Ratzinger



E' stato eletto un Papa reazionario e intransigente

Penso sia inutile fare stupidi giri di parole per dire quello che - seppure con
un po' di paura visto il clima da caccia alle streghe che si respira nella
Chiesa cattolica da un po' di tempo - si può affermare a chiare lettere di: è
stato eletto un papa reazionario e intransigente. La prima cosa che mi è venuta
in mente alla notizia dell'"elezione" di Ratzinger, è stata la conferma
scontata
della mancanza di democrazia all'interno della Chiesa cattolica e la sua
volontà
di arroccarsi sempre più; infatti, alla marea di gente che al funerale di
Giovanni Paolo II chiedeva a gran voce un successore che fosse pastore, il
Collegio dei cardinali, con insensibilità e impassibilità, ha imposto un papa
conservatore, curiale e chiuso al dialogo. Almeno ci è stata evitata la tortura
di sentirci dire che "bisogna aspettare prima di giudicare": Ratzinger il
programma del suo pontificato lo ha già enunciato prima della nomina a
papa. Con

lui, finalmente, si giocherà a carte scoperte, sia dentro che fuori la Chiesa
cattolica.

Da anni la Congregazione per la Dottrina della Fede da lui presieduta, sforna
documenti tanto chiari, quanto intolleranti; e si contano a decine i processi e
i provvedimenti canonici emessi contro vescovi, teologi sacerdoti e suore.
Nella
Chiesa si vive un clima di sospetto e troppi teologi sono costretti a scrivere
in modo conformista oppure a tacere. Uomini e donne che si sono distinti per il
loro pensiero critico e per la loro energica volontà di riforme, sono stati
trattati con metodi da Inquisizione. Non avveniva da secoli che nella Chiesa ci

fosse tanto terrore ad esternare le proprie idee. In questi ultimi anni, si
sono
rafforzati i tratti di una Chiesa intollerante, arrogante, inumana, che
parla di
diritti dell'uomo all'esterno, ma non li rispetta al suo interno.

Il conclave si era aperto nel segno di Jospeh Ratzinger, il custode-carabiniere
della dottrina cattolica. Nel corso della messa pro eligendo Pontefice,
l'omelia
del cardinale tedesco, era stato una sorta di "comizio elettorale
programmatico", un inno all'ortodossia, un tentativo di condizionare le scelte
future della Chiesa. Ratzinger aveva snocciolato uno ad uno i pericoli che nel
secolo passato hanno insidiato i cattolici: «Quanti venti di dottrina abbiamo
conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode
del pensiero - si era lagnato il cardinale - la piccola barca del pensiero di
molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, gettata da un
estremo all'altro». Una vera e propria condanna della modernità. Infine aveva

lanciato un avvertimento alla Chiesa cattolica: «Il relativismo, cioè il
lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l'unico
atteggiamento all'altezza dei tempi moderni. Si va costituendo una
dittatura del
relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima
misura solo il proprio io e le sue voglie». I cristiani di oggi, aveva
proseguito il cardinale «rischiano di rimanere fanciulli nella fede, in
stato di
minorità». Ecco allora la necessità di un duce forte capace di guidare la nave
della Chiesa fuori dalla tempesta. L'omelia si era conclusa con un lungo
applauso sostenuto dalle migliaia di fedeli che seguivano la celebrazione dai
maxi schermi di piazza San Pietro. Nel Vangelo è presente spesso la gente che
acclama Gesù, ma gli evangelisti ci tengono a fare una netta distinzione tra
popolo e folla: il primo è cosciente di ciò che è e fa, la folla al contrario è
informe e incosciente: osannerà Gesù acclamandolo re e, pochi giorni dopo,
griderà "crocifiggilo". In queste ultime settimane abbiamo visto tanta folla in
piazza San Pietro e poco popolo; soprattutto dopo la nomina del nuovo pontefice
la gente che aveva invocato il papa-pastore, "tradita" dai porporati, ha
continuato ignara ad applaudire.

