[Nonviolenza] Archivi. 216



 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)

Numero 216 del 20 novembre 2016

 

In questo numero:

1. Alcuni testi del mese di settembre 2016 (parte sesta)

2. Lazzaro Casusceri: L'illustre pianista

3. Lucio Emilio Piegapini: La verita' sul delitto di Cipro

4. "Anche per il suo bene". Una lettera aperta alla ministra per le riforme costituzionali ed i rapporti con il Parlamento che domani sara' a Viterbo

5. I cattivi compagni

 

1. MATERIALI. ALCUNI TESTI DEL MESE DI SETTEMBRE 2016 (PARTE SESTA)

 

Riproponiamo qui alcuni testi apparsi sul nostro foglio nel mese di settembre 2016.

 

2. LAZZARO CASUSCERI: L'ILLUSTRE PIANISTA

 

Ho ritrovato ieri in fondo a un cassetto questo biglietto da visita:

"Alfredo Ercole Bistolfi-Malipiero

Pianista

Compositore - Esecutore - Didatta"

e sotto l'indirizzo di via Baciadonne 99/E (che e' il palazzo dove abito tuttora anch'io, all'interno A).

Fu il mio solo, vero, grande maestro di vita. Quanti anni saranno passati da quando e' morto?

*

Quando Alfredo Ercole Bistolfi-Malipiero giunse nella nostra cittadina fu un evento culturale e mondano. Almeno per noi del "Circolo Domenico Scarlatti" che lo accogliemmo maestro e donno.

Il nostro circolo era intitolato al sommo Scarlatti giacche' ai suoi tempi l'illustre compositore aveva fatto visita alla nostra amena cittadina (che all'epoca era poco piu' che un borgo selvaggio intorno all'austero palazzo rinascimentale e poi imbarocchito dei conti Serafini-Mangrossa, ove Scarlatti era stato acclamatissimo ospite) e vi aveva tenuto un concerto secondo tutte le testimonianze sublime; non solo: successivamente menziono' il nostro grazioso paese in una sua lettera, a dire il vero in termini non troppo lusinghieri (pare che il maestro si adontasse del fatto che taluni nostri eminenti concittadini lo confusero col di lui padre, l'egregio Alessandro, peraltro da lui amatissimo), ma tanto basto' perche' il nostro sodalizio di amici della musica s'intitolasse ad essolui.

Presieduto dalla contessa donna Eulalia Serafini-Mangrossa, il "Circolo Domenico Scarlatti" faceva opera di promozione della cultura musicale, organizzando in una sala all'uopo predisposta della patrizia residenza apprezzate conferenze ed acclamati concerti con vivo concorso di pubblico (perlomeno dei soci del circolo medesimo, che nel momento di massimo fulgore della benemerita istituzione erano in numero di diciotto). La contessa era solita invitare musicisti e conferenzieri di vaglia, e gli incontri - nei primi tempi in numero di due, tre all'anno - erano sempre prestigiosi e non di rado oserei dire trionfali.

Ma fu con l'arrivo e la successiva residenza appo noi del Maestro Bistolfi-Malipiero che il circolo Scarlatti raggiunse l'apice della sua gloria, tenendo dipoi per anni ed anni sessioni pressoche' settimanali, delle quali - come associato il piu' giovane - fui modestamente ed indefettibilmente il verbalizzante (e assai mi duole che all'epoca in cui mi allontanai dal paese il registro delle adunanze andasse misteriosamente perduto).

*

Alfredo Ercole Bistolfi-Malipiero era qui giunto preceduto dalla sua fama: un corrispondente autorevolissimo della contessa gliene aveva annunciato l'arrivo in gran segreto, e segreto resto' anche il nome dell'autorevolissimo corrispondente e mentore poiche' mai la contessa volle rivelarlo ad alcuno degli altri membri del circolo, e si congetturava che fosse di sangue reale, poiche' la contessa era notoriamente in cospicue relazioni epistolari sia coi Borbone che coi Savoia, sebbene personalmente fosse un'elettrice del Partito di unita' proletaria per il comunismo, per una particolare affezione che nutriva per l'on. Lucio Magri ("elegante come Lord Brummel"), per Luigi Pintor ("cui mai seppi perdonare l'aver abbandonato la musica per la letteratura, esercitata peraltro in quelle sue bribes, in quei suoi morceaux su lunari ed effemeridi"), per Rossana Rossanda (con cui era stata educata, ai tempi dell'impero austro-ungarico che pero' la contessa aveva il vezzo di chiamare Sacro Romano Impero, dapprima in Vienna e dipoi ad Aquisgrana sempre presso le Orsoline).

L'illustre corrispondente di sangue blu le aveva cantato le lodi dell'eccelso pianista, di cui peraltro nessuno di noi membri del circolo sapeva nulla oltre quanto la contessa volle ostenderci della ricevuta comunicazione epistolare, cosicche' quando giunse ne fummo due volte catturati: e per l'alone della fama e per l'aura ben piu' possente del mistero.

Ma non fu per la fama o per il mistero che successivamente lo eleggemmo a nostro arbitro e guida, bensi' per le sue magnificamente esibite qualita' di uomo e di artista, di pensatore e di consigliere.

*

Il Maestro detestava parlare di se', della sua opera, delle sue esecuzioni, si appassionava invece a rievocare quelli che lui chiamava "gli autentici maestri", e tra essi soprattutto quelli "alla cui scuola aveva avuto il privilegio di assidersi", e subito aggiungeva: "beninteso senza alcun mio merito, per loro mera benevolenza, dacche' gli autentici maestri sono cosi', e cosi' devono essere: essi donano, donano, donano e per se' nulla chiedono giammai, paghi di servire con la loro arte all'elevazione morale e civile dell'umanita', paghi di testimoniare con la loro virtu' la grandezza della nostra comune specie; questo l'arte infatti ci comunica: che l'umanita' puo' essere libera e solidale, e quindi libera e solidale deve essere, e indefettibilmente lo sara'. Che viva l'internazionale futura umanita'" (concludeva con questa frase tutti i suoi discorsi, come Catone con Carthago delenda est).

