PD e riarmo: Parisi



la risposta a PEACELINK la da Parisi oggi su
Repubblica: nessuna politica di pace al di fuori delle
alleanza milititari e nessuna riduzione delle spese
militari.

Luca

P.s allego anche un intervista che Parisi ha
rilasciato a famiglia Cristiana alcuni mesi fa.

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Repubblica. 03 marzo 2008

La Lettera

E per la prima volta entra nel programma la cultura
della difesa

Caro Direttore,
finalmente il programma di una forza politica, il
programma del Partito Democratico riconosce con una
nitidezza che non ha precedenti che “in un contesto in
rapida evoluzione contraddistinto da elevata
instabilità” con “ accresciute minacce alla sicurezza
interna”,“ l’Italia deve poter disporre di uno
strumento militare  che le consenta, in coerenza con
il mandato fissato dall’art.11 della Costituzione di
assicurare una adeguata difesa del territorio, di
svolgere da protagonista il ruolo che le compete nelle
alleanze internazionali. La lotta al terrorismo resta
esigenza essenziale da affrontare tramite le missioni
internazionali di cui siamo parte. “ Questa
consapevolezza non può essere disgiunta dalla
“necessità di una iniziativa che fermi la corsa al
riarmo convenzionale e nucleare”.
Pur nella loro essenzialità, queste proposizioni da
sole danno la prova del cammino fatto nella
maturazione di una cultura e di una responsabilità di
governo. Ne nel programma del 19996, ne in quello del
2001, e neppure in quello del 2006 è infatti
riscontrabile il riconoscimento delle esigenze della
difesa del paese e dei doveri che derivano all’Italia
dalla solidarietà internazionale in modo così chiaro.
Questo perchè la proposta programmatica avanzata dal
Partito Democratico lungi dal costituire una somma
delle posizioni dei partiti promotori, si propone come
uno sviluppo che è allo stesso tempo una sintesi e un
superamento delle tentazioni isolazioniste che avevano
connotato nel recente passato gran parte delle culture
di provenienza. E proprio l’assenza di questo chiaro
riconoscimento comune che nell’ultimo tratto di strada
ha affaticato purtroppo la maggioranza di governo,
impedendo di valorizzare il cammino fatto in questi
due anni e di mettere totalmente riparo al disastro
prodotto nel settore della Difesa dalla politica di
tagli selvaggi imposta dal ministro Tremonti durante
il governo Berlusconi.  Spero che la nitidezza
consentita dalla autonoma assunzione di responsabilità
da parte del PD possa alimentare in futuro quella
cultura della Difesa che non è stata disponibile in
passato, aldilà delle affermazioni propagandistiche
occasionali, in alcune aree di centrodestra così come
di centrosinistra. Spero che l’iniziativa del PD
contribuisca ad invertire la tendenza assicurando al
paese una cultura e una politica della difesa e della
politica della difesa comune e trasversale. Fino a
quando nel campo della difesa e della politica estera
non disporremo, al di là di possibili divergenze di
valutazione , di saldi e strabili riferimenti comuni
l’Italia non potrà che giocare nel mondo il ruolo di
greario e per di più di un greario sospettato
ingiustamente di inaffidabilità.


Famiglia Cristiana, 31/12/07

DIFESA
INTERVISTA AL MINISTRO ARTURO PARISI

LA VERA FORZA DELL’ITALIA

«È l’articolo 11 della Costituzione, che ripudia la
guerra ma accetta di difendere la pace nell’ambito di
organismi internazionali. Anche con le armi, quando è
necessario».



Dalle delicate missioni fuori confine all’impennata
delle spese: il ministro della Difesa Arturo Parisi
accetta di ragionare sui temi più scottanti in questa
intervista a Famiglia Cristiana. E rilancia: «Il
nostro Paese e le nostre Forze armate, con i circa
8.000 militari adesso impegnati all’estero, svolgono
un ruolo di pace».

