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Accordi Ginevra per la Palestina



A tutti gli interessati!



Un piano per una pace possibile
Non è per caso che decidiamo oggi di pubblicare la sintesi degli accordi
"israelo-palestinesi" destinati a essere siglati "ufficialmente" il prossimo
20 novembre a Ginevra. Le virgolette sono d'obbligo perché si tratta di
accordi informali, costruiti nelle pieghe della società civile israeliana e
raccolti ufficialmente solo dalla controparte palestinese. Nondimeno
dimostrano la possibilità di un accordo di pace in medioriente. Non il
migliore degli accordi possibili - ad esempio viene sostanzialmente rinviata
la spinosa questione dei profughi palestinesi - ma un accordo possibile,
siglato da esponenti di entrambe le parti e garante di una convivenza
pacifica.
Questo accordo è stato prontamente sottoscritto da Arafat. I suoi detrattori
non faranno fatica a dimostrare che lo ha fatto strumentalmente. Con più
fatica, però, riusciranno a negare l'evidenza di quest'accettazione che
rimanda dall'altra parte del campo, a Tel Aviv, la responsabilità di una
risposta. Anche perché nel frattempo le adesioni internazionali all'accordo
aumentano coinvolgendo la stessa Unione europea.
Se questo accordo fosse oggi sottoposto a sondaggio non esiteremmo a
scommettere sulla sua schiacciante vittoria. In realtà, il desiderio di pace
e le accuse al governo Sharon sono due facce di una medesima medaglia dietro
la quale la distruzione di Israele non c'entra per nulla. Non accorgersene
o, peggio, gettare fango contro chi lo mette in evidenza non aiuterà né il
dialogo né, tantomeno, Israele.


Sa. Can.


I punti principali dell'intesa

L'obiettivo è stato individuato da tempo: la pace attraverso lo Stato
palestinese. Tuttavia, il metodo caldeggiato da chi ha concepito il nuovo
piano di pace israeliano-palestinese è rivoluzionario. In luogo della
politica dei piccoli passi sostenuta da dieci anni a questa parte, dagli
Accordi di Oslo alla "Road Map" dell'aprile di quest'anno, quei consumati
negoziatori che sono l'israeliano Yossi Beilin e il palestinese Yasser Abed
Rabbo, insieme a esperti e responsabili politici delle due parti, hanno
scelto di innovare, privilegiando un modo di procedere molto volontaristico,
enormemente facilitato, questo è vero, dalla natura non ufficiale del loro
percorso.

L'iniziativa, che sarà simbolicamente ratificata a Ginevra a metà novembre,
affronta direttamente ciò che finora è sempre stato rinviato all'ultima fase
delle presunte trattative: gli argomenti principali del contenzioso tra
israeliani e palestinesi.

Il piano, dunque, abborda il problema dei confini, dello statuto di
Gerusalemme, del destino delle colonie e di quello dei rifugiati. E' una
scelta che deriva dall'analisi della situazione, condotta dopo tre anni di
ininterrotte violenze.

Secondo gli artefici del piano, la pace ormai non può nascere se non dalla
soluzione, la più rapida possibile, di questi dolorosi problemi.
Volutamente, perciò, si eludono le condizioni di un eventuale ritorno alla
calma. Scartata anche l'ipotesi di una nuova fase transitoria, ritenuta per
forza fonte di frustrazioni, per la durata e per il contenuto.

Per quanto, in compenso, riguarda le risposte fornite alla sfida posta dalla
creazione di uno Stato palestinese accanto ad Israele, alla rottura nel modo
di procedere si affianca una evidente continuità con il contenuto degli
ultimi negoziati, tenuti ormai quasi tre anni or sono. Il filo conduttore
delle "discussioni di Taba" (Egitto) - le ultime per datazione intercorse
tra due delegazioni ufficiali israeliana e palestinese, nel gennaio 2001 -
viene ripreso e dipanato fino in fondo da un accordo che rientra, tra
l'altro, nel quadro dei "parametri" proposti dal presidente nordamericano
Bill Clinton prima di lasciare la Casa Bianca, nel dicembre 2000, venuti
meno così tragicamente nel vertice fallimentare di Camp David, sei mesi
dopo.

