[Nonviolenza] Le due Rose. 32



 

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LE DUE ROSE

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La Rosa rossa contro la guerra

La Rosa bianca contro il nazismo

Per la pace e i diritti umani

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100

Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, centropacevt at gmail.com, web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Numero 32 del 5 febbraio 2016

 

In questo numero:

1. Enrico Peyretti ricorda Nanni Salio

2. Una lettera al Ministro della Cultura

 

1. MAESTRI E COMPAGNI. ENRICO PEYRETTI RICORDA NANNI SALIO

 

Dalla morte di Nanni Salio, molti di noi sono stati spinti a riflettere sul nostro morire. Noi viviamo una piccola vita, e una vita grande. La piccola vita e' questa individuale, molto limitata, fragile, Nanni diceva "impermanente". Una vita tanto piu' piccola e misera se e' un vivere egoista, tutto per noi, dalle prospettive piccine, ristrette. La vita e' troppo piccola in una societa' in cui ognuno vive per se', tutti in competizione e rivalita', per avere piu' che essere, per prendere piu' che dare: una societa' di rivali e non di soci, di alleanze armate e non di amicizie, di guerre private che producono guerre di stati e di bande.

Ma c'e' anche una vita grande: un vivere che guarda a obiettivi degni di una umanita' piu' compiuta: un vivere gli uni con gli altri, gli uni per gli altri, dove ognuno da' il meglio di se', cerca di collaborare a costruire valori, riceve e dona, dona e riceve; un vivere in cui, nonostante i nostri limiti e difetti, c'e' una buona dose di sincerita', fiducia, gratitudine, generosita', gratuita'. Anche se la societa' e' governata dal denaro e dalla speculazione predatoria, ci sono pure reti di persone che vivono in grande, non perche' siano o si credano superiori, ma perche' respirano una vita piu' grande. La nostra vita ha il valore di cio' che va cercando.

La vita piccola e meschina si accartoccia nel suo limite, la troviamo tutta finita nei limiti di spazio e di tempo che ci circoscrivono. L'avaro muore dentro la sua avarizia. La vita grande, vissuta da persone anche modeste e umili, vive tutti i valori piu' umani, piu' veri, piu' aperti alla giustizia, alla liberta' e all'amore, e percio' ad una umana felicita' possibile. E' vita grande perche' ci associa a tutti i viventi, anche di ieri e di domani, a tutte le vite piu' illuminate, come a quelle schiacciate, soppresse, ignorate. E' quella che Aldo Capitini chiama "compresenza dei vivi e dei morti", e di tutto cio' che vive o ha vissuto. Nanni aveva Capitini come uno dei suoi maestri di vita.

Noi, piccoli e mortali, fragili e incerti, siamo avvolti, abbracciati, come dal cielo e dall'universo, da una realta' viva che sapienze, religioni, filosofie, tradizioni, chiamano e pensano in vari modi, oppure anche mettono del tutto in dubbio. Noi possiamo pensare, e in certi momenti anche intuire, che questa sfera di vita piu' grande di noi, ci abbracci e ci nutra silenziosamente, e anche amorevolmente, come il seno di nostra madre ci ha formato e nutrito, con un bene di carne e di spirito, prima e dopo la nostra nascita personale. Possiamo pensare, sperare, ipotizzare, possiamo anche credere, sulla fiducia verso qualche "grande anima" - per molti di noi Gesu' Cristo -, che quella superiore sfera di vita ci accolga, come braccia materne, quando la malattia, la vecchiaia, la morte ci rifanno piccolissime creature prive di tutto, bisognose di tutto, sull'orlo della ricaduta nel nulla.

Possiamo sperare questo? Forse un segno e' nel fatto che chi muore e' per noi un appello radicale ad una crescita della nostra umanita': siamo feriti dalla perdita di una calda presenza, ma siamo chiamati a coltivare intensamente il ri-cordo (ritenere dentro di noi, come una madre, vicino al cuore) del volto, delle parole, dell'azione di chi e' morto. La sua vita passa un poco in noi: mentre la perdiamo la troviamo. Per questo dei morti si dice bene: perche' e' il loro bene che viene a noi, non il resto, non le scorie, e abbiamo bisogno di riconoscere tutto quel bene.

Se tutta la nostra umanita', tutto il suo significato e' appellato e messo in gioco dalla morte dell'amico, vuol dire che quel suo passaggio oltre l'orizzonte visibile, ci mette in qualche (almeno momentaneo) contatto con una sfera di umanita' non solitamente sperimentata. Che cosa e' il nostro vivo intenso ricordo dei cari morti, così tanto silenziosi, se non l'ascolto intimo e tacito di una sfera di vita piu' grande di questa? Si puo' pensare cosi', senza certezza ferrea, o anche restare incerti, scettici, ma forse non si puo' avere la certezza negativa, di un nulla decisivo che annulli questa vita.