Signor ministro, lei ha trascorso il Natale tra i
soldati italiani in Afghanistan. Come li ha trovati?
«Sereni, solleciti nel testimoniare, con i fatti, il
valore della solidarietà. Ho visto uomini e donne in
divisa caratterizzati dalla serenità di chi, eseguendo
un mandato delle istituzioni della Repubblica, sa di
fare il proprio dovere. La solidarietà cui facevo
cenno prima è quella di chi è consapevole di essere lì
per aiutare un popolo più sfortunato che va dandosi
istituzioni democratiche, capaci di promuovere e
sostenere la crescita socioeconomica. Se è vero che la
sicurezza non è tutto, senza un quadro di sicurezza
niente è possibile. Ma il quadro non basta. Dobbiamo
ora riempirlo, aumentando le attività finalizzate allo
sviluppo. Se le forze militari della comunità
internazionale lasciassero l’Afghanistan, la
situazione peggiorerebbe. Non possiamo girarci
dall’altra parte. Nonostante i pericoli e i rischi,
dobbiamo continuare».

A proposito di rischi: la situazione in Libano si sta
deteriorando? Teme attacchi contro le nostre truppe?
«No. Non abbiamo informazioni che segnalino rischi di
attacchi specifici contro le nostre truppe. Le
difficoltà della situazione interna al Libano e la
permanenza delle tensioni nella regione ci invitano,
tuttavia, alla massima vigilanza. Dopo un mese di
guerra segnato da 1.400 morti, il solo annuncio della
missione dell’Onu Unifil2 – che l’Italia sostiene con
passione – ha messo a tacere le armi. Il silenzio dura
da cinque mesi. In questo periodo si è persa una sola
vita: quella di un artificiere libanese, morto mentre
sminava. È questa la novità che stiamo proteggendo e
siamo chiamati a proteggere. Forse non è ancora la
pace. Di certo non è la guerra».

Cosa cambia nella politica di difesa che lei coordina?

«Il nostro cambiamento ha un nome antico, anzi un
numero: 11, l’articolo della nostra Costituzione che
ci impegna al ripudio della guerra come azione
indiscriminata contro persone colpevoli di appartenere
a un popolo o di vivere in un determinato territorio.
Ma lo stesso articolo ci chiama all’impegno attivo per
la pace, partecipando alle organizzazioni
internazionali che la promuovono o la difendono, e
cedendo a esse una parte della nostra sovranità. Come
altri dettami della Costituzione, anche l’articolo 11
era stato in passato parzialmente inattuato. È giunto
il momento di dare a esso compiutamente seguito:
dicendo no alla guerra, ma anche sì alla pace.
Condividendo con le nazioni di buona volontà i rischi
che ciò comporta».

Spese militari: qualcuno ha parlato di "Finanziaria di
guerra". Complessivamente ci si aggira sui 20 miliardi
di euro. Un aumento, a spanne, del 10 per cento. Dov’è
la discontinuità con il Governo precedente?
«Guardi che le spese che stanno veramente crescendo
sono sotto gli occhi di tutti, ma nessuno le vede.
Pensi alle porte sempre più blindate, alle polizie
private, all’acquisto di armi per autodifesa, alla
crescita della criminalità organizzata. Di fronte al
diffondersi della "violenza ingiusta", l’uomo non ha
trovato finora altra risposta che quella di affidare
il monopolio della "forza legittima" allo Stato, sotto
il controllo della legge. In questa prospettiva, ogni
Paese deve fare la sua parte: da solo e insieme con
gli altri. La sicurezza ha dei costi. All’interno di
ogni Paese come all’esterno. Costi dolorosi in vite
umane e in risorse. Se vogliamo continuare a dormire
sonni tranquilli, bisogna che qualcuno vigili su di
essi. Se non vogliamo regredire all’autodifesa
personale, o metterci come Paese sotto la protezione
altrui, sono costi che non possiamo non pagare. Su
questo piano, la discontinuità col passato è che
mentre il Governo precedente riconosceva a parole la
sicurezza e la difesa come obiettivi prioritari, nei
fatti, nonostante i ripetuti allarmi del ministro che
mi ha preceduto, distruggeva il bilancio, tagliando
pesantemente le risorse. La recente Finanziaria ha,
invece, corretto questa tendenza, portando la
percentuale del Prodotto interno lordo dedicata alla
Difesa dallo 0,84 per cento del 2006 allo 0,96 per
cento del 2007. Siamo ancora lontani dall’1,15 per
cento raggiunto in passato e, soprattutto, dall’1,41
per cento che rappresenta la percentuale media di
spesa dedicata dagli altri Paesi europei alla propria
difesa. L’aumento non è dovuto alla promozione di
nuovi e costosi programmi, ma alla necessità di far sì
che gli impegni precedenti siano onorati, evitando al
Paese di dover pagare sanzioni a seguito delle sue
inadempienze. Questa correzione è stata in gran parte
resa possibile dalle risorse liberate dalla
valorizzazione di immobili non più pienamente
utilizzati dalla Difesa».