I princìpi
L'accordo sancisce l'esistenza di due parti: lo Stato di Israele e
l'Organizzazione di liberazione della Palestina (Olp). Esso riconosce "il
diritto del popolo ebraico a uno Stato" e "il diritto del popolo palestinese
a uno Stato". Il documento fa riferimento a tutte le iniziative ed accordi
precedenti, nonchéalle risoluzioni Onu nn. 242 e 338.

I redattori assicurano che esso rientra nel discorso del "presidente Bush" e
nel processo della "Road Map" del Quartetto (Stati Uniti, Unione Europea,
Russia, Onu).

L'obiettivo è quello della "riconciliazione storica tra i palestinesi e gli
israeliani", per approdare alla riconciliazione tra "il mondo arabo e
Israele".

Lo statuto permanente porrà fine a un'"epoca di conflitti e di violenza", a
pro di un'"epoca di pace, di collaborazione e di coabitazione".

L'applicazione del progetto d'intesa porrà fine a tutte le rimostranze delle
parti, che si impegneranno peraltro a non sollevarne di nuove.


I confini
La base del tracciato è costituita dalla Linea Verde, la linea d'armistizio
del 1949, combinata a margine con alcuni scambi di territori, per risolvere
una delle questioni più spinose del conflitto: quella delle colonie
ebraiche. Lo scambio avviene su basi di parità (in luogo del rapporto di 1 a
9 proposto nel 2000, a Camp David, dall'allora Primo ministro israeliano,
Ehud Barak).

In concreto, rimangono israeliani soltanto i principali quartieri di
colonizzazione di Gerusalemme Est (Givat Zeev, Gilo), la principale colonia
della Cisgiordania (Maale Adumin), una parte del "blocco" del Gush Etzion
(alcuni dei cui insediamenti sono anteriori alla creazione di Israele) e
altri insediamenti contigui alla Linea Verde.

In compenso, i palestinesi ricevono terre equivalenti nel Sud della
Cisgiordania e, soprattutto, lungo la Striscia di Gaza. Sono evacuate e
cedute, "intatte", ai palestinesi tutte le altre colonie (Ariel inclusa, nel
Nord della Cisgiordania). Si prevede un corridoio sotto sovranità
israeliana, per collegare Gaza alla Cisgiordania senza interferire con la
rete stradale israeliana. I tempi previsti per l'evacuazione sono di trenta
mesi, tranne che per la valle del Giordano, oggetto di un trattamento
particolare. Il territorio palestinese evacuato, dove si installa una "forza
multinazionale", è smilitarizzato. La Striscia di Gaza viene evacuata
integralmente.

Per questo periodo di trenta mesi, Israele conserva il diritto d'ispezione
sui movimenti di beni e persone nei punti d'accesso a questo territorio.
Entrambe le parti (i palestinesi sono di fatto direttamente interessati) si
impegnano a lottare contro il "terrorismo". Sono vietate le alleanze
concluse con Stati terzi apertamente ostili ad una delle due parti. Infine,
si creano due "stazioni di allerta" (basi di vigilanza) israeliane in
Cisgiordania, per un periodo di dieci anni.


Gerusalemme
La soluzione del caso di Gerusalemme avviene in base a un principio
"clintoniano", vale a dire la sovranità palestinese sulle zone popolate in
maggioranza da palestinesi e la sovranità israeliana in quelle
maggioritariamente popolate da israeliani. La conseguenza che ne deriva è la
spartizione politica della città, nella quale i due paesi possono insediare
le rispettive capitali riconosciute dalla comunità internazionale.

