Re: [Ticket#: 2006112110001016] Gli elettori dell'Unione esigono spiegazioni [...]



Cara Organizzazione...,  o caro Staff...,  ma a chi sto parlando?
    Un nome di persona sarebbe gradito e renderebbe il colloquio più umano. Magari Prodi stesso, nei limiti del possibile, a cui ho scritto tre o quattro volte e due volte mi ha risposto da Bologna, scivendo a mano e dandomi del tu, ben gradito. Oppure Parisi, che conosco da quando eravamo giovani.
    Tralasciando altri punti, colgo queste frasi nella tua risposta (che ho diffuso nell'ambiente pacifista): "per diffondere la pace servono anche forze militari con mezzi e strumenti adeguati, la missione in Libano lo insegna. Fare una politica di pace non significa mandare i nostri in missioni di pace, senza i mezzi e l'equipaggiamento atto a garantire le più normali norme di sicurezza".
    La convinzione più matura nella cultura della pace è che la pace va cercata coi mezzi della pace, perchè il militare sa fare la guerra e non la pace.
    Lo so: si dice che fa azione di polizia. Anche con l'intenzione sincera, la formazione e l'attrezzatura del militare non è di polizia, ma di guerra. Il segnale che dà alle popolazioni, anche se non è al momento aggressivo, non è di pace.
    La formazione umana per fare azioni di polizia deve essere ben diversa da quella del soldato. Purtroppo non è diversa in tanti casi nel mondo, lontani e vicini. La polizia può usare la forza, nei modi e limiti legali (non come a Genova!), e quando agisce bene limita la violenza. L'esercito è fatto per competere in violenza, e sa solo accrescerla. Forza e violenza vanno distinte, non confuse: la forza costruisce, la violenza distrugge.
    Comunque, in mancanza di una vera polizia internazionale dell'Onu - sempre impedita dalle maggiori potenze - , ben venga anche, provvisoriamente, in via surrogatoria, una presenza militare inviata dall'Onu a scopo di interposizione tra belligeranti. Tanti di noi non hanno condannato la spedizione in Libano come invece hanno condannato quelle in Iraq e in Afghanistan. Finita, a giorni, finalmente, la presenza in Iraq, attendiamo il ritiro militare dall'Afghanistan.
    La solidarietà con le popolazioni, l'aiuto a costruire strutture civili proprie ad ogni cultura, il sostegno alla legalità interna e internazionale, dovunque, sono lavoro per interventi civili assai più che militari.
    Lo sciagurato errore globale degli Usa e alleati nel contrastare il terrorismo (già alimentato dalle iniquità storiche strutturali e culturali mondiali) scatenando enormi mezzi militari, violando i diritti umani, sospendendo la democrazia, dimostra la stoltezza radicale della potenza senza intelligenza e moralità, che è disastrosa criminale aggiunta di violenza a violenza.
    Solo la forza della nonviolenza, forza umana, civile, solidale, coraggiosa - come già alcuni significativi gruppi di volontari hanno fatto e fanno (si veda in breve il dossier di Missione Oggi, novembre 2005, sui Corpi Civili di Pace; missioneoggi at saveriani.bs.it) - può resistere e ridurre, e prima di tutto può non provocare la seconda violenza ribelle alla prima violenza del dominio. Infatti, tutto il male nasce dalla ingiustizia e dal dominio. Il sistema mondiale è iniquo per volontà dei più potenti, e produce violenza per natura sua. Ne è consapevole la nostra politica?
    Abbiamo chiesto all'Unione e al nuovo governo, sia prima che dopo le elezioni, cinque punti precisi, che copio in calce. Salvo mio errore, solo i Corpi Civili di Pace, sul piano europeo, sono inclusi nel Programma.
    Gli elettori critici dell'Unione, pacifisti e nonviolenti, possono capire che i problemi sono tanti, accumulati, che i tempi non possono sempre essere rapidi, per mille ragioni evidenti e non evidenti, ma, prima di perdere la fiducia (che alcuni già perdono), hanno bisogno di ricevere segnali di una forte volontà di politica di pace coi mezzi della pace.
