Minime. 777



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 777 del primo aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. L'ammazzatoio. Un proclama ministeriale
2. Alcune cose che occorre fare subito contro il razzismo
3. "Azione nonviolenta" di aprile
4. Mao Valpiana: Nella mia citta' mi sento straniero. Storie di autobus e
panchine
5. Hannah Arendt: Gli apparati di partito
6. Adriana Cavarero: Un'umanita' dimidiata
7. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
8. Antonio Gnoli presenta la "Fenomenologia dello Spirito" di G. W. F. Hegel
9. Dino Greco presenta "Il corpo e l'anima" di Virginio Giovanni Bertini,
Donatella Francesconi e Giulio Sensi
10. Benedetto Vecchi presenta "La discriminazione negativa" di Robert Castel
11. Riletture: Luce Irigaray, Io tu noi
12. Riedizioni: P. D. James, Una certa giustizia
13. Riedizioni: Immanuel Kant, Critica della ragion pura
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME COSE. L'AMMAZZATOIO. UN PROCLAMA MINISTERIALE

In questo livido braccio di mare
l'arte piu' antica esercitiamo ancora:
in nome della legge dalla prora
scaraventiamo giu' chi e' da affogare.

Ed io che sono di tutti il carnefice
non vesto acri stracci da scafista
candidi indosso panni di batista
ed alle dita le opre dell'orefice.

Cosi' a Schengen fieri decidemmo
la mala sorte di quegli africani:
Schiavi per sempre, o in pasto ai pescecani.
E voi voleste cio' che noi volemmo.

Giacche' voi ci eleggeste all'alto seggio
sapendo la ferocia che avevamo:
or vi accorgete di esser presi all'amo?
ora capite che al mal segue il peggio?

2. INIZIATIVE. ALCUNE COSE CHE OCCORRE FARE SUBITO CONTRO IL RAZZISMO
[Riproponiamo il seguente appello]

Proponiamo che non solo le persone di volonta' buona, non solo i movimenti
democratici della societa' civile, ma anche e in primo luogo tutte le
istituzioni fedeli allo stato di diritto, alla legalita' costituzionale,
all'ordinamento giuridico democratico, si impegnino ora, ciascun soggetto
nell'ambito delle sue peculiari competenze cosi' come stabilite dalla legge,
al fine di contrastare l'eversione razzista che sta aggredendo il nostro
paese.
Ed indichiamo alle persone, ai movimenti ed alle istituzioni democratiche
alcune iniziative necessarie ed urgenti.
*
1. Respingere le proposte palesemente razziste, eversive ed incostituzionali
del cosiddetto "pacchetto sicurezza".
*
2. Adottare un programma costruttivo per la difesa e la promozione dei
diritti umani di tutti gli esseri umani:
a) provvidenze di accoglienza a livello locale, costruendo sicurezza per
tutte le persone nell'unico modo in cui sicurezza si costruisce: nella
solidarieta', nella legalita', nella responsabilita', nell'incontro,
nell'assistenza pubblica erogata erga omnes;
b) cooperazione internazionale: poiche' il fenomeno migratorio evidentemente
dipende dalla plurisecolare e tuttora persistente rapina delle risorse dei
paesi e dei popoli del sud del mondo da parte del nord, occorre restituire
il maltolto e cooperare per fare in modo che in nessuna parte del mondo si
muoia di fame e di stenti, che in nessuna parte del mondo vigano regimi
dittatoriali, che in nessuna parte del mondo la guerra devasti l'umanita',
che in nessuna parte del mondo i diritti umani siano flagrantemente,
massivamente, impunemente violati;
c) regolarizzazione di tutti i presenti nel territorio nazionale ed
interventi normativi ed operativi che favoriscano l'accesso legale nel
paese;
d) riconoscimento immediato del diritto di voto (elettorato attivo e
passivo) per tutti i residenti;
e) lotta alla schiavitu' ed ai poteri criminali locali e transnazionali che
la gestiscono e favoreggiano.
*
3. Aprire un secondo fronte di lotta per la legalita' e contro il razzismo,
con due obiettivi specifici:
a) dimissioni del governo golpista e nuove elezioni parlamentari;
b) messa fuorilegge dell'organizzazione razzista denominata Lega Nord.

3. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA" DI APRILE
[Dalla redazione di "Azione nonviolenta" (per contatti: via Spagna 8, 37123
Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org) riceviamo e diffondiamo]

E' uscito il numero di aprile 2009 di "Azione nonviolenta", rivista del
Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di
formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in
Italia e nel mondo.
In questo numero: Nella mia citta' mi sento straniero. Storie di autobus e
panchine, di Mao Valpiana; Aldo Capitini: con Gandhi oltre il tramonto
dell'Occidente, di Alberto De Sanctis; Johan Galtung: guarire la societa'
dalla malattia mortale della guerra, di Michele Albanese; Il difensore
civico come costruttore di ponti tra cittadini ed istituzioni, intervista a
Daniele Lugli di Elena Buccoliero; I principi della vera democrazia. Il
valore della partecipazione, intervista a Maurizio Millo di Elena
Buccoliero; Un approccio nonviolento al tema della "sicurezza": dialogare,
prevenire, dissuadere, mediare, con creativita', di Giorgio Barazza; I
fascismi hanno bisogno di diffondere la paura del nemico e dei "diversi", di
Giorgio Nebbia; Le ronde che mi piacciono, di Mao Valpiana; La mia
dichiarazione di disobbedienza, di Carlo Olivieri; "Tu non uccidere" di don
Primo Mazzolari, una "Magna Charta" per gli operatori di pace, di Anselmo
Palini; Il femminismo nonviolento e la violenza del maschilismo, di Alessia
Acquistapace.
Le rubriche: Educazione. Io non voglio dare il voto a bambini e bambine, a
cura di Pasquale Pugliese; Economia. Fatti e misfatti della prima
multinazionale, a cura di Paolo Macina; Per Esempio. Guarire la memoria per
non provare odio, a cura di Maria G. Di Rienzo; Cinema. Strane storie di
stranieri distorti, a cura di Enrico Pompeo; Musica. Terre e popoli divisi
ma una sola orchestra, a cura di Paolo Predieri; Giovani. Se mi ami non mi
fai male... Campo estivo giovanile, a cura di Elisabetta Albesano; Il
calice. La musica e la contaminazione, a cura di Christoph Baker.
In copertina: Nella mia citta' nessuno e' straniero.
In seconda: 5 per mille al Movimento Nonviolento.
In terza di copertina: Materiale disponibile.
In ultima: L'ultima di Biani, I bambini dei clandestini.
Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212,
e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile
chiedere una copia omaggio, inviando una email all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".

4. EDITORIALE. MAO VALPIANA: NELLA MIA CITTA' MI SENTO STRANIERO. STORIE DI
AUTOBUS E PANCHINE
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it) per averci messo a
disposizione l'editorale che apre il fascicolo di aprile di "Azione
nonviolenta"]

Amo molto la citta' dove sono nato e vivo. Le colline le fanno da corona, il
fiume la bacia due volte, piazze, chiese e palazzi gareggiano per bellezza.
E' conosciuta in tutto il mondo per una storia d'amore, per il bel canto e
per il buon vino. Ce n'e' abbastanza per andarne orgogliosi. Eppure, da un
po' di tempo, qualcosa non va. Si avverte un senso di paura, di diffidenza,
di chiusura, di arroccamento su se stessa. E' come se la citta' stesse
perdendo la propria identita': dall'interno delle proprie viscere cresce
sempre piu' la paura dello "straniero" come colui che viene ad invadere il
nostro territorio, a rubarci il lavoro, a stuprare le donne, a delinquere,
ad inquinare la nostra cultura, a diffondere altre religioni... fuori di se'
emerge la spinta all'autodistruzione, a rovinare se stessa, a cancellare in
pochi anni cio' che per secoli e' stato preservato: progetti di
cementificazioni, un'autostrada che buca le colline, centri commerciali in
aree verdi, lottizzazioni per nuovi grattacieli.
Quando si va in una citta' diversa dalla propria (come turisti, come ospiti,
o come immigrati), solitamente il primo impatto lo si ha con i mezzi di
trasporto e poi con i luoghi di ristoro. Chi viene ora nella mia citta'
rischia di trovare brutte sorprese. Sugli autobus urbani sono avvenuti di
recente brutti episodi (per l'ultimo, in ordine di tempo, il quotidiano
locale ha titolato "insulti razzisti sul bus" rivolti da un conducente ai
danni di una signora marocchina), denunciati dalle vittime e persino da
qualche autista civile che ha preso le distanze dai colleghi che
lascerebbero a piedi immigrati "extracomunitari" presumendoli senza
biglietto.
Se dopo un simile trattamento lo "straniero" desiderasse riposarsi su una
panchina dei giardini, dovrebbe fare i conti con uno scomodissimo bracciolo
fatto installare di recente dall'amministrazione comunale proprio per
impedire a chiunque di stare comodo e magari sdraiarsi sulla panca a
prendere il primo sole primaverile. Sarebbe antidecoroso, dicono. In alcuni
giardini, frequentati dai fruitori della mensa per i poveri della San
Vincenzo, le panchine sono state addirittura tolte, cosi' non c'e' piu' il
"pericolo" che barboni e senza fissa dimora trovino accoglienza e conforto.
Se autobus e panchine diventano luoghi inospitali e vietati ai soggetti piu'
deboli di una citta', significa davvero che quella citta' ha perso la
propria anima, tanto da dimenticare che il proprio santo patrono e' un
"vescovo moro", proveniente dal nord Africa (Algeria o Marocco) nella
seconda meta' del IV secolo e venerato per millesettecento anni come "San
Zen che ride" per il suo sorriso accogliente. Oggi sarebbe anche lui un
"extracomunitario" insultato sull'autobus e cacciato dalle panchine.
Ma nella nostra citta' ci sono anche numerose associazioni che promuovono la
cultura della pace e la difesa dei diritti umani, riunite in un cartello che
vuole arginare e sconfiggere, soprattutto sul piano culturale, il nascente
razzismo. Una recente iniziativa e' stata quella di acquistare gli spazi
pubblicitari sugli autobus e installarvi il logo della campagna "Nella mia
citta' nessuno e' straniero". Per una volta la pubblicita' non e' fatta per
vendere una merce, ma per regalare un'idea.

