La domenica della nonviolenza. 210



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 210 del 5 aprile 2009

In questo numero:
1. Giancarla Codrignani: Pura crudelta' aggiunta
2. Tommaso Di Francesco ricorda Marina Rossanda
3. Edoardo Sanguineti ricorda Luciano Berio
4. Mauro Novelli: Emilio Lussu

1. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: PURA CRUDELTA' AGGIUNTA
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip3) col titolo
"Pasqua senza pace" e il sommario "Nel nostro corpo sociale segni troppo
gravi di degrado dei sensi umani. Alle donne amiche (e ai maschi gentili): a
Pasqua auguri?"]

Quando Medea esce dal silenzio e si rivolge, da straniera, alle donne di
Corinto, dice: "davvero, noi donne siamo il genere piu' infelice". Come non
ripeterlo con l'infelicita' che viene prodotta deliberatamente contro tante
di noi, quindi contro noi tutte.
Avevo trascorso una settimana molto bella, in primo luogo per l'incontro con
Wyslawa Szimborska e con la poesia "straordinariamente ordinaria" di
un'ironica vita quotidiana di donna. Poi al liceo "Luxemburg" la
presentazione di un "corto" prodotto da ragazzi stranieri che ha vinto una
selezione nazionale: un premio non per quella scuola, ma per la scuola tutta
quanta, salvata da insegnanti che conservano passione e trasmettono senso.
Poi domenica a Casalecchio una giornata fantastica con tanta gente che
affollava la "Casa della conoscenza" mentre fuori diluviava: ci si cimentava
a smontare le mafie e la loro immagine di morte, ragionando di "etica che
salva la bellezza". Cose da non crederci, in una Bologna in cui il ceto
politico non ha idea di quali emozioni, principi, autenticita' la gente
abbia bisogno di sentire esprimere.
Poi il contraccolpo di notizie che distruggono. In Afghanistan il presidente
Karzai ha firmato la legge che consente ai cittadini di fede sciita di
stuprare la moglie. Orrore e immediata solidarieta' con le parlamentari
afgane contrarie e impotenti. Poi, la tristezza di riflettere da italiana:
la legge contro la violenza sessuale si e' trascinata per sette legislature,
nonostante fosse una legge che non costava una lira allo stato e
soddisfaceva le donne di tutte le parti politiche (quelle di base, perche'
in Parlamento il "genere" non e' cosi' stabile).
E una memoria che risale. In uno dei tanti intoppi la legge si era bloccata
al Senato e io chiesi a Giglia Tedesco come mai la sinistra non decidesse di
andare allo scontro: perdeva, ma acquistava il consenso delle donne (che
allora assediavano le piazze, compresa quella di Montecitorio, da allora
chiusa alle manifestazioni). Giglia mi rispose che il problema non era la
Democrazia cristiana, ma "i nostri" che non avrebbero votato un articolo che
prevedeva la colpa anche per il marito.
Sono purtroppo tanti i maschi che si chiedono ancora per quale motivo mai si
dovrebbero sposare se non per avere un corpo di donna disponibile anche
quando lei non ne ha voglia; ma e' anche chiaro che le libere convivenze
garantiscono la donna piu' del matrimonio, finche' il costume resta
patriarcale. E poiche' chi dice o ha detto di amarti, o ti e' familiare, o
amico, e' una delle principali cause di morte delle donne, c'e' da
disperarsi pensando al tempo necessario al legislatore per capire la
necessita' che il femminicidio diventi reato distinto dall'omicidio.
Infine, a rattristare ci sono leggi e comportamenti che hanno dato grande
sofferenza alle straniere. Un pakistano e' finito in coma pestato da cinque
delinquenti italiani e la moglie, Karunasekera (bisogna ricordare anche i
nomi faticosi, perche' sono la storia), ha perduto il bimbo che aspettava;
ed e' gia' in piedi a tenere aperto il negozio che fornisce la sopravvivenza
("bisogna essere positivi", dice). Poi Kante a Napoli, un'ivoriana
rifugiata - e, quindi, soggetta a protezione di legge - che e' andata a
partorire in ospedale (pensate al nome: "Fatebenefratelli") ed e' stata
denunciata dall'istituto come clandestina: la polizia, subito intervenuta,
l'ha portata in questura e l'ha segregata per dieci giorni dal suo bambino
che non ha potuto succhiare il latte della sua mamma per tutto il tempo.
Tutto in nome di una legge che ancora non c'e', ma che produce gia'
conseguenze xenofobe intollerabili. Chi restituira' al bimbo i dieci giorni
di distacco da quel corpo materno che conosceva solo dall'interno? chi
compensera' Kante del suo terrore, della sua umiliazione, del post-partum in
galera?
Tutti sembriamo sdegnati, ma ci sono nel nostro corpo sociale segni troppo
gravi di degrado dei sensi umani. Obiettivo delle persecuzioni volute da chi
sostiene che "bisogna essere cattivi" con gli stranieri siamo tutti, uomini
e donne, lo sappiamo bene. Ma l'essere donne da' alla dignita' umana un
valore di "differenza" non ancora recepito come perdita di bene per tutti.
Pura crudelta' aggiunta. Per Pasqua: auguri?