    Le frasi citate sopra, tratte dalla vostra risposta - vorrei sbagliare nell'interpretarle - mi sembrano purtroppo indicative del fatto ben noto che la classe politica, in generale, su quasi tutte le posizioni, con poche eccezioni, non ha una cultura positiva di pace. Intende come pace il non fare la guerra per primi, ma non vede, non conosce una forza superiore alla violenza delle armi, non impara dalla storia reale delle lotte nonviolente la possibilità di gestire i conflitti, di rispondere alle aggressioni, senza replicare la violenza omicida.     Perciò intitolavo un mio intervento "Dal minimo di guerra al massimo di pace". In generale, la cultura politica corrente è pronta a fare meno guerra possibile, ma non sa sviluppare i mezzi della pace, continua a gettare negli armamenti (anche strutturalmente aggressivi) fiumi di risorse sottratte alla vita dei popoli, e a lasciare troppo spazio nella politica internazionale alla logica delle armi e alle alleanze bellicose.
    Noi abbiamo pazienza, sappiamo che la causa della pace ha da superare ostacoli mentali millenari; noi non abbiamo una visione settoriale della politica e della situazione nostra italiana attuale. Ma non possiamo smettere di premere sulla coalizione di centro-sinistra, fino a quando un cultura positiva della pace coi mezzi civili della pace non sarà chiara e consapevole nella parte del paese che (purtroppo debolmente) privilegia, o deve privilegiare, la giustizia economica, il diritto dei popoli, le istituzioni di pace, rispetto al liberismo economico aggressivo, violento e provocatore.
    Enrico Peyretti
Bibliografia Difesa senza guerra:
 
P.S. - Il 20 dicembre 2005, il Movimento Nonviolento e il Movimento Internazionale per la Riconciliazione inviavano a chi di dovere nell'Unione queste proposte:
1 - ridurre le spese militari almeno del 5% annuo progressivo, per finanziare forme di difesa nonviolenta quali i Corpi Civili di Pace, unico mezzo degno per dare aiuto e solidarietà democratica ai popoli vittime della guerra;
2 - spostare su un apposito capitolo di spesa il denaro sottratto al bilancio del Ministero della Difesa, per istituire il Ministero per la Pace, dotato di portafoglio, per adottare una rigorosa politica costituzionale di pace che obblighi a ripudiare la guerra come metodo di risoluzione delle controversie;
3 - cominciare subito il ritiro continuo e completo della presenza militare italiana di appoggio alla guerra e occupazione dell'Iraq;
4 - decidere l'espulsione dall'Italia delle molte decine di bombe nucleari presenti nelle basi Usa, in violazione clamorosa e inammissibile della Costituzione e dei patti internazionali;
5 - ripristinare e rafforzare la legge 185, limitativa del commercio delle armi, commercio che è causa primaria dei conflitti omicidi nel mondo, e disumano criminale esercizio del profitto economico.

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----- Original Message -----
From: "Organizzazione - Romano Prodi" <organizzazione at romanoprodi.it>
To: "Enrico Peyretti" <e.pey at libero.it>
Sent: Wednesday, November 22, 2006 6:46 PM
Subject: [Ticket#: 2006112110001016] Gli elettori dell'Unione esigono spiegazioni [...]

Caro Enrico,
condividiamo con te, i nostri elettori ci hanno votato per avere delle scelte  politiche volte a diffondere la pace.
Devi riconoscere che le scelte fatte in questi primi 6 mesi, in particolare: ritiro dall'Iraq e missione in  Libano , stanno contribuendo in modo sostanziale a diffondere la pace.
Riferendosi alla finanziaria in effetti sono stati incrementati i fondi a disposizione delle forze di sicurezza e delle forze militari, per diffondere la pace servono anche forze militari con mezzi e strumenti adeguati, la missione in Libano lo insegna.
Fare una politica di pace non significa mandare i nostri in missioni di pace, senza i mezzi e l'equipaggiamento atto a garantire le più normali norme di sicurezza.
Per quanto riguarda le forze di sicurezza, dopo i tagli del precedente governo la Polizia , i Carabinieri e la Guardia di Finanza non avevano neanche le risorse necessarie per acquistare la carta per gli uffici, e la benzina per le auto, ripristinare tali fondi era un'atto dovuto.
Il governo Prodi  è e sarà sempre per una politica che ponga la pace come obiettivo fondamentale e primario.
Cordiali saluti a presto.

Lo staff di incontriamoci




> Gli elettori dell'Unione esigono spiegazioni e correzione, perché hanno
> votato per una politica di pace.
> Enrico Peyretti, Torino
>
>
>
>
> -------- Messaggio Originale --------
> Oggetto: A proposito di finanziaria...
