Chiama l'Africa news 5/12/03



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Chiama l'Africa News 5 dicembre 2003

Invitiamo gli iscritti alla lista a commentare l'articolo di Alberto
Ronchey che qui riportiamo, seguito da un nostro commento.
Chiunque volesse partecipare al dibattito può inviare i messaggi a
info at chiamafrica.it, da dove verranno rinviati a tutta la lista.
Eravamo pronti a lanciare un forum di discussione sul nostro sito, ma da
due mesi siamo messi a dura prova dai continui attacchi da parte di un
hacker turco che ne approfitta per diffondere proclami contro le
organizzazioni curde Kadek e Pkk. Alcuni nostri progetti di rinnovamento
dovrano quindi aspettare, almeno finchè non avremo risolto
definitivamente il problema.

LE MIGRAZIONI FUORI CONTROLLO
Noi e le moltitudini dell' Africa in marcia
di Alberto Ronchey, dal Corriere della Sera di mercoledì 3 dicembre 2003

Con ogni ondata di migranti clandestini attraverso il Mediterraneo,
ricorrono le apprensioni sullo scenario dell' Africa che «slitta verso
l' Europa». Ci si domanda come sia possibile respingere o arginare l'
afflusso di quelle moltitudini trasmigranti, quali siano i limiti
sostenibili dell' accoglienza umanitaria e anche dell' asilo per quanti
si dichiarano in massa profughi politici, quale sia propriamente il
divario tra le popolazioni dei due continenti. La divulgazione su
argomenti e notizie simili appare spesso generica, o reticente. Ma
proprio in questi giorni è distribuito nelle librerie il Calendario
Atlante De Agostini 2004, che pubblica cifre degne di riflessione. L'
intera Europa, fino alla Russia, comprende 694 milioni di abitanti,
mentre l' Africa oggi supera gli 818 milioni. Un secolo fa, 1904, l'
Europa comprendeva 392 milioni di abitanti e l' Africa 170 milioni.
Quale misura d' accoglienza è concepibile dinanzi al nomadismo africano,
accelerato dall' esorbitante proliferazione umana? A Nord e a Sud del
Sahara, l' Africa in gran parte non conosce o non pratica la
contraccezione, che invece veniva tentata già nel passato da qualche
popolosa comunità europea. Esempio, i pescatori della Catalogna
ricordano che nei loro villaggi tradizionali, secondo un' antica
sapienza che raccomandava l' equilibrio tra prolificità umana e risorse,
un primitivo assistente sociale o sanitario chiamato curandero
distribuiva rimedi anticoncezionali ricavati dalle spugne. Sia memoria
veridica o leggenda l' efficacia di quell' empirìa, basta considerare
che in età premoderna veniva già compresa la questione della
compatibilità fra economia e demografia. Ora invece il «gigante
africano» Nigeria, 118 milioni di abitanti, accresce la sua popolazione
al ritmo del 2,8 per cento l' anno. Ma più ardua è la sussistenza in
altre vaste regioni, spoglie fra l' altro di fonti energetiche o materie
prime, dove tuttavia i ritmi di proliferazione raggiungono il 3 per
cento l' anno, divario tra natalità e mortalità. Per alleviare quelle
profonde miserie non sarà sufficiente condonare debiti, o prestare
capitali destinati spesso a finanziare le guerre tribali. Né basterà mai
concedere soccorsi alimentari, che a volte rovinano le agricolture
locali o secondano la prolificità. E infine, anche accogliere l'
emigrazione in Europa sarà un' impresa di scarsa utilità o vana finché
non verrà limitato in qualche misura il potenziale moltiplicatore di
quelle masse in espansione. L' accoglienza dei migranti, oltre tutto,
non è solo un problema di quantità, poiché include il grado d'
integrazione possibile o verosimile delle comunità trapiantate,
anzitutto fra i musulmani che vengono dal Maghreb o dal Senegal, dal
Sudan o dalla Somalia e dall' intero mondo islamico fino ai sultanati
della Malaysia. Secondo un recente studio di Bassam Tibi, pubblicato in
Italia da Reset, nel 1950 vivevano in Europa occidentale 800 mila
islamici, oggi risultano 17 milioni, saranno forse 30 milioni tra vent'
anni. Si può dubitare di certi pronostici, ma è da ricordare che all'
inizio degli anni ' 90 il Population Reference Bureau dell' Onu previde
l' umanità dei 6 miliardi e oltre per l' anno 2000, come poi è stato.
Può l' angusta Europa occidentale prendere a modello il melting pot
americano, con le sue peculiari e prolungate sperimentazioni su immensi
spazi? Sarebbe un rischio grave peccare di superficiale «ottimismo
storico».

