Uganda: prove di pace
Dopo 19 anni di guerra il governo ugandese e le forze ribelli
dell'LRA (Lord’s Resistance Army) si sono finalmente seduti attorno ad un tavolo
per discutere di una possibile pace. Le posizioni sono quanto mai distanti e la
diffidenza che separa le due parti ha finora prodotto più minacce che proposte
concrete. Il primo passo è stato compiuto dal Presidente ugandese Yoweri
Museveni, che ha offerto l’amnistia al leader ribelle Joseh Kony nel caso i
colloqui di pace abbiano successo.
Federico Flora
Equilibri.net (03 agosto 2006)
Il coraggio politico di Yoweri Museveni
Yoweri Museveni, fresco vincitore delle elezioni
presidenziali tenutesi lo scorso febbraio, ha deciso di giocarsi tutta la sua
credibilità politica sin dall'inizio del nuovo mandato. Rispondendo all'ennesima
proposta di tregua formulata dalla guerriglia dell'LRA, ha auspicato che questa
possa essere foriera di una pace vera anziché di un semplice cessate il fuoco.
Per questo motivo ha promesso l'amnistia a Joseph Kony ed al suo gruppo se
questi si impegneranno a consegnare le armi e a intavolare vere trattative
diplomatiche. Nonostante Joseph Kony ed altri comandanti dell'LRA siano tuttora
ricercati dalla Corte Penale Internazionale dell'Aia che li vuole processare per
crimini di guerra, il Presidente ugandese ha ritenuto più importante aumentare
la posta in gioco per stabilizzare finalmente la situazione politica interna,
piuttosto che continuare a rispettare i vaghi obblighi imposti dalla diplomazia
internazionale, che, al di là di alcune prese di posizione estemporanee, non si
è mai veramente impegnata a risolvere questo lungo e sanguinoso conflitto.
Il fatto che prima o poi Kony e i suoi compagni finiscano nelle mani del
Tribunale Penale Internazionale dipende da molti fattori - vedi il celebre caso
dell'ex-dittatore liberiano Charles Taylor (Cfr.
Liberia: l’arresto di Taylor ed il ruolo degli strumenti penali
internazionali) - di cui Museveni non può prevedere tutti gli sviluppi.
Certamente l'aver offerto l'amnistia in cambio della pace ha dimostrato ancora
una volta la scaltrezza politica del Presidente ugandese che vuole proseguire
sulla strada delle riforme e riconquistare allo stesso tempo la fiducia del suo
popolo. Museveni ha infatti vinto - ma non stravinto - nelle elezioni
presidenziali di febbraio ed il 59% dei consensi ottenuti (contro il 69.33% del
2001), oltre alle violenti accuse di brogli mosse dal suo avversario Kizza
Besigye, hanno dimostrato come l'elettorato non sia rimasto particolarmente
soddisfatto dalla politica del governo negli ultimi cinque anni.
Certamente
pesano l'altissimo livello di corruzione dei funzionari pubblici ma anche
l'incapacità di risolvere sia militarmente che politicamente il lungo conflitto
che ormai da quasi vent'anni insanguina una parte consistente del paese. Non è
un caso che lo sfidante alle elezioni, Kizza Besigye, abbia ottenuto più
dell'80% dei suffragi nel distretto settentrionale di Gulu, una delle regioni
maggiormente affette dalla guerriglia dell'LRA. Numerose sono infatti le accuse
della popolazione civile contro le forze regolari dell’esercito ugandese
dell'UPDF (Uganda People Defence Forces), colpevoli di essersi abbandonate a
saccheggi e massacri ingiustificati con il pretesto di dar la caccia ai ribelli.
La volontà di riconquistare il favore della gente non è però l'unico motivo
che ha spinto Museveni a prendere un'iniziativa tanto azzardata. Pesano a suo
favore anche le mutate condizioni geo-politiche dell'Africa centrale, ed in
particolare la pace definitiva siglata tra il governo sudanese ed i ribelli
cristiani del sud. Ormai le province meridionali del Sudan agiscono
autonomamente da Khartoum - anche sul piano diplomatico - e, stanche di
assistere alle scorribande dell'LRA che spesso sconfina in territorio sudanese,
hanno consentito alle truppe dell'UPDF di operare all’interno dei propri
confini, spingendo allo stesso tempo per una soluzione pacifica e definitiva del
conflitto. Per questo motivo i colloqui di pace tra governo e ribelli dell'LRA
si svolgono a Juba, la capitale del Sudan cristiano e vedono Riek Machar, vice
presidente del Sudan meridionale, agire da capo mediatore tra le due
delegazioni.
