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Re:[africa] Senza Soste - Questo non è un paese per giovani
- Subject: Re:[africa] Senza Soste - Questo non è un paese per giovani
- From: "albano85" <albano85 at libero.it>
- Date: Mon, 19 May 2008 12:39:52 +0200
---------- Initial Header ----------- From : africa-request at peacelink.it To : africa at peacelink.it Cc : Date : Mon, 19 May 2008 11:32:54 +0200 Subject : [africa] Senza Soste - Questo non è un paese per giovani ho letto, e da quel poco che se ne deduce, mi sembra una enciclopedia di elucubrazioni di menti contorte e allucinanti. Fuori da ogni semplice deduzione di una qualsivoglia logica di realtà seria. > L'articolo è fuori tema con l'Africa, ma ho visto che si sta dibattendo > di razzismo. Ho letto l'articolo che lega precarietà e persecuzione dei > Rom. Penos possa interessare e suscitare idee. > > http://www.senzasoste.it/index.php?Itemid=70&id=4284&option=com_content&task=view&mosmsg=Grazie+per+il+tuo+voto%21 > > Pur particolarmente refrattario ad ogni genere di commissione, mi trovo > ad analizzare dei curriculum. E s'è c'è una lettura istruttiva di > biografie personali, dove si legano mancanza di esperienza reale e > presenza di titoli, è proprio l'analisi del curriculum. > Nella nostra società l'esperienza o è una possibilità mancata o è una > realtà che deve lasciare il passo all'accumulo disordinato dei titoli. > In ogni caso, l'entrata nel mondo del lavoro precario e discontinuo > presuppone la negazione dell'esperienza in nome del protocollo curriculare. > Esperienza che nei curriculum rientra in modo periferico nelle voci > aggiunte del tipo "dotata di forte empatia personale" o "particolarmente > propenso ai lavori di relazione con il pubblico". Allo stesso tempo la > varietà di embrioni di differenti specializzazioni, presenti nella > maggior parte di laureati e dottori di ricerca, indica l'enorme > difficoltà a specializzarsi realmente in un definito settore di lavoro. > Si procede per tentativi, in tanti percorsi curriculari non c'è > l'itinerario irregolare di una creatività che cerca se stessa ma solo > quello dettato dalla paura. In questo modo nè l'esperienza reale nè i > tentativi di specializzazione professionale servono per stare sul > mercato: è il circolo vizioso del lavoro professionalizzato italiano. Ci > sono persone che nei curriculum che mostrano comunque un grado di > specializzazione, e di varietà di competenze, di gran lunga maggiore > della generazione dei loro genitori. Non basterà loro per garantirsi un > tipo di reddito che all'epoca dei loro genitori sarebbe spettato ai casi > di marginalità sociale rientrati nella norma dopo anni di devianza e > quindi di specializzazione mancata. Decisamente, questo non è un paese > per giovani. > Ed è una frase che mi circola tra i neuroni al momento in cui, in > qualche commissione di tesi, vedo persone abbracciare i propri genitori > all'avvenuta proclamazione di una laurea tra la disattenzione dei > commissari e il fatto che il certificato ottenuto si inflaziona sempre > più in modo simile ad un biglietto da un marco durante la repubblica di > Weimar. > > Devo dire che quando mi laureai il mio professore mi mise > antropologicamente sul piede di guerra: "la tesi non è più un rito di > passaggio" disse " dopo la funzione dall'altra parte non c'è un > cambiamento di stato, praticamente c'è solo il nulla". > In questi anni se si può parlare ancora di rito di passaggio possiamo > dire che questo, nella società italiana, è invertito di segno. Il primo > antropologo che ha parlato di riti di passaggio, Van Gennep all'inizio > del '900, rimarcava come questo genere di rito fosse connesso alla > mutazione di status dell'iniziato, al suo acquisire nuove facoltà da > spendere in un nuovo ruolo. > Ebbene, il rito di passaggio della tesi, ma vale anche per i successivi > riti di specializzazione, nella società italiana consegna all'iniziato > un ruolo sempre più incerto del precedente proprio per chi ha acquisito > delle facoltà maggiori grazie al rito iniziatico. Se c'è quindi un > contributo al nichilismo delle generazioni più giovani viene proprio dal > carattere non più iniziatico, o inversamente iniziatico, del mercato del > lavoro. Il rito della professionalizzazione si compie comunque ma a > differenza del passato, termina con la riduzione ad impotenza > dell'iniziato non con un suo accrescimento delle facoltà. > Allo stesso tempo, lo stato di instabilità del mercato del lavoro, e > delle sue forme di garanzia, è talmente elevato che per molti nella > piena maturità lavorativa c' è il rischio di un improvviso ritorno a > condizioni professionali tipiche dell'incertezza dello stato iniziatico. > Non c'è quindi da stupirsi se una società spoliticizzata come quella > italiana, incapace cioè di darsi risposte sul piano delle strutture > collettive, questa situazione di incertezza, questa riduzione > all'impotenza delle migliori energie giovanili generi il desiderio di > dispositivi espiatori. > Classicamente il rito espiatorio è di tipo mimetico, rappresenta sempre > qualcosa d'altro rispetto al soggetto scelto per la cerimonia di > espiazione. Non a caso il rito espiatorio viene analizzato a partire dal > capro che viene rivestito di differenti abiti simbolici a seconda delle > società, e dei momenti storici, che lo applicano. > E qui bisogna ricordare che i Rom e gli zingari di oggi rappresentano > l'abito simbolico del rito espiatorio dell'instabilità del mercato del > lavoro. Nel colpire il Rom concreto, si mette in scena il rito della > distruzione simbolica dell'instabilità che permea nelle metropoli grazie > alle caratteristiche attuali del mercato del lavoro. > Visto come nomade, portatore di insicurezza e di incertezza il Rom > assume su di sè queste caratteristiche che sono anche del mercato del > lavoro. Ma l'ideologia della indiscutibilità del mercato porta a > trasferire il desiderio di riti di espiazione nei confronti di figure > concrete, come i Rom, che se uccise simbolicamente devono trascinare con > sè anche la condanna trasfigurata e sublimata dell'incertezza generata > dal mercato. > In The Origin of Language un girardiano critico come Gans descrive il > rito espiatorio come un processo in cui i partecipanti si dividono il > corpo della vittima come reliquia della crisi risolta. Impossibile non > ricordare immediatamente l'assalto dei campi Rom a Napoli dove, > successivamente al rito espiatorio delle bottiglie molotov, i > partecipanti si sono divisi i beni rimasti sul campo come a simbolizzare > proprio la risoluzione della crisi. Le stesse istituzioni, che smembrano > i campi Rom a Milano o a Roma, partecipano direttamente a questo rito > nella stessa operazione di simbolizzazione della crisi risolta tramite > l'appropriazione di elementi significativi appartenenti al corpo della > vittima (le baracche, le roulotte, gli effetti personali). > Nella società italiana l'inversione di senso del rito di passaggio > genera quindi la necessità di riti espiatori. Che sono riti di > stabilizzazione e risoluzione delle crisi e quindi di conservazione di > una società. Decisamente un qualcosa che non è per giovani anche se le > stesse fasce giovanili sono spesso consenzienti, quando non sono > indifferenti, verso questi processi di espiazione. > > Per quanto tutto questo sia raggelante non dobbiamo attenderci niente di > differente finchè la composizione sociale del lavoro è frammentata. E in > Italia ad una frammentazione sociale del lavoro caratterizzata da una > color line (tra nativi ed extracomunitari) se ne aggiunge una di tipo > generazionale, dove persino a parità di mansioni, la forza lavoro più > giovane è separata da quella di differente età. > Così tra la paura che attraversa la forza lavoro e la ricerca di > fantasmi da uccidere, ci avviamo ad un "compiuto processo di riforme" > almeno così dice il linguaggio della politica ufficiale. > > nique la police > > 17 maggio 2008 > > > > > -- > Mailing list Africa dell'associazione PeaceLink. > Per ISCRIZIONI/CANCELLAZIONI: http://www.peacelink.it/mailing_admin.html > Archivio messaggi: http://lists.peacelink.it/africa > Si sottintende l'accettazione della Policy Generale: > http://web.peacelink.it/policy.html > >
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