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Diario dal Centrafrica - 23 aprile
- Subject: Diario dal Centrafrica - 23 aprile
- From: Enrico Marcandalli <ramalkandy at iol.it>
- Date: Tue, 08 May 2001 09:27:55 +0200
23 aprile 2001 M'BORORO MONTONI E FRECCIE INFUOCATE Come tutti gli anni in questo periodo i pastori M'Bororo del Chiad vanno in transumanza con le loro mandrie di montoni attraversando il nostro territorio e discendendo buona parte del paese in cerca di pascoli nelle zone rinverdite per le pioggie. Si fermano in Centroafrica qualche mese aspettando che le pioggie arrivino anche da loro, poi riattraversano il paese nel risalire. Hanno la fama di discendere da antichi guerrieri, visto che spesso nella storia hanno dovuto combattere in territori ostili per poter garantire il pascolo alle loro greggi. Si dice che i montoni, per loro rappresentino tutto, non li uccidono mai per mangiarli visto che li allevano per venderli, e preferiscono cibarsi del latte, o del sangue che estraggono da un'arteria sul collo dell'animale. Pare che la ricchezza ed il potere di ognuno venga misurata dal numero di montoni che possiede, e sono gli unici allevatori della zona. In Centroafrica ce ne sono alcuni quasi stanziali, si spostano in lungo e in largo in ampie zone ma hanno costruito le case in diversi villaggi e convivono con la popolazione locale. Allevano prevalentemente vacche, che hanno un aspetto magro in modo impressionante, e di cui si possono contare le costole, ma dalla carne, pare, molto buona. Anche loro sono magri e si vestono spesso come gli arabi, con turbanti e grandi tuniche, e sono di religione musulmana. Le loro donne partecipando ai mercati settimanali vendendo latte, una specie di yogurt, burro e qualche volta uova e le si vedono ovunque camminare a piedi ai bordi delle strade, anche in zone apparentemente inolate. Mi sono abituata a considerare le donne M'Bororo parte integrante del paesaggio, nel mio percorrere in auto il paese in lungo e in largo, anche per il loro aspetto caratteristico. Dal corpo magro e minuto e dall'abbigliamento ed acconciatura particolari, si muovono con andatura elegante portando in ecquilibrio sulla testa degli enormi recipienti semisferici, che hanno ricavato da zucche gigantesche che non avevo mai visto prima, sui quali trasportano il latte. Come coperchio lavorano in forma circolare pazientemente la paglia e la rafia con una che vedevo in Sardegna quando ero bambina, in particolare a Castelsardo. Ottengono dei cerchi piatti e molto rigidi, sottili ma robusti, che decorano con dei motivi geometrici sobri. Vi sovrappongono gradualmente altri recipienti più piccoli, ognuno con il suo coperchio, e vi trasportano la mercanzia. Si possono riconoscere da lontano ed hanno lo stesso aspetto agile ed elegante di certe sculture che ho visto al mercato dell'artigianato di Bangui. Arrotolati sulla testa a fare da basamento alla prima enorme zucca, portano dei panni, alcuni dei quali fungono all'occorrenza anche come vestiti di ricambio. Sono molto curate e ci tengono alla loro immagine, decorandosi mai e piedi con l'hennè e facendo risaltare la bellezza degli occhi con una leggera sottolineatura di matita nera. I capelli sono generalmente raccolti in treccine che arrivano fino all'altezza del collo che spuntano lateralmente da sotto il fazzoletto sulla testa, rigorosamente dello stesso tessuto dell'abbigliamento, o in tinta. I tessuti che si trovano normalmente in commercio, e usati in genere dagli altri centroafricani, hanno colori sgargianti, spesso stridenti e troppo carichi, ma loro, non ho ancora capito dove, riescono trovare tessuti dai colori più armonici e li abbinano con attenzione. Hanno sempre con sé un piccolo portatrucco con lo specchietto, dove non manca una scatolina di balsamo al mentolo, che si