il quattro novembre








Forse non ci facciamo più caso, ed è pure peggio, ma siamo in guerra.
Ce ne siamo accorti di tanto in tanto, quando, per dirla con Fabrizio de
Andrè, "hanno rimandato a casa le loro spoglie nelle bandiere legate strette
perché sembrassero intere". Dei soldati italiani. Gli altri non contano.
Di vecchi e bambini, di donne e di uomini, i civili - come li chiamano,
forse per ridurli a entità astratta, forse per distinguerli dagli incivili,
che fanno la guerra -, che i soldati si trovano a massacrare più o meno
casualmente, non si fa quasi menzione. Sono esseri lontani, di costumi
diversi, e sotto sotto, diciamocelo, per una curiosa mistura di maldigerito
relativismo culturale e fondamentalismo occidental-cristiano, ci paiono pure
in qualche modo inferiori. In fondo, il loro dolore non è meno sopportabile
di quello che ha dovuto patire quel pollo succulento che abbiamo divorato a
pranzo, e che qualcuno ha ammazzato per noi.
Anche gli afghani o gli iracheni, qualcuno ammazza per noi.

Il capolavoro è stato quello di farci accettare supinamente la condizione di
guerra perenne.
Non ci indigniamo più.
Non ci indigniamo più per i massacri.
Almeno finché non ci arrivano sotto casa.
Finché a morire sono gli altri.

Ci hanno spiegato che c'è il terrorismo internazionale.
Ci hanno spiegato che dopo l'11 settembre il mondo non era più lo stesso.

Non che prima non ci fossero guerre e massacri. C'erano. Le guerre venivano
combattute in remoti angoli di mondo qualche volta da fazioni o stati
foraggiati dall'Occidente, qualche volta per assicurare petrolio o diamanti
all'Occidente, qualche volta per consumare armi prodotte in Occidente. O
cose del genere.
Non era sempre così. Ma quand'era così, e lo era spesso, le nostre
responsabilità di occidentali con la pancia piena e gli occhi chiusi
diventavano, diventano, ancor meno sopportabili.
In quest'ipotetico Occidente includeremmo l'Unione sovietica di allora,
impegnata anch'ella a reperire risorse, e far crescere il suo bacino
d'influenza. E per quella pax mafiosa che chiamavamo guerra fredda,
per quell'equilibrio costruito sulla paura dell'apocalisse nucleare, i
conflitti non si erano mai allontanati dalla dimensione regionale. Non ci
toccavano.
Altri si scannavano per noi.
Poi a Berlino è caduto il muro e a New York le Twin Towers.
L'equilibrio si è rotto, e i morti hanno preso a fioccare anche qui.
In questo senso, e solo in questo, il mondo non è più lo stesso.

Non dirò, non mi interessa farlo, che "l'11 settembre" sia un complotto
ordito da Bush per giustificare ciò ch'è avvenuto dopo. Altri lo dicono.
Non dirò, non mi interessa farlo, che Bin Laden sia anima bella che si batte
per difendere gli oppressi. Altri lo dicono.
Io non lo so.
L'uno e l'altro - ammesso che il secondo esista e non sia un'invenzione del
primo, come il Goldstein di "1984" -, sono facce della stessa medaglia.
Medaglia che il demiurgo cesella con pazienza, in un percorso di decenni o
secoli, passando attraverso la morte di Dio, o dell'Etica  - "Se Dio non c'è
tutto è permesso", (Karamazov) -, il consolidarsi di un utilitarismo rozzo,
arraffone, individualista, violento con i deboli, servile coi potenti,
amorale, erede dei colonialismi e dei fascismi, degenerato in quella
mutazione antropologica che, nel passaggio dalla cultura contadina, legata
alla terra - ai suoi ritmi, lentezza silenzi solidarietà -, a quella
industriale e postindustriale - velocità frastuono competizione
alienazione -, ha avuto compimento.
La società dei consumi, della televisione, e l'uomo ad una dimensione.
C'è una regia in tutto questo?
Non lo so.
Ma tutto questo è.

