile oggi, tanto piu' con degli alleati come
Etiopia ed Eritrea che si sono scannati tra loro. Perduto anche l’appoggio
dell’Uganda, il Rwanda si ritrova adesso sempre piu' isolato.

PURIFICARE LA MEMORIA

A livello internazionale, anche il credito di principio accordato al Fronte
patriottico rivoluzionario di Paul Kagame sta evaporando. Le potenze che lo
sostenevano apertamente (come gli Usa) sono imbarazzate. La guerra di
Kisangani ha spinto il segretario generale delle Nazioni Unite a sottoporre
al consiglio di sicurezza l’eventualita' di sanzioni contro Rwanda e Uganda.

La chiesa cattolica, infine, non ha mai cessato di esprimere il suo sostegno
a Misago: da Giovanni Paolo II in persona a varie conferenze episcopali,
singoli vescovi e gruppi di fedeli in tanti paesi del mondo, che hanno
pubblicato dichiarazioni o hanno sottoscritto petizioni indirizzate al
generale Kagame.

E' dunque evidente che una condanna di Augustin Misago, ancor piu' una
condanna a morte, non avrebbe aiutato il regime di Kigali in questo momento.
Dopo l’arrogante trionfalismo di partenza, il regime deve trovare il
realismo della vita politica nella regione e il servizio alla verita'.

La liberazione del vescovo Misago fa anche riscoprire la vocazione della
chiesa a forza morale ineludibile, che non può essere zittita dalle armi e
loro servizi ausiliari. La sconfitta della chiesa avrebbe dato inizio a un
periodo di lunghe sofferenze, non solo per la chiesa stessa ma anche per la
popolazione, essendo la comunita' ecclesiale l’unica forza morale
organizzata in grado di denunciare gli errori del regime e di opporvisi.
Metterla a tacere dopo averla infangata ricorrendo ai fantasmi del genocidio
avrebbe consentito allo zoccolo duro del regime di consolidare il proprio
potere per generazioni, al riparo da ogni contestazione.

E' questa l’occasione attesa perche' la chiesa ritrovi la forza dello
Spirito ed esca finalmente dalla paralisi che l’aveva colpita, mantenendola
in uno stato di vergogna e di letargo che nulla ha a che vedere con il
Vangelo. Si impone ora un esame di coscienza per meditare sugli errori del
passato e trarne le necessarie lezioni in vista di un’evangelizzazione
veramente nuova. La chiesa rwandese sta gia' realizzando, in quest’anno
2000, il suo sinodo. La liberazione di Misago può darle ali per un lavoro
approfondito, che sappia far fruttificare il kairós - il momento di grazia -
che le e' stato ora offerto dalla corte criminale di Kigali.

A livello giudiziario, la procedura e' stata sostanzialmente corretta.
Speriamo che questo dia il "la" agli altri processi in corso in Rwanda.



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