5. MAESTRE. HANNAH ARENDT: GLI APPARATI DI PARTITO
[Da Hannah Arendt, Ritorno in Germania, Donzelli, Roma 1996, p. 61 (e' un
frammento da un saggio del 1950)]

Gli apparati di partito sono soprattutto interessati a procurare lavori e
vantaggi ai propri membri e hanno anche senz'altro il potere per conseguire
questo scopo. Percio' essi attirano in special modo gli elementi
opportunistici della popolazione.

6. RIFLESSIONE. ADRIANA CAVARERO: UN'UMANITA' DIMIDIATA
[Da Franco Restaino, Adriana Cavarero, Le filosofie femministe, Paravia,
Torino 1999, p. 116]

L'ordine simbolico patriarcale si fonda su una logica assai singolare che, a
dispetto del fatto che gli esseri umani sono dell'uno o dell'altro sesso,
assume il solo sesso maschile come paradigma dell'intero genere umano.

7. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il
seguente appello]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille.
Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la
Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza. Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del
commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite
chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

8. LIBRI. ANTONIO GNOLI PRESENTA LA "FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO" DI G. W.
F. HEGEL
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 24 marzo 2007 col titolo "La
fenomenologia dello spirito" e il sommario "Hegel. Il suo pensiero e' una
spietata macchina da guerra. Due secoli fa, nel marzo del 1807, usciva
l'ardua opera del grande filosofo: sgomento' non pochi lettori. L'editore
Goebhardt, spaventato dalla mole e dall'oscurita' del testo, decise di
stamparne solo 750 copie. La leggenda vuole che finisse di scrivere questo
saggio il giorno stesso in cui Napoleone entro' a Jena vincitore"]

