Voci e volti della nonviolenza. 414



 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"

Numero 414 del 3 settembre 2011

 

In questo numero:

1. Mao Valpiana: Sulla strada indicata da Aldo Capitini

2. Flavio Manieri: Umano, non ancora umano. L'uomo intenzionalmente pacifico e la nonviolenza

 

1. EDITORIALE. MAO VALPIANA: SULLA STRADA INDICATA DA ALDO CAPITINI

[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per questo intervento.

Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive e ha lavorato come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"); attualmente e' presidente del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Con Michele Boato e Maria G. Di Rienzo ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" da cui e' scaturita l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in cammino"; una sua ampia intervista e' nelle "Minime" n. 255 del 27 ottobre 2007; un'altra recente ampia intervista e' in "Coi piedi per terra" n. 295 del 17 luglio 2010]

 

Il 25 settembre ripercorreremo la strada indicata da Aldo Capitini; il titolo della marcia sara' lo stesso dato da Capitini "per la pace e la fratellanza dei popoli"; concluderemo alla Rocca di Assisi, la' dove Capitini lesse la "mozione del popolo della pace".

Dobbiamo essere consapevoli della grandezza di cio' che faremo insieme.

 

2. VERSO LA MARCIA PERUGIA-ASSISI. FLAVIO MANIERI: UMANO, NON ANCORA UMANO. L'UOMO INTENZIONALMENTE PACIFICO E LA NONVIOLENZA

[Ringraziamo Flavio Manieri (per contatti: manieri at uniroma3.it) per questo saggio scritto in risposta a una richiesta di intervista; le domande della quale - cui il testo fa riferimento - erano le seguenti: "1. Quale e' stato il significato piu' rilevante della marcia Perugia-Assisi in questi cinquanta anni? 2. E cosa caratterizzera' maggiormente la marcia che si terra' il 25 settembre di quest'anno? 3. Quale e' lo "stato dell'arte" della nonviolenza oggi in Italia? 4. Quale ruolo puo' svolgere il Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini, e gli altri movimenti, associazioni e gruppi nonviolenti presenti in Italia? 5. Quali i fatti piu' significativi degli ultimi mesi in Italia e nel mondo dal punto di vista della nonviolenza? 6. Su quali iniziative concentrare maggiormente l'impegno nei prossimi mesi? 7. Se una persona del tutto ignara le chiedesse 'Cosa e' la nonviolenza, e come accostarsi ad essa?', cosa risponderebbe?".