Aveva vissuto a Lisbona e vi aveva conosciuto Pessoa al tempo di "Orpheu"; aveva frequentato il circolo scacchistico di Vienna e giocato col grande Steinitz; nella nostra povera patria si era trovato con l'amico Pirandello a complottare per burla (ma forse no) contro il teatro di cartapesta di quell'arrampicatore sociale di D'Annunzio (di Pirandello diceva che certe cadute d'infima e infame cortigianeria erano mere miserie dell'uomo empirico, ma l'opera, ah, quella era magnifica, e dello stesso parere era il comune maestro Georg Simmel). Era in corrispondenza con Victoria Ocampo, ma chi non era in corrispondenza con Victoria Ocampo a quei tempi? A Darmstadt aveva cavallerescamente "incrociato i ferri con il buon Karlheinz, di cui va tanto di moda parlar male e che invece era una pasta d'uomo", e li' aveva conosciuto Franco Battiato con cui scambiava sonetti giocosi, rebus e cruciverba. Di Giulini diceva che la musica aveva trovato il pastore in grado di ricondurla alla casa dell'essere. Diceva anche che se l'Italia nel Novecento qualche merito aveva, era di aver dato i natali a Benedetti Michelangeli e a Busoni. Se parlava di Glenn Gould subito cominciava a piangere, tanto forte era la commozione: era un pianto lieve, silenzioso, le lacrime scorrevano sulle guance, il volto immoto, rapito, bello come la Vittoria di Samotracia. Seppi che tra gl'infiniti inediti di Frank Zappa c'era un duetto in cui Zappa alla chitarra e al kazoo e lui al piano e al tamburello si erano sfidati in un'improvvisazione su un'idea di Miles Davis, presente John Cage che aveva anche filmato l'evento e poi "come gli capitava sempre" aveva perso la pellicola, perche' un giorno la uso' per farcisi i lacci delle scarpe ("John era cosi', e' chiaro che il venerabile Arnoldo - e intendeva Schoenberg - non poteva sopportarlo ne' come allievo ne' come compare di bevute"). A Parigi aveva fatto vita di boheme, va da se', e in quello che chiamava "il sottobosco esistenzialista" era stato amico di tout le monde, ma piu' di tutti, e' ovvio, di Boris Vian, con il quale per un certo periodo aveva anche suonato nelle caves con la faccia e le mani tinte di nerofumo. In Isvizzera era stato ospite presso la Baronata, e li' aveva conosciuto Bakunin e Cafiero, e rimproverava Bacchelli per averli alquanto maltrattati in quel suo del resto godibilissimo romanzo; certo, Bakunin aveva i suoi difetti, ma era un animo nobile, come tutti i russi del resto, e ricordava Herzen, Tolstoj, Kropotkin...

Era vegetariano, per le ragioni di Ruskin che persuasero Gandhi; ed aveva fondato con Aldo Capitini la Societa' vegetariana italiana. Con Ernesto Buonaiuti, Gaetano De Sanctis, Piero Martinetti e Vito Volterra aveva vinto il torneo di calcetto "Primavera di Bellezza" a Fiuggi negli anni Venti e di tale successo sportivo andava particolarmente orgoglioso (la loro squadra si chiamava "Stratone di Lampsaco" ed il motto della tifoseria costituita dai molti parenti e i pochi amici era "Insorgere per risorgere"). Aveva conosciuto Simone Weil e Simone de Beauvoir da giovani, ed una volta aveva assistito a un loro incontro con Hannah Arendt, e diceva che come Botticelli e Canova aveva visto le tre Grazie.

Aveva una cultura immensa: noi gli chiedevamo: "E Bartok? E Ligeti? E Billie Holyday? E Pete Seeger? E Nina Simone? E Willie Nelson? E Freddy Mercury?", e lui, sicuro, mite, ricostruiva personalita', interpretava stili, notomizzava tecniche, analizzava nel dettaglio le opere, snocciolava aneddoti ed aveva parole di stima per tutti; mai gli sentii dire una parola men che urbana, men che gentile, ed anche ove era evidente che aveva delle riserve le esprimeva con tale garbo che sarebbero state da chiunque ben accette. Di ogni autore, di ogni opera, di ogni corrente culturale sapeva indicare il contesto storico, la genealogia, le dialettiche interne ed esterne. Noi lo ascoltavamo incantati.

Era per l'opera d'arte totale, l'opera d'arte dell'avvenire, ma detestava Wagner con tutto il cuore (prova ne era che mentre evitava per principio di pronunciare parole di condanna, sovente diceva che "si', talora scriveva buoni versi. Il povero Nietzsche nei suo confronti esagero' due volte, nell'encomio, che tuttavia non fu servo, e nell'oltraggio, che tuttavia non fu codardo"), invece apprezzava Gaslini. Propugnava un'arte musicale concettuale, citava sempre Duchamp e - non so perche' - Gauguin; pensava a una musica fatta di mero pensiero, di pura percezione e di immagini eidetiche, ne aveva parlato tante volte con Arthur Schnitzler e Ludwig Binswanger; e soprattutto con John Cage, che pero' ogni ragionamento lo buttava in zen, cosicche' si chiedeva spesso se John sapesse quello che faceva, o fingesse di saperlo, o fingesse di non saperlo, e se quel sapere non fosse che finzione, cioe' invenzione, che poi e' la verita' poiche' la realta' e' costruzione percettiva e tutti i valori sono pensiero che si obiettiva in relazioni e convenzioni condivise, e vale per l'arte quel che Leopardi colse nella Comparazione delle sentenze di Bruto minore e di Teofrasto vicini a morte, scilicet che ogni valore, la virtu' stessa (e quando il Maestro Bistolfi-Malipiero pronunciava la parola "virtu'" - che era una delle sue preferite - l'animo ti si allargava poiche' promanava e soffiava da quella parola una fragranza di liberta' e felicita' e impetuoso un vento che ti trascinava sulle barricate) altro non e' che cultura, parola, pensiero che si fa mondo, "e per dirla con quel sonante, risonante, sognante endecasillabo di Borges: no hay otra virtud que ser valiente, che poi e' la stessa cosa che dice Saba quando in un suo capolavoro quella voce angelica canta: esser uomo tra gli umani / io non so piu' dolce cosa". Era per questi convincimenti teorici che nonostante avesse un gran coda Steinway & Sons nel minuscolo salotto del suo quartierino mai lo vidi ad esso avvicinarsi e suonare alcunche' in presenza di un sia pur minimo pubblico - neppure dinanzi a me solo.