2. MEMORIA. TOMMASO DI FRANCESCO RICORDA MARINA ROSSANDA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 aprile 2009 col titolo "La levita' DI
Mimma" e il sommario "Storie. Marina Rossanda o la vita piena. Due originali
iniziative per ricordare Marina "Mimma" Rossanda: l'istituzione di un
"Fondo" con interventi, leggi, carte, materiale iconografico. E un libro di
voci sulla Palestina, testimonianze, racconti di vita e di lavoro]

Due originali iniziative per ricordare Marina Rossanda, che ci ha lasciato
nel dicembre del 2006. L'istituzione di un "Fondo" intitolato a suo nome di
scritti, interventi, leggi, iniziative, con introduzioni e memorie a cura di
Eleonora Lattanzi e Linda Santilli pubblicato tra i materiali dell'Archivio
femminista Rosa Luxemburg e dell'Associazione Parola di donna, che e' stato
presentato a Roma a Palazzo Mattei la scorsa settimana, anche con una
introduzione del "fondo immagini" che ha suscitato nell'affollata assemblea
degli intervenuti una forte emozione. E, in contemporanea, un libro di
testimonianze, racconti di vita e di lavoro Marina (Mimma) Rossanda, a cura
di Elisabetta Lasagna. Due iniziative che hanno il merito di attualizzare
l'impegno e il percorso di vita di "Mimma", le sue esperienze
indimenticabili e "piene", tantopiu' in questa stagione di vuoto a sinistra.
Un tragitto il suo tutt'altro che facile. Subito, sin dall'infanzia quando -
ricorda Rossana Rossanda - una malattia trasformo' la sua complessione di
"bellissima bambina grassottella in un'esile ragazzina" dal corpo anzitempo
indebolito. Poi con la decisione di diventare medico, specializzata in
anestesia, con un lungo studio sulle tecniche di rianimazione nei pazienti
in coma per lesioni cerebrali che la porteranno, negli anni Settanta, a
contribuire all'apertura del Servizio di Neurochirurgia all'ospedale
Niguarda di Milano - i reparti di neurorianimazione e di neuroradiologia
saranno i primi d'Italia, da allora centri di eccellenza per la cura dei
traumi cranici. E sempre attiva politicamente a indagare i limiti specifici
della medicina e della figura del medico, ad approfondire il tema della
prevenzione, della salute e del benessere, delle strutture sanitarie da
trasformare con i nuovi soggetti protagonisti della lotta per la salute.
Interna a quel crogiuolo creativo che fu Medicina Democratica, sull'ambiente
di vita e di lavoro entrambi ridotti a merce, sulla nascita e l'aborto,
sulla genetica e bioetica, sulla vecchiaia possibile, sui limiti ma anche
sul valore dei trapianti. Mimma che corre in Sicilia e li' si scontra con
apparati sanitari reali quanto malavitosi, inguaiandosi con una denuncia per
"mendicita' abusiva" perche' raccoglieva fondi per il Vietnam, e che va a
Stoccolma a verificare il welfare piu' prossimo da confrontare con
l'arretratezza italiana. Severa, come quando obbligo' un agente di polizia
che aveva sparato ad un ragazzo grazie alla Legge Reale, a restare davanti
alla porta della stanza del ragazzo colpito, di notte e di giorno, perche'
capisse il danno irreparabile che aveva provocato.
E che per questa sua modalita' di "rossa ed esperta" finira' nelle
istituzioni - prima come rappresentante del Pci in Senato per due
legislature e poi nel Consiglio regionale del Lazio per Rifondazione
comunista - dove s'impegna sulla sanita' in un'ottica di servizio che tiene
sempre accanto la verifica piu' importante e decisiva: quella dentro la
realta', tra le persone, gli umili, gli sconfitti.
Da questo punto di vista, l'esperienza probabilmente piu' importante della
vita di Marina "Mimma" Rossanda fu quella palestinese. Una realta' che
frequento' nel profondo, non solo incontrando leader nell'esilio come Yasser
Arafat, ma i Territori occupati, i campi profughi spesso nei momenti piu'
drammatici. Come nell'estate del 1982 a Beirut occupata dall'esercito
israeliano guidato dal generale Sharon, dov'era corsa a portare aiuto
sanitario e dove per giorni e giorni operera' nell'unica sala operatoria di
un ospedale di fortuna. Li' scrive un prezioso diario che si conclude sotto
l'incubo di un orrore che sta per accadere. E accade, quando Marina ormai
non e' piu' a Beirut: la strage di Sabra e Chatila. "Strage che - ricorda
Rossana Rossanda - la colpi' come forse nulla di quel che aveva visto
succedere durante la guerra mondiale". Cosi' come non smetteva di disperarsi
perche' l'esercito israeliano distruggeva tutti i piccoli, preziosi presidi
sanitari che costruiva con altri. Nella Palestina occupata, insieme a Marisa
Musu, Marina fa un incontro fondamentale: nell'ospedale di Hebron conosce
Ghazala (Gazzella) una ragazza di 14 anni in coma perche' ferita alla testa
da proiettili sparati da coloni ebrei mentre usciva di scuola. Mimma, in
missione per estendere la rete sanitaria di soccorso ai palestinesi che gia'
coinvolgeva Mustafa Barghouti, ne trae spunto per lanciare l'organizzazione
"Gazzella", impegnata da quel momento attraverso la pratica dell'adozione a
distanza, a curare centinaia di bambine e bambini palestinesi feriti.
Era innamorata della Palestina, della sua cultura, della profondita' di
Edward Said. Non si nascondeva le difficolta', soprattutto vedeva la
centralita' del ruolo della donna in quella realta' bloccata e infernale
dove gia' si presentavano gli integralismi religiosi e sopravvivevano le
strutture patriarcali anche all'interno dei processi di liberazione. Nel
saggio che istituisce il "Fondo", Isabella Peretti ricorda lo sguardo
illuminante e d'insieme di Marina Rossanda che nel suo Palestina amata e
amara, essere donne in Israele, in Cisgiordania in Libano, denuncia le
diverse condizioni delle donne in Medio Oriente ma tutte accomunate dalle
conseguenze "dello sradicamento, dell'esodo, degli sforzi di ricostruzione
delle comunita' sotto la pressione continua della guerra, della repressione
e dell'emigrazione forzata". Comunque per la sorte cara dei palestinesi
Mimma anticipava nel 1989: "Purtroppo il processo non e' concluso e il lieto
fine non e' assicurato". Vent'anni dopo, i massacri di due mesi fa a Gaza ci
danno la conferma piu' dolorosa.