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Egregio sig. Ronchey,
nell’articolo intitolato “Le migrazioni fuori controllo” pubblicato sul
Corriere della Sera di mercoledì 3 dicembre, lei descrive i popoli
africani e la loro gente, la loro grande e variegata umanità, come un
informe e minaccioso esercito in marcia verso il cuore dell’Europa. Un
esercito fatto di uomini, donne e bambini senza volto e senza identità.
Popoli retrogradi, dediti ad un “esorbitante proliferazione umana” (cito
le sue parole). Popoli di “moltitudini trasmigranti”, di “migranti
clandestini”, ignari della “compatibilità tra economia e demografia” e
dediti alle “guerre tribali”. Popoli che nutrono nel loro seno il
pericoloso germe di uno “spropositato potenziale moltiplicatore”, che
“non conosce e non pratica la contraccezione”. Il suo articolo è condito
di numeri. Milioni e miliardi snocciolati dall’autorevole Atlante De
Agostini 2004. Matilde Hockhofler, collaboratrice del Manifesto, in un
articolo sulla pandemia da HIV pubblicato il 7 aprile 2002, scriveva :
“Troppo spesso il dramma si esprime solo con le cifre, come se la
matematica con la sua asettica precisione fosse in grado di cogliere una
realtà di dimensioni catastrofiche. Ma la tragedia corale assume un
senso solo dalla conoscenza della storia dei singoli.” Il suo sguardo si
sofferma invece sul continente africano come se fosse popolato solo da
masse informi, da moltitudini, da abnormi quantità di esseri
inconsapevoli e potenzialmente pericolosi.

La popolazione mondiale è drammaticamente divisa in due; ma la vera
frattura non è tra musulmani e cristiani, tra europei e africani, tra
popoli civili e incivili, tra paesi democratici e paesi a regime
totalitario, tra paesi pacifici e paesi guerrafondai. Più semplicemente
la popolazione mondiale vive un allarmante divario tra ricchi e poveri
(meglio dire impoveriti). Di fronte a tante spericolate analisi dei
nostri giorni tale affermazione può sembrare fin troppo semplicistica.
Eppure si tratta di una elementare verità sotto gli occhi di tutti.
Secoli di sfruttamento e di distribuzione ineguale delle risorse hanno
portato miliardi di persone alla fame, non in Africa soltanto, ma anche
in Asia e in America Latina. Fonti autorevoli dichiarano che le risorse
ambientali disponibili sul pianeta Terra (alimentari, idriche,
energetiche) sarebbero sufficienti per tutti, se ben distribuite. Ogni
anno il Rapporto sullo Sviluppo Umano stilato dall’UNPD (Programma delle
Nazioni Unite per lo Sviluppo) evidenzia il continuo e crescente divario
tra Nord e Sud del pianeta e la inesorabile concentrazione della
ricchezza prodotta a livello globale nelle mani di una percentuale
sempre più ristretta della popolazione mondiale. Alla fine dell’anno
2000 la fortuna dei tre uomini più ricchi del mondo superava il prodotto
interno lordo (PIL) di tutta l’Africa. Con 40 milioni di dollari si
potrebbero soddisfare i bisogni essenziali dell’intera popolazione
mondiale: acqua potabile, infrastrutture, accesso al cibo e alla salute.
40 milioni di dollari sono tanti, ma corrispondono solo al 4% della
fortuna dei 225 uomini più ricchi del mondo.
Numeri e statistiche che ci presentano un’altra immagine del mondo
attuale. Una fotografia di persone in movimento, perchè la staticità e
l’immobilismo mal si conciliano con la lotta per la sopravvivenza.
L’umanità non è una pericolosa e incontrollabile galassia in espansione,
ma il prodotto di questa situazione. E l’esplosione demografica non è la
madre di tutti i mali. E’ piuttosto una delle conseguenze della povertà
e dell’insicurezza, di una condizione in cui la famiglia, i rapporti
parentali e i figli sono l’unica ricchezza: bocche da sfamare, certo, ma
anche semi di un’esistenza nutrita – nonostante tutto – di speranza nel
futuro e di attaccamento alla vita. Dovremmo imparare anche noi, uomini
del benessere, ad alimentare la speranza nel futuro, adoperandoci con
lungimiranza nella definizione di nuove regole per la convivenza tra i
popoli, per il commercio mondiale, per l’accesso ai diritti e ai bisogni
fondamentali in ogni angolo del pianeta.
E smettiamola di fomentare la paura, di fare del terrorismo psicologico
o di alimentare l’illusoria speranza che la Fortezza Europa possa
difendere ad oltranza i propri confini e i propri privilegi.

Paola Luzzi



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