Joseph Kony e il Lord’s Resistance Army (LRA)
Il gesto di distensione del Presidente Museveni ha avuto
successo nel senso che per la prima volta Joseph Kony ha accettato di farsi
intervistare da una televisione, ribattendo alle accuse di chi lo dipinge come
un mostro e difendendo la legittimità della sua lotta contro il governo corrotto
e razzista di Kampala che perseguita le popolazioni del nord a causa della loro
differente origine etnica. Circondato da uomini armati fino ai denti nel folto
della foresta del Congo orientale, Kony ha dato l'impressione di essere molto
determinato nel volere la pace, sottolineando però come sia l'LRA ad offrire una
chance di tregua al governo e non viceversa. La sua abilità oratoria, unita al
misticismo che da sempre circonda la sua figura, ne fanno un personaggio molto
particolare, a metà strada tra il “santone” e il guerriero.
Nato all’inizio
degli anni ’60 nel villaggio di Odek, nella regione settentrionale del Gulu,
Joseph Kony sembrava destinato a seguire la carriera ecclesiastica, quando un
evento cambiò la storia della sua vita. Kony era infatti cugino di Alice
Lakwena, un’ex-prostituta che fondò nel 1986 un gruppo
politico-religioso-militare chiamato Holy Spirit Movement. Questo gruppo diceva
di rappresentare gli interessi dell’etnia Acholi, una delle tante minoranze
etniche ugandesi che era stata esclusa dal potere nel 1985 dopo la cacciata del
leader Milton Obote da parte del National Resistance Army (NRA) dell’allora
guerrigliero Yoweri Museveni. Questo gruppo assunse presto un carattere
spiccatamente militare ma fu facilmente sconfitto dal nuovo esercito ugandese e
Alice Lakwena dovette fuggire in Kenya. Fu Joseph Kony a ereditare il carisma
della cugina, accentuando sia il carattere religioso che quello militare del
gruppo che si trasformò da movimento in milizia vera e propria. Conscio del
fatto che l’esercito regolare ugandese non potesse essere affrontato in campo
aperto, Koseph Kony decise di adottare tecniche di guerriglia, con veloci
imboscate ed altrettanto rapide fughe nella foresta, senza mantenere alcun
controllo sul territorio ma preferendo saccheggiare i villaggi indifesi.
Kony ha sempre affermato di essere guidato dallo Spirito Santo che gli parla
in continuazione e lo guida nella lotta armata per liberare, prima le regioni
del nord, e poi tutta l'Uganda dalla tirannia di Museveni. Corollario di questo
proposito è la volontà di imporre un nuovo governo basato sui Dieci Comandamenti
biblici. In realtà l'Esercito di Resistenza del Signore (LRA) più che diffondere
i principi biblici ha più spesso seminato il terrore, soprattutto fra quelle
popolazioni settentrionali che dice di voler proteggere e liberare. Con il
pretesto della caccia ai traditori, le milizie dell'LRA si sono rese
responsabili di massacri e sevizie indescrivibili saccheggiando interi villaggi
con il solo scopo di infondere il terrore tra la popolazione.
Questo clima
di insicurezza ha spinto centinaia di migliaia di persone a cercare rifugio nei
campi profughi allestiti dalle Nazioni Unite nella parte occidentale
dell'Uganda. Il Tribunale Penale Internazionale sta infatti raccogliendo quante
più testimonianze possibili allo scopo di rafforzare i capi di imputazione
contro Kony e gli altri comandanti dell'LRA. Particolarmente drammatici sono i
racconti relativi a bambini, spesso in età poco più che adolescenziale,
reclutati allo scopo di formare nuove generazioni di soldati e ragazze costrette
a seguire i ribelli come schiave sessuali.
I colloqui di pace
I colloqui di pace, iniziati a luglio, hanno finora visto un
atteggiamento molto aggressivo da parte della delegazione dell'LRA, che ha messo
sul tavolo una serie di proposte radicali:
1) Scioglimento dell'esercito
regolare dell'UPDF in quanto non rifletterebbe la reale composizione etnica del
Paese.
