Voci e volti della nonviolenza. 302



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 302 del 14 febbraio 2009

In questo numero:
1. Alberto Capannini, Francesca Ciarallo: Obiezione di coscienza alle norme
incostituzionali del cosiddetto "decreto sicurezza"
2. Gad Lerner: Senza diritti
3. Sandro Mezzadra: Prima che sia troppo tardi
4. Hannah Arendt: Il giudizio
5. Emily Dickinson: Il silenzio, l'infinito
6. Raissa Maritain: Niente, tutto
7. Alcuni estratti da "Kafka. Pro e contro" di Guenther Anders
8. Letture: Guido Caldiron, Gli squadristi del 2000
9. Letture: Guido Caldiron, La destra plurale
10. Letture: Guido Caldiron, Lessico postfascista
11. Riedizioni: Primo Levi, Opere (volume IV)

1. APPELLI. ALBERTO CAPANNINI, FRANCESCA CIARALLO: OBIEZIONE DI COSCIENZA
ALLE NORME INCOSTITUZIONALI DEL COSIDDETTO "DECRETO SICUREZZA"
[Dal sito di "Peacelink" (www.peacelink.it) riprendiamo il seguente appello
del 6 febbraio 2009 di Alberto Capannini, Francesca Ciarallo, impegnati
nell'Operazione Colomba, corpo nonviolento di pace della Comunita' Papa
Giovanni XXIII (per contatti: via Mameli 5, 47900 Rimini, tel. e fax:
054129005, e-mail: operazione.colomba at apg23.org, sito:
www.operazionecolomba.it)]

Non vogliamo un decreto sicurezza, vogliamo un decreto solidarieta'.
Dichiaramo la nostra obiezione di coscienza ad una legge che, a dispetto del
nome, portera' invece insicurezza e conflitti.
Il Nord del mondo affama i poveri, all'occorrenza li prende in casa, facendo
pagare loro i viaggi, quando non servono li rimanda "a casa loro", o li
chiude in campi di prigionia. E poi?
Questo e' portarsi la guerra in casa. La nostra coscienza sta facendo
qualcosa per fermare questa legge che uccide i diritti umani? Non diventiamo
complici silenziosi.
Sono appena state approvate al Senato le norme del "decreto sicurezza" (A.
S. 733: Disposizioni in materia di sicurezza pubblica). Adesso il tutto
passa alla Camera, e, come e' nelle previsioni, se anche la maggioranza dei
deputati dara' il suo assenso, verranno introdotti nel nostro ordinamento
giuridico una serie di provvedimenti discriminanti nei confronti di
immigrati, in particolar modo per i cosiddetti "clandestini".
L'approvazione e' stata praticamente concomitante alla ratifica del
"Trattato di amicizia con la Libia", mentre il ministro dell'Interno Maroni
volava a Tripoli per firmare il cosiddetto "protocollo attuativo"
dell'accordo Italia-Libia stipulato nel 2007 dal precedente governo (e
richiamato dal Trattato), per cui saranno presto avviati i pattugliamenti
congiunti (delle polizie libica ed italiana) per respingere in Libia i
migranti intercettati in mare mentre tentano di raggiungere la costa
siciliana.
Un accordo che e' l'espressione di una visione repressiva, che non affronta
alla radice il problema dei clandestini e degli sbarchi sulle nostre coste.
E' inserito nel capitolo della "lotta alla criminalita'", suscitando l'idea,
priva di fondamento, che migrante sia sinonimo di delinquente.
Presumibilmente portera' ancora piu' migranti ad attraversare il mare, a
causa delle vessazioni a cui la polizia libica li sottopone. Numerosi
rapporti di organizzazioni di tutela dei diritti umani - da Amnesty
International a Human Rights Watch - denunciano le brutali condizioni a cui
sono sottoposte le persone nei centri di detenzione per migranti in Libia:
arresti indiscriminati, violenze, deportazioni di massa, torture, connivenze
tra polizia e trafficanti. Inoltre, per la maggior parte, i migranti che
sbarcano in Sicilia - che secondo i dati del Ministero dell'interno
costituiscono solo l'8% del totale dei cosiddetti "clandestini" presenti nel
nostro paese - fuggono da paesi in guerra o dittatoriali come Etiopia,
Sudan, Eritrea, Somalia, e avrebbero diritto allo status di rifugiati
politici, con i diritti di asilo e protezione umanitaria che questo
comporta. La Libia non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra: le puo'
essere affidato con tanta noncuranza e superficialita' il compito di
"fermare i migranti"?
Ma torniamo al "Decreto Sicurezza", fiore all'occhiello della democrazia
italiana.
Il pacchetto istituisce un registro delle persone senza fissa dimora;
prevede la facolta' (previsione non chiara perche' leggendola nel contesto
del sistema normativo potrebbe tradursi in un obbligo, e gia' la sola
possibilita' ha fatto si' che nell'ultimo mese gli stranieri che si
rivolgono agli ambulatori siano il 30% in meno) per i medici di denunciare
all'autorita' giudiziaria gli immigrati cosiddetti "clandestini" che
richiedono cure mediche; una tassa per il permesso di soggiorno che puo'
arrivare fino a 200 euro; il via libera alle "ronde padane" (ma non potranno
girare armate, si specifica).
Non crediamo assolutamente che questa legge potra' eliminare la
clandestinita' o i problemi derivanti dalla convivenza, ma rendera' gli
immigrati ancora piu' disperati, invisibili. Sara' cosi' ancora piu'
difficile accoglierli, incontrarli, vivere insieme. Non vogliamo
un'ulteriore iniezione di incomprensione, di paura e di odio nel corpo del
nostro paese.
Pertanto proponiamo di esporsi in prima persona con un atto di disobbedienza
civile e di dichiarare pubblicamente nelle piazze delle nostre citta' la
nostra contrarieta' al decreto sicurezza attraverso l'impegno a contrastarne
gli effetti.
Sappiamo che in momenti come questi non e' facile uscire dal silenzio e
dallo sconforto.
Invitiamo medici, insegnanti, sindaci, amministratori e cittadini a
dichiarare pubblicamente la propria obiezione di coscienza alle norme
discriminatorie del decreto sicurezza.
*
Per dichiarare la propria obiezione di coscienza al "decreto sicurezza":
www.decretosolidarieta.blogspot.com
Per contattare l'Operazione Colomba: e-mail: operazione.colomba at apg23.org,
sito: www.operazionecolomba.it