In Germania aveva letto gli scritti musicali di E. T. A. Hoffmann, e sosteneva che l'intera sua opera di scrittore fantastico fosse una vasta e complessa crittografia musicale. Credo conoscesse a memoria tutti gli articoli di Montale sulle prime alla Scala. Come i saggi teorici di Umberto Barbaro sul cinema. Parlava sovente di Massimo Mila, ma quando parlava di Mila subito cominciava a parlare di Giustizia e liberta', di Franco Venturi, di Leone Ginzburg, con tale trasporto che presto gli occhi gli si velavano di pianto.

Sosteneva che le persone che piu' lo avevano influenzato fossero Maria Callas e Virginia Woolf. E subito aggiungeva: "naturalmente oltre Simone Weil e Hannah Arendt" (queste ultime dichiarava essere le massime pensatrici morali e politiche del XX secolo).

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Ebbi la fortuna di entrare in particolare confidenza col Maestro Bistolfi-Malipiero fin dal suo arrivo qui a Casavecchia: io ero il piu' giovane membro del circolo Scarlatti e l'unico che abitasse in via Baciadonne, nello stesso edificio in cui la contessa Serafini-Mangrossa, protettrice delle belle arti e soccorritrice dei bisognosi, aveva alcuni appartamenti solitamente sfitti dato che l'edificio era assai umido, uno dei quali con la sua ben nota liberalita' diede in comodato d'uso gratuito all'illustre panista di bel nuovo tra noi giunto, arredandoglielo altresi' con il gran coda di cui gia' dissi sopra.

Scendeva spesso la sera a chiedermi se avessi dello zucchero, del caffe', del miele, ed io volentieri gliene offrivo. Anche perche' avevo un negozio di generi alimentari e quindi quei prodotti non mi mancavano mai, e poiche' era l'unico negozio di generi alimentari del paese e al bancone c'ero sempre e solo io quanto ad alimentazione sapevo tutto di tutti, e cosi' lo sapevo che il Maestro mangiava poco e nulla; presi pertanto l'abitudine ogni sera rincasando di fargli dono di alcune poche derrate che lui accettava solo alla condizione che gli giurassi che essendo alimenti deperibili e non piu' commercializzabili non si trattava di una perdita per me, ed io naturalmente giuravo, pietosa bugia che per anni gli ammannii e di cui ora sorrido.

La domenica, che era l'unico giorno in cui non lavoravo (il resto della settimana avevo il negozio di famiglia da mandare avanti) facevamo delle lunghe passeggiate e lui mi raccontava a ruota libera aneddoti e motti e viaggi e storie che ascoltavo avidamente - io non m'ero mai mosso dal paese - e al termine di ogni passeggiata mi ripeteva sorridendo che mi guardassi dal voler essere il suo Eckermann, il suo Boswell.

Una volta gli chiesi chi piu' di ogni altro pregiasse tra i suoi maestri, e mi rispose che erano stati diversi e ricordarne uno avrebbe significato essere ingrato a troppi, ma se proprio doveva acconsentire a giocare questo vecchio gioco della torre avrebbe voluto dire Juan de Mairena, che era stato anche maestro di don Antonio ("don Antonio", per lui, era ovviamente don Antonio Machado, di cui amava citare i versi ad ogni pie' sospinto), e monsieur Chouchani che aveva conosciuto a Parigi grazie a Levinas.

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Divenne ben presto un'abitudine che presentasse le serate a tema del nostro circolo, che proprio in virtu' della sua presenza si fecero piu' frequenti fino ad assumere cadenza settimanale; le riunioni si svolgevano solitamente cosi': ci si adunava nella sala a tal fine predisposta nel palazzo Serafini-Mangrossa, quando tutti gli invitati erano presenti scendeva dalle sue stanze la contessa e l'incontro aveva inizio; il Maestro parlava dell'autore o dell'opera o del movimento oggetto della serata, poi il notaio Camaldolesi metteva su' un disco (della Deutsche Grammophon, naturalmente), poi si apriva il dibattito e si beveva qualche drink. Il Maestro ne beveva parecchi, poi lo accompagnavo a casa io.

Ricordo ancora con commozione vivissima le sue conferenze, la voce, il tratto; concludeva sempre in un acme di commozione levando in alto un braccio e dicendo a voce bassa: "Questo l'uomo, questa l'arte, questa la missione civilizzatrice della musica: che viva l'internazionale futura umanita'".

Molte volte chiedemmo che ci facesse ascoltare qualcosa al piano, ma lui costantemente si schermiva adducendo motivazioni talora inverosimili, finche' desistemmo e sembro' che se ne sentisse sollevato.

Pero' ascoltava volentieri le nostre esecuzioni, sia di classici che di nostre composizioni (quattro membri del nostro circolo si dilettavano a comporre, erano tutte e quattro donne e tre di esse divennero poi concertiste di vaglia, la quarta invece fu uccisa da suo marito che - come disse al processo - "l'amava troppo"), e sempre ci soccorreva con sicuro giudizio e amichevole conforto, e lieve ma veemente rivolgendoci l'invito a progredire negli studi: "La musica e' la civilta', essa ci chiama a dare forma alla nostra vita, essa e' la bellezza che irrompe nel mondo e che risuona come appello irresistibile alla liberta', alla verita', alla felicita' condivisa", e concludeva more solito: "Questo l'arte ci comunica: che l'umanita' puo' essere libera e solidale, e quindi libera e solidale deve essere, e indefettibilmente lo sara'. Che viva l'internazionale futura umanita'".

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Non se la passava bene. Anche se non pagava l'affitto e neppure le bollette grazie alla munificenza della nostra presidente, doveva pure mangiare e vestirsi. Per il mangiare in una certa misura sopperivo io; quanto al vestirsi era anche un artista del rammendo. Ma insomma qualche spesa ce l'aveva purtuttavia.