Flavio Manieri e' psicologo clinico, psicoanalista, scrittore, docente universitario, professore di Psicologia dell'Educazione, direttore del Laboratorio di Clinica della Formazione, professore di Psicologia del linguaggio e della comunicazione. Dal sito www.flaviomanieri.it riprendiamo per stralci la seguente scheda: "Psicologo clinico e psicoanalista, si e' dedicato alla ricerca scientifica, alla poesia e alla saggistica. Professore, per oltre un trentennio, di Psicologia dell'educazione, di Psicologia della formazione e di Psicologia del linguaggio e della comunicazione, nell'Universita' "La Sapienza" e poi alla Terza Universita' di Roma. Qui ha diretto il Laboratorio di  Clinica della formazione e iniziative sperimentali di psicoterapia per studenti. Direttore di ricerca nel settore della psichiatria, della psicologia clinica e della clinica dei processi collettivi. Tutta la sua attivita' di ricerca scientifica e' stata orientata dalla necessita' di contribuire a produrre conoscenze corrette e ben fondate, al fine di orientare le decisioni e l'impegno nell'azione sociale e d'incrementarne la consapevole responsabilita'. Visiting professor nelle universita' di Princeton e Yale (Usa) al termine degli anni '70. Dai primi anni del decennio ha insegnato Metodologia e tecnica della ricerca psicologica nell'Universita' di Urbino, e Psicologia evolutiva nelle facolta' di Magistero e di Medicina dell'Universita' di L'Aquila. Ha vinto il concorso per professore ordinario presso universita' italiane ed ottenuto la relativa nomina. Ha finito, tuttavia, per rifiutarla dimettendosi, in linea con i risultati dei suoi studi e con le sue conseguenti convinzioni. Le sue ricerche, per una buona parte dell'ultimo quarto del '900, lo hanno confermato in una percezione depressiva della qualita' sostanziale e dei possibili destini della nostra universita' (Pantere e vecchi corvi, 1993). L'universita' vi emergeva - in particolare, per la poverta' diffusa degli insegnamenti, per la qualita' media degli insegnanti, per l'endemica corruzione, per la promozione del servilismo - quale area diseducativa per i giovani: una sorta di enclave di sottocultura burocratica e di distorsione etica, con pratiche e vissuti interni di fatto separati dalla normale influenza dei nostri principi costituzionali. Ha fatto parte fra il '59 e il '66 della neoavanguardia e del primo Gruppo '63, pubblicando - presso Lerici - Modi (1965). Intensa e' stata da sempre e permane la sua azione nel segno delle liberta' concrete e dei grandi temi della difesa civile. Fin dai contatti con Sartre e con l'engagement anticolonialista, per la liberazione dell'Algeria (primissimi anni '60), alla cofondazione del Codacons (vent'anni dopo). Del primo Codacons (Coordinamento delle Associazioni per la difesa degli utenti e dei consumatori) egli e' stato "garante morale" e poi presidente nazionale, seguendo con particolare interesse i problemi della Cultura e dell'Istruzione. Un Codacons, il suo, ispirato esplicitamente alla morale "in prima persona", e al coraggio civile, di Karl Kraus. Ha diretto negli anni 1967-68 la rivista "Crisis". Flavio Manieri vive e lavora a Roma, dove e' nato nel 1940 e dove ha presieduto lo Iica (Istituto Internazionale per il Consumo e l'Ambiente) (1989-1991) e diretto fra il 1991 e il 1999 la relativa Areasociale.  Presiede attualmente il Forisma (Istituto di Studi e Ricerche avanzate sulla Formazione e sulla Comunicazione Umana). Il Forisma ha recentemente gemmato una seconda divisione, dedicata agli studi e agli interventi nel settore della Clinica sociale e nella Clinica del lavoro. Le due sezioni hanno loro proiezioni su Internet ai siti web www.forisma.it e www.reviewsforisma.it E' stato membro - dal 1994 al 2004 - del Consiglio Consultivo degli Utenti e del primo Consiglio Nazionale degli Utenti, presso il Garante per l'Editoria. E' stato nominato membro del primo Consiglio per la qualita' della Rai, relativo ai minori (ex. Art. 6, Contratto di Servizio fra lo Stato e la Radiotelevisione italiana). Ha presieduto lo Isis, Istituto per lo Studio e la Ricerca Sperimentale sull'Immaginazione (1980-1990) e il Centro Studi sull'immagine pubblica (1980-1985). Nel passato, e' stato segretario generale dell'Aipur, Associazione Italiana Professori Universitari di Ruolo. Dalla fondazione (1969) fino al 1980, Flavio Manieri e' stato direttore editoriale della Newton Compton Editori. Nella Newton Compton ha diretto personalmente la collezione dei Saggi, quella di Psicoanalisi, e per un certo tempo quella di poesia e quella dedicata agli autori marxisti. Dal 1964 al 1971 ha diretto i servizi psicologici del Centro Internazionale d'Ortopedagogia, collegato con la Cee, dove ha iniziato la sua pratica psicoterapeutica e poi psicoanalitica. Una diecina di anni, di qua e di la' del sessantotto, sono stati dedicati da Manieri alla propria esperienza psicoanalitica, a studi e a lavori esclusivi sulla psicoanalisi, e alla pubblicazione delle opere di Freud, di Jung e di Adler. La pubblicazione di Freud avvenne - appunto - in una nuova prospettiva critica (traduzioni tematiche, in "economica": "lo spaccio di Freud"). E in una dimensione di "nuovo consumo culturale diretto", "diffuso" e di "rilettura innovativa". In particolare, linguistica. Sotto il profilo linguistico egli era stato allievo di Alfredo Schiaffini, che lo aveva messo in contatto con una tradizione di studi che va da Vossler ad Auerbach e a Leo Spitzer, di A. Pagliaro per l'indoeuropeo, di Perrotta e allievi (Gentili, Morelli) - con cui si era giovanissimo accostato alla filologia classica tedesca ed alla sua critica culturale -, e di Giacomo Debenedetti, la cui attenzione e la cui lettura testuale erano nutriti da uno straordinario vissuto psicoanalitico. Schiaffini lo aveva incoraggiato ad orientarsi verso studi tecnici, verso la medicina e la psichiatria. Debenedetti, frequentato non solo come professore, ma - grazie a Giuseppe Ungaretti - anche come riferimento culturale, presso la direzione de Il Saggiatore, fu mediatore dallo studio di via Veneto non solo dell'"ispirazione" psicoanalitica, ma oltre, del primo contatto fra Manieri e Alfredo Giuliani, e quindi con il "Gruppo '63" romano (Manganelli, Balestrini, ecc.). A quanto detto, si aggiungevano studi, pratiche creative, e scambi con le neoavanguardie europee, fra le quali il "Gruppo '63" si poneva. La progettazione della traduzione della Newton teorizzava "finalmente la diretta messa a disposizione quanto piu' completa del materiale freudiano", e la "sua sottrazione al consumo banale, prude, salottiero", allora in aumento. Quelle introduzioni avevano un aspetto, non di rado, provocatorio, negandosi all'atteggiamento "esplicativo" e "complessificando, piuttosto, la loro fonte": apparendo talora "piu' difficili" dello stesso Freud che si andava "troppo facilmente" a consumare. Consumo di massa si', ma con aumento del processo effettivo di insight, di riflessione progressiva sul linguaggio, e non quale riduzione formulare, in slogan. Tutto questo ha costituito un lavoro decisivo per la cultura inamidata del tempo, che difendeva "sclerotiche forme proprietarie" e sussiegosi "orti conclusi". Lo faceva per "rispetti di campo" che andavano ben oltre le leggi, e in nome di pretese qualita', snobistiche, non giustificate. Al contrario, quel metalavoro - avvenuto nel tempo, attraverso letture e riletture dei testi, da parte dei traduttori - ha influenzato e arricchito di nuova