da alessandra garusi: articolo di johan galtung su missione oggi di febbraio 2005



Vi mando qui di seguito il pezzo di Johan Galtung apparso su Missione Oggi
di febbraio 2005.
Cordialmente
Alessandra Garusi (per la redazione)


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Le alternative per un nuovo
ordine mondiale

Johan Galtung



GLI IMPERI VENGONO, GLI IMPERI VANNO. NESSUN IMPERO E' ETERNO. POTREMMO
DEFINIRE UN IMPERO COME UN INSIEME ARTICOLATO DI CONQUISTE MILITARI, DOMINIO
POLITICO, SFRUTTAMENTO ECONOMICO E PENETRAZIONE CULTURALE. NON C'E' SOLO UNA
DIMENSIONE ECONOMICA.



Un famoso pianificatore del Pentagono (Ralph Peters, colonnello dell'
Esercito americano durante gli anni '80 e '90, ndr), ha affermato che il
fine delle Forze armate degli Stati Uniti sia quello di rendere il mondo
sicuro per favorire l'interesse commerciale e l'offensiva culturale
americana, aggiungendo: "Toward this end there will be a fair amount of
killing" ("Per questo scopo avremo un numero non trascurabile di morti").
Per questo, a partire dal secondo dopoguerra, in seguito a 70 interventi
militari, gli Stati Uniti si sono resi colpevoli della morte di un numero di
persone compreso tra 12 e 16 milioni.

UNA NUOVA TEORIA

Io non sono antiamericano: sono contro l'imperialismo americano, e quindi
contro la guerra che provoca. Nel 1980 ho sviluppato una teoria sulla fine
dell'impero sovietico che aveva come fondamento la "sinergia delle
contraddizioni sincronizzate" e che prevedeva il crollo dell'Urss entro 10
anni, preceduto dalla caduta del muro di Berlino. Nell'ex-Unione Sovietica
erano presenti sei contraddizioni sincronizzate: quella tra l'Unione
Sovietica stessa e gli Stati satelliti, tra la nazione russa e le altre
nazioni dell'impero, tra aree urbane e rurali, tra borghesia socialista e
classe operaia socialista, tra liquidità e mancanza cronica di beni di
consumo, tra miti e realtà. E' possibile che un sistema possa dominare con
le baionette una contraddizione, ma quando tutte crescono e tra di loro si
crea una sinergia, allora bisogna cambiare il sistema per evitarne il
crollo.
Due mesi prima rispetto alla mia previsione, nel novembre del 1989, e' stato
abbattuto il muro di Berlino; subito dopo si e' smembrato l'impero
sovietico. Al momento gli Stati Uniti hanno ben 15 contraddizioni. Cinque
anni fa, nel 1999, ho azzardato che l'impero americano non sarebbe andato
oltre il 2025. Da quando e' stato eletto Bush, ho ridotto di cinque anni
questa previsione: nelle teorie sistemiche ciò si chiama "acceleratore di
sistema".

GOLPE FASCISTA O PROCESSO DI VERITÀ?

Quando tra quindici o venti anni un presidente americano dichiarera' alla
televisione che gli Stati Uniti ritireranno le proprie truppe di
occupazione, elimineranno tutte le loro basi militari dislocate all'estero,
e parteciperanno alle Nazioni Unite come uno Stato uguale a tutti gli altri,
allora potremo prevedere due cose: o che toglieranno il collegamento durante
il suo intervento, o che ci sara' un golpe militare fascista. Cio' e'
possibile. Siamo stati vicino a questo negli anni '30, durante la presidenza
Roosevelt. Cio' che dobbiamo fare fin da ora, e' insegnare al popolo
americano i valori dell'uguaglianza, far capire loro che non esistono popoli
scelti, che viviamo tutti sullo stesso pianeta e che insieme possiamo
migliorare le cose. Per fare questo c'e' bisogno dell'Onu, non dominata da
una sola potenza e nemmeno da un Consiglio di sicurezza dotato di poteri
esclusivi.
Gli americani non colgono il nesso strettissimo tra economia e guerre.
Sono convinto che negli Usa ci sia bisogno di un processo pubblico di verita
' e riconciliazione. E' importante ricordare che l'emancipazione dei
cittadini tedeschi dall'eredità del passato nazista, e' avvenuta proprio in
seguito a un percorso analogo che essi hanno compiuto non soltanto grazie
all'ammissione delle proprie colpe, ma anche grazie alla pubblicazione di
testi scolastici in cui la parola "Auschwitz" ricorre molto spesso. In
questo modo le generazioni che si sono succedute hanno avuto la possibilita'
di capire e di imparare. Una scossa positiva negli Stati Uniti favorirebbe
il processo di liberazione che sta avvenendo, ad esempio, in America latina,
processo che vedo destinato a sfociare nella costituzione degli Stati Uniti
dell'America latina, una nuova entita' istituzionale e politica, ma senza la
bomba atomica.