Cosi' non e' un caso che proprio da un intellettuale palestinese molto
legato al suo lavoro sanitario nei Territori occupati come Wasim Dahmash,
arrivi la piu' convincente descrizione di Mimma: "Il coraggio che la
spingeva a non retrocedere davanti alle situazioni estreme e ad andare
dentro il massacro, era fatto non solo di determinazione ma anche di
delicatezza. Quella delicatezza che faceva si' che non si dimenticasse, nel
racconto dell'Intifada del 1987-1988, di avere fotografato un uccello che
vive soltanto in quella parte del mondo, o di portare da Gerico pianticelle
di olivo da regalare all'amico palestinese...". Lei, animale umano, che
scrive circondata dai suoi due gatti, Medea e Anacleto. Dolcissima quando
scrive ad Adriano Mantovani, il compagno della sua vita, una breve poesia
d'auguri di compleanno, rappresentazione di un sogno premonitore che
individua il necessario, materiale termine di vita: "Ampia torre quadrata,/
scala di pietra chiara./ A piedi nudi in abiti leggeri/ con te la scendo.
Addio alla nostra casa./ Dagli archi aperti scende sui gradini/ neve
sottile./ Protesto, e' freddo./ Tu sorridi. E tra poco?/ So quale freddo
attende./ Ma nelle mani unite/ sta una calda certezza./ Si aprono gli archi,
la torre rovina/ e noi scendiamo lievi".

3. MEMORIA. EDOARDO SAGUINETI RICORDA LUCIANO BERIO
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 9 novembre 2008 col titolo "Dall'Inferno al
Paradiso nel Laborintus di Luciano Berio"]

In casa non ho mezzi per ascoltare i dischi. Ho invece molte cassette, pero'
ho poco tempo per sentirle. Devo dire che nel tempo ho raccolto una tale
quantita' di musica che per sentirla tutta dovrei vivere quanto ha vissuto
Matusalemme. Preferisco vedere i dvd. Puo' servire un aneddoto che mi e'
capitato di recente. Ho incontrato un signore, mi pare in Sicilia, che mi ha
raccontato di avere moltissime cassette registrate da lui. Ha cose anche
molto preziose. Gli ho detto che se le tiene cosi' in casa sua allora
dovrebbe convertirle in compact disc o altrimenti farle girare. E cosa mi ha
risposto, lo sventurato? Di non averne il tempo e che quelle registrazioni
periranno con lui. Ecco, bisognerebbe avere il tempo per poter ascoltare.
Ho ascoltato musica l'ultima volta una settimana fa per un convegno a Siena
su Luciano Berio. Avevo lavorato spesso con lui. Ho fatto ascoltare
frammenti di alcune composizioni raccontando come erano nate. In particolare
ho parlato di quattro sue opere con testi da me scritti appositamente per
Luciano. In ordine di tempo, ho iniziato da un'opera del '63, anzi piu'
correttamente direi una messinscena, dal titolo Passaggio. Ando' su alla
Piccola Scala. Poi ho discusso di un'opera del '65 che si chiama Laborintus
II: era un omaggio a Dante composto per la radio francese. Il terzo lavoro
si intitola A-Ronne, che vuol dire dall'a alla zeta e risale al 1974. Il
quarto pezzo invece e' parte di un'opera postuma dal titolo Stanze che
Luciano ha composto su testi di sei autori, tra cui il sottoscritto, e che
e' stata eseguita nel 2003 a Parigi, dov'era stata commissionata.
Se dovessi dire quale di queste opere scegliere, allora indicherei
Laborintus II. Perche'? Perche' mi pare il coronamento della sua ricerca
fino a quel momento: e' un'opera chiave, di svolta, apre la strada a quanto
aveva composto fino ad allora, e' una sorta di enciclopedia del suo
discorso. Ed e' un'opera fondamentale del secondo '900, in qualche modo lo
riassume poiche' ambisce a essere un'esplorazione globale del mondo dei
suoni in tutte le sue dimensioni. Certo, riconosco che si tratta di una
sorta di utopia: contiene l'improvvisazione come il madrigalismo, l'urlo
come la melodia piu' squisita, e' un'enciclopedia delle sonorita' possibili.
Non a caso Laborintus II era nata nel '65 come omaggio a Dante: infatti uno
degli elementi tenuti presente da Berio come da me nella preparazione
testuale era la volonta' enciclopedica del poeta di abbracciare tutto il
mondo dall'Inferno al Paradiso.

4. PROFILI. MAURO NOVELLI: EMILIO LUSSU
[Dal mensile "Letture" n. 656, aprile 2009 col titolo "Emilio Lussu" e il
sommario "Ottant'anni dopo la leggendaria evasione da Lipari, la figura e le
opere di Lussu continuano a brillare, splendide e inattuali, indicando una
via di coraggio, coerenza e rigore a quanti si ostinano a confidare nei
valori civili"]

"Mi era sempre sembrato che, per un uomo d'onore, richiedesse maggior
coraggio la diserzione che l'eroismo di guerra". Non e' la provocatoria
uscita di un anarchico, ma il fermo parere di Emilio Lussu, valoroso
capitano della Brigata Sassari, al petto quattro medaglie guadagnate nel
fuoco della Grande guerra. Non occorre altro per comprendere le difficolta'
che si parano dinanzi a chi voglia inquadrare un personaggio eccezionale,
che parrebbe sortito da un romanzo di Salgari. Dalle imprese in divisa
all'attivita' antifascista, dalla clamorosa fuga da Lipari all'esilio
francese, dalla guerra di Spagna alla Resistenza. E nel contempo,
dall'interventismo democratico all'autonomismo sardo, da Giustizia e
Liberta' al Partito d'Azione, dal Psi al Psiup, lungo un percorso quanto mai
accidentato, nel quale brilla la cristallina coerenza di uno spirito
inflessibilmente democratico. Uno spirito che si ritrova nei discorsi
conservati negli Atti del Parlamento (dove sedette dal 1921 al 1926, e dal
1945 al 1968), ma anche nella sferzante ironia che accende le pagine scritte
durante l'esilio, tra le quali spiccano due vette della memorialistica
novecentesca, come Marcia su Roma e dintorni, lucidissima analisi della
maniera in cui la malapianta fascista attecchi'; e Un anno sull'Altipiano,
semplicemente il piu' bel libro italiano sulla Prima guerra mondiale, come
ha scritto Mario Rigoni Stern.