Cosa siamo diventati?
Verrebbe da sorridere, se non ci fosse da piangere, per le reciproche accuse
che La Piazza e Il Principe si scambiano.
Anche se, a definir principi Prodi o Berlusconi, ci vuol coraggio.
La Piazza accusa Il Principe di essersi arroccato, chiuso in una casta, di
impunibili arroganti privilegiati, intenta solo ad amministrare clientele a
suo esclusivo profitto. Quasi tutto vero.
Il Principe accusa La Piazza di essere agitata da invidiosi che solo
lamentano di esser stati esclusi dalla grande abbuffata. Quasi tutto vero.
Con un'unica non trascurabile differenza: chi detiene il potere ha enormi
responsabilità, controllando l'industria culturale, sulla degenerazione
etica ed estetica delle popolazioni, di cui è anch'egli vittima (pensate a
Fassino che va da Maria De Filippi); ed avrebbe anche
gli strumenti per porvi rimedio. Se solo volesse.

Da sempre, il popolo chiede panem et circenses, e questo Il Principe lo sa.
E solo quando il pane, o le brioches, cominciano a scarseggiare, il popolo
prende a scalpitare. Questo Il Principe ha imparato a sue spese.

Ma cosa siamo diventati?
Se assistiamo senza fiatare alle stragi di innocenti in guerre compiute in
nome nostro e per il nostro benessere?
Se sulla spiaggia dove prendiamo il sole approdano cadaveri di esseri che
fuggono la fame, la miseria, le guerre, e noi lasciamo tranquillamente
affogare, salvo rinchiudere, se per ventura scampino alle onde, in campi di
concentramento, e rispedire, se sopravvivono, nei luoghi da cui fuggono?
Cosa siamo diventati?
E non ci consoli pensare che forse così siamo sempre stati.
Mostri.

Il 4 novembre, ogni anno, si celebra una festa.
Celebrazione dei caduti della Prima Guerra. Una mattanza che soldati poveri
e malvestiti, molti partiti dalla nostra isola, hanno inflitto o subito, per
nome e conto di governanti che oggi come ieri non pagano dazio, e non
mandano figli in guerra.
Ogni anno assistiamo alla retorica patriottarda degli eroi e dei martiri.
Niente di male, forse, se si pensa al giusto e commosso ricordo di figli e
nipoti di tante persone talvolta umili che, senza chiedersi perché,
partirono, quando non era di moda la disobbedienza, ad ammazzare e farsi
ammazzare, per allargare gli orizzonti di gloria di governanti di mezza
tacca, nelle guerre di sempre.
Tanto di male, invece, se si pensa alla cultura che si propaganda: quella
del credere, obbedire, combattere. Quella del non chiedersi il perché delle
cose. Quella di chi strumentalizza le guerre di ieri - imbellettandole con
fanfare e pennacchi, quando sono invece sangue, ventri sbudellati, rantoli e
puzza -, per non far pensare a quelle di oggi.
Tanto di male, invece, se si pensa, alla teoria di nostalgici figuri vestiti
di nero che tali celebrazioni riportano a galla.
Tanto di male, invece, se si pensa alla vetrina che costituiscono per
livree, porpore e divise, intente tutte a legittimare e perpetuare un
sistema di potere basato su indottrinamento, irreggimentazione, ignoranza,
asservimento al modello di consumo e razzia dominante.

Occorre fermarsi a pensare. E occorre esprimere dissenso. Quantomeno se si
sia convinti che questo non sia il migliore dei mondi possibili.
Ma stiamo attenti.
Sistemi consolidati come il nostro prevedono, consentono, auspicano una
moderata azione di dissenso proprio per propagandare un pluralismo, una
tolleranza che di fatto non esistono.
Agitare bandiere della pace, marciare per la pace in marce organizzate dai
partiti che votano le guerre, e cose simili, può servire a poco.
Anzi, serve a zittire le nostre coscienze, a convincerci che quanto potevamo
abbiamo fatto, e tirare i remi in barca.
Il nostro marciare, ancorché pacifico (altrimenti si giustifica la
criminalizzazione del dissenso), in questo inizio secolo, ha mai salvato una
e una sola vita umana? Chiediamocelo.