Nel marzo del 1807, a trentasette anni, G. W. F. Hegel pubblico la
Fenomenologia dello Spirito. L'opera - ardua, oscura, indecifrabile -
lascio' sgomenti i pochi lettori contemporanei messi di fronte a un
linguaggio di astrusa profondita'. Quasi un ventennio prima, anche Kant
aveva seminato un eguale disorientamento. Tant'e' che Fichte si spinse a
dire che la fortuna del padre della Critica in larga parte si doveva alla
sua oscurita'. Ma non era un po' tutta la filosofia tedesca minacciata
dall'incomprensione? Da tempo il suo linguaggio si era spinto nelle dure
terre dell'astrazione. Lo stesso Marx, che nasceva da una costola di Hegel,
e che pure si era dato uno statuto di scienziato sociale, amava sorprendere
con l'estro della enigmaticita'. Anzi, dell'enigma egli fece una prerogativa
della merce e della filosofia il suo specchio.
Il suo "maestro" dunque non era l'eccezione. Come non lo sara' un secolo e
mezzo dopo Heidegger. La lingua hegeliana si pose al servizio di un compito
immane: ricostruire il tempio della filosofia, utilizzando le stesse
architetture che aveva in precedenza demolito. Non c'e' grande filosofo che
non abbia provato a radere al suolo le maestose citta' del pensiero da altri
edificate. Al punto che si puo' immaginare la filosofia come una macchina da
guerra che va alla conquista di territori, scacciandone gli abitanti o
sottomettendoli.
Hegel ha solo reso esplicito il carattere bellico del piu' serafico tra i
saperi. Ma per la prima volta il "parricidio" non era commesso contro un
nome, un'identita', una figura, una persona, una scuola, bensi' nei riguardi
di tutto cio' che il pensiero aveva pensato fino a quel momento. Hegel non
e' solo un filosofo. e' anche un predatore dello spirito. C'e' qualcosa di
pantagruelico e spietato, di onnivoro e cinico nel suo atteggiamento.
Deplora la stasi, diffida delle leggi (soprattutto quelle scientifiche),
teme la forza dell'esperienza. Ma al tempo stesso sa che tutto cio' che lo
deprime o l'ostacola intellettualmente appartiene ancor prima che al cielo
delle idee al teatro del mondo. Cio' che vi accade - con gli uomini che vi
si agitano, le storie che vi si narrano, i pensieri che lo ravvivano - e'
solo oggetto di spiegazioni parziali. Buone per giustificare un punto di
vista, ma incapaci di restituire la verita' nel suo splendore. Neanche Dio -
per questo pastore luterano mancato - puo' aspirare a illuminarci. Le nostre
vite, i nostri pensieri, le costruzioni a volte fantasiose, altre ancora
mirabilmente serrate, sono agli occhi del filosofo destinate a perire. Come
puo' immaginare una civilta' a prova di decadenza? Fino a dove puo'
spingersi il pensiero senza cadere nel delirio dell'onnipotenza?
Dio deve calarsi nella storia e al tempo stesso la storia farsi in Dio.
Sembra un gioco di prestigio, una sottigliezza. In realta' e' l'ossessione
che Hegel si porta dentro. Ha una conoscenza mostruosa della storia della
filosofia. Il suo sguardo abbraccia l'Oriente e l'Occidente. Da giovane si
e' invaghito di Eleusi, ha flirtato con i mistici (Eckart in particolare),
ha scoperto la forza di Platone e Agostino. Conosce le virtu' di Spinoza,
ammira Rousseau, ma al tempo stesso ne diffida. Pensa allo spirito e alla
politica. Non solo la potenza del pensiero speculativo, ma il disegno divino
e i promettenti fasti della citta' celeste, pavimentano la sua ricerca. Dove
e come realizzare un cosi' poderoso programma? A quale verita' intende
aspirare? In quale abisso terrestre cerca l'eterno? L'ossessione si
trasforma in una lenta e magistrale bulimia.
I pochi amici lo descrivono probo, ragionevole, dotato di quella sicurezza
che le menti eccelse a volte sviluppano. Sotto quella calma in realta' batte
il cuore di un Calibano. A volte - preso dal furore speculativo - mostrava
la voracita' del cannibale. In quelle circostanze era in grado di
inghiottire ogni cosa. Non c'era boccone filosofico che egli non afferrasse
per poi portarlo all'altezza del naso. Lo scrutava, lo annusava e in pochi
istanti decideva se inghiottirlo o gettarlo come un rifiuto nella
spazzatura. Si sentiva il sovrano di una tribu' immaginaria, quella dello
spirito, cosi' come riconosceva a Napoleone la stessa potenza sul territorio
della materia. La leggenda vuole che egli finisse di scrivere la
Fenomenologia dello Spirito, il giorno stesso in cui Napoleone entro' a Jena