sensibilita' la pratica clinica, come e' testimoniato da alcuni testi, fra i quali Massucco Costa, Musatti, Manieri, Morpurgo, Psicoanalisi e marxismo, Roma,  Newton Compton, 1975; Manieri, F., Relazione al Congresso italiano di psichiatria, Palermo, 1972: poi introduzione a S. Freud, Casi clinici, Newton Compton. Da un certo punto in poi, la rilettura innovativa si e' nutrita dell'incontro, dell'analisi e dei controlli con Jacques Lacan, a Parigi, e dello studio critico della tradizione fenomenologica e strutturalista che attraversava il discorso lacaniano. E consentiva di confrontarsi in modo tecnicamente agguerrito, nell'analisi dei linguaggi  opachi dei poteri, con le intuizioni decostruttive di Derrida. Sicuramente, comunque, fuori dalla corta e parziale - ma non del tutto "inventata" - critica di Sokal. Negli anni '60 e '70 del Novecento, il lavoro e la produzione in campo clinico psicoanalitico, la poesia e la lettura politica di una societa' in vivace trasformazione, sono stati - dunque - preminenti nell'opera di Flavio Manieri. La poesia, l'analisi linguistica hanno poi costituito un filo conduttore latente, ma non solo privato, nella sua storia personale. Con l'inizio degli anni '60 l'engagement  sartriano, in politica, si e' articolato con una serie di approfondimenti sperimentali, in vista di nuove metodiche di ricerca. Per gli psicologi sperimentali erano, infatti, allora disponibili modelli basati su tecniche rigide, molto costose in termini di impegno e poco produttive. Egli si e' allora dedicato a studi sui processi di formalizzazione della ricerca complessa, sulle dimensioni logiche della matematica, sui possibili sviluppi statistici multidimensionali della costruzione-valutazione d'ipotesi, provenendo dall'esperienza partecipata di ambedue le rive, quella "etica" e quella "formale", della riflessione wittgensteiniana. Dal Tractatus all'analisi del linguaggio comune, alla sfida dei suoi limiti conoscitivi, al gioco linguistico, fino al suo approdo "psicoanalitico". Incuriosito, ma con molti limiti, dai risultati dei suoi epigoni neopositivisti, e dagli sviluppi dei loro esiti fisicalisti nell'Enciclopedia internazionale della scienza unificata. D'altro lato, studi condotti insieme ad Angela Massucco Costa, gli facevano rivolgere un'attenzione particolare a psicologi sovietici, come Lomov e Ananiev. In particolare - per quanto riguardava Manieri -, tali studi erano interessati alla loro impostazione autonoma della teoria dei sistemi. Sembrava, allora, che quella impostazione autorizzasse lo studio di processi complessi, per via di verifiche combinatorie sistematiche e gerarchiche delle singole ipotesi elementari, atomiche. Si poteva almeno fondare autonomamente una giustificazione dell'ipotesi, da sottoporre a verifica. Alcuni studi clinici sul rapporto fra tipologie di diagnosi psichiatriche (Kraepelin vs Bleuler) e immagine di pazienti depressivi o maniacali (tratti mimici e non mimici del volto) furono condotte. La statistica andava allora proponendo nuove tecniche complesse dell'analisi della varianza nested, nuovi sviluppi applicativi dell'analisi fattoriale e l'uso della metrica del chi2 nell'analisi delle corrispondenze, promossa per l'analisi dei dati da Benzecri. Questo consentiva verifiche di ipotesi piu' complesse che in passato, e lo studio di eventuali parentele o profili di discriminazione fra gruppi di soggetti o di fenomeni, all'interno di popolazioni di dati. Il suo lavoro - dagli anni '80 - si e' prevalentemente orientato allo studio dell'immagine e dell'immaginazione umana. Questo si e' esplicato, sia al livello dei meccanismi cerebrali sia a quello delle rappresentazioni psichiche e delle produzioni formali. In particolare, con gli studi encefalografici sul fenomeno del sogno, e con quelli sulle condizioni operative, probabilistiche e temporali dei codici automatici che trasformavano il fenomeno fisiologico (scatenamento di catecolamine dal tronco cerebrale, attivazione della corteccia visiva e di processi di retrieval e di rehearsal "proposizionali"), in fenomeno psicologico (l'organizzazione di una storia sequenziale, il racconto del sogno). Dopo il 1985, gli interessi si sono indirizzati in quattro direzioni spesso interagenti fra loro, con analisi sempre sorrette da ricerche originali di tipo empirico e sperimentale: a) Una direzione di analisi psicologico-sociale e clinica dei vissuti, in particolare nel settore delle patologie - individuali e collettive - connesse con l'istruzione, la cultura, la comunicazione, il lavoro; b) Una direzione di analisi delle dinamiche formative, in condizioni di degrado istituzionale; c) Un terzo orientamento ha riguardato lo studio delle didattiche sociali implicite, regressive, virali che stanno cancellando il senso storico della democrazia, svuotando in essa la funzione della politica, ridotta a pura strategia di dominio; d) Una quarta direzione di analisi dei processi creativi, coinvolti nella scrittura e nei fenomeni legati all'elaborazione poetica e critica. Egli ha fondato, per questo, a Roma nel 1993 il Centro per lo studio scientifico del testo creativo. Flavio Manieri e' autore di alcuni volumi (fra gli ultimi: Decomposizione e destino della politica (Nani morali, controlli virali, nuove democrazie esecutive) (2008). Lineamenti di didattica sociale regressiva (Roma, 2005), Principi di didattica minima (Roma, 2004), Ordini, prassi, saperi della formazione, in due voll. (Roma,  2001 e 2002). Sotto la liberta' nulla, sul progressivo degrado delle liberta' costituzionali in Italia (Roma, 1993). Infine: Pantere e vecchi corvi (Lecce, 1993), su quindici anni di svuotamento del significato culturale, e sulla costruzione d'un sistema servile per le nostre universita', e Verde verticale '90 (Milano, 1989), sul rapporto fra spazio, visualita' e scrittura nella poesia italiana dagli anni Sessanta all'ultimo decennio del '900. A questi si aggiungono oltre un centinaio di lavori empirico-sperimentali e di saggi. Egli e' stato direttore del "Giornale Italiano di Psicologia Clinica / Italian Journal of Clinical Psychology", condirettore di "Psicologia e societa'. Rivista Italiana di Psicologia Sociale" e, per qualche tempo, nello staff di direzione scientifica di "Rinascita della scuola". Oltre a Modi (1965), ha poi pubblicato altri volumi di poesia, da Ou' (Roma, 1988) a Locus caeruleus (Pescara, 1993), e ha collaborato con le piu' rilevanti riviste di poesia e d'arte d'avanguardia, da "Tool", "Ex", "Marcatre'" fino ad "Anterem", dove e' uscito negli anni '90 il primo gruppo di composizioni della raccolta Bombay. Quanto a Verde verticale '90. Spazio, visualita' e scrittura nella poesia italiana, si tratta di una lettura del processo di creazione poetica nel nostro paese, nella prospettiva critica e di discussione aperta all'interno del postderridismo americano della "Scuola di Yale". La prospettiva critica si e', appunto, maturata durante il periodo d'insegnamento di Flavio Manieri negli States. Ha avuto collaborazioni giornalistiche. I suoi articoli sono comparsi nelle pagine di cultura dei quotidiani "Momento Sera", "Paese Sera" e "Secolo XIX" di Genova. Ha ricevuto il premio per la cultura della Presidenza del Consiglio nel 1996. Lo ha ricevuto una seconda volta nel 2002. Tra le funzioni svolte ed i riconoscimenti: 1996: Premio per la cultura relativo alla saggistica della Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana ; 2002: Premio per la cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana per l'opera Ordini, prassi, saperi della formazione, vol. 1 e vol. 2, Roma, Anicia, 2001; 2003: membro del Consiglio per la qualita' della Rai ex art. 6 del Contratto di servizio fra lo Stato e la Rai; 2001-2002: membro della Sede permanente di confonto fra Rai e parti sociali (Convenzione Stato-Rai Radiotelevisione Italiana); 2000 - 2005: membro del Consiglio Nazionale degli Utenti. Autorita' per le garanzie nelle Comunicazioni, nominato su designazione delle associazioni nazionali per il quadriennio 2000-2004 e rinominato su nuova designazione nel mese di aprile 2004 per il quadriennio 2004-2008; dal 2000: direttore Iica Areasociale e Formazione - Istituto Internazionale per il Consumo e l'Ambiente; 1999: presidente del Forisma, Istituto di Studi e Ricerche avanzate sulla Formazione, sulla Comunicazione e le loro patologie, Roma; 1999: candidato dalle associazioni del consumerismo italiano quale capolista per le elezioni europee del 13 giugno 1999; 1996-2000: presidente nazionale Codacons (maggio 1996 - giugno 2000); 1995 - 1996: membro del Consiglio di Presidenza nazionale del Codacons (Coordinamento delle Associazioni per il Consumo e l'Ambiente), con funzione di Garante morale; 1995-1999: direttore del Dipartimento Istruzione e Cultura, Codacons; 1994-1997 e 1997-2000: componente del Consiglio consultivo degli utenti presso il Garante per la radiodiffusione e l'editoria (dal 17 marzo 1994 - 1997), rinominato dal Garante prof. Casavola nella funzione di Consigliere per il triennio 1997-2000; 1992-1993: direttore del Dipartimento psico-educativo dello Iica; 1989-1992: presidente della Fondazione Iica - Istituto Internazionale per il Consumo e l'Ambiente, dove ha fondato il settore Areasociale e Formazione, con iniziative rivolte alla didattica della nuova legislazione sui diritti degli utenti e consumatori, per docenti di diritto delle scuole superiori (come era gia' accaduto nell'ambito del Codacons e con la collaborazione dell'Universita' Luiss); 1989 -1994: Executive Editor del "Giornale Italiano di Psicologia Clinica e della Cultura / Italian Journal of Clinical and Cultural Psychology"; 1986 - 2000: presidente dell'Aidcs (Associazione Italiana per i Diritti Civili nella Scuola); 1985-1986: segretario generale dell'Aipur (Associazione Italiana Professori Universitari di Ruolo) per il 1985-1986; 1981-1985: membro del comitato direttivo nazionale della Divisione di Psicologia clinica della S.I.Ps., Societa' Italiana di Psicologia; 1981-1983: direttore dell'Istituto di Psicologia dell'Universita' dell'Aquila; 1980-82 e 1994-96: membro di Commissioni scientifiche d'Ateneo. Ha fatto parte della Commissione scientifica d'Ateneo dell'Universita' dell'Aquila per gli anni accademici 1980-82, ed e' stato nominato membro della relativa commissione ristretta. Ha fatto parte della Commissione Scientifica della Facolta' di Magistero. Ha fatto parte della Commissione scientifica d'Ateneo della Terza Universita' di Roma (1994-1996); 1980-1987: direttore dell'Isis, Istituto per lo Studio e per la Ricerca Sperimentale sull'Immaginazione e sul Sogno, Roma; 1978-1991: condirettore (con A. Massucco Costa, G. Canziani, E. De Grada, F. Morino Abbele, F. Traina, G. Villone Betocchi) di "Psicologia e Societa'. Rivista Italiana di Psicologia Sociale"; 1977-1983: consiglio direttivo della Sezione regionale Lazio della S.I.Ps., Societa' Italiana di Psicologia: ha fatto parte per due trienni consecutivi (1977-1980, 1981-1983) del Consiglio direttivo della Sezione regionale Lazio della S.I.Ps., Societa' Italiana di Psicologia, al cui interno e' stato responsabile del settore di Psicologia clinica e del settore relativo alla Ricerca scientifica; 1977, 1979, etc.: cura e responsabilita' di settori scientifici di congressi, ha curato settori di lavoro scientifico in Congressi nazionali (cfr. i Programmi dei Congressi nazionali degli Psicologi Italiani di Viareggio, 1977 e di Arcireale, 1979); 1974-1975: lavoro di sperimentazione sul campo nel mondo della scuola; un lavoro sperimentale sulla formazione psicologica dei maestri elementari  in servizio e sulla possibile costituzione di gruppi di lavoro, di decisione e di ricerca, costituiti da maestri con esperienza comune nelle dinamiche profonde di gruppo, e' stato condotto nel corso del 1974-1975 presso il Circolo didattico di Lunghezza-Corcolle, alla periferia di Roma; 1974-1983 e 1990-1995: direttore presso l'Universita' di L'Aquila e poi presso l'Universita' di Roma di un Consultorio psicoterapeutico universitario, ha diretto dal 1974 al 1983, presso l'Istituto di Psicologia dell'Universita' dell'Aquila, un Consultorio psicoterapeutico, individuale e di gruppo, rivolto agli studenti dell'Universita'. Ha avuto (1990-1995) la responsabilita', presso il Dipartimento di Scienze  dell'Educazione (Universita' "La Sapienza" e poi Terza Universita' di Roma), di un Consultorio con finalita' scientifiche, rivolto ai problemi di personalita' e d'apprendimento dei ragazzi nel periodo universitario; 1969-1978: direttore editoriale della Newton Compton Editori, responsabile di attivita' editoriali specialistiche, ha curato fra il 1969 e il 1978 collane editoriali dedicate alla Psicologia, come la Biblioteca di Psicologia e Psicoanalisi e la Biblioteca dei Saggi della Newton Compton, che consta di circa centocinquanta volumi, ha curato la progettazione editoriale e i lavori introduttivi della prima edizione economica delle opere di Freud in lingua italiana, a curato la progettazione di opere di C. G.Jung e il piano generale della traduzione italiana delle opere di A. Adler; 1969-1975: direttore dei servizi psicologici e psicopedagogici del Centro Internazionale di Ortopedagogia, il Centro Internazionale di Ortopedagogia era organizzato, all'interno di un programma Cee, dalla Associazione di scuole private e parificate Aninsei; 1968-1971: psicologo infantile  presso l'Ufficio d'Igiene del Comune di Roma, Servizio IV, 1968-1971, in questo periodo, ha prestato la sua opera presso Consultori psicopedagogici di scuole elementari e medie, e presso Scuole "speciali" per handicappati fisici e psichici (ad es. Leonarda Vaccari e Vittorino da Feltre); 1968-1971: psicologo nelle equipes socio-psico-pedagogiche del Comune di Roma. Iscritto all'ordine degli Psicologi del Lazio; iscritto all'Albo degli Psicoterapeuti; membro della Siped - Societa' Italiana di Pedagogia, membro della Sird - Societa' Italiana di Ricerca Didattica. Capitoli e ampie citazioni sulle connessioni fra attivita' scientifica e civile di Flavio Manieri a favore dei cittadini, sul tema delle didattiche informative pubbliche, sono contenute nei volumi: Roberta Gisotti, La favola di Auditel, Roma, Editori Riuniti, 2002; Giulio Gargia, L'arbitro e il venduto, Roma, Editori Riuniti, 2003". Un'ampia bibliografia delle opere di Flavio Manieri, (organizzata in: volumi scientifici, volumi letterari, lavori empirici e saggi scientifici, letterari, politici, lavori empirico-sperimentali e saggi sull'educazione umana, lavori empirici e saggi su contesti e strumenti formativi, lavori sull'Immaginazione e sull'immagine sociale, lavori di psicosociologia istituzionale e di psicologia sociale, scritti metodologici, scritti di storia della psicologia, scritti sull'elaborazione freudiana della psicoanalisi, scritti su psicologia e dinamiche collettive, scritti su psicologia formativa, arte e letteratura) e' disponibile nel citato sito www.flaviomanieri.it]

