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Diario dal Centrafrica - 28 FEBBRAIO 2001
- Subject: Diario dal Centrafrica - 28 FEBBRAIO 2001
- From: Enrico Marcandalli <ramalkandy at iol.it>
- Date: Sat, 07 Apr 2001 14:11:25 +0200
28 FEBBRAIO 2001 TAMBURI DI MORTE Spesso non posso dormire la notte a causa del ritmo ossessivo dei tamburi e dei canti che provengono dal villaggio ed oltrepassano il recinto della concessione. Non sono delle feste che durano tutta la notte, come avevo pensato in un primo momento, ma cerimonie funebri. Non c'è giorno che non veniamo a saper di qualcuno che è morto, familiare vicino o lontano di qualcuno che conosciamo. Il contatto continuo con il medico capo dell'ospedale di Paoua, che è legato la nostro progetto per le attività di tipo sanitario, ci permette di essere al corrente del numero incredibile di persone morte in modo drammatico ogni settimana. L'eco degli allarmi che ci arriva riporta sempre un numero esagerato di morti che purtroppo è reale. Non è solo la meningite, la malaria, la broncopolmonite o qualche altra patologia, a falciare vittime fra la popolazione di questo paese, ma anche gli incidenti stradali, che dalla seconda metà di febbraio sono stati tantissimi. Nonostante il numero degli autoveicoli sia ridicolo, in particolare comparato a parametri europei, a causa delle strade e delle condizioni di viaggio, il numero dei morti per incidente stradale non ha niente da invidiare ai nostri. Continuando la strada verso nord, passato Paoua, si arriva alla frontiera con il Chiad, ed è una rotta abbastanza frequentata, specialmente il venerdì ed il sabato. Gli autobus, se così vogliamo chiamarli, spesso sono dei camion sgangherati, viaggiano in modo mostruosamente carico. Oltre ad avere all'interno del veicolo un numero di persone notevolmente superiore alle capacità, hanno sopra il tetto una vera e propria montagna di bagagli sulla la quale prendono posto i passeggeri in esubero, che sono ancora un numero esagerato. Alcuni seduti nella parte centrale, altri aggrappati alle meglio lateralmente o seduti sulle sponde, accompagnano i movimenti del veicolo tracciando in contorno fluido dell'insieme dalla forma. Quando si incrocia uno di questi mezzi lungo la strada, se ne vede da lontano il pericoloso ondoggiare. Capita che l'altezza del cumulo dei babagli sul tetto superi l'altezza del veicolo stesso, che inevitabilmente finisce spesso col rovesciarsi. Le strade sono tutte delle piste sterrate e nonostante la manutenzione regolare di quelle sotto progetto DROP, sono piene di dislivelli e buche visibili solo all'ultimo momento,che costringono anche l'autista più attento a grandi salti se non modera tempestivamente la velocità. Il numero di morti per incidente varia dai venti ai trenta per volta, di cui la maggior parte sul posto ed il resto all'ospedale. (Naturalmete noi non corriamo questo pericolo, non viaggiamo con quei mezzi. Il progetto ci ha fornito delle auto con autista di professione a nostra disposizione ed abbiamo un regolamento ferreo per quanto riguarda il rispetto delle norme di circolazione ed il trasposrto di terzi. Io non corro alcun pericolo di quel tipo. Lo dico per tranquillizzare i miei genitori o chiunque altro si possa preoccupare). MENINGITE Continua intanto a fare la sua parte di strage la meningite. Non c'è villaggio sulla rotta per Bozoum, dove non ci siano almeno quattro morti al giorno. Domenica mattina siamo andati a visitarne uno a venticinque chilometri da Paoua, verso il nord, da tutt'altra parte. Dovevamo parlare con il capo villaggio per fissare un incontro. Ci ha accolto facendo sistemare delle sedie sotto un grande mango. Faceva un caldo tremendo ed alle dieci del mattino il termometro segnava già 43 gradi all'ombra. Dopo i convenevoli di rito ci ha informato dei tredici casi di meningite ricoverati presso la clinica del pastore protestante, che fa l'infermiere e siamo andati subito a vedere. Per fortuna, si fa per dire, il numero includeva anche ammalati di malaria ed altro, ed i casi di meningite erano meno di dieci, anche se erano stati sistemati insieme agli altri. Quello che era stato definito «clinica» aveva un aspetto incredibile. Quattro case muniscole dal tetto di paglia in condizioni dogradate sovraffollate, costruite in uno spiazzo senza un albero che potesse proteggere dai raggi spietati del sole. Gli ammalati erano distesi sul terreno di terra battuta, su delle stuoie polverose, alcuni all'esterno per mancanza di spazio, a ridosso dei muri della piccola costruzione alla ricerca di una striscia d'ombra. In condizioni igieniche da brivido qualcuno aveva la flebo. Elisabetta girava fra gli ammalati raccogliendo dati, facendo una lista dei bisogni più urgenti allo scopo di awertire il medico dell'ospedale di Paoua e romproverava i responsabili locali per non averlo già fatto. Io mi guardavo intorno attonita, pietrifacata da quella desolante disperazione, senza fiato per il caldo ed incapace di tirare fuori la macchina fotografica, combattuta fra il desiderio di rispettare tanta sofferenza e quello di documentarla per gridarla al mondo. Un bambino di 13/14 anni respirava a malapena per una grave infezione broncopolmonare e gli occhi da cerbiatto terrorizzato di una donna, forse la madre, che gli sedeva accanto, colpivano direttamente al cuore. Un altro aveva le labbra spaventosamente gonfie e piene di bolle ed erano i suoi stessi occhi a guardarti disperati. Altrove