bourghiba



UN DESPOTA ILLUMINATO
di BERNARDO VALLI
QUANDO gli capitava a tiro un ospite italiano, Habib Bourghiba (morto ieri a
Monastir, Tunisia, all'età di 96 anni) ricordava puntualmente piazza Esedra.
Descriveva la fontana e il caffè dove si faceva servire un cappuccino durante un
agitato soggiorno romano. Nell'ufficio presidenziale, a La Marsa, vicino a
Tunisi, conservava tante fotografie; e, quando era di buon umore, le mostrava
raccontando la propria vita come se sfogliasse un fotoromanzo. Accadeva che si
commuovesse o, addirittura, che dai suoi occhi traboccasse qualche lacrima: in
tal caso, le lasciava liberamente scivolare sulle guance. Adesso non ricordo se
tra le fotografie ingiallite c'era anche quella di piazza Esedra.
CE N'ERANO senz'altro di quell'epoca, quando lui andava a bere il cappuccino
davanti alla fontana. Era tra il gennaio e l'aprile '43; Bourghiba aveva
quarant'anni, un aspetto solido e uno sguardo deciso. La lunga esperienza nelle
carceri francesi, dove era stato rinchiuso dal '34 al '36 e poi dal '38 al '43
per attività anti-coloniale, non aveva piegato il suo carattere. Egli era sempre
fermo nel chiedere l'indipendenza della Tunisia, che dal 1881 era formalmente un
protettorato francese ma di fatto una colonia.
Da prigioniero dei francesi Habib Bourghiba era diventato un ospite degli
italiani. I tedeschi avevano cambiato lo status del patriota tunisino. Il
capitano delle SS Klaus Barbie (che mezzo secolo dopo sarebbe stato condannato
per crimini contro l'umanità ) l'aveva liberato, ossia se l'era fatto consegnare
dalle autorità francesi di Vichy, le quali collaboravano con gli occupanti
tedeschi, e l'aveva messo sotto buona scorta su un treno diretto a Roma. In
Tunisia c'erano allora le truppe italo-tedesche; e Hitler (per ordine del quale
avveniva l'operazione) pensava che la popolarità di Bourghiba potesse essere
utile; spettava però; a Mussolini gestire la vicenda, dal momento che avanzava
pretese su quel paese dell'Africa del Nord, in cui vivevano tanti italiani.
A Roma, raccontava Bourghiba sfogliando le fotografie dell'epoca, c'erano molti
arabi, rifugiati politici e disposti a collaborare con l'Asse, nella speranza di
liberarsi dal colonialismo, inglese o francese. La parola d' ordine era
semplice: i nemici dei miei nemici sono i miei amici. Bourghiba non era
contrario a questo principio, ma era al tempo stesso convinto che gli Alleati,
gli anglo-americani, avrebbero vinto la guerra. E quindi ai diplomatici italiani
che lo blandivano rispondeva di essere pronto a collaborare ma soltanto alla
condizione che fosse garantita l'indipendenza della Tunisia. Sapendo di chiedere
l'impossibile, prendeva tempo. E così passarono i quattro mesi ritmati dai
cappuccini di piazza Esedra. Al suo rientro in patria, reso possibile
dall'ambigua formula della collaborazione condizionata, la situazione militare
cambiò; rapidamente. Le truppe italo-tedesche se ne andarono dall'Africa del
Nord; e lui, Bourghiba, si dichiarò; in favore degli Alleati. Sempre nella
speranza di ottenere un giorno l'indipendenza.
Habib Bourghiba occupa un posto particolare nella storia di quello che chiamiamo
comunemente .terzo mondo.. Per certi aspetti è stato simile a un radicale
francese della Terza Repubblica, ossia a un progressista laico della prima metà
del secolo: gli anni trascorsi a Parigi, alla facoltà di legge e a Scienze
Politiche (una delle Grandi scuole francesi), avevano lasciato una forte
impronta. Per altri aspetti, i più vistosi, è stato invece un capo autoritario,
un despota a tratti illuminato, e a tratti caricaturale. La sua certezza nella
vittoria degli Alleati, espressa già nel 1940, quando si trovava in una prigione
della Francia nemica e sconfitta (ed erano in pochi a crederci, oltre lui e de
Gaulle), va senz'altro aggiudicata al primo Bourghiba.
