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Vendono tutto per perdere tutto
- Subject: Vendono tutto per perdere tutto
- From: Daniele Barbieri <barbieri at carta.org>
- Date: Sat, 30 Aug 2003 16:15:45 +0200
Un allucinante reportage su cosa vivono i migliaia di migranti che per noi sono solo "quelli dei barconi di Lampedusa". Sembra un racconto di Erodoto, ma siamo nel 2003 D.C. I DANNATI Vendono tutto per perdere tutto di Attilio Bolzoni BEN GUERDANE (Tunisia) - Si vendono le capre e se hanno una casa si vendono anche quella, faticano nei campi di cotone o nei pozzi petroliferi del Sudan, si spezzano la schiena nelle miniere di uranio dell´alto Niger, arrivano nel Maghreb e fanno gli scaricatori nei porti, i manovali in Cirenaica, gli sguatteri a Bengasi, braccia nere per il sogno del colonnello Gheddafi di "rinverdire il deserto". Solo un pugno di riso resta nelle loro mani quando raggiungono Ben Guerdane o dall´altra parte del confine Boukamece, un pugno di riso e qualche dattero per la traversata finale verso l´Italia. Dal varco di frontiera che divide Tunisia e Libia vi raccontiamo come migrano sempre più verso nord i popoli disperati, carovane di nomadi che diventano schiavi in ogni regione africana che calpestano. L´Occidente conosce solo i barconi, ma su quelli ci salgono i superstiti. Vale 2800 dollari, vale almeno 2800 sporchi dollari la vita di un somalo o di un liberiano che lascia il suo miserabile villaggio per vedere l´Europa. Li raccolgono a poco a poco quei soldi, tappa dopo tappa e mese dopo mese spogliandosi di ogni bene e lavorando come bestie mentre risalgono la loro Africa, poi li consegnano fino all´ultimo centesimo ai boss che promettono l´altro mondo. Quando navigano nel Mediterraneo hanno già perso tutto, non hanno più niente. Il loro viaggio dura tre settimane o un anno, dipende da quanto avevano raccattato prima di andarsene. Un sentiero interminabile da una capitale all´altra del Continente africano, tragitto insidioso, sbirri alle dogane che vogliono il "pizzo", negrieri minacciosi, il deserto, i predoni, i "passeurs" e alla fine il mare con le sue tempeste. Questo vagare degli uomini neri che cercano di guadagnare l´Italia ce lo ricostruiscono a mezze frasi i camionisti che vanno e vengono dalla Libia con i loro rimorchi carichi di mattoni, ce ne parlano i cambia valuta che sventolano le loro mazzette di dinari come ventagli per le vie di Ben Guerdane, i ruffiani che si aggirano intorno al mercato delle spezie di Zarzis, tutti gli occhi e le orecchie di un sud della Tunisia che ha accanto l´impenetrabile Jamahiriya. Eccole le "vie" dei nuovi schiavi. Sono due quelle che percorrono per affacciarsi sul Mediterraneo. Una è ad est, l´altra ad ovest. La prima la prendono i liberiani e i ghaniani e, un po´ più su, gli emigranti del Niger. Chi nel villaggio ha la fortuna di avere qualcosa da cedere, bestiame, una bicicletta, suppellettili, una vecchia auto, medicinali, intasca qualche soldo e lo mette via. Per mesi fa raccolta, a volte per anni. Quando ha 700 o 800 dollari si compra la prima "tratta". I liberiani attraversano sui furgoncini la Costa d´Avorio e poi il Burkina Faso, quando arrivano in Niger in molti hanno finito soldi e viaggio. Lì incontrano i ghaniani, che hanno fatto meno strada ma sborsato la stessa cifra. Finiscono tutti nelle viscere delle miniere di uranio. Quando trovano altri dollari, 800 o 900, li guidano tutti ad Agadez, nell´alto Niger. E´ uno dei due grandi crocevia africani dei popoli che si spostano per sopravvivere. Da Agadez si trasferiscono ancora. Verso il deserto del Teneré, che lo tagliano in diagonale per avvicinarsi alle province meridionali della Libia e poi a Tripoli. Capita che per evitare il posto di frontiera di Tidjeri, si perdano nella sabbia. La seconda "via" parte dall´Africa orientale. Dalla Somalia. Dall´Eritrea. La tariffa è sempre quella. Prima 700 o 800 dollari per raggiungere Khartoum, la capitale del Sudan che è l´altro grande crocevia africano delle migrazioni di massa. A Khartoum, chi non ha più soldi si ferma. Una primavera o un´estate nelle immense distese bianche di cotone oppure nelle baracche, quelle tirate su vicino ai pozzi petroliferi. E poi si riparte con altri 800 o 900 dollari per l´oasi di Cufra, ultima sosta prima di Tripoli. Quando le genti del Ciad e della Liberia e del Ghana arrivano sulla riva del nostro mare sono stremati, li hanno dissanguati, sono diventati più miseri di quanto lo fossero prima. Ma sono tre o quattromila chilometri più in alto, più vicini all´Europa che stanno inseguendo. Nella capitale libica ci sono i "caporali" dei boss che li aspettano. E li smistano a Zliten o ad Al Zuwara, tanti li riportano nel profondo sud per mandarli nei cantieri dove la manodopera per "il grande fiume" non basta mai, la colossale condotta sotterranea che un giorno porterà l´acqua da un serbatoio naturale che c´è sotto il deserto fino alla costa, pozzi, tubi, cemento, trivelle, ruspe. E neri piegati in due sotto quel sole. Si ammazzano di fatica in Libia e mettono insieme qualche altro soldo. Gli ultimi per l´ultimo viaggio. Un barcone di quelli neanche tanto grandi ne trasporta centoventi, pigiati sul ponte e schiacciati nelle stive. Centoventi neri sono 120 mila dollari. Il barcone è sempre fradicio, i traghettatori sanno che non lo riavranno mai indietro. E´ a perdere. A rischio di sequestro dei guardacoste italiani o delle mareggiate. In Tunisia o in Libia un vecchio barcone non costa più di 2000 o 2500 dollari. Con altri mille si fa il pieno di nafta. Solo per l´andata, se "capitano" viene nominato uno dei neri clandestini. Gli dicono: «E´ facile, tu tieni il timone dritto e tra dieci ore sei in Italia». I 116 mila e rotti dollari che restano, sono tutto guadagno netto dei trafficanti. Il malloppo da dividere. Metà va al capo che gestisce il commercio e ai suoi sgherri, il trenta per cento agli "intermediari" che portano uno per uno i neri, il venti per cento agli uomini che guidano i furgoni, ai guardiani che sorvegliano i clandestini nei lager, alle vedette che scrutano il mare per capire quando è ora di mollare le cime. Ogni boss riesce a far salpare due o tre o anche quattro zattere al mese. E ogni tanto, qualcuna va a fondo. da www.itacanews.it <http://www.itacanews.it>
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