Peraltro, vale la pena di osservare come - prima di trovare posto nello
scaffale che ospita i capolavori europei del disincanto, accanto a Il fuoco
e Niente di nuovo sul fronte occidentale - Un anno sull'Altipiano sia
rimasto nella penombra fino agli anni Sessanta, quando le ristampe, prima
nei "Coralli" Einaudi, poi negli "Oscar" Mondadori, trovarono lettori
indisponibili ad accettare l'accusa di disfattismo che troppo a lungo un
malinteso amor patrio aveva rivolto al libro. Di li' a poco fiorirono le
edizioni scolastiche, nonostante le perplessita' di Lussu, che riteneva le
sue rievocazioni troppo scioccanti per un pubblico giovanile, ma - per una
volta - rinuncio' all'isolana caparbieta' che ne contraddistingueva il
carattere.
L'importanza della Sardegna per Lussu, in effetti, va ben oltre il mero dato
anagrafico, che lo vuole nato nel 1890 in una casa del piccolo borgo di
Armungia. Come scrisse in vecchiaia, tra le irsute vallate del Gerrei,
solcate dal Flumendosa, ebbe modo di conoscere "gli ultimi avanzi di una
comunita' patriarcale, senza classi e senza stato", nella quale l'ordine
pubblico era garantito da anziani pastori-contadini. Da essi, insieme alla
tradizionale balentia, apprese i valori di egualitarismo e liberta' cui
rimase sempre fedele, facendone la bussola che guido' le idee politiche
maturate durante gli studi, a Roma e Cagliari, dove si distinse nelle
manifestazioni a sostegno dell'intervento italiano contro gli Imperi
centrali. Ad accenderlo non erano soltanto astratti furori irredentisti, ma
la volonta' di estendere la democrazia in terra germanica, come rivendico'
in un vibrante intervento pronunciato alla Camera, il 24 maggio del 1922:
"Non tanto per un palmo di piu' lontana frontiera abbiamo gettato al vento
la nostra giovinezza, ma per uno sconfinato senso e desiderio di liberta' e
di giustizia".
*
Quell'anno sull'Altipiano
In qualita' di ufficiale di complemento, nella Grande guerra Lussu aveva
offerto numerose prove di abilita' e coraggio sui principali fronti
italiani: dal Carso all'Altopiano dei Sette Comuni, dalla Bainsizza al
Piave. Inquadrato nella strenua Brigata Sassari, costituita per lo piu' da
contadini e pastori sardi, dovette tuttavia confrontarsi con una realta'
assai distante dagli slogan che avevano infiammato il "maggio radioso" del
1915. La sostanziale estraneita' dei fanti agli ideali nazionalisti, e
d'altra parte l'assoluto sprezzo manifestato dai comandi nei confronti delle
loro vite, suscitarono in Lussu una dolorosa presa di coscienza. Fu questa a
indurlo - vent'anni piu' tardi - a redigere una testimonianza palpitante,
del tutto estranea alle ricostruzioni enfatiche e scioviniste accreditate
nel frattempo dal fascismo. Si trattava piuttosto di demistificare, di
considerare la guerra di trincea per cio' che in primo luogo fu: un immane
massacro, a monte di ogni speculazione sulla sua presunta utilita'. Un anno
sull'Altipiano nacque per un'esigenza di verita', nell'intento di accendere
in Italia un barlume della consapevolezza da tempo diffusa tra le opinioni
pubbliche degli altri Paesi che avevano pagato un altissimo tributo di
sangue.
Nel 1936, quando si pose all'opera, Lussu si trovava in un sanatorio
svizzero, in attesa di una difficile operazione ai polmoni, sgomento dinanzi
ai trionfi delle dittature in Italia, Germania e Spagna. Nel libro (uscito
nel 1938 a Parigi, preceduto dalla traduzione in spagnolo, apparsa a Buenos
Aires nel 1937) la fermezza della sua opposizione si coglie innanzitutto sul
piano dello stile, indifferente ai pennacchi della retorica bellica allora
dilagante, e teso piuttosto a dare un'impressione di asciutto decoro,
sorretto da una sintassi lineare, cui Lussu non rinuncia neppure nei momenti
piu' drammatici, sottolineati da efficaci anticipazioni. "Io ho dimenticato
molte cose della guerra, ma non dimentichero' mai quel momento", scrive ad
esempio con semplicita' prima di narrare la morte di un amico durante un
momento di riposo, fulminato da un cecchino. All'episodio, accaduto dinanzi
ai suoi occhi, non fa seguito alcun commento. Allergico al patetismo, Lussu
lascia che la tragedia si sprigioni dai fatti, orchestrando magistralmente
l'intollerabile alternanza di stati d'animo che logoro' i combattenti,
sospesi tra angoscia e stupore di essere ancora vivi.