> Data: Tue, 21 Nov 2006 10:16:57 +0100
> Da: Deiana Elettra <
deiana_e at camera.it>
> A: <
lisa.clark at libero.it>
>
>
>
>           * *
>
>
>           *Intervento in Aula di Elettra Deiana, 7 novembre. Discussione
>           sulla finanziaria*
>
>
>           *Con questo intervento voglio segnalare un punto, che il mio
>           gruppo ritiene particolarmente critico, del disegno di legge
>           finanziaria in esame: quello relativo alle spese militari, in
>           particolare il fondo destinato a finanziare i programmi di
>           armamenti. Noi siamo contrari a questa scelta, in
>           considerazione di quello che riteniamo dovrebbe essere un
>           diverso equilibrio tra tagli e incrementi di spesa, sia per
>           ragioni relative alle politiche di difesa che sottendono
>           determinate scelte in materia di armamenti.
>           Nel rapporto 2006 del Sipri, il più prestigioso istituto di
>           ricerca sul disarmo nel mondo, ci viene consegnato un dato
>           allarmante sulle spese militari a livello internazionale; tali
>           spese sono caratterizzate da un incremento significativo nel
>           2005: 1.120 miliardi di dollari, ben 83 in più rispetto al
>           2004; il che costituisce il 2,5 per cento del PIL mondiale.
>           Gli USA sono ovviamente in testa alla classifica, ma anche
>           l'Italia non scherza, signor sottosegretario. A dispetto dei
>           molti discorsi che vengono fatti da diverse parti sulla
>           pochezza dell'impegno finanziario per la difesa, l'Italia dopo
>           la Germania si trova al settimo posto tra i paesi che spendono
>           in armi, rientrando pienamente nel /club/ dei G7 delle spese
>           militari. Ovviamente, per avere un'idea precisa della quantità
>           di fondi destinati a questo settore bisogna andare oltre il
>           bilancio ordinario della difesa, conteggiando in finanziaria i
>           vari fondi destinati alle missioni militari e quelli a
>           copertura di spese di armamenti, come avviene in questa
>           finanziaria, che prevede l'istituzione di un assai sostanzioso
>           fondo destinato a finanziare, appunto, i programmi di
>           produzione militare.
>           Questo particolare capitolo di spesa, tra l'altro - qui mi
>           rivolgo con particolare urgenza al Governo -, richiede, o
>           dovrebbe richiedere, una specifica ed approfondita
>           discussione, che non è mai avvenuta in passato e che mi auguro
>           invece il Governo dell'Unione voglia predisporre: una
>           discussione non solo sulla valenza sociale della destinazione
>           di così cospicue risorse pubbliche agli armamenti - quando la
>           tendenza storica in atto, in parte confermata da questa
>           finanziaria, è quella di tagliare su voci fondamentali di
>           /welfare/ -, ma anche e soprattutto, dal punto di vista
>           militare, sul significato politico e strategico di tali
>           scelte. A quale strategia di difesa, a quale strategia delle
>           alleanze, a quale ruolo geopolitico dell'Italia sono utili e
>           funzionali tutti quei sistemi di arma elencati doviziosamente
>           nella nota aggiuntiva allo stato di previsione per la difesa
>           per l'anno 2007 (quelli finanziati appunto dal fondo di cui
>           parlavo sopra)?
>           E ancora: qual è la convenienza economica, in termini di
>           politiche industriali, di questi finanziamenti? Voglio
>           limitarmi, per evidenti ragioni di tempo, ad un solo esempio,
>           quello del /Joint Strike Fighter/. L'Italia nel 2001, con il
>           Governo Berlusconi, si impegnò ad investire 1.192 miliardi di
>           dollari in ricerca e sviluppo negli USA dal 2002 al 2012. Tale
>           decisione si basava su diverse considerazioni, che possono
>           essere ricondotte sinteticamente a due. La prima riguardava
>           l'orientamento della marina e dell'aeronautica militare di
>           sostituire i loro velivoli di attacco al suolo, che stanno
>           invecchiando (i famosi /AMX/ e parte della flotta dei
>           /Tornado)/. L'argomento invocato era, di conseguenza, che
>           entro il 2012 le Forze armate italiane avrebbero avuto bisogno
>           di un nuovo aereo tattico d'attacco al suolo, complementare
>           all'/Eurofighter/, che è un velivolo aria-aria da superiorità
>           strategica.