UN MODELLO FEDERATIVO PER AFRICA E MEDIO ORIENTE

L'idea di Abramo di indicare una terra promessa per un popolo eletto e'
interessante, ma, come dicono gli arabi, nessuno ha firmato questo patto, né
esiste una registrazione o un rapporto stenografico che lo attesti.
Credo nella legittimita' dell'esistenza di uno Stato israeliano e di uno
palestinese, ma non ritengo che la soluzione dei "due popoli, due stati" sia
la migliore. Oltre a un "bilancio militare" esiste anche un "bilancio di
pace". Israele e' troppo forte, la Palestina troppo debole. Dovremmo
piuttosto pensare a un modello federativo, a creare cioe' una comunita' di
Paesi mediorientali, di cui facciano parte uno Stato palestinese
riconosciuto, Israele, Siria, Libano, Giordania e Egitto, e in cui proprio
le nazioni arabe possano rappresentare un legittimo contrappeso rispetto a
Israele.
Dopo mille anni senza traccia alcuna di una cultura delle sinergie, questa
soluzione permetterebbe, sul modello della Comunità europea del 1958, l'
affermazione di un'economia cooperativa, confini aperti per la libera
circolazione delle persone, oltre che degli investimenti, nell'intera
regione. Del resto, la pace in Europa occidentale non si e' fatta sulla base
di un trattato tra Germania e Lussemburgo. E' stato creato un contrappeso
alla Germania, ed esso era rappresentato da Olanda, Belgio, Lussemburgo,
Francia e Italia.
Ho tenuto moltissimi seminari, conferenze, incontri in Medio Oriente, e ho
accumulato una lunga esperienza da cui ho tratto insegnamenti preziosi.
Occorre agire dal basso, coinvolgendo in modo ampio e costante quante più
persone e gruppi possibili della societa' civile della regione, perche'
discutano tra loro sul Medio Oriente in cui vorrebbero vivere. La pace sta
nel futuro, non in un dibattito senza uscita sulle colpe del passato.
Il modello federativo che ho proposto per il Medio Oriente vale anche per l'
Africa centrale. Qui, dove e' molto forte il peso dell'imperialismo europeo,
vedo infatti la possibilità della costituzione di una confederazione
bioceanica che comprenda Tanzania, Uganda, Rwanda, Burundi, RdCongo e Congo
Brazzaville. Parlo di una confederazione con confini aperti, dall'Oceano
Indiano all'Oceano Atlantico, attraversata da una ferrovia, a patto che non
venga costruita dagli europei: essi non conoscono la direttrice Est-Ovest,
ma solo quella Nord-Sud. Cio' rappresenta il loro "crimine geografico". Il
Sudafrica ha gia' fatto questo. Per quanto riguarda, inoltre, l'intero
continente, dobbiamo sostenere con forza il processo di unita' africana,
fortemente osteggiato da Europa e Stati Uniti. Noi occidentali non abbiamo
alcun diritto di mantenere le divisioni, ma solo il dovere delle scuse,
della ricompensa e della verita' nei confronti delle popolazioni africane
che abbiamo colonizzato e sfruttato.