Allo stesso modo, per restituire al lettore l'incubo della durata immensa di
una guerra che era parsa senza fine, scelse di concentrarsi su un anno o
poco piu', ritagliando il periodo che va dal giugno del 1916 all'estate del
1917. Al trasferimento iniziale dal Carso all'Altopiano di Asiago, dove gli
asburgici avevano scatenato la Strafexpedition, fa dunque riscontro
nell'ultima pagina l'ordine impartito ai "diavoli rossi" della Sassari di
recarsi sul fronte orientale, in previsione della cruenta offensiva della
Bainsizza. Di fatto, Un anno sull'Altipiano non si legge per sapere "come va
a finire". Tiene piu' dell'epica e della memorialistica che del romanzo (non
a caso Lussu si inalbero', quando alla traduzione tedesca venne apposta la
dicitura Roman). D'altra parte alcuni episodi furono condensati o
rielaborati, mentre altri nella realta' avvennero prima, o altrove, come
hanno fatto notare alcuni storici militari. Ma non e' solo per questo che il
capolavoro di Lussu andrebbe considerato un ibrido, come del resto
suggerisce l'epigrafe, dedicata si' al tema della memoria, ma levata a
Baudelaire: "J'ai plus de souvenirs que si j'avais mille ans". Ad avvicinare
questa storia di fango e trincee alla narrativa, in particolare, e' il
diffuso ricorso ai dialoghi, nel corso dei quali le contrapposizioni
ideologiche emergono vigorosamente. Accade ad esempio nei confronti tra
ufficiali, divisi tra quanti trattano i soldati come ascari e quanti li
ritengono cittadini tout court. Tra questi ultimi e' il comandante della
decima Compagnia, ovvero il medesimo Lussu, che nel capitolo XXV difende -
contro un collega incline alla sovversione - le ragioni dell'intervento, al
di la' della stanchezza e degli orrori: "Perche' se cosi' non fosse, alcuni
briganti ci avrebbero perennemente in loro arbitrio impunemente solo perche'
noi abbiamo paura della strage. Che ne sarebbe della civilta' del mondo, se
ingiusta violenza si potesse sempre imporre senza resistenza?". Una
questione cruciale, e tanto piu' ai tempi in cui comparve l'opera.
Dai discorsi diretti, inoltre, si comprende quanto l'arroganza,
l'impreparazione, il cinismo dei superiori fossero la miccia di una carica
dissacrante che puo' trovare un degno corrispettivo solo in certe pagine del
Giornale di guerra e di prigionia redatto da Carlo Emilio Gadda. A demolire
le folli pretese del generale Leone, o le grottesche pignolerie del generale
Piccolomini, e' il veleno di un'ironia amara e corrosiva, almeno quanto
l'alcol che scorre a fiumi dalla prima all'ultima pagina. Sia nelle
bottiglie cercate con ansia dagli ufficiali sconvolti, o nelle botti recate
alle truppe prima degli assalti, e' il cognac la vera benzina della guerra.
Lo sanno bene i fanti, come si coglie dai loro concitati discorsi, ascoltati
da Lussu in silenzio ("Ingrassano bene il porco prima di ammazzarlo". "Lo
ingrassano bene!". "C'ingrassano bene!"). Stordirsi e' l'unica alternativa
all'insostenibile consapevolezza della morte, quando non si scelga il
suicidio o la diserzione.
Proprio da cio', tuttavia, scatta la volonta' di resistenza del narratore,
deciso a conservare la propria dignita' in un universo claustrofobico,
nell'impatto con rumori, odori, visioni insostenibili. Non e' il coraggio o
l'intelligenza a renderlo eroico, ma questa tenace umanita', che lo spinge a
bere soltanto caffe', a leggere Ariosto tra scoppi di granate e sibili di
pallottole, a conservare un aspetto decente, a vincere la tentazione di
abbandonarsi all'inerzia, alla nostalgia, all'abbrutimento, all'ala della
follia che pure lo sfiora in mezzo ai cadaveri, quando sente il "cervello
sciaguattare nella scatola cranica, come l'acqua agitata in una bottiglia".
La scrittura di Lussu nasce di fronte alla terra di nessuno, al luogo in cui
la violenza si fa norma, ogni morale e' sospesa, e l'avversario perde
individualita' e diritti. Nasce di fronte al versante piu' buio e scosceso
della modernita', al cospetto della natura: boschi e montagne impassibili,
da dove giunge di lontano "il guaito della volpe, rauco e stridulo, simile a
un riso sarcastico".
*
Irriducibile
Le traumatiche esperienze vissute in divisa determinarono in Lussu una
progressiva presa di responsabilita' politica, dalla quale scaturi' nel 1921
la scelta di fondare - insieme ad altri reduci - il Partito Sardo d'Azione:
un movimento di matrice autonomista, teso a coinvolgere i ceti popolari
intorno all'obiettivo di sradicare i residui feudali presenti sull'isola, in
nome della redistribuzione di terre e pascoli, opportunisticamente promessa
dai comandi in guerra e presto finita nel dimenticatoio. Il vento della
sospirata riforma agraria, insieme alla fama di audace combattente, spinsero
Lussu tra i banchi del Parlamento, appena trentenne. Qui tuttavia si trovo'
a fare i conti con una situazione di stallo, nella quale andava emergendo il
fascismo. Dopo un'iniziale sottovalutazione del fenomeno, all'inizio del
1923 i dirigenti sardisti si spinsero al punto di valutare un'eventuale
fusione, alla quale Lussu dopo qualche esitazione preferi' sottrarsi,
ritenendo le due fazioni incompatibili. Riconfermato deputato nel 1924, si
distinse anzi tra i piu' acerrimi nemici di Mussolini, assumendo un ruolo di
primo piano dopo il delitto Matteotti, quando partecipo' all'Aventino.
