Due articoli da leggere e....diffondere !





Rignano: liberi
i bianchi
Cpt per il "negro"
 
Tutto ciò
non è forse
fascismo?
 
Piero Sansonetti
Noi non ci siamo occupati della scuola di Rignano. Quella al centro dello scandalo giornalistico-giudiziario di questi giorni. Sapete tutti cos'è successo: qualche settimana fa hanno fatto una retata di maestre, bidelli e amici vari delle maestre e dei bidelli, e li hanno sbattuti tutti in galera accusandoli di essere un branco di pedofili. Alcuni di loro hanno avuto le celle assediate giorno e notte dagli altri carcerati che li insultavano e minacciavano di pestarli. Poi si è scoperto che non era vero niente, neanche uno straccio di indizio: liberi. Il motivo per il quale noi non abbiamo mai scritto su questa vicenda è che - a naso - abbiamo sempre avuto la sensazione che fosse una montatura. E preferiamo, in genere, non cadere nelle trappole.
Oggi però voglio raccontarvi un dettaglio di questa vicenda, che è sfuggito quasi a tutti (ne ho letto solo su "Repubblica"). Quando hanno finalmente aperto le porte del carcere ai sei arrestati, li hanno divisi in due gruppi: un gruppo di cinque persone e un gruppo di una sola persona. I cinque erano bianchi, il sesto era un po'"negro". Cingalese. Lui non è potuto tornare a casa, lo hanno mandato al Cpt. Sapete, credo, cosa sono i Cpt: campi di concentramento per stranieri clandestini. Rebibbia è un discreto carcere - specie ora, dopo l'indulto - il Cpt è un inferno. Il benzinaio cingalese innocente ha subìto un danno dalla decisione del giudice che ne ha riconosciuto l'innocenza: è finito in un girone peggiore di quello della prigione.
Voi adesso potete stare anche due ore a spiegarmi che purtroppo è così, che la legge è quella, che per modificare la Bossi-Fini ci vuole un po' di tempo, che Kelum Weramuni de Silva (si chiama così il benzinaio di Rignano) aveva il permesso di soggiorno scaduto, che la legalità è un valore superiore, altissimo supremo e che va rispettato, eccetera, eccetera eccetera. Io non vi sto a sentire: da estremista quale sono ripeto quello che ho scritto qualche giorno fa: a me tutto ciò sembra frutto di una mentalità razzista, totalmente razzista, e nella sostanza fascista. Dicono tutti che sbaglio le parole, che non è bene dire fascista: il Cpt però mi ricorda troppo il confino dei tribunali speciali di Mussolini. E in fondo, Ustica o Ponza non erano peggiori delle stamberghe di Porto Galeria, dietro il raccordo anulare di Roma.
Perché non si solleva una gigantesca protesta intorno a questo episodio, francamente paradossale e infame? Ve lo spiego: perché è in corso una monumentale campagna, nella quale sono impegnati anche uomini politici chiave del centrosinistra e grandi giornali democratici, volta a dare base di massa e legittimità culturale al nuovo razzismo.
Ho letto ieri l'articolo di Miriam Mafai, su "Repubblica", e sono rimasto di ghiaccio.
Miriam è una grandissima giornalista, la considero una delle due o tre persone dalle quali ho cercato di imparare qualcosa di questo mestiere. Ma perché anche lei - che è di sinistra, che è liberale - si allinea a questa orda, messa in movimento con quella lettera sciagurata di un lettore un po' fesso? Non riesco a spiegarmelo. Possibile che non capisca che legalità non vuol dire proprio un fico secco difronte a una società dove c'è chi gudagna 7 o 8 milioni di euro all'anno, e chi ne guadagna 10.000? Possibile che non capisca - senza andare a questi estremi - che nella metà di questo pianeta con il mio stipendio (e il suo penso che sia più grande) vivono 100 persone?
Diceva il lettore di "Repubblica": «oddio, una ragazza nera non si è alzata in autobus davanti a una vecchietta, e io l'ho dovuta buttare giù dal bus... oddio ho visto uno scippo... oddio, una zingara sporcava...". Nessuno che gli abbia risposto: «non è illegale restare a sedere, è illegale buttare giù dal bus: sì sei razzista e basta, e hai anche commesso un reato». No, tutti a fargli i complimenti. E tutti a dire, a chi obiettava: «se ti capitasse a te di passare una giornata in autobus con gli albanesi e i rom!»
Io vi do un consiglio (lo do anche alla mia amica Miriam): passate mezz'ora, solo mezz'ora davanti a un semaforo, dove delle ragazze puliscono i vetri e chiedono le elemosina; e ascoltate le reazioni e i commenti dei bianchi. Poi tornate davanti alla tastiera e scrivete un articolo: vedrete che vi verrà diverso, molto diverso da quelli scritti in questi giorni...
13/05/2007  da Liberazione
 
 
 
Mai davvero cittadini
Non è facile essere stranieri in Italia. Si è circondati dalla diffidenza, e spesso giornali e televisioni alimentano i luoghi comuni e i pregiudizi, scrive Irene Mayer.