>           Il secondo argomento riguardava l'industria bellica, cioè le
>           convenienze che sarebbero derivate al nostro paese dal
>           coinvolgimento nel progetto statunitense GSF come un'occasione
>           unica per l'industria italiana aerospaziale e di difesa, in
>           termini di subappalti e di ricerca tecnologica. Questa scelta
>           - al riguardo richiamo l'attenzione del sottosegretario - è
>           avvenuta al buio, senza nessuna adeguata discussione e
>           trasparenza sui problemi di fondo, come per esempio l'impatto
>           sulla dottrina militare e sulle implicazioni strategiche che
>           la scelta del /Joint Strike Fighter/ comporta.
>           Questi sono soltanto alcuni dei problemi connessi al
>           programma. Per stessa ammissione dell'areonautica militare, le
>           esigenze di difesa aerea del nostro paese sarebbero già
>           coperte dall'impegno nel progetto di acquisto di una grossa
>           quota di esemplari del caccia europeo di nuova generazione
>           /EF-2000 Typhoon/, e quindi il progetto GSF, sempre per
>           ammissione delle gerarchie militari dell'aeronautica, potrebbe
>           rivelarsi indirizzato soprattutto ad un aumento di potenza
>           offensiva.
>           Quindi la scelta è avvenuta - mentre negli ambienti militari
>           si fanno queste considerazioni - espropriando completamente il
>           Parlamento di chiarezza e trasparenza sulle potenzialità
>           strategiche dell'argomento in discussione. Di conseguenza, ci
>           dobbiamo chiedere - lo chiedo a lei, signor sottosegretario -
>           che cosa l'Italia avesse allora in mente (ed abbia oggi in
>           mente, nel momento in cui si reitera il finanziamento al GSF)
>           quando ha compiuto e quando compie tale scelta di armamento.
>           In altre più esplicite parole, quali missioni di bombardamento
>           offensivo - è stata questa una tematica sollevata anche
>           dall'ex capo di Stato maggiore dell'esercito, il generale
>           Fraticelli - l'Italia pensa che future guerre? Contro quale
>           tipo di nemico? E soprattutto, chi chiederà all'Italia di
>           compiere tali missioni?
>           Il Governo Berlusconi - che su questo ha avuto il grande
>           merito della chiarezza più esplicita - non ha mai nascosto la
>           sua condivisione in ordine alle strategie di guerra, o
>           comunque di invasive operazioni militari, dell'amministrazione
>           Bush. Un programma come il GSF è funzionale a tali strategie.
>           Questo è il punto relativo alle strategie, su cui non c'è
>           trasparenza. Non si capisce a cosa serva questo programma così
>           costoso.
>           Il Governo Prodi, quindi il nostro Governo, condivide? Che
>           cosa dice sull'aspetto dei costi elevatissimi? Vorrei sapere
>           che cosa dice il Governo sulla valenza strategica e che cosa
>           dice sull'aspetto dei costi elevatissimi. Costi tali che a
>           livello internazionale sono stati sollevati dubbi e
>           perplessità circa la stessa realizzabilità del progetto da un
>           punto di vista della contabilità. Cito i dubbi dell'organo di
>           controllo delle spese del Congresso statunitense, che ha
>           sollevato appunto molte perplessità sull'eccesso, che si
>           incrementa sempre di più, delle spese per il GSF, e cito i
>           dubbi della Corte dei conti olandese, che afferma come la
>           partecipazione allo sviluppo del programma esponga i Paesi
>           Bassi a rischi finanziari. E molte Corti dei conti di altri
>           paesi europei, impegnati come l'Italia nel programma, sono
>           orientate a relazioni di questo tipo.
>           In conclusione, il nostro gruppo, ed io personalmente,
>           crediamo che il capitolo sulle spese militari destinate alle
>           armi e agli armamenti debba essere radicalmente rivisto,
>           sottratto al cono d'ombra nel quale da troppo tempo è
>           confinato, praticamente delegato agli ambienti militari e
>           all'industria militare, e quindi restituito al controllo e
>           alla decisionalità del Parlamento.
>           Ciò deve avvenire in stretto collegamento con le nostre scelte
>           di politica estera e nel rispetto del troppo dimenticato
>           articolo 11 della Costituzione. E dunque per l'Italia vi è la
>           necessità di ripensare il concetto di difesa, connesso al
>           tentativo di rilancio dell'ONU al quale sta cercando di
>           contribuire. Insomma, già a partire da questa legge
>           finanziaria, si devono rivedere gli impegni di spesa per
>           armamenti, così incautamente assunti dal Governo e presentati
>           nel provvedimento in esame. *
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