Bersaglio di aggressioni e intimidazioni, Lussu fu incarcerato nel 1926 e
spedito al confino l'anno successivo, a Lipari, dove non trovo' certo
un'atmosfera di vacanza (come qualcuno oggi vorrebbe far credere), ma
condizioni durissime. L'isolamento, le provocazioni dei sorveglianti, il
rischio di umilianti punizioni corporali non valsero tuttavia a fiaccarne la
tempra, tanto che nell'estate del 1929 riusci' a evadere dalle Eolie in
motoscafo, per raggiungere Parigi, dove sfrutto' il clamore sollevato dalla
fuga per riportare sulle prime pagine della stampa europea la disperante
situazione politica italiana. I precipizi del totalitarismo furono inoltre
denunciati da Lussu in un libello scritto e pubblicato a caldo, La catena:
classico esempio di memorie dell'esule, pervase di sdegni danteschi, appena
velati dal sarcasmo di certe notazioni sulfuree. Un solo esempio: grazie al
duce, "il Consiglio dei ministri avrebbe potuto tenere seduta in una cabina
telefonica, e sarebbe avanzato dello spazio".
I medesimi toni pervadono Marcia su Roma e dintorni, un lavoro ben piu'
vasto e articolato, pubblicato nel 1933 a Parigi, ma subito diffuso
clandestinamente in Italia grazie ai militanti di Giustizia e Liberta', il
movimento fondato da Lussu con Gaetano Salvemini e Carlo Rosselli. Per
raccontare il modo in cui il fascismo prese il sopravvento, Lussu vi adotta
una prospettiva personale, lasciando sfilare gli eventi vissuti a Roma e in
Sardegna nel decennio che va dal 1919 al 1929, senza fingere un'obiettivita'
inverosimile: "Chi da' un colpo di sciabola, non provera' evidentemente le
stesse impressioni di chi lo riceve. Non per tanto il colpo di sciabola
sara' sempre un colpo di sciabola". La metafora si attaglia bene alla
maniera coupe' dell'opera, che da' rilievo a intermezzi gnomici ("La
tragedia, spesso, non e' nel battersi ma nel non potersi battere"), immagini
icastiche (Mussolini, durante il discorso del 25 giugno 1922, "cosi' in
alto, sembrava un avvoltoio accovacciato su una rupe") e stoccate
impareggiabili. Come quella riservata a D'Annunzio, venuto a conoscenza
della mancata concessione di Fiume all'Italia: "Debitore, poeta e guerriero
si fusero in uno: egli decise l'impresa".
La brevita' a effetto, ben piu' degli arzigogoli retorici, era
particolarmente adatta a colpire il pubblico internazionale cui Lussu
intendeva rivolgersi nel libro (presto tradotto in francese, inglese,
portoghese), scritto in primo luogo per mettere in guardia le democrazie
sopravvissute sino ad allora, perche' non ripetessero gli errori compiuti in
Italia. Se il consolidarsi della dittatura poteva apparire in qualche misura
inevitabile, in virtu' dei saldi accordi stretti con la monarchia,
l'esercito e il Vaticano, non cosi' la presa del potere da parte delle
camicie nere, che avevano approfittato dell'eccessiva confusione, debolezza,
litigiosita' che allignavano negli apparati pubblici. Un discorso a parte e'
riservato all'attitudine al trasformismo, mascherato da "crisi di
coscienza", e alle responsabilita' dei troppi che si rivelarono inferiori ai
compiti loro assegnati. A cominciare dal re, protagonista di un momento
memorabile, allorche' le associazioni dei combattenti gli chiesero il
ripristino delle liberta' costituzionali per sentirsi rispondere, dopo un
attimo di silenzio: "Mia figlia, stamattina, ha ucciso due quaglie".
Il biasimo sarcastico, occorre notare, oltrepassa la sfera delle autorita'
statali, per dardeggiare quanti temevano i bolscevichi sino a credere che
avrebbero socializzato anche le donne; e ancor piu' il rassegnato attendismo
degli aventiniani, speranzosi - alle voci sull'ulcera del duce - che i
microbi compissero l'opera da loro temuta. Il Lussu degli anni Trenta si era
invece ormai convinto dell'improcrastinabile necessita' di combattere il
fascismo con le armi. Arrivo' dunque a comporre un vero e proprio manuale
sull'argomento, Teoria dell'insurrezione (pubblicato a Parigi nel 1936), nel
quale passa in rassegna i moti dell'Otto-Novecento, con particolare
attenzione all'Ottobre russo, traendone spunti per le azioni da realizzarsi.
Scettico sull'ipotesi di una spontanea presa di coscienza antifascista delle
masse, Lussu crede piuttosto nell'azione suscitatrice di un'avanguardia
risoluta, che a suo parere avrebbe dovuto recuperare alla causa proletaria
tanto l'universo contadino quanto la piccola borghesia, in nome dei diritti
dell'individuo. E' questo, in effetti, il totem libertario per il quale
Lussu si batte' sino all'ultimo, recisamente convinto che "all'infuori della
democrazia non v'e' socialismo, ma terrore permanente".
*
Uomini e cinghiali
Nella seconda meta' degli anni Trenta Lussu prese parte alla guerra civile
spagnola, arruolandosi nelle Brigate Internazionali nonostante la salute
malferma. Allo scoppio del conflitto mondiale ando' intensificando le
attivita' cospirative, agendo col nome in codice di Mister Mills in mille
angoli d'Europa, tra perquisizioni, inganni e sparizioni rocambolesche, di
cui scrisse piu' tardi in Diplomazia clandestina (le medesime peripezie
furono narrate a caldo e con verve dalla moglie, la scrittrice marchigiana
Joyce Salvadori, in Fronti e frontiere). Dopo avere sperato invano di
organizzare una rivolta popolare in Sardegna, con la collaborazione degli
inglesi, Lussu rientro' in Italia nell'estate del 1943 per stabilirsi a
Roma, dove assistette all'ignominiosa fuga del re e partecipo' alla
Resistenza nelle file di G.L., poi confluita nel Partito d'Azione, di cui
divenne un leader. Come tale, fu ministro con Parri e con De Gasperi
nell'immediato dopoguerra, quando finalmente le sue opere principali furono
stampate in Italia, dove si guadagnarono l'ammirazione di lettori del
calibro di Benedetto Croce, Luigi Russo, Eugenio Montale.