2. RIFLESSIONE. GAD LERNER: SENZA DIRITTI
[Dal quotidiano "La Repubblica" dell'8 febbraio 2009 col titolo "Quelle
minoranze senza diritti"]

"E' un lungo applauso, accompagnato da uno sventolio di fazzoletti verdi,
quello che accoglie il voto finale al provvedimento sulla sicurezza",
riferisce la cronaca dal Senato del quotidiano "La Padania".
Gli spavaldi portavoce leghisti, con quel fazzoletto-distintivo bene in
vista nel taschino, lanciano attraverso i telegiornali la buona novella
della padronanza recuperata sul "nostro" territorio. Basta col lassismo.
Mantenuta la promessa elettorale. E' finita la cuccagna. Ma quale cuccagna?
Troviamo la risposta sempre sul giornale padano, nel titolone sarcastico del
giorno prima. "Bossi: ormai i clandestini siamo noi. Al Pronto Soccorso noi
diamo le generalita', loro sono esenti". Falso, ma funziona. E' la
narrazione di una maggioranza di cittadini perbene oppressa da una minoranza
straniera pretenziosa di vivere a spese nostre, esente da vincoli. La
fotografia di un'Italia a rovescio, dove l'immigrato la fa da padrone e
assoggetta il nativo.
Con sapienza propagandistica la Lega esibisce come innocenti i suoi
emendamenti. Ma come, di ciascuno si puo' dire che e' vigente nella
legislazione di un altro Paese europeo. In effetti, cogliendo fior da fiore,
la nuova normativa introduce d'un colpo tutte le regole piu' severe che
altrove, ma non in Italia, vengono abbinate a percorsi certi e codificati di
regolarizzazione. Per esempio viene resa piu' onerosa la tassa sul permesso
di soggiorno (oggi di 72 euro) senza ovviare alle lungaggini per cui, quasi
sempre, esso viene rilasciato quando ne e' ormai prossima la scadenza.
Si complica la procedura con test e punteggi, si disincentivano i
ricongiungimenti familiari, s'introduce il reato di clandestinita', senza
fornire in cambio un trattamento "europeo", cioe' dignitoso, agli aventi
diritto.
Al contrario, non solo i medici ma tutti i cittadini che lo vogliano sono
sollecitati a una partecipazione volontaria - con le ronde - nel setaccio
territoriale degli irregolari. Poco importa se abbiano varcato la frontiera
con un visto poi scaduto, o se siano vittime della nostra inadempienza
burocratica: tutti clandestini. E guai ai senza fissa dimora, agli abitanti
delle baraccopoli, ai minori emarginati, tutte categorie minacciose da
contenere mediante pubblica schedatura.
La debacle della politica democratica, consumatasi nella resa alla paura di
un'invasione criminale, ha gia' da tempo ridotto le scelte sull'immigrazione
a false categorie primitive: noi e loro; buoni(sti) e cattivi. Giungono
cosi' tardive e inefficaci le proteste del Pd, le resipiscenze di settori
moderati del Pdl; oggi travolti insieme dalla vittoriosa cavalcata leghista
perche' a suo tempo rinunciarono alla necessaria contrapposizione di valori
civili e religiosi. Con la solita, vile motivazione confidata sottovoce: il
popolo non ci capirebbe, la sicurezza e' un bisogno dei piu' deboli.
Il progressivo cedimento culturale alla xenofobia, lo slittamento semantico
verso il linguaggio della pura forza, produce ora una novita' imprevista
dagli stessi leader leghisti. Perche' e' vero che in tutti i governi, di
destra e di sinistra, al ministro dell'Interno tocca sempre il ruolo del
duro, del "cattivo". Ma solo nell'Italia del 2009 un ministro come Maroni si
ritrova ad assumere la funzione politica di capo dei cattivi. Cioe' di un
movimento d'opinione che, facendo leva su diffusi istinti popolari, teorizza
la disuguaglianza dei diritti come difesa della nazione. Ormai chi fa
politica si ritrova mutilato perfino nel vocabolario. Davanti a una
telecamera sarebbe controproducente esprimere disagio per la dimensione