Quella folla, come dice Oriana Fallaci in Un uomo, «ordinata, disciplinata,
intruppata, davvero gregge che va dove vuole chi comanda, chi promette, chi
spaventa, a occhi chiusi tanto non c'è neanche bisogno di vedere la strada, la
strada è un fiume compatto di lana che approderà alla piazza scelta dal potere
in carica … piazza Venezia a Roma e viva Mussolini, piazza San Pietro in
Vaticano e viva il papa, Alexanderplatz a Berlino e viva Hitler, piazza Rossa a
Mosca e viva Stalin, anzi viva Krusciov, anzi viva Breznev, viva chi capita,
cioè viva chi sta in cima alla montagna, mai viva i cristi che muoiono
perché le
pecore diventino uomini e donne».

E allora giù applausi scroscianti, come "fanciulli in stato di minorità"!

Con il pontificato di papa Ratzinger la Curia romana tornerà ad essere
accentratrice e autoritaria; altro che apertura al mondo, altro che governo
collegiale della Chiesa, altro che sinodo dei vescovi deliberativo, altro che
Chiese locali valorizzate, democrazia e partecipazione dei fedeli alla vita
ecclesiale e alla nomina dei vescovi; dovremo dimenticare definitivamente i
gesti ecumenici di apertura all'altro, le discussioni vere con il
coinvolgimento
di tutti, sulla morale sessuale, sul celibato dei preti, sul sacerdozio alle

donne. Sembrano profetiche le parole del cardinale Yves Congar: «E' per me
palese che la Curia di Roma non ha mai cercato né cerca che una cosa sola:
l'affermazione della sua autorità. Il resto non le interessa, se non come luogo
di esercizio di questa autorità. Salvo un certo numero di casi,
rappresentato da
uomini di santità e di iniziativa, tutta la storia di Roma è rivendicazione e
affermazione della sua autorità, e distruzione di tutto quello che non si
conforma alla sottomissione».

L'imposizione di un pensiero unico e l'esclusione di chi non si conformava ad
esso, è stato il programma del Kardinalbuldozer Ratzinger. Il Dicastero
vaticano
da lui presieduto ha escluso e relegato ai margini, autentici testimoni di Gesù
Cristo, colpevoli di aver urtato il potere, battuto vie nuove, quelle strade su
cui subito cominciano a camminare gli ultimi, i poveri di Dio, e sulle quali
invece inciampano, scandalizzati, i benpensanti. Nel suo breve e scarno
discorso
pronunciato dalla loggia di San Pietro subito dopo l'habemus papam e in quello
solennemente pronunciato in latino nella terrificante cornice della cappella
Sistina, mi ha colpito che il papa Benedetto XVI non abbia fatto alcun
riferimento alle tante guerre che affliggono l'umanità; e non ha mai citato i

poveri, quei poveri che sono il cuore dell'impegno della Chiesa, presenza reale
di Gesù stesso. Non è possibile essere cristiani senza i poveri. Non ce la
caviamo senza di loro. Se essi sono perdenti, noi perderemo con loro. Non ce la
caviamo se non insieme.

La solidarietà è l'avvenire della Chiesa; solidarietà coniugata
inscindibilmente
con la logica dell'inclusività. La parabola evangelica del granello di senape

che diventa un albero frondoso, «e fa rami tanto grandi che gli uccelli del
cielo possono ripararsi alla sua ombra» è il paradigma della Chiesa-altra che
sempre più cristiani sognano. Una Chiesa inclusiva, che non emargina, non
usa la
pesante scure del giudizio su nessuno, una Chiesa degli esclusi e non
dell'esclusione, capace di accogliere, di portare tutti nel suo seno.

Al nuovo papa regalo una frase del Mahatma Gandhi: «La verità si difende non
facendo soffrire il nostro avversario, ma soffrendo noi stessi».

Anche se umanamente so che, dopo la dolce primavera del Concilio Vaticano II e
la radiosa estate dell'era Wojtyla, ora tutto lascia intravedere un periodo
buio
per la vita della Chiesa, un inevitabile autunno, se non addirittura un
terribile inverno, cristianamente non posso che sperare: noi cristiani crediamo
ai miracoli, crediamo all'intervento della tenerezza di Dio nella storia
dell'umanità: quel Dio Padre-Madre che, come racconta inequivocabilmente il
Vangelo, sa trasformare le cose umanamente impossibili in possibilità
sconvolgenti.

Don Vitaliano della Sala

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L'autoritarismo ha bisogno
di obbedienza,
la democrazia di
DISOBBEDIENZA____________________________________________________________Navighi
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