Non per questo negli anni successivi Lussu si lascio' tentare dall'attivita'
letteraria. Preferi' piuttosto concentrarsi nel ruolo di senatore del
Partito Socialista, guardando sempre con attenzione alle vicende della sua
regione, perplesso dinanzi all'oblio sulla questione sociale e alla deriva
separatista del Partito Sardo d'Azione, che lo ricambio' con un astio non
ancora spento. Ci fu persino chi giunse a rimproverargli di non essere
Grazia Deledda: di non avere cioe' posto i luoghi natii e il loro patrimonio
di abitudini e mentalita' al centro delle sue opere. Senonche' si puo'
rammentare un testo breve, l'unico racconto d'invenzione composto da Lussu,
che fa eccezione. Alludo a Il cinghiale del diavolo, scritto negli anni
Trenta ma pubblicato solo nel 1967, nel quale rievoca le battute di caccia
cui partecipo' da ragazzo e le storie di incanti udite nelle pause intorno
al fuoco. Certo sarebbe eccessivo legare a doppio filo l'intera condotta di
una vita alle regole apprese nella societa' rurale ove Lussu ebbe la ventura
di crescere. Eppure resta difficile sottrarsi alla suggestione del rimando,
quando si pensi alla scena piu' celebre di Un anno sull'Altipiano. La scena
del capitolo XIX in cui, non visto, il capitano Lussu riesce ad avvicinarsi
alle trincee nemiche, abbastanza per sparare a colpo sicuro a un nemico,
ignaro. "Tirare cosi', a pochi passi, su un uomo... come su un cinghiale!".
Sarebbe un dovere. Ma ripone il fucile.
*
Un'imprevista primavera
Negli ultimi anni la fortuna di Emilio Lussu ha conosciuto una sorprendente
impennata, tanto in Italia quanto all'estero, dove sono da registrare le
traduzioni in ebraico e giapponese di Un anno sull'Altipiano, che nel
frattempo conosce regolari ristampe nei principali Paesi occidentali, al
pari di Marcia su Roma e dintorni (di cui andra' citata almeno la versione
introdotta da Antonio Tabucchi, comparsa nel 2002 presso le Editions du
Felin a Parigi, dove nel 1933 usci' la princeps).
In campo nazionale occorre in primo luogo menzionare l'importante iniziativa
della casa editrice cagliaritana Aisara, che ha impostato un'edizione in sei
volumi di Tutte le opere di Lussu. Al momento e' comparso il primo tomo, Da
Armungia al Sardismo 1890-1926: quasi seicento pagine, ottimamente curate da
Gian Giacomo Ortu, nelle quali ha trovato posto - insieme ai due lavori
fondamentali composti durante l'esilio (disponibili singolarmente presso
Einaudi) - Il cinghiale del diavolo, che ha conosciuto una versione
illustrata (Su sirboni de s'aremigu, Condaghes 2008) e una ristampa
approntata dai tipi di Ilisso, cui si deve inoltre una recente edizione di
Un anno sull'Altipiano, con prefazione di Alberto Asor Rosa.
Finalmente reperibile in libreria, dopo una lunga latitanza, e' anche Teoria
dell'insurrezione, pubblicata con prefazione di Valerio Evangelisti da
Gwynplaine nel 2008; mentre l'anno precedente Aragno ha ripescato La difesa
di Roma di G.L., 9-10 settembre (a cura di Renzo Ronconi, con una
testimonianza di Vittorio Foa), uscito anonimo a Roma nel 1943, come
opuscolo di propaganda clandestina. Cruciali, per comprendere l'ottica
politica di Lussu negli anni della Resistenza, sono pure i discorsi
pronunciati in Sardegna nel 1944, raccolti da Adriano Vargiu (Iskra, 2006).
Sugli anni della cospirazione rimane imprescindibile lo studio di Manlio
Brigaglia, Emilio Lussu e "Giustizia e Liberta'". Dall'evasione di Lipari al
ritorno in Italia, fresco di ristampa presso le Edizioni Della Torre.
Una serie di "riflessioni, testimonianze, memorie" su Lussu sono state
raccolte da Eugenio Orru' e Nereide Rudas in L'uomo dell'Altipiano (Tema,
2003). Altri rilevanti contributi figurano in un volume dal titolo Lussu:
trent'anni dopo (Alfa, 2006). Alla ricorrenza del 2005 si deve inoltre
l'organizzazione di due importanti convegni, il primo tenutosi a Sassari
(Emilio Lussu 1975-2005. La scrittura, la memoria, l'identita'), il secondo
a Grenoble (Emilio Lussu. Politique, histoire, litterature et cinema; gli
Atti sono comparsi presso Alpes, nel 2007).
In ambito cinematografico, vale la pena di ricordare che a Un anno
sull'Altipiano guardo' Mario Monicelli nel girare uno dei suoi capolavori,
La Grande guerra (1960), con Alberto Sordi e Vittorio Gassman. Dieci anni
piu' tardi, dal libro di Lussu Francesco Rosi trasse - insieme a Tonino
Guerra e Raffaele La Capria - la sceneggiatura per Uomini contro, un film
con Gian Maria Volonte' di cui firmo' la regia, guadagnandosi una denuncia
per vilipendio dell'esercito, oltre a una serie di traversie distributive
(ne e' stato ricavato un dvd, uscito con "L'Espresso" e per Minerva
Classic). A detta di Rosi, Lussu avrebbe invece negato i diritti dell'opera
a Stanley Kubrick, forse temendo una trasposizione troppo violenta e
spettacolare.
Quanto al materiale disponibile in rete, si possono segnalare le pagine web
del Centro Studi Emilio Lussu (www.emiliolussu.it), nato nel 2003
all'interno dell'associazione culturale "I Sardi", nell'intento di
recuperare e valorizzare le idee politiche dello scrittore. Per un primo
avvicinamento alla sua figura resta consigliabile la lettura della biografia
dedicatagli da Giuseppe Fiori, Il cavaliere dei Rossomori (ristampata da
Einaudi nel 2000), non priva di venature agiografiche ma senz'altro godibile
e puntigliosamente documentata.