umana degli sbarchi a Lampedusa, l'eccidio quotidiano, la tragedia di una
nuova frontiera epocale. Quelli li' non ce li possiamo permettere, punto e
basta. Paghiamo la Libia purche' li rinchiuda in lager lontani dalla nostra
vista. I difensori della vita recano inutili pagnotte e bottiglie d'acqua al
capezzale di Eluana Englaro, non tra i naufraghi africani, essendo anche la
bonta' ridotta a ideologia.
E' questo formidabile capovolgimento della realta' che consente di
presentare il decreto sicurezza come la fine di una inesistente cuccagna: la
bieca favola di un'Italia permissiva, paese del bengodi per gli stranieri.
Dunque non si illudano, gli immigrati residenti sul nostro territorio. Come
insegnano perfino gli operai inglesi, nella crisi bisognera' riservare il
sostegno pubblico ai nativi. E pazienza se anche "loro" pagano le tasse:
sono paria destinati a un'eterna condizione provvisoria, subalterna.
Costretto dai suoi stessi, insperati successi a premere sull'acceleratore
della separazione fra aventi e non aventi diritti, ben presto il ministro
dei cattivi sara' chiamato a spiegare come intenda regolarsi con i circa
800.000 cittadini stranieri privi di documento regolare che risiedono sul
nostro territorio. Persone che vivono nelle nostre case, lavorano al nostro
servizio, vengono ospitate nelle strutture sociali, sono curate dal servizio
sanitario, bambini che frequentano la scuola primaria. Nell0ottobre scorso
Maroni ha reso noto un incremento del 28,1% delle espulsioni (percentuale su
cui fare la tara, visto che il 2007 segno' l'ingresso di Romania e Bulgaria
nell'Unione Europea). Con cio', la cifra e' salita a 6.553 espatriati.
Stiamo parlando di circa due espulsi ogni cento irregolari. Vogliamo
ipotizzare che il ministro dei cattivi riesca a raddoppiare, triplicare tale
cifra nei prossimi anni? Difficile, ma ammettiamo che sia possibile. Cosa ne
faremo del restante 90% e passa di irregolari che continueranno a vivere in
Italia? Tutti gli altri paesi mirano a regolarizzarli, per ovvi motivi di
civilta', convenienza economica, ordine pubblico. E noi?
Temo che queste domande resteranno a lungo senza risposta. Ma nel frattempo
e' facile intuire quale possa essere la percezione di quattro milioni di
stranieri residenti in Italia, posti di fronte a un decreto sicurezza
architettato come percorso minato, a rendere sempre piu' complicata la loro
integrazione. Una destra sottomessa alla Lega sta facendo di tutto per farli
sentire ospiti indesiderati, cittadini di serie B destinati al lavoro ma
esclusi da un futuro di pari opportunita'. Subiscono la beffa di chi li
addita come tenutari di privilegi. Le istituzioni non sanzionano i mass
media che diffondono il pregiudizio e l'ostilita' nei loro confronti, anche
perche' spesso sono di proprieta' del capo del governo. Il clima e' propizio
a sempre nuovi soprusi nei rapporti di lavoro, nell'erogazione di servizi,
nell'affitto di case.
Ci troviamo cosi' a un bivio. O i cittadini stranieri riusciranno a dare
vita a una tutela democratica dei loro diritti - nella quasi totale
latitanza di una politica timorosa di rappresentarli e coinvolgerli - oppure
chineranno il capo lasciando i loro figli preda di leadership radicali e
integraliste. L'Italia non ha niente da guadagnare dallo sventolio dei
fazzoletti verdi sulla faccia di milioni di persone con cui e' destinata a
convivere. Non ci troviamo nella condizione di chi ha ottemperato ai suoi
impegni e percio' attende che il contraente si adegui. Con il combustibile
delle appartenenze incivili, ronda contro branco, la Lega ha gia' incenerito
la nozione di cittadinanza universale, ma ora si appresta a bruciare l'idea
che le minoranze abbiano dei diritti.