da vincitore. E annoto' l'evento in una lettera: "Ho visto l'imperatore,
quest'anima del mondo, cavalcare attraverso la citta' per andare in
ricognizione: e' davvero un sentimento meraviglioso la vista di un tale
individuo che, concentrato qui in un punto, seduto su un cavallo, abbraccia
il mondo e lo domina".
C'era qualcosa di cinematografico in quella descrizione. A volte Hegel
indugiava sulle immagini. Improvvisamente la tetra foresta verbale della sua
prosa si incendiava di colori bellissimi. E in fondo, si puo' anche pensare
alla Fenomenologia dello Spirito come a un grande affresco hollywoodiano,
una specie di movimentato dramma a lieto fine con protagonisti di alta
classe e comprimari affidabili. Dopotutto, quello che i manuali avrebbero
chiamato idealismo tedesco, si poteva anche interpretare come il sogno
filosofico di una terra, la Germania, che aveva smesso di sognare. Ma in che
modo la filosofia avrebbe potuto dire qualcosa di speciale e di definitivo
rispetto alla scienza, all'arte, alla religione, alla politica? Quale
"Assoluto" sarebbe stato all'altezza di questo compito? Quale "Totalita'"
capace di soddisfarne la smisurata ambizione?
Hegel non aveva il deserto alle spalle. Non c'erano dietro di lui nani della
filosofia, ma titani che svegliavano il sonno del mondo costruendo grandi
macchine del pensiero. Architetture rarefatte, ma pur sempre cattedrali
della speculazione che non si potevano ignorare: Kant, Herder, Fichte,
Jacobi, Schelling erano sorti come fiori astrusi da quel mondo asfittico e
miserabile che era la Germania del Settecento. Un territorio che Marx
condannera' all'inanita' politica e che il giovane Hegel vedra' come una
promettente occasione di rivalsa. Bastava sconfiggere quei giganti,
divorarli con lenta determinazione e accrescere cosi' la propria forza, per
essere non piu' uno tra loro, ma l'unico. Il solo in grado di scrivere la
parola fine. Perche' era dalla fine che bisognava partire per tornare
all'inizio e da qui ripercorrere tutto intero il cammino. Si trattava di uno
sforzo intellettuale mostruoso la cui posta in palio era l'Assoluto. Non il
vuoto astratto dei metafisici che lo avevano preceduto, ma quello denso di
vita, palpitante di storie, ricco di eventi: un Dio appunto che si faceva
storia e la storia che diventava Dio. Un Dio che era in grado di pensare se
stesso fuori da se' e che alla fine, dopo la tormentata fuoriuscita,
tornasse in se', arricchito dall'esperienza del mondo. Ecco l'esercizio
acrobatico con il quale Hegel si apprestava ad addomesticare i giganti del
passato, introducendoli alla sua corte.
Anni di studi e di soggiorni, a Tubinga, Berna, Francoforte, ne avevano
affinato lo spirito dialettico. Poi c'erano stati gli anni decisivi di Jena:
il rumore dei cannoni, i bivacchi delle truppe francesi che occupavano la
citta', i fuochi intravisti dalla finestra dello studio, ne eccitavano la
fantasia. Un'alba nuova si annunciava. Un'alba che la Fenomenologia, simile
a un grande romanzo filosofico dall'andamento faustiano, avrebbe raccontato
come la fine del vecchio mondo. Hegel voleva afferrare lo scorrere della
vita, catturarne il movimento senza avvilirlo negli attriti dell'esistenza.
Voleva che la vita si fregiasse di quel potere che essa stessa negava: il
potere dell'esistenza umana sull'inquietudine, sull'angoscia, sulla
finitezza, sulla morte.
Puo' suonare stravagante che un metafisico - quale in fondo egli e'
rimasto - volga lo sguardo al mondo delle cose e degli uomini e alla storia
che tutto avvolge. Nulla e' piu' infido e piu' instabile di quel suolo
coperto di polvere e sangue, sovrastato dal rumore della battaglia, dagli
echi dei passi dei soldati. Non e' solo Jena. E' il mondo che si riflette in
quello spicchio di vita prussiana.
Differentemente da uno scrittore, un filosofo in genere non testimonia di
se' e della propria vita, espone teorie. E ogni volta che lo fa spera di
dimostrare se non in modo definitivo almeno profondo il suo grado di
comprensione del mondo. Quella mitica entita' che e' l'Essere viene
ostentata come lo scopo del suo lavoro, la ragione ultima del suo pensare.
Non e' necessario osservare che una tale metafisica risultava
insoddisfacente per l'incapacita' a sanare la distanza tra l'Uno e il
Molteplice, tra l'Al di la' e l'Al di qua, tra Dio e Mondo. La Fenomenologia
avrebbe dovuto riempire quel vuoto, unire, in qualche modo, cio' che non era