Scriveva qualche articolo per il notiziario mensile della Pro Loco, per l'annuario del nostro circolo, ed anche per i due settimanali locali: "La voce della verita'" dell'avvocato Marco Tullio Frequacchioni che dichiarava di rappresentare "l'opposizione civica e laica al corrotto regime insediato in Comune", e "La gazzetta di Casavecchia", che presentavasi quale "strenuo baluardo della legge e dell'ordine", edita dell'agenzia pubblicitaria Callarelli e associati - Callarelli era il prestanome del sindaco, che si chiamava Demostene Frequacchioni pure lui ed era il cugino dell'avvocato, che in pubblico sempiternamente battagliavano in nome dei massimi principi o dei massimi sistemi, ma si diceva che in privato i due cugini erano pappa e ciccia, ed infatti non c'era lottizzazione dell'uno cui non seguisse lottizzazione dell'altro.

Il Maestro oltre che presso il nostro circolo teneva anche qualche conferenza nelle scuole, nei salotti dove lo invitavano a cena, talvolta pure nei paesi vicini (e allora lo accompagnavo io con la lambretta). Ma sempre a titolo gratuito.

Viveva con poco.

Noi che gli volevamo bene gli dicevamo che doveva decidersi a dare lezioni private di piano, o almeno a tenere qualche concerto; non poteva tirare avanti con quelle quattro lire che gli davano per gli articoli o con i buffet delle conferenze e gli inviti a cena. Ma lui rifiutava caparbiamente di dare lezioni.

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Non dimentichero' mai la notte in cui mori'.

Stava male da tempo. Un pomeriggio il medico condotto che lo aveva appena visitato venne a trovarmi in negozio, mi prese da parte e mi disse che non sarebbe arrivato alla mattina successiva. Mi disse anche che il Maestro alla sua ennesima proposta di ospedalizzarlo aveva reagito con quella sua mite ma ferrea decisione dicendo che ad ogni costo preferiva restare in casa, e alla richiesta del medico se volesse che mandasse un infermiere ad assisterlo aveva replicato che mai lo avrebbe permesso e che se era ormai agli estremi avrebbe preferito piuttosto la solitudine o una persona amica con cui conversare come Socrate in quelle ultime ore, e richiesto di nominare una persona amica aveva fatto il mio nome. Cosicche' quando a sera chiusi la bottega neppure cenai ma andai subito da lui. La porta era chiusa, ma la chiave era nella toppa (a quel tempo in paese tutti lasciavamo le chiavi nelle toppe delle porte di casa, sul lato esterno, affinche' se qualcuno voleva entrare potesse farlo senza ostacoli di sorta). Fu lieto di vedermi, e poiche' come di consueto avevo portato con me un po' di cose da mangiare e da bere mi chiese di banchettare anche a suo nome, che quanto a lui - ormai non piu' in grado di masticare o anche solo di deglutire - si sarebbe ben contentato di guardarmi. Parlava a fatica e non sempre si capiva quel che dicesse, e quella notte, nella febbre, mi disse molte cose, non tutte intelligibili. Inoltre io ero stanco e faticavo a non addormentarmi.

Col progredire della notte i suoi dolori aumentavano e lui era sempre piu' agitato; a un certo punto sebbene io fossi seduto al suo fianco, mi chiamo' ripetutamente a se' quasi gridando, e con voce rotta mi disse all'incirca queste parole: "Mio caro amico, io mi devo certo molto scusare con lei e con quanti altri si sono adoperati a rendere cosi' felici questi ultimi anni della mia miserevole vita nell'amena vostra cittadina. Lei si sara' certo stupito di non avermi mai sentito eseguire la piu' breve delle sonate, e neppure un solo solfeggio; ebbene, e' perche' in verita' io non so suonare. Non sono e non sono mai stato un musicista, ed anche tutte le cose che vi ho fluvialmente raccontato di viaggi per ogni dove e di amicizie con questo e con quello non furono che menzogna. Giammai potei uscire liberamente d'Italia, privo com'ero di passaporto, e men che mai ebbi modo di condividere ambienti e abitudini con quelle insigni vette dell'arte e del pensiero di cui quasi ogni settimana lunghesso vent'annni ebbi a parlarvi nei miei sproloqui". Era sfinito, e mi parve piangesse. Poi prosegui': "Ma anch'io dovevo pur essere qualcosa nel mondo, dopo che fui liberato dal campo di Sachsenhausen, e dopo tutto quello che li' avevo visto e patito, allora volli essere un uomo tra gli umani, in un mondo ove i valori dello spirito, della dignita' umana, del diritto e della giustizia, della liberta', l'uguaglianza e la fraternita' fossero riconosciuti, rispettati, vissuti, e dove quindi si potesse vivere da vere persone, da autentici esseri umani". Una pausa, un affannoso respirare, poi prosegui': "Ci ero finito, nel campo, come criminale comune, trasferito da un carcere in cui mi trovavo per una truffa". Alternando soffi e rantoli prosegui' il suo racconto: quella era stata l'unica volta che ando' all'estero, e certo non di sua spontanea volonta'. Gia' allora aveva una lunga carriera di soggiorni nelle patrie galere. Alla liberazione torno' in Italia, e nel dopoguerra aveva continuato a girovagare per tutta il belpaese, continuando a vivere di miseri espedienti e imprese truffaldine; ed aveva conosciuto ancora le patrie galere di almeno sette diverse localita', ed era stata - disse - una buona scuola, dacche' nei lunghi periodi trascorsi in galera, col rancio assicurato, aveva potuto molto leggere, e quella - l'assidua, luminosa, nutriente, felice lettura - fu la sua seconda vita, la sola degna di un animo non vile, di un ingegno non ottuso. La lettera alla contessa con cui annunciava il suo arrivo l'aveva scritta lui medesimo e firmata duca di Windsor, ed era stata l'ultima sua impresa di falsario e truffatore, e l'unica che si sentisse di poter dire riuscita.

Infine mi vincolo' al segreto finche' tutti i membri del circolo Scarlatti di Casavecchia che tanto lo ammiravano fossero deceduti anch'essi.

Le ultime parole gli costarono una fatica titanica, la faccia era gonfia e violacea per lo sforzo. Poi tacque e fu solo il mantice del suo respiro, e l'orrore dei suoi occhi sbarrati.

Verso l'alba parve acquietarsi e sul primo chiarore mori'.

Non seppi mai se quanto mi disse quella disperata notte fosse delirio o verita', ma era un fatto che mai l'avessi visto toccare con un dito un pianoforte o sentito accennare una melodia.