2) Risarcimento delle popolazioni coinvolte nel conflitto, vittime
della violenza dell'UPDF.
3) Richiesta alla comunità internazionale di
vigilare sugli accordi di pace e di punire il governo di Museveni per la
situazione che ha creato nelle regioni settentrionali.
4) Federalismo ed
auto-determinazione delle regioni settentrionali come soluzione politica alla
lunga marginalizzazione dell’etnia Acholi da parte del governo di Kampala.
5) Reintroduzione del limite per una sola elezione presidenziale da parte di
qualsiasi candidato. Questa proposta è rivolta soprattutto ad evitare che
Museveni possa ricandidarsi alle prossime elezioni del 2011.
Come
previsto, tutte queste proposte sono state respinte in blocco dalla delegazione
governativa che, tramite il portavoce Paddy Arkunda, ha deciso di non rispondere
alle accuse della delegazione dell'LRA ed ha semplicemente chiesto ai ribelli di
consegnare le armi e di rinunciare a qualsiasi forma di lotta armata, come
presupposto per poter continuare i colloqui di pace. Le posizioni di entrambi
gli schieramenti sembrano veramente inconciliabili eppure si continua a
discutere e nessuna delle due parti vuole abbandonare il tavolo delle
trattative. A fine luglio si è deciso di sospendere i lavori in modo a
consentire ad entrambe le delegazioni di consultarsi con i rispettivi referenti
politici. I leader del LRA e i rappresentanti politici, sociali e religiosi nord
ugandesi si sono incontrati a Garamba, nel cuore della foresta tropicale a una
decina di chilometri dal confine tra Sudan e Repubblica Democratica del Congo.
L'esito delle consultazioni ha visto un rinnovato appello di Kony per un
immediato cessate il fuoco generale, al quale ha risposto il Ministro degli
Esteri ugandese, affermando che la cessazione delle ostilità sarà possibile solo
dopo la firma di un accordo di pace.
Un altro argomento dibattuto nel corso
dei colloqui è stato quello di una possibile riconciliazione nazionale. La
riconciliazione può passare però solo attraverso un’indagine approfondita sulle
violazioni dei diritti umani perpetrate da entrambi gli schieramenti. In questo
senso i portavoce dell’esercito ugandese e lo stesso governo di Kampala si sono
dimostrati aperti ad investigare ed a punire i responsabili di episodi di
violenza contro la popolazione civile una volta che si siano raccolte prove
sufficienti a riguardo. Il LRA invece sta cercando di prendere tempo a riguardo,
anche perché questo argomento coinvolge direttamente tutti i capi della
guerriglia, a partire da Joseph Kony.
Conclusioni
La sensazione che proviene dalle prime settimane di colloqui
è duplice:
1) Appare evidente che nessuna delle due parti si fida
dell'altra. I membri di entrambe le delegazioni non hanno infatti alcun potere
decisionale ma aspettano direttive dall'alto.
2) Entrambi gli attori,
Governo di Kampala e LRA, cercano di aumentare la pressione sull'avversario
proponendo richieste molto impegnative e difficili da realizzare, almeno nel
breve periodo.
Se i colloqui dovessero proseguire - e ci sono buone
probabilità che questo avvenga - probabilmente avranno una durata ben più lunga
dei due mesi inizialmente previsti. Esiste comunque una seconda alternativa,
ossia che entrambe le parti abbiano momentaneamente posato le armi per ragioni
tattiche: il governo per poter organizzare un'offensiva in grande stile, una
volta che i ribelli siano usciti dalle foreste del Congo orientale e la
guerriglia per potersi riarmare e riorganizzare dopo le difficoltà incontrate
negli ultimi mesi. Il fatto che Kony e i suoi tremila guerrieri (qualcuno dice
siano molti di più) si siano rifugiati in Congo potrebbe essere un segno di
debolezza, nonostante in quasi vent'anni di guerra il gruppo ha spesso
dimostrato un'abilità tattica e militare non comune ad altri gruppi
rivoluzionari. Molto dipenderà anche dalle condizioni di salute dello stesso
leader ribelle, che sono progressivamente peggiorate nell'ultimo
periodo.