Qualche tempo fa una mia collega italiana, sfogliando i quotidiani all'improvviso mi ha detto: "Odio questi zingari. Non li sopporto". È successo il giorno dopo l'assurda morte di una ragazza romana nella metropolitana. Per i mezzi d'informazione italiani era già chiaro chi fossero le "assassine": due straniere, provenienti dai paesi dell'Est, quasi certamente "zingare".

Ma un paio di giorni dopo un giornalista dell'edizione domenicale del quotidiano la Repubblica si fa venire un dubbio: ma una delle donne non ha forse i lineamenti da sudamericana? Dalle immagini molto mosse riprese da una telecamera si vedevano solo due giovani donne dall'abbigliamento moderno, che avrebbero potuto venire dai Parioli, un quartiere chic di Roma, dagli Stati Uniti o dall'Austria. Dopo il loro arresto, per le tv e i giornali era già tutto chiaro: l'assassina e la sua complice erano le due prostitute rumene.

Ora, senza voler sminuire questa spaventosa tragedia, mi sembra che i mezzi d'informazione seri dovrebbero rispettare un minimo di deontologia professionale: non dovrebbero emettere sentenze prima del processo e dovrebbero evitare stereotipi e pregiudizi.

Sembra quasi che tv e giornali italiani, non sapendo che paesi come Romania e Bulgaria sono recentemente entrati nell'Unione europea, hanno ridisegnato l'atlante geografico a modo loro. Chi viene dall'Europa dell'est è comunque considerato extracomunitario, mentre giapponesi, americani e svizzeri – tanto per fare qualche esempio – sono cittadini occidentali e quindi in qualche modo europei.

Ma non sarebbe l'Italia se non ci fosse anche l'altra faccia della medaglia, quella positiva. Nella stessa edizione domenicale di Repubblica, infatti, poche pagine più avanti, c'è un ottimo inserto settimanale interamente dedicato all'immigrazione, che potrebbe essere preso a modello in Europa. È appassionante assistere alla costruzione di un'Italia multiculturale.

Temo però che il cammino di questo paese verso il cambiamento sarà lungo e difficile. In Italia, a parte poche eccezioni, le culture straniere sono poco valorizzate. Gli italiani esitano ad aprirsi. Di recente una mia compagna di tai chi, che parla sempre di luce e calore umano, mi ha detto che nel quartiere romano di piazza Vittorio le viene "l'angoscia" perché lì non si sente "a suo agio": ci sono troppi stranieri.

Per giunta, molte italiane e italiani della mia età, nonostante i loro studi non parlano nessuna lingua straniera. Basterebbe studiare l'inglese per fare qualche passo avanti. Inoltre le stesse persone che se la prendono con gli stranieri non hanno il minimo scrupolo a prendere – a pochi euro, e naturalmente in nero – una colf, una badante o una babysitter che viene dalla Romania, dall'Ucraina o dalla Moldova. Per non parlare delle imprese agricole del meridione, in cui i lavoratori stranieri sono trattati come bestie e dove c'è una forma moderna di schiavitù.

La nuova legge sull'immigrazione che sta per essere approvata contiene elementi positivi per l'integrazione: per esempio, dopo cinque anni gli immigrati avranno diritto di voto alle elezioni comunali. Ma servono anche dei provvedimenti che puniscano chi assume lavoratori in nero. Altrimenti per gli italiani sarà sempre più conveniente sfruttare i clandestini, che sono ricattabili e possono essere licenziati impunemente se provano a ribellarsi alle loro condizioni di lavoro disumane.

Per quanto riguarda me personalmente, non avrei mai pensato che in un altro paese dell'Unione europea mi sarei sentita tanto spesso straniera, anche se ci vivo da anni e parlo bene la lingua.

Chi è l'autrice
Irene Mayer è corrispondente della rivista austriaca Extradienst. Nata a Vienna nel 1972, è a Roma dal 2000.

http://www.internazionale.it/home/primopiano.php?id=15850
 
 


 
 
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