3. RIFLESSIONE. SANDRO MEZZADRA: PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 febbraio 2009 col titolo "Prima che
sia troppo tardi"]

Sulle misure discriminatorie (razziste) nei confronti dei migranti contenute
nel "pacchetto sicurezza" hanno scritto l'essenziale, su queste colonne,
Alessandro Dal Lago (venerdi') e Annamaria Rivera (sabato). Altri elementi
li ha aggiunti Gad Lerner, su "Repubblica" di domenica. Non ripeto le cose
gia' dette egregiamente da loro e da quanti (tanti, troppo pochi), animati
dall'indignazione hanno cominciato a mobilitarsi in questi giorni.
Sottolineo solo la drammaticita', il carattere spaventoso, di queste misure
nel contesto di crisi generale che stiamo vivendo (e che continueremo a
vivere a lungo).
Si pensi alla decretazione d'urgenza invocata da Berlusconi come una delle
poste in gioco fondamentali nella partita che, con rivoltante cinismo, ha
aperto sul corpo di Eluana Englaro e sulle vite straziate dal dolore dei
suoi genitori. Scrive Annamaria Rivera, con la poca ironia residua in questi
giorni cupi, che vi e' "qualche vaga analogia" con gli anni '30.
Aggiungiamoci Tremonti, che con il suo sorriso rassicurante e con linguaggio
chiaro a "massaie" e "gente semplice" ci spiega la crisi: il lavoro, la
produzione, quelli si' sono buoni; "cattiva" e' la finanza. Dicevano
qualcosa di diverso i nazisti? No, specificavano solo che lavoro e
produzione erano buoni in quanto tedeschi, la finanza cattiva in quanto
ebraica.
Intendiamoci. Non credo che di fronte a noi ci sia il "fascismo". Ma puo'
esserci perfino qualcosa di peggio, di radicalmente nuovo e al tempo stesso
terribilmente antico. Vecchio come il razzismo, nuovo come e' il tempo che
viviamo, un tempo in cui pericoli immani convivono accanto alla possibilita'
di reinventare l'uguaglianza e la liberta'. Razzismo: una cosa diversa dalla
"xenofobia". Xenofoba e' la signora che dichiara al Tg1 che "non ne puo'
piu'", che bisogna cacciare a calci nel didietro questi "zozzi", i rumeni e
gli albanesi. Razzista e' quello che Alessandro Dal Lago chiama lo "stigma
ufficiale", impresso sui corpi dei migranti dalla legge, dallo Stato.
Vogelfrei, "liberi come uccelli", venivano definiti nel basso medioevo
germanico i soggetti, poveri e malati, mendicanti e vagabondi, che erano
talmente liberi (privi di protezione) da poter essere trattati come
uccellagione nella stagione della caccia. Quando oggi incontrerete un o una
migrante, nelle vostre citta' e nei vostri paesi, davanti a voi ci sara' un
uomo o una donna "libero/a come un uccello". Non sono bastati i pogrom di
Napoli, la scorsa primavera, a scuotere le nostre coscienze? Perfetto, oggi
ci sono i linciaggi, i corpi cosparsi di benzina e incendiati, le fucilate.
E tutto questo, per tacere delle italiche peculiarita', dentro una crisi
devastante del capitalismo globale. Che ricorda il '29. Non basta ancora?
Una grande mobilitazione generale, una rivolta civile dei giovani dell'onda
e dei pensionati, delle associazioni cattoliche e dei "democratici", dei
centri sociali e dei boy scout, della Cgil e del sindacalismo di base, del
giornalismo indipendente e pure di quello dipendente, se ha una coscienza:
di questo c'e' bisogno, a partire da ieri. O e' piu' importante la soglia
del 4% alle europee o l'accordo con la Lega sul federalismo e sulla
giustizia?
Il 7 ottobre del 1989, dopo l'assassinio a Villa Literno di un ragazzo
sudafricano, Jerry Essan Masslo, vi fu a Roma una grande manifestazione.
Quella manifestazione ha aperto una straordinaria stagione di mobilitazioni
antirazziste e di lotte dei migranti. La paura e il delirio sicuritario sono
cresciuti negli anni successivi, oculatamente incoraggiati in un autentico
spirito bipartisan, fino a condurci dove siamo oggi. Ma li abbiamo
contrastati, tenacemente, duramente, conquistando anche vittorie grandi e
piccole. Possiamo tornare allo spirito del 7 ottobre del 1989, ben sapendo
che tutto e' cambiato da allora? Possiamo costruire una grande
manifestazione unitaria contro il razzismo, magari in una delle cittadelle
della Lega, a Treviso o a Verona, a Brescia o a Bergamo? Costruiamola
insieme. Subito, prima che sia troppo tardi. Ne va delle vite di centinaia
di migliaia di donne e di uomini in questo paese, ed e' questo l'essenziale.
Ma ne va anche della possibilita' di costruire un'uscita in avanti dalla
crisi che stiamo vivendo.