 

Le prime tre domande sono, sotto il profilo politico e morale, molto legate fra loro.

Il significato di maggior rilievo della marcia Perugia-Assisi, negli ultimi cinquanta anni, e' stato, senza dubbio, quello di unire concretamente in un comune fascio d'intenzioni attive le persone che sono e si dichiarano contrarie a ogni forma di violenza. Parlo della violenza fisica, militare e politica, in primo luogo, ma anche delle violenze latenti, indirette, delle induzioni regressive di massa, delle coartazioni e delle esclusioni, fino alle retoriche "assolute", prepotenti, comunque violente, di certa dentata mitezza. E di sue maschere e alleanze proteiformi, globali.

Non c'e' oggi piu' spazio "reale", ed e' ridotta la disponibilita' finanziaria, un tempo notevolissima, per i giocatori internazionali delle tre carte. Si e' ridotto, ancor piu', lo spazio per le controparti degli "ingenui", appassionati di tutte le processioni di protesta.

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Cio' che caratterizzera' la marcia settembrina di quest'anno e', dalla mia prospettiva, il tenere ben alta e partecipata la bandiera della pace, come valore forte, emblema del processo di umanazione stessa degli esseri. In ambienti, in cui una truffa semantica diffusa intenderebbe far percepire la scelta dei portatori di pace, la stessa opzione "pacifista", come un abito ideologico sospetto. Qualcosa la cui grana umana puo' sfuggire alle armate della propaganda tecnologica delle superpotenze, nella lotta, con ogni mezzo, per il dominio. Ivi compreso quello del cambiamento strategico latente del significato dei termini valoriali in uso (Liberta', Democrazia, Pace, Tolleranza).

