Mille voci un comune sentire: no al linguaggio dell'odio



Mille voci, un comune sentire: ''no'' al linguaggio dell'odio
Gli interventi di Tullia Zevi, Gad Lerner, Riccardo Noury, Laura Boldrini alla manifestazione romana. Vendola: ''La sinistra che, per il consenso, rinuncia alla propria battaglia fondativa, rinuncia a se stessa''
ROMA – Rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni, della cultura e dell'informazione si sono dati appuntamento stamattina presso l'Aula Magna della Sapienza, per unirsi al coro delle “Mille voci contro il razzismo”, manifestazione organizzata da un cartello di oltre 20 organizzazioni da sempre impegnate per promuovere l'integrazione e combattere l'emarginazione.
 
A ricordare le discriminazioni che nel secolo scorso hanno perseguitato le comunità ebraiche sono intervenuti Tullia Zevi e Gad Lerner. “Come cittadina di un mondo libero e democratico, che ha vissuto sulla propria pelle il prezzo della discriminazione e del razzismo, credo che compito fondamentale della mia generazione sia educarsi ed educare alla gestione fertile della diversità”, ha detto la Zevi. “Sono venuto a questo consesso di minoranze – ha affermato Gad Lerner – perché ho paura che ci stiamo abituando al fatto che l'ingiustizia e il linguaggio dell'odio facciano parte del senso comune del Paese. Rischiamo di essere vittime e autori di uno scrupolo di autocensura e di diventare subalterni a una cultura egemone che, dopo 70 anni, ripropone commissari ad hoc e censimenti per una etnia specifica. Sono cose che dovrebbero farci rabbrividire. Credo che di tutto questo un giorno ci vergogneremo, come si vergogneranno i miei colleghi che osano parlare di derattizzazione in riferimento a degli esseri umani. Oggi è necessario che la sinistra esprima un voto contrario, senza tentennamenti, al decreto sicurezza in discussione”.
 
“Mi stupisce che riusciamo a dire ai nostri figli, guardandoli negli occhi, che il vero pericolo del nostro paese è la sicurezza e che esso deriva dagli immigrati – ha detto Luciano Eusebi, giurista e docente presso l'università Cattolica di Piacenza -. Il rischio vero per la sicurezza è la mancata integrazione. Dobbiamo spostare l'attenzione sull'eredità più alta della cultura occidentale: la centralità dei diritti umani. La vera prevenzione non deriva dall'intimidazione, ma dal consenso alle norme e dall'adesione ad esse per convinzione. Dobbiamo quindi pensare al superamento della centralità del carcere, a favore di percorsi di recupero e non di espulsione delle persone”.
 
Occorre, in altri termini, ricostruire una solida cultura dei diritti, a partire dal “principio fondante della democrazia: i diritti umani spettano a ogni essere umano, a prescindere dal suo status – ha ricordato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International –. Oggi questo principio è stato ferito e per riparare occorre recuperare la decenza delle parole e il senso di misura delle azioni. Conviene prendere il 30% dei voti rinunciando a parlare di diritti umani? Dobbiamo scegliere con forza se stare dalla parte dei diritti o dalla parte degli esegeti delle tre 'erre': rastrellamenti, raid e retate”.
 
A ricordare le tragedie che ogni anno si consumano nel mar Mediterraneo è stato Nichi Vendola, presidente della regione Puglia, che ha chiesto “un lavoro di ricostruzione di quel cimitero che non è mai stato fatto, perché serve questa memoria della cattiva globalizzazione. Quando il forestiero è messo in fuga dalla paura della morte – ha proseguito – deve essere accolto e l'inospitalità è criminale. Dobbiamo reagire a questo processo di criminalizzazione dei poveri, di cui è caso emblematico il reato di immigrazione clandestina. Il consenso del popolo non può essere sovra ordinato alla legge, soprattutto quando questo popolo è un'invenzione ideologica televisiva. La sinistra che, per il problema del consenso, perde il senso del proprio essere e rinuncia alla propria battaglia fondativa, rinuncia a se stessa”.
 
Occorre dunque che “tutti noi riconosciamo di aver fallito e cerchiamo di capire perché – ha detto Laura Boldrini, portavoce dell'Achnur – Dieci anni fa gli italiani facevano a gara di solidarietà con i barconi che arrivavano dai Balcani. Cos'è successo all'Italia in questi dieci anni? Abbiamo peccato di omissione, permettendo a qualcuno di creare carriere politiche su messaggi razzisti. Oggi quelle persone sono al governo e noi siamo i perdenti. Dobbiamo fare controinformazione, a partire dal decalogo deontologico per la stampa che l'Achnur ha elaborato e che è stato approvato pochi giorni fa dall'Ordine nazionale dei giornalisti”. (cl)
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Rom e Sinti, storia di regolarizzazioni impossibili
Dalla legge Martelli alla Bossi-Fini, documenti e lavoro hanno impedito a molti di ottenere il permesso di soggiorno. Colpa dei pregiudizi e di un'ambasciata inefficiente. Il 10 luglio a Roma una grande assemblea pubblica
ROMA – I Rom e i Sinti hanno bisogno del permesso di soggiorno. Inizia da questa premessa fondamentale il resoconto di Demir Mustafà, presidente della Federazione Rom e Sinti insieme, intervenuto oggi alla manifestazione “Mille voci contro il razzismo”. Le prime richieste di regolarizzazione da parte di Rom e Sinti, risalgono al 1989-1990, quando la legge Martelli offrì per la prima volta questa possibilità. “Ma molti non riuscirono a ottenere il permesso di soggiorno – riferisce Mustafà - anzi tanti non avevano neanche saputo di questa opportunità, perché non parlavano bene l'italiano e vivevano fuori dalle città”.
 