non ho avuto il coraggio di avvicinarmi perchè non sopportavo addosso gli occhi dei familiari invocanti e illuminati di speranza per il nostro arrivo, che poco potevamo fare. Nessuno osava parlare nè lamentarsi mentre un tipo in camice bianco, presentatosi come responsabile della clinica in assenza del Pastore, alle domande di Elisabetta su che tipo di cure stesse praticando agli ammalati, rispondeva che si affidava alle mani di Dio. Poco lontano si celebrava il chiassoso mercato della domenica, di cui arrivava l'eco delle voci. Vi si vendeva qualche cipolla, degli abiti usati, qualche recipiente di plastica e delle pentole di allumminio di pessima qualità. Elisabetta si è fatta carico personalmente delle cure del ragazzo più grave, anche se oggi abbiamo saputo che è morto lo stesso. Il sottoprefetto ci poi ha detto che la cosidetta «clinica privata » è abusiva e che il Pastore/infermiere non ha nessuna qualfica per poter fare l'operatore sanitario, solo che voleva che fosse la nostra auto ad accompagnarlo per fare un'ispezione ed eventualmente arrestare il tipo. Non ci sembrava proprio il caso. Per fortuna non è riuscito ad organizzare la spedizione perchè aveva bisogno anche della presenza del medico prefettorale, il responsabile dell'ospedale di Paoua, il quale ha trovato mille argomentazioni per non andare. Lui è protestante, come potrebbe andare a far arrestare un suo Pastore? Il Sottoprefetto è cattolico. Purtroppo dobbiamo fare i conti anche con queste cose. CONTRADDIZIONI Al di là dei cancelli della nostra «Concessione » c'è la disperazione che si estende gradualmente fino alla morte. L'impresa di elettricità ENERCA, l'equivalente della nostra ENEL, ha dovuto interrompere l'erogazione dell'energia ellettrica alla popolazione, già precedentemente ridotta a sole tre ore al giorno (19/22), per mancanza di carburante per il generatore. A partire da domenica 25 la temperatura aumenta vertiginosamente ogni giorno e nemmeno la notte scende oltre i 35 gradi. Pare che in marzo e aprile sarà ancora peggio e che si comincerà a stare bene solo da fine aprile/ primi di maggio, quando inizierà la stagione delle piogge e farà un po di fresco. Per fortuna ho in camera da letto l'aria condizionata ed ho dovuto usarla per dormire almeno qualche ora, anche se ho ugualmente sofferto il caldo. Il clima è davvero spietato in questi posti, con continui eccessi da un estremo all'altro. Solo fino ad una settimana fa dormivo con il sacco a pelo di piume ed avevo sempre un po' di raffreddore e mal di gola per la temperatura della notte e del mattino, dovendo usare la giacca a vento fino alle nove e mezza/ dieci. Ora rimpiango tutti i vestiti estivi che ho tolto dalla valigia all'ultimo momento. Felicità per noi in questo momento è poter mangiare un pomodoro fresco, o un mango, o bere una bibita fresca, o fare una doccia e cambiarsi a qualunque ora del giorno e poter lavare i vestiti. Per gli altri, vivere senza frigorifero e non potersi proteggere dal caldo soffocante può voler dire morire, per mancanza di conservazione dei vaccini o medicinali. Dentro la concessione abbiamo l'energia ellettrica ed acqua 24 ore al giorno, e possiamo fare tutte queste cose, compreso tenere in casa il climatizzatore acceso. Il recinto che ci separa dal resto del mondo e ci rinchiude in una sorta di limbo è in parte in muratura, alternato da diversi metri di rete a maglie larghe. Le case di Paoua, rudimentali costruzioni dal tetto di paglia, cominciano a pochi metri dal nostro recinto e ne possiamo vedere scorrere la quotidianità, nei giochi dei bambini, lo sfaccendare delle donne, il trasportare l'acqua sulla testa dal pozzo di quartiere, il riposare sulla stuola sotto un albero nelle ore piùcalde, il fuoco acceso la notte davanti casa che risalta nello sfondo buio.
Anche noi siamo visibili per loro: belle case, ettolitri d'acqua usati per annaffiare, il rumore dei generatori, le nostre auto, i neon intorno alle case accesi tutta la notte per agevolare il lavoro dei guardiani. Spesso sento il peso di questa situazione. Thomas e Ari hanno organizzato su una zona periferica della concessione un campo da tennis e da quando sono tornati ci passano, ogni giorno, diverse ore del pomeriggio insieme ad un loro amico che è venuto a visitarli dalla Germania. Sono alti, giovani, belli e biondi ed i bambini stracciati, polverosi e dalla pancia gonfia aggrappati al grigliato della recinzione che li osservano, riportano il sapore di alcune scene di un vecchio film di Manfredi che credo si intitoli «Pane amore e cioccolato »(sull'emigrazione italiana in Svizzera). Come se non bastasse, dall'unificazione di tre vasche interrate, costruite inizialmente come serbatoi per l'acqua, stanno facendo costruire una grande piscina che pensano di inaugurare per il compleanno di Thomas, il 3 aprile, e nuotarvi per qualche mese, visto che rientreranno definitivamente in Germania in agosto. La spesa (operai che lavorano da mesi, attrezzature, materiali), già fuori luogo di per sé, vista la situazione, assume un carattere maggiormente grave se si considera che non è ancora chiaro che cosa ne sarà della concessione dal mese di settembre in poi, quando finirà il progetto dell'organizzazione tedesca che ne ha finora finanziato il mantenimento (noi DROP siamo solo in affitto). Probabilmente verrà chiusa o ridimensionata, visto che il costo è vergognosamente inconfessabile.
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