unificabile. Ma come tenere saldamente insieme la realta' sfuggente,
ambigua, contraddittoria del mondo con la perfezione celeste? Come non
sporcare l'Assoluto con le bassezze del mondo e al contempo in che modo
innalzare quest'ultimo al cielo dell'idea? Lo strumento della dialettica -
l'arma letale di cui Hegel si era fornito - avrebbe egregiamente svolto il
compito.
Che ne e' oggi della Fenomenologia dello Spirito? Il lato aneddotico della
domanda ci rimanda all'origine della vicenda. L'editore Goebhardt -
spaventato dalla mole e dall'oscurita' - ne stampo' 750 copie. Poche
settimane prima che l'opera fosse pubblicata Hegel divenne padre. Il 5
febbraio 1807 nasceva Louis, il figlio illegittimo avuto dalla sua portiera.
Questo dramma, per lungo tempo tenuto nascosto ai biografi, tormentera' il
filosofo (al punto che se ne troverebbero tracce nella stessa
Fenomenologia). Louis portera' il cognome della madre. E sebbene si sentisse
particolarmente legato al bambino, Hegel ne rifiutera' la paternita'.
Provera' a inserirlo nella famiglia che nel frattempo aveva creato con una
moglie che gli dara' due figli. Ma Louis Fischer - che commosse Goethe per
la sensibilita' e l'intelligenza - non riusci' mai a integrarsi. Ormai
ventenne si arruolo' nell'esercito olandese e mori' di febbre a Giava il 28
agosto 1831. Due mesi dopo Hegel sarebbe morto per l'epidemia di colera che
si era diffusa a Berlino. Prima di morire aveva rimesso le mani sul suo
capolavoro. Ma fece in tempo a rivedere solo una trentina di pagine. Mori'
che era un filosofo celebre ed ostico. La Fenomenologia dello Spirito fu un
testo poco amato nell'Ottocento. La sua fortuna fiori' improvvisa nel
Novecento, tra le due guerre. In Francia Jean Wahl, Alexandre Koyre', Jean
Hyppolite e soprattutto Alexandre Kojeve contribuirono al suo sdoganamento.
Gyorgy Lukacs e Ernst Bloch ne rilevarono l'importanza. Anche Heidegger
forni' la sua interpretazione. Come mai tanta attenzione?
Pensando il mondo, Hegel lo immagina come un teatro: un insieme di scene
sfilano sotto il suo sguardo. Da questo punto di vista, lo svolgersi della
Fenomenologia avviene attraverso un movimento che dalla coscienza immediata
approda al Sapere Assoluto. Il cammino - che ha la forma di un vero e
proprio viaggio - e' cosparso delle esperienze che lo spirito dovra' fare.
L¥intelletto, la coscienza infelice, la lotta tra il servo e il signore e il
desiderio del riconoscimento, il farsi della legge, il piacere e la
necessita', il passaggio dal mondo feudale alla monarchia, le anime belle e
l'eroismo, l'illuminismo e la superstizione, la liberta' e il terrore, il
misticismo e la religione rivelata, sono alcuni dei tableaux che troviamo
nell'opera. Hegel li disegna riducendoli al suo linguaggio. L'oscurita' che
li avvolge e' la garanzia che qualcosa di ignoto sta venendo alla luce.
Non si puo' evitare di concludere che cio' che viene incontro al lettore e'
un abilissimo gioco acrobatico dove arbitrio e necessita' familiarizzano con
le parole, creando un singolare equilibrio tra evento e discorso. Cio' che
accade puo' essere raccontato. Ma solo perche' lo si racconta accade
realmente. E' un movimento che due secoli dopo il sistema dei media (non
quello dello spirito) avrebbe reso evidente in tutta la sua ovvieta'. Del
resto, dopo Jena, Hegel si reco' a Bamberga dove svolse per un anno e mezzo
il lavoro di giornalista. Conobbe l'ansia della notizia, la crudelta' della
censura e la lingua che si corrompeva. Terminata quell'esperienza torno' ad
essere "Hegel l'oscuro" che riteneva che la parola non fosse semplicemente
chiusa nel linguaggio, ma parlasse tra le cose e infine tornasse a se'
arricchita da quell'esperienza. La Fenomenologia si conclude con il trionfo
del Sapere Assoluto. Si potrebbe ironizzare sulla consistenza di questa
sovranita' misteriosa che e' la totalita' hegeliana. O provare a leggerla
nei tanti modi in cui e' stata letta: fine della storia, nascita di un nuovo
sapere, trionfo della civilta' cristiano-borghese, metafora del
totalitarismo o affermazione del piu' puro ateismo. Ma dopotutto quell'opera
ci dice anche qualcosa di essenziale sulla modernita'. Ci dice che un
filosofo deve bagnare il proprio pensiero nella tempesta. Ci dice che sono
esistiti tantissimi pensatori con l'ombrello aperto, al riparo dalla
pioggia, ad aspettare che il cielo rischiarasse.