L’ipotizzato assemblaggio, a Cameri, degli F35, aerei
che possono portare testate nucleari, agita le
comunità piemontesi e inquieta le coscienze...
«Premesso che è bene che le coscienze continuino a
vigilare, pur nei limiti di un’intervista alcune cose
le posso dire. Innanzitutto, voglio precisare che la
definizione del programma in questione è stata avviata
nel 1996 dal nostro stesso Governo per iniziativa
dell’allora ministro Andreatta, che con lungimiranza
si interrogava sulla necessità di sostituire, ripeto
sostituire, alcuni aerei ora in servizio che si
immagina di radiare a partire dal prossimo decennio.
Alla fine del processo di sostituzione, il numero di
aerei complessivo sarà pari a circa la metà degli
aerei disponibili all’inizio. La scelta è guidata
dalla necessità di garantire alla nostra Aeronautica
velivoli efficaci, con il minimo impegno finanziario,
pur ricordando che non stiamo parlando di biciclette.
Il fatto che possano portare testate nucleari –
osservo infine – non significa che le porteranno. Non
sarà l’arma a guidare il nostro braccio, né il braccio
a guidare le nostre intenzioni. Un coltello, una
pistola, un caccia..., quello che conta è il disegno
che li guida. E il nostro è scritto, come ho detto,
nell’articolo 11: le armi a nostra disposizione
saranno usate soltanto per difenderci e per impedire
la violenza ingiusta, utilizzando la forza, e solo la
forza necessaria, a contrastare l’attacco».

Lei è cattolico. Come concilia le sue convinzioni con
l’impennata delle spese militari, giacché la Chiesa è
contraria al proliferare degli armamenti?
«Ognuno è chiamato a difendere la vita in risposta
alla sua vocazione. La vicenda libanese ci dice che
senza le nostre Forze armate avrebbero potuto esserci
altre migliaia di morti innocenti. Fin quando saremo
dentro il dramma e le contraddizioni della storia, la
violenza ingiusta sarà sempre con noi. Ed essa dovrà
essere innanzitutto prevenuta con tutti i mezzi
pacifici disponibili, sostenuti dalla testimonianza e
dalla profezia. Ma, quando questi non fossero
sufficienti, come ci ha ricordato Giovanni Paolo II,
il contrasto della "violenza ingiusta" non può
privarsi dell’accesso alla "forza legittima". Una
forza che è chiamata a essere la minima possibile,
senza tuttavia potersi alleggerire della necessità di
essere forza. Solo un abbraccio forte può impedire al
dramma di trasformarsi in tragedia. Ciò vale
all’interno del Paese, dove la forza della legge ha
come alleati i costumi, le relazioni interpersonali, i
valori, e, a maggior ragione, vale all’esterno, dove
spesso si trova sola di fronte alla furia
dell’aggressione».

Alberto Chiara