Vendono tutto per perdere tutto



Un allucinante reportage su cosa vivono i migliaia di migranti che per noi
sono solo "quelli dei barconi di Lampedusa". Sembra un racconto di Erodoto,
ma siamo nel 2003 D.C.



I DANNATI
Vendono tutto per perdere tutto
di Attilio Bolzoni

BEN GUERDANE (Tunisia) - Si vendono le capre e se hanno una casa si vendono
anche quella, faticano nei campi di cotone o nei pozzi petroliferi del
Sudan, si spezzano la schiena nelle miniere di uranio dell´alto Niger,
arrivano nel Maghreb e fanno gli scaricatori nei porti, i manovali in
Cirenaica, gli sguatteri a Bengasi, braccia nere per il sogno del colonnello
Gheddafi di "rinverdire il deserto". Solo un pugno di riso resta nelle loro
mani quando raggiungono Ben Guerdane o dall´altra parte del confine
Boukamece, un pugno di riso e qualche dattero per la traversata finale verso
l´Italia. Dal varco di frontiera che divide Tunisia e Libia vi raccontiamo
come migrano sempre più verso nord i popoli disperati, carovane di nomadi
che diventano schiavi in ogni regione africana che calpestano. L´Occidente
conosce solo i barconi, ma su quelli ci salgono i superstiti.
Vale 2800 dollari, vale almeno 2800 sporchi dollari la vita di un somalo o
di un liberiano che lascia il suo miserabile villaggio per vedere l´Europa.
Li raccolgono a poco a poco quei soldi, tappa dopo tappa e mese dopo mese
spogliandosi di ogni bene e lavorando come bestie mentre risalgono la loro
Africa, poi li consegnano fino all´ultimo centesimo ai boss che promettono
l´altro mondo. Quando navigano nel Mediterraneo hanno già perso tutto, non
hanno più niente.
Il loro viaggio dura tre settimane o un anno, dipende da quanto avevano
raccattato prima di andarsene. Un sentiero interminabile da una capitale
all´altra del Continente africano, tragitto insidioso, sbirri alle dogane
che vogliono il "pizzo", negrieri minacciosi, il deserto, i predoni, i
"passeurs" e alla fine il mare con le sue tempeste. Questo vagare degli
uomini neri che cercano di guadagnare l´Italia ce lo ricostruiscono a mezze
frasi i camionisti che vanno e vengono dalla Libia con i loro rimorchi
carichi di mattoni, ce ne parlano i cambia valuta che sventolano le loro
mazzette di dinari come ventagli per le vie di Ben Guerdane, i ruffiani che
si aggirano intorno al mercato delle spezie di Zarzis, tutti gli occhi e le
orecchie di un sud della Tunisia che ha accanto l´impenetrabile Jamahiriya.
Eccole le "vie" dei nuovi schiavi. Sono due quelle che percorrono per
affacciarsi sul Mediterraneo. Una è ad est, l´altra ad ovest. La prima la
prendono i liberiani e i ghaniani e, un po´ più su, gli emigranti del Niger.
Chi nel villaggio ha la fortuna di avere qualcosa da cedere, bestiame, una
bicicletta, suppellettili, una vecchia auto, medicinali, intasca qualche
soldo e lo mette via. Per mesi fa raccolta, a volte per anni. Quando ha 700
o 800 dollari si compra la prima "tratta". I liberiani attraversano sui
furgoncini la Costa d´Avorio e poi il Burkina Faso, quando arrivano in Niger
in molti hanno finito soldi e viaggio. Lì incontrano i ghaniani, che hanno
fatto meno strada ma sborsato la stessa cifra. Finiscono tutti nelle viscere
delle miniere di uranio. Quando trovano altri dollari, 800 o 900, li guidano
tutti ad Agadez, nell´alto Niger. E´ uno dei due grandi crocevia africani
dei popoli che si spostano per sopravvivere. Da Agadez si trasferiscono
ancora. Verso il deserto del Teneré, che lo tagliano in diagonale per
avvicinarsi alle province meridionali della Libia e poi a Tripoli. Capita
che per evitare il posto di frontiera di Tidjeri, si perdano nella sabbia.
La seconda "via" parte dall´Africa orientale. Dalla Somalia. Dall´Eritrea.
La tariffa è sempre quella. Prima 700 o 800 dollari per raggiungere
Khartoum, la capitale del Sudan che è l´altro grande crocevia africano delle
migrazioni di massa. A Khartoum, chi non ha più soldi si ferma. Una
primavera o un´estate nelle immense distese bianche di cotone oppure nelle
baracche, quelle tirate su vicino ai pozzi petroliferi. E poi si riparte con
altri 800 o 900 dollari per l´oasi di Cufra, ultima sosta prima di Tripoli.
Quando le genti del Ciad e della Liberia e del Ghana arrivano sulla riva del
nostro mare sono stremati, li hanno dissanguati, sono diventati più miseri
di quanto lo fossero prima. Ma sono tre o quattromila chilometri più in
alto, più vicini all´Europa che stanno inseguendo.
Nella capitale libica ci sono i "caporali" dei boss che li aspettano. E li
smistano a Zliten o ad Al Zuwara, tanti li riportano nel profondo sud per
mandarli nei cantieri dove la manodopera per "il grande fiume" non basta
mai, la colossale condotta sotterranea che un giorno porterà l´acqua da un
serbatoio naturale che c´è sotto il deserto fino alla costa, pozzi, tubi,
cemento, trivelle, ruspe. E neri piegati in due sotto quel sole. Si
ammazzano di fatica in Libia e mettono insieme qualche altro soldo. Gli
ultimi per l´ultimo viaggio.
Un barcone di quelli neanche tanto grandi ne trasporta centoventi, pigiati
sul ponte e schiacciati nelle stive. Centoventi neri sono 120 mila dollari.
Il barcone è sempre fradicio, i traghettatori sanno che non lo riavranno mai
indietro. E´ a perdere. A rischio di sequestro dei guardacoste italiani o
delle mareggiate. In Tunisia o in Libia un vecchio barcone non costa più di
2000 o 2500 dollari. Con altri mille si fa il pieno di nafta. Solo per
l´andata, se "capitano" viene nominato uno dei neri clandestini. Gli dicono:
«E´ facile, tu tieni il timone dritto e tra dieci ore sei in Italia». I 116
mila e rotti dollari che restano, sono tutto guadagno netto dei trafficanti.
Il malloppo da dividere. Metà va al capo che gestisce il commercio e ai suoi
sgherri, il trenta per cento agli "intermediari" che portano uno per uno i
neri, il venti per cento agli uomini che guidano i furgoni, ai guardiani che
sorvegliano i clandestini nei lager, alle vedette che scrutano il mare per
capire quando è ora di mollare le cime. Ogni boss riesce a far salpare due o
tre o anche quattro zattere al mese. E ogni tanto, qualcuna va a fondo.

da www.itacanews.it <http://www.itacanews.it>