9. LIBRI. DINO GRECO PRESENTA "IL CORPO E L'ANIMA" DI VIRGINIO GIOVANNI
BERTINI, DONATELLA FRANCESCONI E GIULIO SENSI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 luglio 2008 col titolo "Diritti
negati. Ricette di antidoti alla deriva xenofoba della societa' civile"]

Dobbiamo essere grati a Virginio Giovanni Bertini, sindacalista di lungo
corso, dalle lotte alla Fiat Mirafiori di Torino alla Cgil nella sua Lucca,
a Donatella Francesconi e Giulio Sensi per avere raccontato, da
protagonisti, la storia di una piccola eppur grande lotta di giustizia e di
liberta'. Lo hanno fatto in un libro, Il corpo e l'anima. Cronache di
diritti negati e lotte originali (Ets, pp. 116, euro 10) che ricostruisce le
vicende dell'autentica persecuzione istituzionale subita da Salah Chfouka,
da sua moglie Latifa e dalle loro figlie Hind e Ymane. Una storia di diritti
spudoratamente negati, ma anche della risposta corale e appassionata di una
comunita' prima sospettosa, ma via via sempre piu' coinvolta e partecipe,
capace di pensare e di ingaggiarsi in una battaglia radicale, condivisa nel
senso forte del termine. E, alla fine, vittoriosa, fatto che la rende ancor
piu' carica di messaggi positivi, in un tempo cosi' oscuro e minaccioso.
Difficile sintetizzare qui l'autentica odissea, l'inaudito groviglio di
pretesti burocratici che hanno formato la tessitura proditoriamente
persecutoria messa in atto dai pubblici poteri per cacciare dall'Italia un
uomo, un migrante perfettamente inseritosi nella realta' lucchese, promotore
di iniziative interculturali, di solidarieta', di affermazione convinta e
tenace dei diritti dei migranti in un ambiente forse proprio per questo
divenuto a lui ostile. Una persecuzione che si e' scatenata senza riguardo
alcuno neppure per la sua famiglia, per le sue splendide figlie, studentesse
dall'eccezionale rendimento, liceale l'una, universitaria l'altra.
L'espulsione - decretata prima e confermata poi con ineffabile arroganza
dalla questura di Lucca, indifferente persino ad una sentenza contraria del
tribunale dei minori di Firenze - si scontrera' con l'opposizione strenua di
un grumo di societa' che si stringe intorno alla famiglia di Salah,
coniugando forme di mobilitazione tradizionali con altre inedite, almeno per
la cultura sindacale, come lo sciopero della fame. La violenza e persino la
stupidita' di un potere incurante di ogni ragione e refrattario ad ogni
senso umanitario, l'abulica impotenza della politica, finiranno per
infrangersi contro una mobilitazione che contrappone un diverso paradigma
etico-politico, che si sottrae al campo di gioco dell'avversario e, per una
volta, gli da' scacco. Questa volta hanno vinto i protagonisti di una
cittadinanza plurale, coloro che non elevano, ma abbattono steccati, che si
ribellano alle strategie di sfinimento connaturate alla vigente legislazione
xenofoba, causa e conseguenza insieme di quella rovinosa paranoia sociale
che trova nel piu' debole il capro espiatorio di insicurezze e paure che
hanno altrove la propria origine. A Lucca hanno vinto quanti hanno indicato
e perseguito una strada diversa da quella imposta da chi finisce sempre per
trovare qualcuno a cui appiccicare la stella di Davide.
Clandestino, scrive Bertini, "e' una formula che nessun legislatore per
pudore ha mai utilizzato". Forse perche' ha prevalso la convinzione che si
tratti non gia' di una condizione oggettiva, bensi' di un prodotto
ideologico, di un giudizio, di uno stigma, di una sentenza. Fino a oggi.
Perche', con l'introduzione del reato di immigrazione clandestina un altro
colpo rischia di essere inferto dal Parlamento italiano all'impianto
antirazzista della Costituzione. In effetti, quello che leggerete nelle
pagine vibranti di questo libro e' una pratica attiva di difesa della
Costituzione repubblicana, agita direttamente nel sociale, con la passione e
la ragione. Valgono le efficaci parole usate da Lanfranco Binni a commento
della vicenda: "la liberta' e' terapeutica e terapeutiche sono le pratiche
di lotta per conquistare spazi di liberta'". Niente di piu' vero.