Ogni anno, il 4 novembre, A. R., pacifista di lungo corso, sbarca a
Cagliari, e, alle nove del mattino, è al Parco delle Rimembranze.
Persona di straordinaria limpidezza, esprime le sue idee con semplicità e
pacatezza: il sì sia sì, e il no sia no; la guerra uccide e non si deve
fare; la guerra è scorciatoia che impedisce il dialogo con chi la pensa
diversamente; la guerra umanitaria è ossimoro che nasconde altri interessi;
le controversie internazionali si risolvono con la mediazione,
l'interposizione nonviolenta, i corpi civili di pace, la solidarietà
internazionale; le guerre sono volute dai potenti e subite dai popoli.
Sostituire al principio d'interesse il principio di giustizia, semplicemente.
Questa sua fede ha pagato di persona: portato in giudizio per aver affisso
manifesti che invitavano i giovani a "fare una pernacchia" all'indirizzo
della divisa militare e processato per "vilipendio alle forze armate".
O quando si è esposto alla gogna mediatica o alle angherie della polizia,
presentandosi, solo o quasi, alle parate militari, con cartelli antimilitaristi.
O quando bussava alla porta delle caserme, distribuendo la "preghiera di San
Francesco" e invitando a "non uccidere".
E' persona che ha il coraggio delle proprie idee.

Come ogni 4 novembre, sarò con lui e con i pochi che vorranno esserci. Ci
invita a portare al braccio un nastro in segno di lutto verso le vittime
innocenti di tutte le guerre, delle guerre in corso, delle guerre a cui il
nostro paese partecipa direttamente, con proprie truppe, o indirettamente,
pagando eserciti privati.
Ci invita anche a portare striscioni con parole e pensieri di pace e contro
la guerra.

Non è ancora abbastanza.
Dovremmo scendere nelle strade, e con la forza dei nostri corpi pacifici,
bloccare la vita della nazione, di tutte le nazioni, finché non cessino le
guerre criminali nel mondo, finché agli interessi particolari dei mercanti
d'armi o delle compagnie petrolifere, non si sovrapponga la necessità delle
donne e degli uomini di vivere in pace tra loro, con tutti gli esseri del
pianeta, e col pianeta.
Non è ancora abbastanza, anzi è quasi nulla.
Però, andare a manifestare il nostro dissenso in maniera forte, farlo
durante le parate che il potere allestisce per autocelebrarsi, rendere
evidente il rifiuto della logica bellicista e guerrafondaia è davvero il
minimo che potremmo\dovremmo fare.
Almeno disturbare il manovratore.

Domenica ci saremo. E potrebbe anche essere l'inizio, se vorremo, di un
percorso che porti il movimento per la pace ad una sua maturità, che non può
non passare dalla mera testimonianza, talvolta strumentalizzata da interessi
partitici, ad un'assunzione diretta di responsabilità delle persone, che
attraverso la lotta nonviolenta riescano a diventare il cambiamento, per
dirla con Gandhi, che si vorrebbe vedere negli altri.


                                                              Sandro Martis


Sotto, il testo del volantino che A. R. ci propone di fotocopiare e
diffondere, il 4 novembre.
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OGGI SIAMO QUI PER CONTESTARE LA PARTECIPAZIONE DELL'ITALIA ALL'ENNESIMO
CONFLITTO "UMANITARIO", IN VERITA' UNA VERA E PROPRIA GUERRA, IN
AFGHANISTAN, CHE VIOLA L'ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE.
IN AFGHANISTAN, A CAUSA DEI BOMBARDAMENTI "INTELLIGENTI" DELLA NATO, MUOIONO
ASSASSINATI, QUASI TUTTI I GIORNI, CIVILI INNOCENTI, SOPRATTUTTO BAMBINI!
IL PARLAMENTO, A PRESCINDERE DAGLI SCHIERAMENTI POLITICI, ED IL PRESIDENTE
DELLA REPUBBLICA, CONTINUANO AD AVALLARE QUESTE COSI' DETTE "MISSIONI DI
PACE", RENDENDOSI DI FATTO COMPLICI DI QUESTA CARNEFICINA!!
E' ORA DI DIRE BASTA!!
L'ITALIA DEVE RITIRARE IMMEDIATAMENTE IL CONTINGENTE MILITARE DAL TERRITORIO
AFGHANO.

Partecipano alla manifestazione: singoli, associazioni, ecc. ecc.

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