4. MAESTRE. HANNAH ARENDT: IL GIUDIZIO
[Da Hannah Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 1991, p. 283]

Come la logica puo' essere sana soltanto se esiste l'io, cosi' il giudizio,
per essere valido, richiede la presenza altrui.

5. MAESTRE. EMILY DICKINSON: IL SILENZIO, L'INFINITO
[Da Emily Dickinson, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1997, 2005, p. 1259]

Il silenzio e' tutto il nostro terrore
c'e' riscatto nella voce -
ma il silenzio e' l'infinito.
Per se' non ha volto.

6. MAESTRE. RAISSA MARITAIN: NIENTE, TUTTO
[Da Raissa Maritain, Diario di Raissa, Morcelliana, Brescia 1966, 2000, p.
260. E' una nota del 6 gennaio 1939]

Non desiderare niente, amare tutto.

7. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "KAFKA. PRO E CONTRO" DI GUENTHER ANDERS
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di
Guenther Anders, Kafka. Pro e contro. I documenti del processo, Quodlibet,
Macerata 2006 (edizione originale: Kafka, pro und contra. Die
Prozess-Unterlagen, 1951)]

Indice del volume
Introduzione; Premessa; I. Aldiqua come aldila'. Kafka deforma per
constatare; Kafka cambia i nomi; Cio' che sbalordisce in Kafka: lo
sbalorditivo non sbalordisce nessuno; Kafka da' immagini potenziate.
Apologia di questa irrealizzazione; L'uomo e' estraneo e deve dar prova di
se stesso; L'aldila' di Kafka e' questo mondo. La sua vita e' un arrivare
per tutta la vita; Conseguenze dell'arrivo perpetuato; Excursus sull'eroe
negativo. "K." e' un Don Chisciotte; Chi non abita nel mondo non ha
abitudini ed intende i costumi come decreti; La vita e' un processo di
autoaccumulazione della colpa. La coscienza gira in tondo; Kafka lascia
delle brecce nel mondo murato. Donna e caso; Chi vuole arrivare non vuole
andare in giro "liberamente". Percio' la liberta' di Kafka e' un incubo; La
vita si compie come ripetizione. Il vivente e' un prigioniero negativo: non
chiuso dentro, ma chiuso fuori. La colpa sussegue la pena; L'inversione di
colpa e pena e' testimonianza di ambiguita'; II. Non simboli ma metafore.
Kafka non e' ne' allegorista, ne' simbolista; Il mondo di Kafka diviene
indistinto perche' le sue metafore collidono; Le figure di Kafka non sono
piu' astratte di uomini reali: esse sono uomini che vivono solo per la
professione; L'agnosticismo di Kafka e' figlio dell'impotenza, perche'
l'impotente e' disinformato; III. La Medusa. Nel terrore il tempo resta
sospeso. Percio' Kafka da' immagini; In Kafka la bellezza e' gorgonica;
Kafka non si "esprime" piu'; Il linguaggio di Kafka e' "elevato", perche'
piu' sobrio del linguaggio quotidiano; Eppure la lingua di Kafka e'
graziosa; IV. Ateismo che si vergogna. Kafka fa parte della storia
dell'ateismo che si vergogna; Kafka permette l'irreligiosita' e si assicura
una positivita' minima; Kafka rappresenta un ritualismo privo di rituale;
Apologia dello stato incompleto; La chiamata senza colui che chiama. Per
Kafka Dio e' morto. La morte di Dio e' per Kafka un fatto religioso; Kafka
e' un marcionita. Crede in un Dio malvagio, non in nessun Dio. Trasforma
l'immorale nel sovra-morale; Kafka non vuole costruire il paradiso, ma
