meta certa, cammino incerto



 
Non mi meraviglio delle mie incertezze e oscillazioni nei giudizi concreti verso un fine indubitabile come è la pace nella giustizia. Non presumo certezze e sicurezze che non ho. Non penso che basti affermare il principio assoluto, così come certo non vale il pragmatismo senza princìpi. Il lavoro politico merita rispetto e fiducia quando è la fatica del cammino, che conosce la meta e cerca - anche a tentoni - i passaggi possibili. Purché davvero guardi e voglia la meta giusta.
 
Ieri, 2 luglio, scrivevo a Peppe Sini ("La nonviolenza è in cammino", nbawac at tin.it) sottoscrivendo la sua lettera che chiede al Presidente Napolitano di far cessare la complicità italiana nella guerra in Afghanistan, pur rendendomi conto dei tempi politici, e non solo del principio costituzionale e morale:
 
"Mi associo a questa lettera al Presidente. Posso comprendere che la politica abbia tempi, problemi, vincoli, che non permettono l'esecuzione immediata di ciò che si vede giusto. Ma devo attendermi che i responsabili della politica che comprendono ciò che è giusto dichiarino la volontà chiara di farlo al
più presto possibile, cerchino i modi e le vie realistiche per realizzarlo, avviino procedimenti concreti per attuarlo, costruiscano modi civili per aiutare il popolo afghano a liberarsi da guerra e terrorismo, due mali
speculari, che si causano a vicenda. Ciò che è giusto oggi è dissociare l'Italia politicamente e militarmente anche da questa guerra in Afghanistan, come si è fatto in Iraq, se non altro per il motivo elementare che essa produce il contrario degli effetti che furono accampati a sua giustificazione".
 
Oggi, 3 luglio, comprendo le considerazioni politiche di Lidia Menapace, che stimo da sempre per la sua volontà di pace dentro la fatica e le strette del lavoro politico. Spero proprio che le possibilità che lei intravede siano reali. Rimane forte il dubbio che la presenza militare sia utile, senza ambiguità, al fine civile.
 
Sotto il titolo "Afghanistan : la pace è possibile (malgrado la NATO)", Lidia scrive:

"Per strano che possa sembrare, la conferenza sullo stato di diritto in Afghanistan è una buona premessa per far ripartire la proposta della conferenza internazionale di pace, unica iniziativa effettivamente contro la guerra, a parte le declamazioni  di turno.  

  In effetti l'Italia mostra di aver preso sul serio la parte assunta, cioè di agire soprattutto, se non esclusivamente, per la ricostruzione del paese e per la sua formazione in stato di diritto; e di non voler mutare le regole d'ingaggio dei militari italiani che dunque stanno trasformandosi più in custodi dello status quo, che non in combattenti.

 Gli Usa hanno fatto di tutto per trascinarci nella mischia, dicendo che l'offensiva di primavera dei Talebani ci  avrebbe coinvolti e che i nostri soldati non avevano nemmeno ciò che serviva per difendersi. Quello è stato il momento di gran lunga più brutto in tutta l'estenuante vicenda afgana: siamo rimasti/e in grande ansia, fino a che non si è visto che la famosa offensiva di primavera dei Talebani era l'offensiva della Nato contro i villaggi . A questo punto persino Parisi ha protestato, proprio perché il più preso in giro è stato lui.

  Ora c'è una linea del governo italiano che si può riprendere e far vivere, mettendo le basi per la conferenza di pace, la traduzione in linguaggio politico dell'anelito "Ritiriamo le truppe" che assomiglia sempre più a quelle forme di antinucleare che basta che le bombe vengano portate via, invece che  chiederne la distruzione. Ho sempre detto che venir via senza nemmeno chiedersi quale sorte avrebbero le donne afgane mi sembra ingiusto, anche se della sorte delle donne pochi  si occupano: noi donne non facciamo parte di nessun discorso sui diritti. Basta citare il processo di Brescia per Hina e le proteste delle femministe israeliane contro il loro dimesso presidente porcello, che accusato di stupro da numerose dipendenti ha avuto l'accusa trasformata d'ufficio in  molestie. 

 Per  fortuna in  Afghanistan le contrapposizioni religiose sembrano meno aspre che in Iraq e forse si può comporre uno stato di diritto degno di questo nome.

 La cosa è urgente perché la stella di Bush in declino diffonde veleni e pericoli. E dall'Europa di destra vengono pure segnali funesti. E' molto significativo che nella recente visita in Europa abbia beccato poco e che l'incontro con Putin non sia stato un successo, e soprattutto che proprio durante la visita del presidente russo vi sia stata una manifestazione che chiedeva l'impeachment per Bush ".

 

Buona salute, buon coraggio, buona resistenza, buona speranza.
Enrico Peyretti