10. LIBRI. BENEDETTO VECCHI PRESENTA "LA DISCRIMINAZIONE NEGATIVA" DI ROBERT
CASTEL
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 dicembre 2008 col titolo "Robert
Castel" e il sommario "Da Parigi ad Atene, la rivolta degli indigeni della
democrazia"]

Per alcune settimane le citta' greche sono state messe sottosopra da una
rivolta che ha coinvolto decine di migliaia di giovani uomini e donne. E'
noto che il fatto scatenante e' stata l'uccisione di un adolescente, Alexis,
da parte delle polizia. Ma poi la rivolta ha rotto gli argini, mettendo a
nudo una realta' fatta di una scuola pubblica in via di veloce
privatizzazione e di disoccupazione con percentuali a due cifre. I media
mainstream hanno individuato come capri espiatori anarchici e black bloc.
Solo quando il fuoco che ha distrutto banche, concessionari di automobili e
supermercati ha cominciato a spegnersi, le parole usate per condannare la
rivolta hanno lasciato il posto a analisi piu' ponderate, cercando di capire
la rapidita' della diffusione della rivolta e il consenso che ha avuto.
Mike Davis, che di riots ne ha visti almeno due a Los Angeles, ha messo
l'accento sulla particolarita' dei fatti greci rispetto a quanto accaduto
alcuni anni fa nelle banlieue francesi. Se nei quartieri periferici di
Parigi i rivoltosi volevano farla finita con l'atteggiamento razzista della
polizia nei confronti dei giovani di origine magrebina o della Martinica, ad
Atene e Salonicco le manifestazioni di protesta svelavano una condizione
sociale costellata di studenti universitari che non credono piu' alla favola
che l'universita' sia il passaporto per un lavoro ben pagato e gratificante
e di giovani delle periferie che sono tenuti ai margini di una piena
cittadinanza. Ma quello che Mike Davis coglieva nel suo intervento
pubblicato da questo giornale lo scorso 19 dicembre e' l'assenza di futuro
che la crisi del neoliberismo rende manifesta. Da qui una consapevolezza
politica che rende la rivolta greca differente da quella delle banlieues
francesi.
Sono indubbie le differenze, ma forti sono anche le ripetizioni. Una su
tutte, la consapevolezza dell'assenza di futuro, che costituisce il filo
rosso che lega sia le mobilitazione francesi contro il "contratto di primo
impiego" nel 2006, i riots francesi, l'"onda anomala" italiana di questo
autunno e la rivolta greca.
Per capire come questi movimenti investano le istituzioni della "democrazia
reale" arriva nelle librerie italiane il volume di Robert Castel, La
discriminazione negativa (Quodlibet, pp. 143, euro 16), saggio che lo
studioso francese ha dedicato alle sommosse nelle banlieue francesi di tre
inverni fa.
Robert Castel e' un attento studioso della realta' francese a partire dalle
trasformazioni istituzionali che hanno accompagnato l'affermarsi e il
declino politico del lavoro salariato. In questo saggio offre una lettura
della genesi dei quartieri "a rischio", da quando cioe' il governo di Parigi
del primo dopoguerra lancio' un ambizioso progetto di edilizia popolare per
la classe operaia. I quartieri e le piccole citta' che nacquero dovevano
garantire quel diritto alla casa che il movimento operaio francese
rivendicava come un diritto sociale alla cittadinanza. Ma quello che gli
architetti e le istituzioni politiche francesi non avevano previsto e' quel
confine invisibile che divideva quei quartieri dal resto della citta'. Le
banlieue costituirono e costituiscono una sorta di "urbanistica della
segregazione sociale". Chi vi abitava e' posto oltre i confini della
democrazia. E quando i quartieri periferici delle metropoli francesi sono
diventati lo spazio urbano per i migranti e i loro figli, alle banlieue sono
stati applicate politiche di stampo coloniale; e da cittadini gli abitanti
sono stati sempre piu' trattati come "indigeni". Quando i giovani si
rivoltano nel 2005 la posta in gioco e' diventata immediatamente politica,
perche' veniva rivendicata la piena cittadinanza, cancellando cosi' quei
feroci seppur invisibili confini interni della democrazia.
Il saggio di Castel ha il suo maggiore interesse laddove sottolinea come la
"democrazia reale" definisca sempre le norme dell'inclusione e
dell'esclusione dall'esercizio della cittadinanza, che in Europa, e in
misura diversa negli Stati Uniti, non significa solo l'esercizio dei diritti
civili e politici ma anche quelli sociali. E di come la definizione, per
usare una fortunata espressione di Etienne Balibar, dei confini della
democrazia sia una conseguenza dei conflitti sociali e di classe che
caratterizzano il capitalismo. Da qui la rilevanza del concetto di
integrazione selettiva proposto da Castel. In altri termini, il capitalismo
non prevede l'esclusione, ma precise norme per stabilire l'inclusione. Per i
giovani delle banlieue e' l'accettazione della precarieta' nei rapporti di
lavoro a cui corrispondono salari piu' bassi, una limitazione della
mobilita' sociale e un ferreo controllo sulla loro liberta' di movimento
all'interno delle metropoli. L'"onda anomala" italiana lo ha invece
individuato nella trasformazione della formazione in una fabbrica che
produce precari. Allo stesso tempo, leggendo i pochi testi e documenti
prodotti durante la rivolta greca, l'inclusione selettiva e' individuata
nell'operato delle istituzioni del controllo sociale che agiscono nella
"democrazia reale".
Il saggio di Castel invita a un coraggioso riformismo che riprenda la strada
dell'universalismo dei diritti sociali. Una prospettiva di cui dovrebbero
fare tesoro gli esponenti politici di cio' che ancora viene chiamato
sinistra. Ai movimenti sociali, invece, tocca l'aspro terreno di una
"politica senza soggetto", cioe' quell'agire politico che consideri la
condizione di studente o di "indigeno" due facce di una stessa medaglia,
quella che rifiuta una precarieta' che condanna a una esistenza coatta nella
gabbia del lavoro salariato.

11. RILETTURE. LUCE IRIGARAY: IO TU NOI
Luce Irigaray, Io tu noi. Per una cultura della differenza, Bollati
Boringhieri, Torino 1992, pp. 116, lire 15.000. Un libriccino di agili
interventi con molte pagine acute.

12. RIEDIZIONI. P. D. JAMES: UNA CERTA GIUSTIZIA
P. D. James, Una certa giustizia, Mondadori, Milano 1998, 2009, pp. 388,
s.i.p. (in supplemento a "Donna moderna"). Un romanzo poliziesco di Phillys
Dorothy James, ingegnoso - a tratti forse anche marchingegnoso - e
disperato. Non mancano pagine di autentica bellezza, in un mare di cupo
dolore.

13. RIEDIZIONI. IMMANUEL KANT: CRITICA DELLA RAGION PURA
Immanuel Kant, Critica della ragion pura, Rcs-Bompiani, Milano 2007, 2009,
pp. 768, euro 14,90 (in supplemento al "Corriere della sera"). A cura di
Costantino Esposito, la piu' recente delle traduzioni italiane (e ve ne sono
di gloriose) di quello che forse e' il libro di filosofia per antonomasia;
cospicui gli apparati. Con una presentazione di Dario Antiseri.

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 777 del primo aprile 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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