La città vecchia non sfugge a questa spartizione. Israele gode della
sovranità sul quartiere ebraico e il Kotel, il Muro del Pianto. La sovranità
sul resto della città vecchia, soprattutto sulla spianata delle Moschee (il
monte del Tempio per gli ebrei), spetta in compenso alla parte palestinese.
Nel caso della spianata delle Moschee/monte del Tempio, la sovranità
palestinese si esercita sotto controllo di un "gruppo internazionale" (con
il dispiegamento in loco di una "presenza multinazionale"). Israele conserva
l'accesso al cimitero ebraico del monte degli Ulivi. I due municipi così
creati costituiscono un "comitato di coordinamento e di sviluppo di
Gerusalemme", responsabile per i problemi comuni di edilizia, idrici, di
trasporto, economici e di polizia.


I rifugiati
Ad ogni palestinese rifugiato all'estero si propongono una serie di scelte,
sotto il controllo di una "commissione internazionale". I rifugiati possono
esercitare il diritto al ritorno nel quadro dello Stato palestinese così
creato, sia all'interno della Linea Verde, sia nelle parti di territorio
cedute da Israele. Possono anche optare per un paese terzo, per Israele, o
per rimanere nel paese di residenza. Israele resta tuttavia sovrano sul
numero di rifugiati autorizzati a rientrare in territorio israeliano. La
base stabilita al riguardo si calcola a partire dalla media dei rifugiati
accolti da ciascuno degli altri nuovi paesi di accoglienza. I rifugiati
hanno a disposizione due anni per fare la propria scelta. Al termine di
questo periodo essi perdono automaticamente lo statuto di rifugiati.

Il reinsediamento va insieme al versamento di indennizzi, a compensazione
dei danni subiti. A questo scopo, si costituiscono una "commissione
internazionale" e un "fondo internazionale". Per valutare l'ammontare delle
perdite, si istituisce un "panel" di esperti che, in capo a sei mesi,
comunica le proprie decisioni. Israele partecipa al finanziamento del fondo.
Si prevede un periodo di cinque anni perché tutti i casi siano risolti.

Trascorso questo periodo, non si accettano più ricorsi e si scioglie
l'organismo dell'Onu appositamente creato per venire in aiuto ai rifugiati
palestinesi all'indomani della creazione dello Stato di Israele (l'Unrwa).

Controllo, accesso ai Luoghi santi, liberazione dei prigionieri
Si costituisce un "gruppo di applicazione e di verifica" per "aiutare,
assistere, garantire, controllare e risolvere le controversie" connesse
all'applicazione dell'accordo. Esso è prevalentemente composto da Stati
Uniti, Unione Europea, Russia e Onu. Lo dirige un "gruppo di contatto", con
alla testa un "esponente speciale" che lo rappresenta in loco; sotto la sua
autorità è posta la "forza multinazionale", della quale designa il
comandante supremo.

Specifici accomodamenti sono previsti per la visita ai Luoghi santi ebraici
posti sotto sovranità palestinese, ad esempio le tombe dei Patriarchi a
Ebron, o la tomba di Rachele a Nord di Bethlemme. Il controllo di queste
visite spetta alla "forza multinazionale".

Il problema dei prigionieri è oggetto di un trattamento bilaterale. Essi
sono suddivisi in tre categorie. La prima concerne i detenuti da più antica
data (quelli detenuti da prima del 1994), le donne, i bambini, i malati e i
detenuti "amministrativi": questi saranno tutti liberati appena entrato in
vigore l'accordo. La seconda categoria riguarda le persone detenute dopo il
1994, che saranno liberate entro diciotto mesi al massimo. La terza
comprende i casi ritenuti più problematici (responsabili politici, o persone
implicate nell'organizzazione di un attentato): questi ultimi detenuti
saranno liberati dopo trenta mesi dall'entrata in vigore dell'accordo.


Dal quotidiano "Le Monde" a cura di Gilles Paris e Stéphanie Le Bars
Traduzione dal francese di Titti Pierini