Da quelle rivelazioni, o allucinazioni, di un morituro fui profondamente turbato, e' naturale.

Ottemperando alle sue volonta' non dissi nulla a nessuno. Ne scrivo ora per la prima volta.

*

Lo inumammo il giorno dopo, la camera ardente fu allestita in Comune e l'allocuzione fu tenuta dal professor Pancarelli, segretario del nostro circolo e gia' docente di latino e greco al liceo di Viterbo; le esequie si svolsero nella cappella del palazzo Serafini-Mangrossa, il prevosto mons. Reginaldo Terranova dapprima fece varie obiezioni perche' nelle disposizioni testamentarie il Maestro aveva espresso il desiderio di essere cremato, ma poi per un riguardo alla contessa officio' ugualmente il rito religioso (peraltro dal Maestro non richiesto, era ateo "Come Diderot e come Leopardi").

Aveva lasciato precise disposizioni testamentarie: cremazione, inserimento delle ceneri in una piccola urna che aveva in casa, acquistata a tal pro (e che ad interim aveva utilizzato come comune posacenere e spegnicicche), successiva dispersione al vento in Engadina; indicava poi me come esecutore testamentario e come erede universale dei suoi magri beni - non lasciava altri beni che un solo paio di scarpe, pochi abiti e una valigia di carte e libri, e quanto ai documenti mi autorizzava a leggerli con il vincolo di successivamente distruggerli, mentre i libri avrebbe avuto piacere che li conservassi e ne facessi buon uso).

MI rammarico ancora del fatto che non potemmo rispettare la sua volonta' riguardo alla cremazione, ma ci fu obiettato che non solo in paese, ma nell'intera provincia e finanche in tutta la regione mancava un impianto atto alla bisogna. Cosicche' fu d'uopo accettare la dura replica dei fatti e procedere alla sepoltura. Il caso poi volle che anni dopo nel terremoto che funesto' anche la nostra terra proprio l'area del cimitero in cui trovavasi il suo sacello fu particolarmente devastata e nulla resto' intatto, e l'intero cimitero fu successivamente ricostruito altrove, e il vecchio camposanto resto' dapprima mero ossario e poi divenne terreno edificabile e adesso vi sorge l'elegante quartiere residenziale denominato Vitanova.

Nell'immediatezza delle esequie la contessa assegno' una borsa di studio a un brillante studente universitario nostro conterraneo affinche' nell'arco di tempo di un anno svolgesse un'accurata ricerca di altri saggi del Maestro presso ebdomadari ed altri periodici, ma la ricerca condotta presso biblioteche ed emeroteche finanche di grandi citta' - Napoli, Roma, Firenze, Milano, Venezia - non ebbe esito (o meglio: ebbe come esito che lo studente mise incinta l'amica che lo accompagnava nelle ricerche, ma poi con soddisfazione di tutti convolarono a giuste nozze); tra noi del circolo Scarlatti congetturammo che doveva aver pubblicato solo sotto pseudonimo e che forse in futuro altri studiosi con mezzi superiori ai nostri sarebbero riusciti a individuarne l'opera e darne una degna edizione a edificazione dell'internazionale futura umanita', poiche' certo un cosi' illustre pianista e facondo conferenziere doveva pur aver messo per iscritto i perspicui suoi pensieri, ed in forma assai meno rastremata che negli articoli che apparvero sui due periodici della nostra cittadina peraltro funestatissimi da refusi talora fin imbarazzanti. Parimenti, nonostante le piu' vaste e protratte ricerche, non si trovo' un solo spartito che fosse a lui ascrivibile.

Nel primo anniversario della scomparsa il circolo Scarlatti promosse un convegno di studi in sua memoria con la partecipazione di illustri relatori ed una serata di belcanto di travolgente successo. Al termine del convegno sul muro dell'edificio in via Baciadonne dove il maestro aveva vissuto fu scoperta una lapide dettata dall'avvocato Marco Tullio Frequacchioni d'intesa con il sindaco Demostene Frequacchioni, lapide che cosi' recitava: "All'illustre maestro / Alfredo Ercole Bistolfi-Malipiero / musicista e letterato insigne / uomo di scienza e di principii egregio / che illustro' della sua presenza / questa nostra amena ed illustre cittadina / ospite dell'illustre casata / dei conti Serafini-Mangrossi / la cittadinanza di Casavecchia memore e grata / questa lapide pose / a memoria del vero / e per edificazione della studiosa gioventu'". Il sindaco avrebbe voluto mettere "il Sindaco e le altre autorita' memori e grati", l'avvocato suo cugino invece "il Popolo ardito / d'ogni giogo insofferente / memore e grato" ma poi si misero d'accordo su "la cittadinanza di Casavecchia memore e grata" che mi pare sia stata una saggia soluzione. Non fu accolta la proposta sostenuta da una petizione sottoscritta da tutti i soci del circolo Scarlatti, prima firmataria la contessa, che proponeva di aggiungere un verso finale che all'edificazione della studiosa gioventu' aggiungesse quella "dell'internazionale futura umanita'".

Il professor Pancarelli poi assunse la curatela della ripubblicazione in volume dei suoi articoli apparsi sul nostro annuario, sul notiziario della Pro Loco, su "La voce della verita'" e su "La gazzetta di Casavecchia"; l'opera era gia' alle seconde bozze quando insorse una spiacevolissima controversia tra i gerenti delle due ultime testate sui diritti, talche' la pubblicazione infine non ebbe luogo.

Alla morte del professor Pancarelli chiesi agli eredi se fosse possibile prender visione delle bozze del volume, ma mi dissero che la biblioteca del professore l'avevano venduta in blocco ad uno straccivendolo che si era preso anche tutte quelle vecchie scartoffie polverose. Non riuscii a rintracciare lo straccivendolo.

Ho poi peraltro scoperto, con vivo disappunto, che le collezioni dei due periodici che per decenni cosi' vivacemente avevano battagliato qui a Casavecchia non sono piu' disponibili ne' presso la biblioteca comunale a seguito della nota vicenda dell'infestazione di topi e cimici per cui si dovette distruggere col fuoco l'intero patrimonio librario, ne' presso le famiglie del sindaco Frequacchioni e dell'avvocato Frequacchioni suo cugino che quelle testate avevano animato, poiche' gli eredi dell'uno e dell'altro - che non vivono piu' in paese e con i quali mi misi in contatto per lettera - mi hanno informato che parimenti vendettero le case dei genitori con quanto contenevano, con l'accordo che gli acquirenti avrebbero provveduto a disfarsi della tanta cartacea immondizia, cosa che - verificai appo essi acquirenti medesimi - fecero e gli uni e gli altri con analogo fulmineo tempismo e vivissimo piacere non appena insediatisi nelle loro rispettive nuove dimore.