Sempre piu' importante diventa, dunque, sostenere, resistendo, i significati effettivi e storici dei valori identificanti per la riflessione umana e scomodi per gli interessi delle varie forme - autentiche o truccate - di bullismo globale.

Quando si modificano i significati, pur conservando le stesse forme esterne, gli stessi suoni (i significanti), cambiano completamente di senso i concetti e le idee che con essi sono costruiti, fino a capovolgimenti assurdi. Ne e' un esempio quello di chiamare "contingente di pace" un'armata di guerra, e "azione umanitaria" l'occupazione armata (compiacente) di un territorio, aggirando e tradendo la stessa costituzione "pacifica" del proprio paese.

Se si giunge, invece, a considerare tutto ciò opportuno nell'ambito delle alleanze gia' fissate da governi, e ispirate da retoriche inneggianti alla "lotta contro il male", si alimenta il senso di "scollamento" e di sfiducia dei nostri cittadini nei confronti della loro legge fondamentale. Questa diviene una carta che e' vincolante per il cittadino, ma non vincola nello stesso senso generale e coerente le scelte politiche internazionali di chi lo rappresenta. Anzi e' subordinata, talvolta contraddittoriamente, ai suoi patti. Quel che i cittadini hanno concordato nella loro Costituzione di ripudiare (la guerra), sembra non obbligare i suoi governi. Questi rimangono vincolati piuttosto dalle loro fedelta' storiche ai sostegni "politici" internazionali, alle loro ideologie di guerra e ai loro fallimenti di sistema. Incuranti di relegare, di fatto, la nostra Costituzione a un riferimento solo parzialmente o apparentemente primario, cosi' che nessuna norma dello stato potra' essere in conflitto con essa, ma lo potranno i suoi impegni esteri.

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Piu' complesso e' rispondere alla terza domanda, sullo "stato dell'arte" della nonviolenza in Italia. Questa potrebbe avere piu' chiavi di lettura: una chiave riguardante l'evoluzione storica e teorica delle idee, la loro diffusione, il loro rapporto con il potere, o forse una focalizzazione sulle sue forme piu' efficaci nel nostro paese. Preferisco, come piu' pratica e meno astratta, oltre che connessa alla quarta domanda, l'ultima lettura.

Devo dire che, in genere, non amo le definizioni in negativo. Non accetto, per esempio, come laico, la definizione "religiosa" di "non credente". Io ho "credo" critici riflettuti e fermi, condivisi da molti, ma tolleranti, plurali e, spero, nei fatti, sempre aperti interrogativamente. Considerarmi "non credente" potrebbe, anzi, legittimarmi a chiamare parallelamente i miei interlocutori "creduloni". Cosa che per rispetto, anche di me stesso, guardando ad alcuni loro comportamenti, mi astengo dal fare.

Cosi', non mi adatto facilmente alla definizione negativa di "non violento", convinto come sono - lo hanno ampiamente dimostrato gli studi antropologici piu' recenti, sui pregiudizi creati ad arte intorno al popolo degli Yanomani - che l'uomo non e' affatto "naturalmente violento e crudele". Questa rappresentazione e' ormai considerata frutto di una ricostruzione filmica artefatta, anzi falsa, della "violenza originaria", a sostegno ideologico di un residuo minoritario, barbarico, di criminali economico-militari. Quelli che troviamo spesso intorno ai vertici, a influenzare e a utilizzare per uno scopo egoista la forza di deterrenza e di soggezione delle superpotenze. Si tratta di club di "dominanti", lanciati alla fine del '900 in sfide sempre piu' esasperate e demenziali, fino all'attuale disastro, pagato da tutti.

L'uomo nella sua via di umanizzazione storica, cosiddetta civile, si caratterizza proprio per la delineazione del carattere "pacifico" dei membri della sua "famiglia", capaci di avvedutezza e di buona volonta'. Sono coloro che fin dalla lettera del faraone egizio al figlio (3500 a.C.) dovrebbero essere ritenuti anche i piu' degni di governare. Parlo degli uomini che giungono a superare i sacrifici umani, la guerra e l'idea di dei alla guida di eserciti sterminatori del nemico, dando invece spazio alla negoziazione, all'uso opportuno dell'intelligenza, al miglior ottenimento comune possibile. Sono uomini che si riconoscono a specchio, nella loro pari dignita' sostanziale, nella loro scelta di "servizio" reciproco e di rispetto verso tutte le specie che contribuiscono alla vita, non indipendentemente ma al contrario dipendentemente dalla ricchezza partecipativa di tutte le culture. Sono uomini avvertiti, in grado di riconoscere una malattia esiziale, e subdola, quella della paranoia sociale. Una malattia che genera fantasmi di superiorita', di unicita', di egoismo e proietta colpe, progetta vendette, costruisce apparenti giustificazioni a deformazioni occulte o palesi nella storia dei popoli. Li espone a concepire l'inconcepibile per un essere umanato e li degrada - che ne escano sconfitti o vincitori - a progetti di sangue.

E' qui il momento di puntualizzare che non riteniamo vi siano due forme di umanita', l'una violenta e l'altra non violenta. L'uomo umanizzato ha progredito nella maturazione della sua specifica natura di essere umano, che e' pacifica e riflessiva. L'uomo ancora preda di appetiti bestiali ed egoisti di dominio sull'altro, di danneggiamento e soppressione, di la' dal decantamento barbarico dei propri avi e di un destino - a chiunque attribuito - di superiorita', manifesta dietro le minacce della forza, vittima o carnefice, pericolose presunzioni deliranti. Comunque, e a qualunque livello di propaganda e d'uso avanzato di tecnologie di massa, questo essere si presenti travestito. Le definizioni, in questo senso, non si fermano e non possono fermarsi "concordemente" al periodo nazista.

