Ferrari: gomme a terra




L’EDITORIALE


"FERRARI, GOMME A TERRA!"
La multinazionale nippo-americana Bridgestone/Firestone, che fornisce "la Rossa", sfrutta ad Harbel City in Liberia ventimila dipendenti nella più grande piantagione di caucciù del gruppo.


Per molti è un mito. Un'onda rossa che regala emozioni, oltre che profitti. Un'azienda modello, i cui successi hanno alimentato gelosie e luoghi comuni. La vera ambasciatrice del successo italiano all'estero.

La Ferrari come simbolo. Non solo per le vittorie che, soprattutto in questi ultimi dieci anni, ha conquistato con le sue auto sui circuiti di mezzo mondo, ma anche perché un marketing aggressivo ci ha fatto credere che quel prodotto industriale avesse perfino un’anima.

 

Un’industria efficiente e ipertecnologica, dove si respira, però, un clima quasi da fabbrica. Dove sono possibili l’invenzione e la sapienza manuale delle maestranze. Dove i dipendenti sono coccolati e trovano opportunità uniche. Un’azienda attenta all’eticità del lavoro e che abbina l’epopea dell’avventura a uno stile di vita sobrio.

 

E proprio perché Maranello ricerca la perfezione nei dettagli, ci appare più che un incidente di percorso la vicenda Bridgestone, la casa di pneumatici che fornisce la “Rossa” in Formula uno. E non ci riferiamo certo al pianto del presidente della Ferrari, Luca Cordero di Montezemolo, che si è lamentato, negli ultimi Gran premi, della scarsa efficienza dei prodotti della casa giapponese.

 

Il tonfo, per noi, è un altro. È quello raccontato alle pagine 20 e 21 di questo numero di Nigrizia. È la vicenda della Bridgestone/Firestone ad Harbel City, in Liberia, dove la multinazionale nippo-americana sfrutta ventimila dipendenti nella più grande piantagione di caucciù del gruppo. Dipendenti che vanno al lavoro alle 4 e smettono alle 16, per 1,5 dollari al giorno. Operai costretti a utilizzare sostanze chimiche senza alcuna protezione sanitaria.

 

Firestone che inquina, con enormi scarichi, il fiume Farmington, senza che alcuna autorità possa o voglia alzare il dito per denunciare il fatto. Una multinazionale che succhia tonnellate di caucciù, senza produrre in loco alcun oggetto di gomma: la trasformazione e la lavorazione avvengono, infatti, interamente all’estero. Situazioni di degrado e abuso che non sono merce rara in Africa.

 

Ma stavolta è differente. L’affaire Bridgestone/Firestone è diverso. Perché la multinazionale ha acquisito crediti e onori, in questi ultimi anni, per aver legato in modo strettissimo il suo marchio a quello solare e vincente della Ferrari, oggi la più nota e importante scuderia di Formula uno a utilizzare quei pneumatici. Il simbolo della virtù che va a braccetto con l’orco!

E quindi, per noi, il problema cambia. Il granello che finisce nel serbatoio della “Rossa”, ai nostri occhi, è un sasso. Un macigno. Che vogliamo lanciare sulla pubblica piazza. Perché ci sembra che un’azienda, come quella del cavallino rampante, così attenta a rapporti di produzione e di lavoro “eticamente” sani non possa sfuggire a domande di responsabilità.

 

Innanzitutto, è noto a Montezemolo & soci che il loro partner di lavoro privilegiato è un’azienda che vive e prospera anche sulle catene dei suoi operai?

 

La notizia è motivo di riflessione nei piani alti di Maranello, oppure questo possibile schizzo all’immagine di illibatezza e purezza costruita negli anni è insignificante rispetto ai ritorni economici portati in carrozza dalla collaborazione con la multinazionale nippo-americana?

È più giusto lamentarsi del mezzo secondo che quelle gomme ti fanno perdere al giro, o di quelle braccia e di quei volti che non vedono mai l’alba della loro liberazione economica?

 

Domande, forse, retoriche nella grande giostra del business e dell’affarismo border-line. Per noi, no! E sono questi gli interrogativi che giriamo ai vertici dell’azienda modenese, nella speranza che le nostre attese non vengano parcheggiate nell’illusione di una risposta che non arriva. Convinti che la forza mediatica e quella simbolica della Ferrari sono in grado di modificare ogni rapporto di potere.


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