E per quanto sia davvero incredibile, non si trova piu' neppure una copia del notiziario della Pro Loco, ne' dell'annuario del Circolo Scarlatti, cosa di cui non so rendermi conto. E' accaduto che gli eredi della contessa, che peraltro gia' vivevano a Bruxelles, liquidarono tutti i beni di famiglia in Casavecchia dopo aver asportato quanto a parere dei loro consulenti avesse un qualche valore di mercato, e poiche' l'archivio del circolo Scarlatti non fu ritenuto quel valore avere, fini' non voglio neppure saper dove. La collezione completa del notiziario della Pro Loco arse nel rogo dei fondi della biblioteca cui ho gia' accennato sopra, e poiche' la Pro Loco presso la biblioteca comunale aveva sede, arse altresi' in quel frangente stesso l'intero archivio del nobile sodalizio: ho provato a chiedere a tutti i membri viventi del direttivo della Pro Loco di allora e di oggidi' se avessero una copia personale almeno di qualche fascicolo del loro notiziario di allora, ma tutti mi risposero con espressioni irriferibili che quel notiziario lo si faceva solo perche' il Comune lo pagava (e ne pagava non solo la stampa ma anche la redazione, ovvero foraggiava ad personam i membri del direttivo della Pro Loco in qualita' di comitato editoriale - en passant, presidente della Pro Loco era la sorella del sindaco, segretaria era la moglie e tesoriere suo cognato; e tutti gli altri membri del direttivo erano comunque suoi congiunti ed affini entro il quarto grado) e che secondo loro era la schifezza delle schifezze, ma a chi non facevano comodo quei quattro soldarelli che il Comune sganciava cosi' amabilmente?

*

Sebbene l'avessi portata in casa mia subito dopo la lettura delle sue ultime volonta', aprii ed ispezionai la valigia che conteneva le sue carte e i suoi libri solo due o tre anni dopo la sua morte. Non so perche' non riuscii a farlo prima. C'erano vari ritagli di giornale su fatti di cronaca nera. Un documento della casa circondariale di Civitavecchia riguardante un certo Benito Adolfo Mascarpone. Le fotocopie di alcune pagine di un manuale di stenografia. Alcuni fogli di carta intestata di una nave da crociera con scarabocchi e disegni - ahime' - osceni. Una mezza dozzina di fotografie ormai scolorite, in due di esse compariva la stessa ragazza, e in una c'era anche una dedica che pero' non si leggeva piu'. Un ritratto di Mozart in cartoncino. Un biglietto di Piero Sraffa senza data in cui era scritto "Caro Mascarpone, Tatiana la ringrazia per quanto ha fatto per Nino, ed ai suoi ringraziamenti aggiungo i miei; se dovesse passare da Cambridge venga a trovarmi". Una lettera di Benedetto Croce, molto affettuosa, del 1936. Una fotografia di Amadeo Bordiga con dedica autografa. Un opuscoletto che recava l'orazione funebre tenuta da un tal Sauro Sorbini per un certo Duilio Mainella - sui quali non ho altre informazioni. Un volantino di "Giustizia e Liberta'" con sovrascritto a mano "Da Parigi un forte abbraccio dal tuo Gianfranchi", ed uno (smangiato in alto e in basso e quindi senza piu' firma o gerenza) che recitava "Dalla televisione / parlano gli assassini".

C'era anche un grembiulino, forse massonico; e uno spadino di Toledo che credo usasse come tagliacarte.

Non c'erano altre carte, ed era strano perche' ricordavo bene che quando teneva le sue conferenze aveva sempre in tasca un mannello di fogli minutamente anneriti di appunti, che poi pero' non leggeva mai preferendo sempre parlare a braccio; e ricordo altresi' che quando andavo a visitarlo in casa lo trovavo quasi sempre intento a scrivere.

Nello scrupoloso adempimento delle sue volonta', distrussi tutto (ma conservai un piccolo inventario che avevo scritto per me, e che ora mi e' tornato utile, poiche' da esso ho trascritto le righe che precedono). Ahime', non ebbi il coraggio di Max Brod.

I libri del Maestro invece passarono a far parte della mia biblioteca personale. Anche di essi compilai un catalogo ("Madamina, il catalogo e' questo"), e sebbene successivamente la mia biblioteca sia andata dispersa negli anni in cui fui in Africa, anche quell'elenco l'ho ritrovato al mio ritorno a casa, e qui di seguito lo trascrivo tal quale: la Breve storia della musica di Massimo Mila fittamente sottolineata e postillata, sul frontespizio e passim c'e' stampigliato il timbro del carcere di San Vittore e quello delle Molinelle; il Don Chisciotte in spagnolo con una dedica "All'amico Benito Adolfo, in ricordo delle epiche bevute chiacchierando della poesia oraziana" a firma "don Marcelino" (che doveva essere Menendez Pelayo) con timbri di Palmi, San Vittore, Ucciardone, Poggioreale; gli Elements de philosophie di Alain con una dedica dell'autore "All'ottimo amico B. A., il migliore dei fratelli e dei compagni nella lotta contro la follia della guerra" (timbri di Viterbo e Civitavecchia); la Fenomenologia dello Spirito di Hegel in tedesco (timbri della casa circondariale di Viterbo e degli opg di Aversa e di Barcellona Pozzo di Gotto), e la traduzione italiana della sua Estetica (senza timbri ma con molte pagine strappate); la Critica della ragion pratica di Kant evidentemente cosi' tante volte compulsata che molti quinterni si erano staccati (e tra le pagine a mo' di segnalibro un biglietto che recitava "Caro Mascarpone, su suggerimento di don Benedetto mi e' grato inviarle questa traduzione del capolavoro kantiano teste' impressa per i nostri tipi. Voglia credermi suo eccetera, Giovanni Laterza"), ed istoriavano sia il volume che il biglietto molteplici stampigliature di ben nove istituti di pena; i Canti di Leopardi (senza copertina ne' frontespizio, qualche pagina mancante); il De rerum natura di Lucrezio (timbri di Palmi e di Civitavecchia); la Storia della letteratura latina di Concetto Marchesi (Soriano nel Cimino, Ventotene, San Vittore, Poggioreale) e quella della letteratura italiana di De Sanctis (Civitavecchia, Regina Coeli).