All'essere "violento", non-ancora umano, non puo' opporsi semplicemente come "non violento", un essere umano, con strategie da uomo pacifico e risposte ovviamente non speculari. Intendo dire meno istintivamente muscolari, orientate all'educazione, al lavoro comune sulla coscienza sociale dei suoi simili, a interventi nell'ordine della legalita'. Ed e' quanto e' stato, appunto, in parte tentato da un primo Codacons, un Codacons krausiano, cui ho dato particolare impulso. Questo orientamento - con altre figure di uomini liberi - aveva ritenuto compito ormai "rivoluzionario" della partecipazione politica un controllo, non solo di autenticita', ma di legalita' rivolto a lei stessa e al potere.

L'uomo, come tale - dunque - sulla terra, laico, umanato in un processo di civilta', e' direttamente e affermativamente "pacifico", e quindi non considera la violenza se non uno strumento bestiale - o bestialmente ipocrita - di oppressori. Considera come tale anche la relazione, e gli usi della relazione, fra la violenza e il sacro. Il sacro dei saggi, quando prende forma, ha preminenze miti, profonde, tocca quasi miracolosamente interiorita' fraterne. La sola risposta dell'uomo alla violenza potra' essere nonviolenta, di una nonviolenza strategica, attiva, gandhiana. Potra' essere non collaborativa con chi opera violenza, disobbediente sul piano civile, schierata sul piano dei diritti umani veri e legittimi, recepiti o da recepirsi nelle costituzioni (diritti di terza  quarta generazione).

In questo senso, gli strumenti per affrontarla devono andar oltre la testimonianza, di puro alto valore morale, alla Capitini, o di recupero delle "sorgenti" di Lanza del Vasto. Essi devono consistere in una nuova diffusione di strumenti di analisi e di azione pubblica. Innanzitutto, questo riguarda il riconoscimento e l'identificazione, non generica, della matrice di minoranza che lo attiva e lo alimenta nelle masse, per interessi egoisti perversi. Il conflitto che genera violenza vera, dimostratasi non trattabile e non componibile, non e' mai un conflitto "puro" fra uomini, ma fra interessi, tra "verita'". Contrariamente a molti, e sulla base non della retorica delle apparenze, ma delle esperienze storiche che stiamo ancora vivendo, non credo all'associazione nonviolenza-verita'.

Al contrario, la verita' unica si difende e si regge grazie al possesso della forza (militare, politica, di persuasione orientata e basata sull'induzione di paure); mentre la pacificita' dell'umano civile e' fondata sulla tolleranza, sulla pluralita' delle riflessioni, sulla comunanza di fini proumani riconosciuti fra uomini.

A questo si accompagna una risposta, individuale e collettiva, che non si ripromette di essere ne' violenta, ne' per conseguenza "non violenta", ma giustamente efficace nel suo intento inibitorio. In altre parole, nel progressivo isolamento e restringimento dello spazio d'azione ingannatorio, fuorviante, ricattatorio, danneggiante, in modo che la violenza non s'imponga. Non solo, ma finisca, al tempo stesso, per cortocircuitarsi. E' questa un'azione attiva e passiva continua che riduce cio' che e' violento a essere oggetto di se stesso. Lo riconduce alla sfera penale del criminale, chiunque ne sia l'ispiratore, anche quando questo si riveli di matrice istituzionale o transnazionale. Tende a piegarlo - con tutti i mezzi assedianti di una cultura demistificante diffusa - alla sua evidenza e alla sua autopunizione.

In effetti, le dimensioni di responsabilita' pubblica, nelle forme di protesta organizzate contemporanee, in particolare da noi - coniugate con domande acute e "competenti" di legalita' e di giustizia, rivolte a un potere "di posizione", clientelare di "furbetti", dei favori personali - stanno oggi crescendo con piu' decisione. Esse pongono in evidenza le logiche devianti di chi mobilita da anni in Italia gli apparati di repressione: come l'ha evocato con cinica esplicitazione Cossiga. Di chi li orchestra cinicamente, ne alimenta e gestisce gli equivoci, ma e' capace di lasciarli anche spiazzati in operazioni irresponsabili. Come nei fatti di Genova (2001).

*

Rispondo alla quinta e sesta domanda, cominciando dagli episodi rilevanti della piu' recente risposta nonviolenta in Italia. La risposta che piu' m'interessa non e' ovviamente quella che gira intorno a giochi di parole (pacificati, pacifisti, pacificatori), ma opera modificazioni nei fatti, fonda nei "Molti" (una maggioranza, tendenzialmente individuata e presente in ciascuno) un processo di umanizzazione e di realizzazioni pacifiche.

Sono richiamati alla legalita', per loro tramite e prima degli altri, quelli che a parole dovrebbero farla rispettare e la pongono invece al servizio degli interessi di pochi, esercitandola attraverso una "serva" violenza.

Tra i movimenti recenti di uomini pacifici che chiedono con fermezza rispetto della giustizia, della sovranita' territoriale, dei diritti a ogni diversita' e alla pace, oltre ogni discriminazione, cito immediatamente tutte le iniziative contro gli inganni e le distorsioni di comodo del dettato costituzionale. E, per aggiunta, contro ogni svuotamento dall'alto, sia sotto il profilo dell'organizzazione giudiziaria sia attraverso una legislazione occasionale, del senso e delle radici stesse ugualitarie della giurisdizione.