Il morto caro ci porta con se', affettivamente piu' che cognitivamente, in una sua sfera che, pur nel dolore, ci consola: infatti diciamo che i morti sono nella pace, nel riposo dai travagli e dalle illusioni di questa vita, che pure amiamo e difendiamo. Li sentiamo nella pace, che e' il compimento ideale della vita. Essi sono passati nel travaglio della morte, a volte atroce, ma forse ora respirano una pace viva. Possiamo intuire questo perche' noi cerchiamo una vera pace qui, per tutti, nelle vicende della storia.

Allora, chi, come Nanni, ha vissuto e lavorato per quei valori della vita piu' grande, possiamo ora pensarlo e sentirlo appartenente alla sfera di luce che riscalda e chiama avanti questa nostra piccola vita che incontra la morte. Noi siamo cio' che cerchiamo. Chi, come Nanni, ha vissuto per costruire la pace nonviolenta (una pace non imperiale) tra i popoli, le culture, le persone, chi come Nanni ha vissuto per gli altri, e' accolto e vive nella Grande Vita.

*

Gandhi, su colui che comunemente e' chiamato Dio, scrive: "... vi e' una forza vivente, immutabile, che tiene tutto assieme, crea, dissolve e ricrea. Questa forza o spirito informatore e' Dio (...). E questa forza e' benevola o malevola? La vedo esclusivamente benevola, perche' vedo che in mezzo alla morte persiste la vita, in mezzo alla menzogna persiste la verita', in mezzo alle tenebre persiste la luce" (Gandhi, Antiche come le montagne, Edizioni di Comunita', Milano 1965, p. 100).

 

2. APPELLI. UNA LETTERA AL MINISTRO DELLA CULTURA

 

Oggetto: Richiesta di farsi promotore di un'iniziativa per la revoca della decisione governativa di inviare centinaia di soldati italiani alla diga di Mosul

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Egregio Ministro della Cultura,

le scriviamo per chiederle di farsi promotore di un'iniziativa in seno al Consiglio dei Ministri affinche' sia revocata l'annunciata decisione del governo di inviare centinaia di soldati italiani alla diga di Mosul in Iraq, decisione che espone quegli innocenti e il nostro paese al gravissimo pericolo di divenire bersaglio di attentati terroristici, decisione che non solo non e' utile alla lotta contro l'organizzazione terrorista e schiavista dell'Isis, ma che (certo inintenzionalmente, ma effettualmente) addirittura ne favoreggera' la scellerata ed abominevole azione; una decisione quindi non meditata e non ammissibile, che pertanto e' doveroso e necessario revocare al piu' presto.

Si adoperi a tal fine: lo chiediamo a lei in virtu' del suo specifico incarico: giacche' e' proprio della cultura opporsi alla barbarie, essere testimonianza della civile convivenza, essere riconoscimento dell'unita' dell'intera famiglia umana, essere ausilio per la vita e lotta contro la morte.

*

Lo ripetiamo ancora una volta: quella decisione governativa espone assurdamente a un gravissimo pericolo di morte i nostri soldati, e con essi anche le maestranze della diga e le popolazioni dei dintorni ed a valle di essa, come anche la popolazione residente in Italia.

La diga si trova infatti a breve distanza da Mosul, citta' occupata dall'organizzazione terrorista dell'Isis: i nostri soldati diverranno un fin troppo facile bersaglio di attentati, e con essi diverra' un bersaglio di attentati anche il nostro paese giacche' la delirante propaganda dell'Isis presentera' ai suoi adepti quella presenza militare italiana alla diga di Mosul nei termini di una "invasione crociata" e chiedera' pertanto ai suoi folli sicari di compiere stragi anche nel nostro paese.

Non si creino le condizioni per il ripetersi della tragedia di Nassiriya.

Non commetta il governo italiano un irrimediabile, irredimibile errore.

Non esponga assurdamente alla morte persone innocenti.

Le operazioni militari, come le azioni di guerra, non sono utili contro il terrorismo bensi' palesemente controproducenti, poiche' la guerra e' gia' terrorismo ed il terrorismo suscita ed alimenta.

L'Italia non invii soldati e non partecipi ad altre azioni di guerra ne' in Iraq, ne' in Siria, ne' in Libia ne' altrove; si adoperi invece per recare aiuti umanitari; si adoperi a soccorrere le vittime superstiti; si adoperi per il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti; si adoperi per un'operazione di polizia internazionale guidata dall'Onu. Vi e' una sola umanita'.

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Egregio Ministro della Cultura,

si impegni affinche' sia revocata quella insensata e funesta decisione; salvare le vite e' il primo dovere.

Augurandole ogni bene,

Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani"

Viterbo, 5 febbraio 2016

 

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