Il quale, oltre al fiuto politico, aveva anche una vasta conoscenza della storia
occidentale, in particolare di quella francese. Nella dimora in cui era
confinato dal 1987, a Monastir, sua città natale, teneva sul tavolo, ben in
mostra, dei libri sulla Rivoluzione francese. E quei libri non erano soltanto la
prova della sua passione per la storia; erano anche i simboli di quel che gli
capitava di chiamare rispetto per la democrazia. Rispetto che non ha potuto o
voluto osservare. Prima, diceva, bisogna trasformare una polvere di individui in
una nazione.
Quando poi disse di avere compiuto, almeno in parte, la missione, non pensava
più al resto. Era prigioniero della continuità del potere, come tutti i despoti.
Era un lettore democratico con il carattere di un dittatore. Ed è il carattere
che ha dettato la pratica. Era il .combattente supremo.; gli capitava di
affermare che la Tunisia era fortunata ad avere per capo un genio come lui;
aggiungeva che una fortuna del genere non si sarebbe ripetuta; il paese, da
Biserta a Tunisi a Sfax, aveva viali Bourghiba che portavano a piazze Bourghiba,
al centro delle quali c'erano le statue di Bourghiba. Ma il despota sapeva
essere lucido. Nel '64, a Gerico, città palestinese allora sotto la sovranità
giordana, ebbe il coraggio di dire che bisognava fare la pace con Israele. A
quei tempi per gli arabi era una bestemmia. (Lo era anche per gli israeliani,
che negavano ufficialmente l'esistenza dei palestinesi). Allo stupore iniziale
seguirono l'indignazione e poi una valanga di insulti, dall'Atlantico al Mar
Rosso, in tutto il mondo arabo.
Questo non impedì tre anni dopo a Bourghiba di intervenire personalmente,
durante la Guerra arabo-israeliana dei Sei giorni (1967), per porre fine ai
saccheggi delle botteghe degli ebrei. Il .comandante supremo. non esitò; a
mostrarsi per le strade e a redarguire la folla. L'intero mondo musulmano si
indignò; ancor più quando Habib Bourghiba bevve un'aranciata in pubblico, su una
piazza della città santa di Keruan, durante il digiuno del Ramadan, infrangendo
una delle regole dell'Islam. Era un gesto audace, che spiegò; dicendo che una
pratica religiosa non poteva impedire il funzionamento della nazione. I vecchi
istinti laici, assimilati durante gli anni di studio in Francia, e poi coltivati
con le letture mai abbandonate, l'hanno spinto a promuovere leggi senza
precedenti nei paesi arabi musulmani: anzitutto l'abolizione della poligamia e
la proibizione del ripudio della donna da parte del marito. La Tunisia è stata a
lungo un paese guida sul terreno dell'emancipazione femminile.
In trent'anni (dal '56, anno dell'indipendenza, all'87, anno della destituzione)
il bourguibismo ha avuto un percorso zigzagante: tante mode, tante ideologie
hanno influenzato la sponda meridionale del Mediterraneo: e la piccola Tunisia,
pur restando aperta e ospitale, si è dovuta adeguare o si è dovuta difendere.
Non è stato facile vivere tra l'Algeria rovente e la Libia invadente. Bourghiba
ha navigato passando, in economia, dal socialismo al mercato; e, in politica, da
timide spinte panarabiste a una via nazionale che è apparsa ai paesi fratelli
un'ingiuria. In trent'anni il despota illuminato si è logorato e appannato. Al
punto che il suo primo ministro (l'attuale presidente Ben Ali) l'ha destituito,
con un colpo di Stato, denunciando la sua senilit… . Habib Bourghiba Š morto
politicamente tredici anni or sono: ma il successore lo ha temuto sino alla sua
fine fisica, quasi fosse geloso della popolarit… e del prestigio del vegliardo
sempre pi— svanito. Per questo lo ha tenuto sotto sorveglianza, a Monastir,
limitando i suoi movimenti e consentendo le visite soltanto agli stretti
familiari e a rarissimi visitatori stranieri.
Le due anime del vecchio leader sono ancora vive nella Tunisia di oggi. Da un
lato c'Š un regime pi— poliziesco, meno tollerante, evidente continuit… , sia
pure in una forma pi— pesante, dell'autoritarismo di Bourghiba. Dall'altro c'Š ,
all'opposizione, una societ… civile tenace nel difendere le tracce .umanistiche.
lasciate sempre da lui, da Bourghiba. Il quale Š stato in definitiva un uomo al
quale la Tunisia andava stretta.
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FONTE: LA REPUBBLICA - 7/4/2000



PIER LUIGI GIACOMONI
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