La seconda possibilità si offrì, sempre con la legge Martelli, nel 1992, ma occorrevano i documenti in regola e i documenti. “Molti Rom non erano riusciti a trovare un lavoro, per via dei pregiudizi che li vogliono sfaticati e inaffidabili. E tanti non avevano neanche i documenti in regola, a causa del cattivo funzionamento della nostra ambasciata”. Ancora niente da fare, dunque. “Arrivarono poi nuovi flussi di Rom e Sinti, dalla Bosnia tra il 1991 e il 1993 e dal Kosovo tra il 1999 e il 2000. Ma questi ultimi sono in gran parte stati regolarizzati. Sono rimasti fuori invece i cosiddetti storici. La legge Turco-Napolitano non è riuscita a risolvere il problema e la Bossi-Fini lo ha addirittura peggiorato. Oggi chi vive nelle condizioni peggiori sono i bosniaci, i montenegrini, i serbi e i croati, che non possono tornare nei propri paesi ma qui in Italia non vengono riconosciuti.
 
Il 10 luglio faremo una grande assemblea pubblica a Roma – ha annunciato infine Mustafà – per parlare, discutere e chiedere diritti”. (cl)
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A Roma ''Mille voci contro il razzismo''
''Il razzismo ci rende insicuri'' è lo slogan della manifestazione che si è svolta oggi alla Sapienza. Più di 20 associazioni hanno chiamato a raccolta ''coloro che non la pensano come quella che, per i giornali, è la maggioranza degli italiani''
ROMA – Si è aperta con un minuto di silenzio in ricordo delle ultime vittime del Mediterraneo la manifestazione “Mille voci contro il razzismo, che nell'Aula Magna dell'università La Sapienza ha riunito oltre 20 associazioni, insieme a rappresentanti della politica, della cultura e dell'informazione del nostro paese. “Il razzismo ci rende insicuri” è lo slogan dell'iniziativa, organizzata per “dare la parola a chi vive sulla propria pelle i risultati di questo razzismo diffuso e a chi non la pensa come quella che, secondo i giornali, sarebbe la maggioranza della popolazione italiana”, ha detto Filippo Miraglia dell'Arci, introducendo la mattinata. “Non ci arrendiamo al fatto di essere minoranza – ha aggiunto – e sentiamo che c'è da intervenire sulla cultura degli italiani”.
 
“Siamo carichi di tristezza e di preoccupazione per gli avvenimenti scatenati a partire dai fatti di Opera – ha dichiarato Eva Rizzin, a nome della neonata federazione Rom e Sinti insieme – Siamo qui per dire che il dialogo è possibile. I Rom e Sinti chiedono oggi di essere riconosciuti come minoranza etnico-linguistica, per il conferimento della giusta dignità a un popolo presente in Italia dal 14° secolo”.
 
A portare la testimonianza dei rifugiati era presente Mamadou Sy, del movimento migranti e rifugiati di Caserta: “Dobbiamo dare diritti agli immigrati se vogliamo costruire sicurezza – ha detto – Chiediamo una grande regolarizzazione, una legge sull'asilo, il superamento della Bossi-Fini e il riconoscimento della cittadinanza ai bambini che nascono in Italia”.
 
Del dramma delle donne vittima di traffico e sfruttamento ha riferito Isoke Rose Dobhokan: “Parlo da ex-trafficata, oggi libera. Da quando sono in Italia più di 200 ragazze della mia regione sono state uccise da questo lavoro che non hanno scelto. Allora mi chiedo: quando parliamo di sicurezza, ci riferiamo alla sicurezza degli esseri umani o a quella dei nostri portafogli?. Gli schiavi nel 2008 devono essere liberati, non occultati come qualcuno propone di fare”.
 
Sulla “irrazionalità scientifica” del razzismo si è soffermato il prorettore Piero Marietti: “Se tra Mamadou e me c'è il 3 per 1.000 di differenze genetiche, il razzismo non solo è criminale, ma è infondato scientificamente. E' con la razionalità che si governa e si fanno le leggi. Mi scuso – ha concluso Marietti – perché qui oggi chi manca è l'università”. (cl)
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