spalmano su mani e piedi. Il volto, che trovo molto bello, ha i lineamenti delicati e gli occhi espressivi. La magrezza, non meno impressionante di quella delle loro vacche, credo che sia dovuta, oltre che alla scarsa alimentazione, a tutti i chilometri a piedi che percorrono continuamente col fardello sulla testa. Per esempio quella che veniva a venderci il latte faceva come minimo dai 10 ai 17 chilometri col latte appena munto sulla testa, ed altrettanti per tornare indietro. Osservandola e chiaccherando con lei ( si fa per dire, visto che parla solo sango) ho imparato molte cose sui loro costumi, ed ogni volta che volevo farle una foto, si cambiava di panni prediligendo tonalità blu e si rifaceva il trucco agli occhi. Appena arrivata alla concessione, prima di bussare alle nostre porte, si lavava accuratamente le mani ed i minuscoli piedi, che prima di andare via si spalmava ben bene con il balsamo. Non ho mai sentito accanto a lei nessun odore sgradevole e mi chiedevo come facesse a non sudare camminando tutto il giorno sotto il sole. Forse non potrò rivederla mai più e mi dispiace per quello che le è successo perchè mi ero affezionata. Per poter capire la situazione bisogna risalire alla prima metà del mese di aprile a circa sessanta chilometri da Paoua, ed iniziati esattamente il 10 aprile( me lo ricordo perchè era il mio compleanno). Cercherò di raccontarlo nell'ordine i cui l'ho vissuto io, essendo involontariamente coinvolta nella prima parte della storia. Il giorno 11 aprile, a metà mattina, si sono presentati nel mio ufficio con aria solenne dicendo che erano stati inviati dal sottoprefetto in persona, il Comandante della Gendarmeria ed il Commissario della polizia, e chiedevano di parlarmi in privato. Nell'ufficio, a porte chiuse, il comandante della polizia inizia il discorso pronunciando con aria grave le parole « Ci sono stati dei morti assassinati! ». Dal tono con cui si esprimeva e dal fare circospetto, supponendo che stessero facendo delle indagini, ho temuto che vi fossero coinvolte delle persone che mi riguardavano ed in un attimo ho fatto il vaglio di tutto il personale e le loro famiglie sperando che i miei timori fossero infondati. Dopo tanti preamboli che mi sono sembrati interminabili ed alle mie domande di maggiori precisazioni dal momento che cominciavo a non capire perchè si fossero rivolti a me, è venuto fuori che volevano solo che mettessi un'auto a disposizione del Sottoprefetto. Egli doveva recarsi in un villaggio da cui erano arrivate allarmanti notizie di scontri avvenuti la notte precedente che avevano prodotto nove morti. La richiesta, che da un lato egoisticamente mi tranquillizzava, visto che aveva salvato tutti coloro che conoscevo dall'essere vittime o assassini, mi sconcertava perchè mi caricava di altre responsabilità. Dopo almeno venti minuti di trattative in cui cercavo di addurre solide ragioni per un rifiuto che venivano regolarmente smontate, impossibilitata a consultare il coordinamento di Bangui per un suggerimento, ho dovuto cedere. Alle undici di mattina ho dovuto concedere un'auto con la scritta DROP, compresa di autista perchè accompagnasse il sottoprefetto a fare un soppralluogo per poter fare rapporto alle autorità centrali, con l'assicurazione che sarebbe tornato entro poche ore. Mi ero raccomandata che non trasportasse militari armati o polizia, cosa proibita dal nostro regolamento, che dice che nè noi nè le auto di progetto possono prendere parte ad operazioni militari o di polizia. Quando alle sei di sera cominciava a fare buio e non si era visto ancora nessuno di ritorno, comincio a fare la spola presso la gendarmeria, abbastanza vicina agli uffici senza alcun risultato confortante. Quando alle nove di sera l'auto non era ancora tornata ero seriamente preoccupata. Per tenermi occupata nell'attesa