Cito, inoltre, le iniziative - da quelle rituali, dai cerimoniali aggregativi e simbolici, come le marce (anche con alto e resistente valore morale, come la Perugia-Assisi) fino alle azioni giuridiche, politiche, di cittadinanza, diffuse e palesemente dichiarate, di resistenza senza se e senza ma. Iniziative di denuncia dei molti quaquaraqua' della politica chiacchiera, della politica commercio, delle lobby affaristiche militari. Quelle che confondono la politica internazionale dell'Italia con gli allineamenti servili ai garanti internazionali del loro potere locale. Apprezzo, prima di tutto, le posizioni nette, coraggiose e vincenti per la moratoria internazionale sulla pena di morte e quelle contro la partecipazione di riporto dell'Italia alle guerre avventurose dell'America di Bush, e solo con stile diverso di Obama. Secondo una linea untuosa (che alcune memorie diplomatiche umiliantemente riportano), e che dura dalla conclusione della seconda guerra mondiale, e si prolunga come un'ombra, dagli accordi di Yalta. E' l'ombra di un universo passato e di artificiosi fantasmi onnipresenti.

Ricordo e cito qui, con rispetto, le manifestazioni esplicitamente, moralmente e giuridicamente avverse alle guerre, a tutte le guerre, matrici di sopraffazione e di dominio: quelle manifestazioni con sopra le facce, il nome e cognome, di ciascuno dei partecipanti. Ricordo le manifestazioni contro le frenesie profetiche e paranoiche, fra popoli e all'interno dei popoli. E, ancora, contro i karaoke del politichese affaristico. Cose che trovano modo di fermentare, per fortuna, presso gruppi di uomini pacifici e sensibili alle provocazioni violente e guerrafondaie, ma anche melense e idiotizzanti delle masse.

Sono state notevoli le reti di supporto al Tibet, ma soprattutto le forme d'interposizione pacifica sulle linee di scontro, in Mediooriente, con intenzione dissuasiva verso opposti deliri. Cosi' come tutte quelle proposte che si moltiplicano responsabilmente, per il controllo delle occasioni di scontro e di sostegno - palese e latente, diretto e indiretto - agli scontri armati: No alla moltiplicazione e agli ampliamenti delle basi Usa in Italia, blocco delle forniture militari ai paesi belligeranti, ritiro dell'Italia dai suoi impegni militari. Solo per questo, e in totale perdita, si trovano ormai i soldi per iniziative governative di senso apparente, forse piu' di gratificazione parafascista o paraUsa - o forse piu' con riferimento a lobby protette e riservate - che militari nel senso civile della nostra Costituzione.

Si e' poco o nulla incrementata nel paese l'educazione civile al riconoscimento, al disvelamento, alla destrutturazione delle forme violente, nei linguaggi di apparente pace, quelli degli avversari, come dei finti amici, riconoscibili dalle loro riduzioni personali, leaderistiche, teatrali. "Tutti insieme", in un talvolta inconcludente marketing di lotta. Un'operazione per puri pubblicitari e per uomini di spettacolo.

In queste iniziative la dimensione morale, e la sua sobrieta', la mira al fine devono essere massime; le piroette e le parate di profilo minime o nulle, e le primedonne ridotte a servizio. Cosa difficile, in particolare per noi italiani. La scuola e i processi educativi di spessore civile vanno mobilitati, fra i primi, nei confronti delle discriminazioni e della violenza interna, come nei confronti di quegli ottimismi beoti - che pure non mancano - i quali declamano intenzioni buonistiche d'accoglienza, come se la retorica  fosse tutto. E destinandole al fallimento.

In questa prospettiva, l'umanita' e' per noi una, uguale nei diritti di ciascuno, amichevole, solidale, anzi riflessivamente e criticamente solidale, difensiva per tutti dei principi costituzionali conquistati. Solidarieta' e amicizia non sono, infatti, e non possono trasformarsi in accettazione di apporti socialmente regressivi, cosi' come la mentalità pacifica, "nonviolenta", non puo' significare negazionismo verso il passato (ad esempio, l'apporto storico della Rivoluzione francese, malgrado le sue occasioni violente) o pura testimonianza, in un assolutorio spirito "religioso".

Le scelte antinucleari, per le energie alternative "pulite", per la non privatizzazione dell'acqua, per la riduzione e per lo smaltimento efficiente dei rifiuti, per la difesa degli ambienti naturali (azioni No Tav), la lotta contro la corruzione diffusa, devono servirsi non solo di azioni dimostrative pubbliche, ma di strumenti legislativi e giuridici specifici. Devono poterli utilizzare come strumenti legali effettivi, che consentano di raggiungere una condizione di giustizia apprezzabile. L'attuale vuoto di organici (giudici, cancellieri, dattilografi), di strumenti aggiornati d'informatizzazione, rendono molti uffici giudiziari italiani  delle angoscianti promesse d'impunita'. Al punto che, in alcune zone d'Italia, alle organizzazioni criminali, ormai pleonastiche, si sta tranquillamente - e senza violenza, anzi "con amore" - sostituendo una criminalita' continua, connivente, diffusa, ammessa, grazie alla quale il giro di conoscenze e di sostegni politicoidi consente a ciascuno, senza controlli sostanziali, di condurre avanti tutti quegli abusi che gli tornino comodi. In difformita', in contrasto, in barba alla legislazione nazionale. Anzi ottenendo ufficialmente dagli uffici comunali i permessi necessari.

 

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA

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Numero 414 del 3 settembre 2011

 

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