Devo aggiungere che la valigia era grossa e sformata, e le carte ed i libri ne occupavano solo una piccola parte; credo che avesse contenuto ben altro, forse degli abiti, altri oggetti, o altri libri ed altre carte che o distrusse o sparirono non so come ne' perche'.

*

In questo mio scritto consacrato al Maestro ovviamente non intendo parlare di me, ma forse l'eventuale improbabile lettore sara' curioso di sapere che successivamente non passai tutto il resto della mia vita qui in paese, ma per alcuni anni viaggiai altrove con l'intento di recare aiuto "con il braccio e piu' col cor" ai popoli in lotta contro l'oppressione, e solo dopo una lunga detenzione nelle carceri del regime razzista sudafricano feci ritorno. Il negozio nel frattempo lo aveva tenuto aperto la mia amata nipote Jolanda (ormai unica sopravvissuta della mia famiglia) cosicche' quando fui di nuovo qui a Casavecchia potei riprendere il mio vecchio lavoro fino al raggiungimento dell'eta' della pensione.

*

Ora che scrivo queste righe gli altri membri del circolo Scarlatti sono gia' tutti morti, io ero il piu' giovane e ormai sono anch'io un vecchio cadente. Quando mori' la nostra indimenticabile presidente e musa, la contessa Serafini-Mangrossa, il circolo Scarlatti si sciolse; adesso a Casavecchia di organizzazioni musicofile vi e' solo il fan club di Ozzy Osbourne, in mancanza di meglio ne ho fatto parte anch'io finche' il giovane presidente non propose di stabilire una prova iniziatica di ammissione consistente nel mozzare la testa a un pipistrello con i propri denti, allora lasciai quel sodalizio.

Lascio questa lettera in una busta da aprirsi dopo la mia dipartita.

Mia nipote Jolanda, alla quale ho gia' lasciato a suo tempo il negozio ed alla quale alla mia morte lascero' anche questa casa, avra' facolta' di decidere cosa fare anche di questa lettera oltre che di tutti i miei scarsi beni, con la preghiera di non mandare al macero i miei libri superstiti ma di tenerli lei o in via subordinata di farne dono alla biblioteca scolastica.

L'umanita' puo' essere libera e solidale, e quindi libera e solidale deve essere, e indefettibilmente lo sara'. Che viva l'internazionale futura umanita'.

 

3. LUCIO EMILIO PIEGAPINI: LA VERITA' SUL DELITTO DI CIPRO

 

No, le cose non stanno affatto come le ha raccontate quell'inglese li'.

Che intanto quello che raccontava lo sapeva per sentito dire. E chi glielo aveva detto? Giambattista Giraldi, ciarlatano notorio che se fate un salto a Ferrara ve lo dicono tutti chi e', e se non fosse cugino dell'ispettore Nico Giraldi da un pezzo che stava in galera.

E gli ha detto bene a quel barbaro privo d'ingegno che nessuno lo ha querelato per diffamazione. Poi tanto, gia' si sa, in tribunale si difendeva dicendo che lui faceva il poeta, non il cronista. Bravo, cosi' sono buoni tutti: si insulta la gente perbene, si spacciano fandonie, si rovinano famiglie, e poi quando sei chiamato a rispondere dei bei disastri che hai combinato allora e' solo poesia. Ma per favore.

Allora, vediamo di mettere i puntini sulle i.

Primo: Otello lo chiamavano il moro perche' era moro di capelli. E qui da noi uno moro di capelli lo chiamano "Ah moro", cosi' come una bionda di capelli la chiamano "Ah biondona" anche se e' uno scricciolo.

Secondo: lo sapevate che Jago e Desdemona erano fratello e sorella? No, eh? Il fatto e' che Brabanzio, che era - con rispetto parlando e senza offesa per nessuno - un puttaniere che ce lo sapevano tutti a Venezia, era il padre di tutti e due. Non lo avete letto pero' su "Repubblica", e manco sul "Corriere", eh? Che dite: significhera' qualche cosa? Lasciamo perdere, va.

Jago a Desdemona le voleva bene, era perche' le voleva bene che cercava di convincere quel bestione a divorziare.

Terzo: lo sapevate che Otello la pestava a sangue? No? Neppure questo sapete, proprio non sapete niente e intanto volete mettere becco. La gelosia non c'entrava niente, e' che Otello era un pervertito, a Venezia lo sapevano tutti e lo avevano mandato a Cipro proprio perche' non se ne poteva piu' delle porcherie che faceva. E le sue perversioni preferite erano, per dire le prime che mi vengono in mente e in ordine sparso:

a) feticismo delle caccole: collezionava fazzolettini da donna sporchi e se per strada incontrava una donna che si soffiava il naso subito la importunava per farsi dare il fazzoletto offrendo cinquanta, cento euro, e insomma era diventato uno schifo che non se ne poteva piu';

b)  abbigliamento sado-maso pure quando andava a un ricevimento, o a una conferenza-stampa, o al senato, o al mare: si metteva sempre quelle corazze tutte borchie e cuoio che sembrava uno dei Village People;

c) sesso violento con fustigazione: che la dovevate vedere come era ridotta la schiena della povera Desdemona;

d) lettura ad alta voce delle opere di Gabriele D'Annunzio durante l'amplesso: e provateci voi a fare l'amore mentre qualcuno declama quelle trombonate.

E mi fermo qui, ma si potrebbe continuare.

Un povero fratello che doveva fare? Ditemelo voi, che doveva fare?

Quarto: tutta la faccenda di Cassio e' una stupidaggine col botto che se la sono inventata i giornalisti per dare un po' di colore alla storia. La verita' e' che Michele Cassio era un ubriacone di prima categoria e amante dell'hard core. Che c'entra? Adesso ve lo spiego.