mi sono messa a pestare il basilico in un mortaio, ed è così che ho inventato il pesto al sesamo ed i semi di zucca. Ho avuto il tempo di farne un grosso barattolo prima che l'autista, sfinito e con gli occhi iniettati di sangue per la stanchezza, bussasse alla mia porta alle dieci di sera. Mi ha spiegato che il Sottoprefetto non si era limitato a fare il soppralluogo, ma si era messo a percorrere tutte le piste della zona a caccia dei colpevoli, e che in macchina con loro c'erano quattro gendarmi. Il giorno dopo è stato proprio il Sottoprefetto a raccontarmi i fatti, ed intanto i morti rano arrivati a 11. Un gruppo di pastori nomadi M'Bororo, durante il passaggio con i loro montoni in piena transumanza, provenienti dal Chiad, si sono imbattuti in alcuni cacciatori locali di selvaggina, che battevano una zona vicina al loro villaggio. Pare che i cani dei cacciatori, o forse lo sparo di un fucile, abbiano creato dello scompiglio fra i montoni, che hanno cominciato a scappare in tutte le direzioni, disperdendosi nella savana. I pastori ci hanno messo tutta la gionata per radunarli, battendo a tappeto la zona circostante, ma all'appello mancava un discreto numero di animali. Pensando che le bestie fossero finite nel vicino villaggio, sono andati a verificare, chiedendo se per caso qualcuno le avesse prese per sbaglio ma gli abitanti hanno detto di non aver visto alcun montone. Non si può ingannare facilmente i M'Bororo quando si tratta di montoni, che imparano a conoscere in tutte le sfumature fin da bambini e che sono tutta la loro vita. L'odore particolare, lo stesso movimento degli zoccoli, forse persino qualche verso particolare, anche se silenzioso, ma li hanno individuati tutti. Lo stesso capo del villaggio ha ammesso con il Sottoprefetto che diversi abitanti avevano in realtà nascosto i montoni nelle loro capanne e che contavano sul fatto che i pastori, essendo di passaggio, non avrebbero perso molto tempo a cercarli con il rischio di perderne altri ed avrebbero proseguito il viaggio durante la stessa notte. Non è così, e dopo aver cercato di farsi restituire le bestie con le buone ed essendo stati derisi , si sono organizzati altrimenti. Attendendo il calare delle tenebre, verso le due o tre del mattino, quando tutto il villaggio dormiva, hanno atttaccato di sorpresa, circondando tutte le case dove avevano individuato i montoni. Con delle freccie infuocate hanno dato fuoco alla paglia del tetto, poi si sono appostati davanti alle case pronti a lanciare delle freccie per uccidere coloro che volevano scappare. Sorpresi nel sonno, alcuni sono morti bruciati. La guerra dei montoni combattuta durante la notte fra il dieci e undici aprile ha provocato undici morti. La notizia intanto corre più veloce del vento e si trasforma a seconda delle interpretazioni e inizia la caccia al M'Bororo, anche se non c'entra nulla con quell'episodio, i cui protagonisti non sono ancora stati ritrovati. Si apre una guerra etnica, ed in alcuni villaggi vengono incendiate le case di chi è colpevole solo di appartenere alla stessa etnia. Il Prefetto in persona interviene andando a tenere assemblee nei villaggi, la stessa prefettura fa evacuare alcune comunità che rischiano di essere attaccate e viene dichiarato lo statio di emergenza. Quattro ministri hanno piu volte annunciato invano il loro arrivo. Noi assistiamo perplessi ma anche proccupati temendo l'inizio di una guerra, anche perchè nel frattempo i morti sono diventati una quarantina, ed in maggior parte ignari pastori di tipo quasi stanziale che avevo descritto prima. Abbiamo saputo da poco perchè la nostra fornitrice di latte non è più venuta a trovarci. La ho incontrata un giorno che passavo in macchina per i miei soliti giri nelle scuole dei villaggi, quando è corsa incontro a salutarmi. Aveva un'aria triste e mi