da
Chiara Castellani 15.11 2008
Una
guerra Bugiarda. Le verità scomode che nessuno osa rivelare sui massacri in
corso in RDC
Il 5 maggio
del 1997 era la volta dell'AFDL.
Tutti a Kenge si ricordano di come
la marcia inarrestabile di Kabila e compagni si è improvvisamente arrestata
proprio a Kenge perché la ragion di Stato ha voluto che lo scontro finale e il
massacro avesse luogo ben lontano dalla Capitale sede di negoziati febbrili, e
forse anche ben lontano dagli occhi del mondo diplomatico e dai riflettori dei
media.
Il massacro si è consumato nella
cappella Kimbangwista, a camp SAS, a Pont Wamba, a Tiabakweno, nell'indifferenza
delle forze in campo e nel silenzio complice dei media.
L'AFDL ha quindi ripreso la
marcia verso Kinshasa quando l'ordine di chi teneva i fili del gioco, le pedine
dello scacco matto al dittatore morente, è stato di nuovo ingiunto.
Quando poche settimane fa è stato
ingiunto a Nkunda di riprendere le armi e di mettersi di nuovo in marcia verso
Kinshasa, la storia di 12 anni fa è ripresa, e se la comunità internazionale non
interviene a tempo per arrestare questa marcia, l'epopea di Nkunda e dei suoi
miliziani rischia di ripetere l'epopea di Kabila padre e dell'AFDL nel 1996.
Se non sappiamo raccogliere e
riscoprire nella sua immutata attualità la denuncia formulata allora da Mons.
Munzihirwa, che venne ucciso nel 1996 proprio per aver identificato i veri
mandanti internazionali di quella "balcanizzazione" del Congo che si voleva
allora far passare come una "guerra di liberazione" di un dittatore malato di
cancro terminale, saremo condannati a rivivere quei massacri di 12 anni fa.
Allora come più manifestatamente
oggi è una guerra economica, sicuramente strumentale agli interessi strategici
del nord del mondo e, come tutte le guerre, inutile e combattuta CONTRO i più
poveri, che ne furono le vere vittime.
Dopo l'assassinio di Mons.
Munzihirwa, durante più di un decennio, il punto di vista dei congolesi sulla
vendetta di Kagamé per il "genocidio Tutsi" a spese delle popolazioni inermi del
confine è stato messo a tacere, perché era una verità scomoda per chi sosteneva
Kagamé e per le multinazionali che profittavano della guerra per vendere armi in
cambio di materie prime.
Complice questo silenzio imposto,
le milizie di Laurent Nkunda armate da Kagamé e dal nord del mondo proseguono indisturbate la loro
azione militare, oggi contro Goma, domani forse contro Kinshasa.
E' la storia di una guerra infinita
che si riaccende in fuochi devastanti su braci mai definitivamente spente.
Perché troppi burattinai del nord
ricco continuano a soffiarci sopra. La guerra si è di nuovo accesa nel "cuore
delle tenebre" laddove i microfoni e le telecamere non giungeranno mai.
Laddove l'ignoranza o il silenzio
complice hanno permesso la morte in 10 anni di 5 milioni di civili, di cui
almeno 400.000 uccisi da colpi di arma da fuoco, gli altri sterminati dalla fame
e dalle epidemie dilaganti nei campi rifugiati o nelle foreste dove le milizie
armate delle differenti fazioni in campo continuavano a respingerli.
Secondo le cifre dell'International
Rescue Committee, l'ONG americana che ha cercato di quantificare l'eccesso di
morti nella regione, la guerra che martirizza le popolazione dell'Est della
Repubblica Democratica del Congo fin dal '96 è il conflitto in assoluto più
sanguinoso in termini di vite umane di civili dopo la seconda guerra mondiale.
La guerra del Congo è un lento
genocidio, un massacro a "bassa intensità", che lascerà cicatrici profonde nella
memoria storica delle popolazioni dei Grandi Laghi.
Ben presto lo vedremo inquadrato
nella lettura strumentale dell'Africa come il continente nero violento e
selvaggio.
Una semplificazione che impedirà di
leggere la complessità del conflitto e delle forze in campo ma dove il mercato
illegale di armi ha moltiplicato le milizie e i pretesti per la violenza
contro popolazioni inermi.
Per chi ha il coraggio di aprire
gli occhi e di prestare ascolto alle testimonianze terribili nella loro
semplicità delle vittime, dei rifugiati, si riceve la tragica certezza di
trovarsi invece di fronte a una guerra di saccheggio, mascherata dietro il pretesto della
vendetta etnica del popolo Tutsi.
E più di una potenza straniera
mantiene il caos a proposito con il silenzio, l'omertà, le menzogne, il
commercio d'armi in cambio di quel coltan così prezioso per i telefonini
portatili e i microprocessori.