*
Vita di un capitano
1890 Emilio Lussu nasce ad Armungia, tra le colline della Sardegna
sudorientale, da Giuannicu, proprietario terriero, e Lucia Mereu, figlia di
ambulanti cagliaritani, sposata contro il parere della famiglia. Emilio
cresce con il fratello maggiore Peppino, tra scorribande all'ombra di un
nuraghe, storie di caccia e balentias.
1902 Collegio salesiano a Lanusei.
1907-1910 Frequenta il liceo Mamiani di Roma, con risultati alterni. Ottiene
la licenza da privatista al Dettori di Cagliari, per poi iscriversi alla
locale Facolta' di giurisprudenza.
1911-1912 A Torino, allievo del corso ufficiali, presso il 92mo reggimento
di fanteria.
1915-1917 Fresco di laurea, nel maggio del 1915 parte per il fronte con la
Brigata Sassari, da poco costituita. Combatte sul Carso, sullo Zebio, sulla
Bainsizza, ottenendo svariate promozioni e medaglie al valore.
1918 Il 28 gennaio e' seriamente ferito al Col del Rosso. Trascorre quattro
mesi a Milano, ricoverato in un ospedale militare. A fine maggio torna in
prima linea per difendere la linea del Piave.
1919-1920 A settembre, congedato, rientra in Sardegna, dove si impegna nelle
associazioni di combattenti, schierandosi con piglio giacobino accanto a
minatori, operai e contadini.
1921-1922 E' tra i fondatori del Partito Sardo d'Azione, con il quale entra
in Parlamento, sedendo all'estrema sinistra. Si spende per l'autonomia e per
i diritti del proletariato rurale. Vota contro il governo Facta. Avverso al
fascismo, si salva per miracolo da un'aggressione, rimediando una commozione
cerebrale.
1923 Partecipa alle trattative in vista di un'eventuale fusione tra sardisti
e camicie nere, attratto da una serie di concessioni abilmente ventilate, ma
deve presto ricredersi. In maggio a Roma presenta le dimissioni da deputato,
che vengono respinte.
1924-1925 Rieletto a Montecitorio, dopo il delitto Matteotti partecipa
all'Aventino, predicando invano forme di lotta piu' efficaci.
1926 Le pressioni dei fascisti si fanno insostenibili. Il 31 ottobre rischia
il linciaggio, quando un gruppo di facinorosi tenta di irrompere nella sua
casa di Cagliari. Viene arrestato per avere sparato a uno squadrista, che
muore.
1927 Trascorre lunghi mesi in una cella malsana, dove si ammala ai polmoni.
Al processo contro ogni previsione gli si riconosce la circostanza di
legittima difesa. E' assolto, ma l'indomani viene condannato dal Tribunale
speciale per la difesa dello Stato a cinque anni di confino a Lipari, in
quanto reo di attivita' sovversive.
1929 In estate riesce a evadere in motoscafo dall'isola, insieme a Carlo
Rosselli e Francesco Fausto Nitti. Raggiungono Tunisi e di qui la Francia,
dove danno vita a "Giustizia e Liberta'". A Parigi scrive di getto La
catena.
1930-1934 Anni di esilio, tra viaggi in incognito, complotti e mille
difficolta'. Tra le poche fonti di reddito, i diritti per Marcia su Roma e
dintorni, che esce nel 1933 a Parigi.
1935-1936 I malanni ai polmoni lo costringono a ricoverarsi in un sanatorio
svizzero, dove viene operato. Durante la degenza scrive Teoria
dell'insurrezione e Un anno sull'Altipiano.
1937 Raggiunge la Spagna, per aggregarsi alla Brigata Garibaldi. Rientra a
Parigi alla notizia dell'assassinio dei fratelli Rosselli.
1938 Rivede Joyce Salvadori, conosciuta nel 1933 a Ginevra. Diverra' la
compagna di una vita.
1940 Poco prima dell'occupazione nazista lascia Parigi per Marsiglia, dove
si adopera per organizzare la fuga di antifascisti e perseguitati.
1941-1942 Viaggia clandestinamente in Portogallo, a Malta, in Gran Bretagna,
negli Stati Uniti. Accarezza l'idea di predisporre un'insurrezione popolare
in Sardegna.
1943 In agosto rientra finalmente in Italia, per partecipare alla
Resistenza.
1944 Sposa Joyce a Roma. Nasce il figlio Giovanni. In estate rimette piede
in Sardegna, dove destano sconcerto le sue posizioni antiseparatiste.
1945 Ministro dell'Assistenza postbellica nel governo Parri. Ministro per i
Rapporti con la Consulta nel successivo governo De Gasperi.
1946-1947 Nel Partito d'Azione difende posizioni filosocialiste, che causano
l'uscita del gruppo liberalrepubblicano capitanato da Ugo La Malfa. Si batte
senza successo per orientare in senso federalista la Costituzione.
1948-1968 Tramontato il Partito d'Azione, da' vita al Partito Sardo d'Azione
Socialista, con cui entra nel Psi. Sotto le insegne dei socialisti viene
eletto piu' volte senatore. Ostile all'intesa con la Dc, nel 1964 partecipa
alla scissione da cui nasce il Partito Socialista Italiano di Unita'
Proletaria.
1972 Contrario alla confluenza del Psiup nel Partito Comunista, si ritira
definitivamente dall'attivita' politica.
1975 Muore a Roma. Dispone che il corpo venga cremato e le ceneri disperse
nel Tirreno. Una lapide oggi lo ricorda, insieme a Joyce, al Cimitero degli
Inglesi.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 210 del 5 aprile 2009

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