ha detto che insieme a tutta la sua comunità era dovuta scappare con quello che aveva addosso, aggredita, insieme ai familiari, dagli abitanti del villaggio in cui viveva. Tutti i suoi poveri averi sono andati perduti, non ha più animali nè recipienti per il latte. Speravo di reincontrarla prima che si mettesse in carovana, quando sono rientrata dal lavoro sono andata a cercarla per vedere come potevo aiutarla ma era già partita. Mi è dispiaciuto ed ora cerco il suo volto in tutte le donne che incrocio lungo la strada, ma lei sembra essersi volatilizzata. Nei giorni siccessivi durante i nostri giri per lavoro, in alcuni villaggi c'erano a scuola pochi bambini, e gli insegnanti ci hanno detto che diversi genitori preferivano tenerli a casa per timore che ci potessero essere ancora disordini. Lungo il nostro percorso abbiamo potuto incontrare molte case bruciate e non è ancora detto che sia finita. 2 Maggio 2201 VERDE VERDISSIMO Il paesaggio cambia aspetto con una rapidità così sorprendete da apparire esagerata. Tutto diventa ogni giorno più verde, e spuntano germogli nei posti più improbabili e da un giorno all'altro appaiono nuove piantine. Sono appena tornata da una riunione a Bozuom ed ho ancora il verde luccicante contento dentro gli occhi. Capisco perchè nei villaggi tutti si precipitano nei campi per seminare e approfittare così di questo miracolo. Le piogge sono cominciate anche a Paoua, e non sono sempre violente, anche se le raffiche di vento iniziali non mancano mai, ma poi si calmano e spesso piove silenziosamente e continuativamente per qualche ora, cosa che permette al terreno di ben dissetarsi di tanta arsura e tutto si dopinge rapidamente di verde e dei mille colori delle fioriture. Tutti gli alberi sono fioriti e la mia casa ora è circondata da giganteschi alberi completamente colorati di rosso, che seminano dappertutto enormi petali creando sul terreno tutto un vivace tappetto che mette allegria. Gli alberi si chiamano Flamboyant, che vuol dire fiammeggiante, e mi ricordano certi alberi che colorano i viali di Maputo, forse in questo stesso periodo. Questo clima è sorprendentemente avaro ed estremamente generoso allo stesso tempo, ed è questa una parte del fascino dell'Africa, è sempre tutto così esagerato che non smetti mai di sorprenderti delle cose. I manghi sono già maturi e cadono in continuazione dagli alberi, o vengono fatti cadere con dei lunghi bastoni. Gli alberi raggiungono infatti altezze anche superiori ai 15 metri ed il frutto penzola all'estremità dei tronchi, rendendo difficile coglierli a chi si dovesse arrampicare, cosa che del resto quì nessuno fa volentieri per paura di cadere. I manghi, alberi particolarmente frondosi e grandi, sembrano tutti uguali ma i frutti si presentano in diverse varietà che vanno dal giallo al rosso, e penzolano copiosi da tutti gli innumerevoli alberi disseminati un po' dappertutto. La leggenda popolare associa il mango alla malaria, ma è solo una coincidenza stagionale, essendo un frutto che matura nella stagione delle piogge, periodo più insidioso per la puntura delle zanzare. Il frutto è abbondante e gustoso e lo mangiamo tutti indistintamente sempre molto volentieri, non è una cosa che stufa. Passata la meningite ora si aspetta la stagione della malaria, ma non credo, almeno spero, che si presenti in forma così violenta come l'epidemia da cui non ci siamo ancora ripresi del tutto. Il caldo è ancora molto intenso e ci sono dei giorni in cui mi sento la pressione così bassa che dubito di resistere al clima se dovesse durare a lungo così. Tutti mi tranquillizzano dicendo che il mese di aprile e la prima metà di maggio rappresentano il periodo più critico, ma che poi il clima diventerà molto piacevole. Vivo in attesa di questo cambiamento.
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