LA TERZA GUERRA MONDIALE

Spostiamoci ora nella zona piu' delicata del mondo, quella che comprende
Cina, India e Russia. Proprio qui gli Stati Uniti stanno preparando la terza
guerra mondiale. Gli strateghi americani della Casa Bianca e del Pentagono
seguono una dottrina imperiale concepita da un geografo britannico nei primi
anni del '900, e che si puo' sintetizzare così: chi domina l'Europa
orientale domina l'Asia centrale; chi domina l'Asia centrale domina l'isola
mondiale (cioe' la regione che comprende Europa, Asia e Africa); chi domina
l'isola mondiale domina il mondo.
Questa tesi, evidentemente folle, gode di grande considerazione a
Washington. Essa viene riproposta nientemeno che nel più importante
documento che attesta l'attuale linea geopolitica americana, il documento
JCS570/2. Questo rappresenta la risposta all'interrogativo di Roosevelt
riguardo a quale linea di politica estera avrebbero dovuto tenere gli Stati
Uniti dopo la conclusione della seconda guerra mondiale. L'esigenza era
quella di rendere il mondo sicuro per i commerci americani. A questo scopo
furono individuate tre aree geografiche su cui imporre un rigido controllo:
l'Europa occidentale, l'Asia orientale e l'America latina del nord. Il
progetto fu concretizzato e formalizzato attraverso la sigla di tre distinti
trattati militari, rispettivamente la Nato, l'Ampo e il Tiap. Tornando alla
regione di Cina, India e Russia, appare subito evidente che essa presenta il
40% dell'intera popolazione mondiale e che si situa precisamente nel bel
mezzo dell'espansione della Nato, da una parte, e dell'Ampo dall'altra. Se a
questo poi aggiungiamo che gli Stati Uniti stanno prendendo il controllo
della regione grazie alla costruzione di numerosi avamposti militari, ad
esempio nelle repubbliche islamiche dell'ex-Unione Sovietica, e che i tre
Paesi in questione prevedibilmente raggiungeranno un accordo per il
controllo comune della zona, avremo tutti gli elementi per comprendere la
delicatezza della situazione.
L'idea poi di fare dell'Afghanistan e dell'Iraq due Stati unitari e' un'
illusione occidentale. Sul territorio iracheno convivono quattro
nazionalità: curda, turcomanna, sunnita e sciita. Su quello afghano ben
undici. Un modello federale è l'unica alternativa praticabile per questi due
Paesi.

JOHAN GALTUNG





Come riformare le Nazioni Unite

Come e' possibile gestire tutto questo? Lo strumento si chiama "Nazioni
Unite". Pero' nei prossimi 20 anni e' necessario introdurvi tre cambiamenti.
Innanzitutto e' necessario abolire nel Consiglio di sicurezza il diritto di
veto, un sistema feudale che non ha nulla da spartire con il mondo moderno e
grazie a cui gli Stati Uniti, che lo hanno utilizzato 76 volte, hanno potuto
paralizzare il funzionamento dell'intera organizzazione. Si deve inoltre
espandere il numero dei Paesi membri del Consiglio a 54, cioe' il numero
degli Stati presenti nel Consiglio economico e sociale, l'organo che dirige
con buoni risultati le agenzie speciali.
Infine occorre abolire l'articolo 12/A della Carta dell'Onu, che afferma che
sui temi di competenza del Consiglio di sicurezza, l'assemblea generale non
ha il diritto di promuovere risoluzioni.
Il secondo punto di riforma riguarda la democratizzazione delle Nazioni
Unite. E' necessario creare un parlamento che preveda un rappresentante per
ogni milione di cittadini. In questo modo avremmo un'assemblea con 1.250
cinesi, 1.000 indiani, 275 americani, 190 russi, 9 svedesi ecc. La presenza
degli occidentali in un parlamento siffatto si ridurrebbe al 22%: un buon
test per verificare la disposizione ai valori democratici che diciamo di
sostenere. La precondizione che sta dietro a questa soluzione, prevede che
tutti i rappresentanti non siano scelti e designati, bensi' vengano eletti
in elezioni democratiche, regolari, libere e segrete.
Il terzo e ultimo punto di riforma consiste nel trasferimento dell'Onu.
Credo che la sede ideale sia Hong Kong, dove si parlano le due lingue piu'
importanti, inglese e cinese.