Quella notte doveva fare il turno di guardia sugli spalti, e lui, che gia' aveva trincato e sniffato a piu' non posso, che ti s'inventa? Mette lo stereo a palla coi Metallica. Sissignore. Uno che abitava li' vicino, e che la mattina doveva alzarsi presto perche' lavorava ai mercati generali, prima sopporta, sopporta, sopporta, poi si alza dal letto, si veste alla meno peggio, sale sugli spalti e gentilmente gli chiede se puo' abbassare il volume. E il sor Michele Cassio che fa? Prima gli dice di si' e lo abbassa un po', poi appena quello si allontana per tornarsene a casa sua lo alza di nuovo a palla piu' di prima e si mette pure a cantare e a pogare con una statua che stava li' e che rappresentava la Virtu'. In servizio, oltretutto. Il brav'uomo gentile si offende, vorrei vedere voi. Va a casa, prende lo scioccastronzi, torna sugli spalti e fa: "Dottor Cassio?". E l'imbecille: "Si?". "C'e' posta per lei, serve una firmetta". Alle due di notte! Ma dico io, come si fa ad abboccare? E invece l'imbecille abbocca. Come e' a portata di scioccastronzi il brav'uomo che voleva dormire il sonno dei giusti gli molla una scossetta. Poi un'altra alzando un po' il voltaggio. Poi, per la gioia del dottor Milgram, un'altra ancora pure piu' forte. Poi mentre quel babbeo di Cassio rantola steso per terra prende lo stereo e lo butta di sotto sulla scogliera e fine del concerto dei Metallica. Poi torna a dormire. Voglio proprio vedere se c'e' qualcuno che gli darebbe torto.

Quinto: il Moro ammazzo' la mogliettina mentre faceva un giochetto che aveva letto su una di quelle riviste che si faceva mandare da San Francisco incellofanate nella busta nera che quando arrivavano a Venezia senza neanche guardare l'indirizzo all'ufficio postale dicevano: "E' arrivata la solita rivista sporcacciona del Moro", che ci spendeva mezzo stipendio tra riviste incellofanate nelle buste nere, dvd di Rocco Siffredi e quelle scemenze che comprava al porno-shop. Quando la mattina il maggiordomo filippino se ne accorse, siccome non si poteva dare la colpa ai turchi come si faceva sempre a quei tempi, si dovettero inventare tutta quella storia che era colpa di mio cugino, e poi la gelosia, e il razzismo, eccetera. Tutte panzane.

 

4. "ANCHE PER IL SUO BENE". UNA LETTERA APERTA ALLA MINISTRA PER LE RIFORME COSTITUZIONALI ED I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO CHE DOMANI SARA' A VITERBO

 

Gentilissima Ministra per le riforme costituzionali ed i rapporti con il Parlamento,

ho appreso dai giornali che domani Lei sara' a Viterbo e che parlera' della riforma costituzionale sulla quale tutti gli elettori italiani saranno chiamati a pronunciarsi nell'imminente referendum.

Quella riforma, cosi' come quella elettorale nota come "Italicum" che con essa fa corpo, e' semplicemente scandalosa e scellerata: e non solo per quanto reca di caotico e fin sgangherato (ed e' molto), ma proprio per le sue esplicite primarie finalita', che a me sembrano essere due: l'umiliazione e l'asservimento del parlamento da parte dell'esecutivo, e la rottura della divisione e dell'equilibrio dei poteri. Perseguendo queste due finalita' si abbatte la democrazia e lo stato di diritto, ovvero si instaura un regime autoritario e tendenzialmente anomico. Si tratta insomma di un vero e proprio golpe, che fa strame dell'ordinamento democratico fondato sulla Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista.

In un appello promosso da persone amiche della nonviolenza per il No alla riforma costituzionale e' stato scritto: "Il Parlamento, l'istituzione democratica che fa le leggi, deve essere eletto dal popolo, e deve rappresentare tutti i cittadini con criterio proporzionale. Ma con la sua riforma costituzionale il governo vorrebbe ridurre il senato a una comitiva in gita aziendale, e con la sua legge elettorale (il cosiddetto Italicum) vorrebbe consentire a un solo partito di prendersi la maggioranza assoluta dei membri della camera dei deputati anche se ha il consenso di una risibile minoranza degli elettori, e con il combinato disposto della riforma costituzionale e della legge elettorale il governo, che e' gia' detentore del potere esecutivo, vorrebbe appropriarsi di fatto anche del potere legislativo, rompendo cosi' quella separazione e quell'equilibrio dei poteri che e' la base dello stato di diritto. Se prevalessero le riforme volute dal governo sarebbe massacrata la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista, sarebbe rovesciata la democrazia, sarebbe negata la separazione dei poteri e quindi lo stato di diritto".

Mi creda se Le dico che anche per il suo bene spero che al referendum prevalga il No, affinche' Lei negli anni avvenire non debba portare sulla coscienza il peso insostenibile di aver contribuito a un golpe. Lei e' giovane, e puo' aver fallato in questo frangente per insufficiente considerazione dei fondamentali valori in gioco e dei concreti, tragici effetti del suo agire.

Non mi illudo che queste poche parole possano contribuire a persuaderLa a cambiare idea e tornare almeno a quel sano principio di precauzione che sempre dovrebbe ispirare chi governa la cosa pubblica: "in dubio, contra projectum"; volevo solo che Lei sapesse che tra quanti si battono contro la riforma voluta dal suo governo almeno una parte - tra cui mi annovero - lo fa anche per il suo bene, come del resto per il bene comune, che e' unico e indivisibile.

Certo, sarebbe auspicabile una sua resispiscenza quantunque tarda, ma credo e confido che a fermare il disastro verso cui il governo in carica ci sta tutti precipitando provvedera' il popolo italiano votando No al referendum, e votando No cosi' come voto' No al referendum del 1988 il popolo cileno: "senza odio, senza violenza, senza paura".

Augurandole sinceramente ogni bene

 

5. I CATTIVI COMPAGNI

 

Il Ministero della Salute realizza un opuscolo in cui pone a confronto quattro ariani della Hitler-jugend e qualche ragazza e ragazzo coi capelli in disordine.

Su quale sia la cattiva compagnia e quale la buona temo che io e il ministero abbiamo idee opposte.

 

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ARCHIVI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 216 del 20 novembre 2016

 

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