entrarvi. Non e' un teologo dell'ebraismo, ma un teologo dell'esistenza
ebraica; Bilancio finale; Appendice. Max Brod: Assassinio di un fantoccio
chiamato Franz Kafka; Guenther Anders: Replica a "Assassinio di un fantoccio
chiamato Franz Kafka", critica di Max Brod al mio scritto "Kafka. Pro e
contro"; Max Brod: Controreplica; Note; Postfazione, di Barnaba Maj.
*
Da pagina 29
Kafka deforma per constatare
Il monaco Massimo Planude, che pubblico' nel XIV secolo le favole circolanti
con il nome di Esopo, racconta che il volto di Esopo fosse mostruosamente
brutto, anzi deformato fino all'irriconoscibilita'. Esopo stesso non avrebbe
potuto inventare una migliore favola sulla favola: poiche' le verita' della
favola scaturiscono dalla deformazione.
E con questo siamo a Kafka. Il volto del mondo kafkiano sembra s-postato
(ver-rueckt). Ma Kafka "s-posta" l'aspetto apparentemente normale del nostro
mondo spostato per renderne visibile la follia. Ma al tempo stesso egli
tratta questo aspetto spostato come qualcosa di completamente normale; e in
tal modo descrive addirittura proprio il fatto folle che il mondo folle
passi per normale.
Invece di riconoscere che questo metodo non e' cosi' impenetrabile, si e'
visto soltanto cio' che e' fuori dal comune, nel volto del suo mondo. E lo
si e' esaltato come soprannaturale; o come onirico; o come mitico; o come
simbolico. Ma Kafka non e' ne' un esteta, ne' un santo, ne' un sognatore; e
neppure un artefice di miti o un simbolista; in ogni caso, niente di tutto
cio' in primo luogo. E' invece uno scrittore di favole realista. La
deformazione come metodo dovrebbe essere familiare a tutti noi: la scienza
moderna, per saggiare la realta', pone il suo oggetto in una situazione
artificiale, la situazione sperimentale. Stabilisce un ordine in cui
inserire l'oggetto, e in tal modo deforma l'oggetto: ma il risultato e' una
verifica. Considerati da questo punto di vista, i romanzi d'oggi, salvo
eccezioni, non sono moderni. Nel migliore dei casi essi descrivono cio' che
vedono. Kafka, invece, e piu' tardi Brecht, costruiscono situazioni
deformanti in cui inseriscono il loro oggetto sperimentale: l'uomo d'oggi. A
scopo di verifica. Un esperimento biologico in un istituto di psicologia
animale non sembra certo "realistico" come il giardino zoologico di
Hagenbeck. Un ordine sperimentale kafkiano invero non sembra certamente
realistico come un "giardino antropologico" di Galsworthy. Ma il suo
risultato e' realistico.
*
Kafka cambia i nomi
Una parte considerevole dell'opera kafkiana tratta dell'ebreo. Cosi' il
romanzo Il castello, cosi' la storia di topi Giuseppina. Ma la parola
"ebreo" compare di rado. Anzi, nel racconto intitolato Durante la
costruzione della muraglia cinese la parola "ebreo" e' addirittura
regolarmente sostituita dalla parola "cinese". Perche' Kafka attua questo
scambio di nome, che crea evidentemente un mascheramento?
Di nuovo: per un principio di conoscenza. Vale a dire, per recidere fin
dall'inizio i pregiudizi automaticamente legati ai nomi; per costringere il
lettore e se stesso a guardare in faccia senza pregiudizi cio' che egli
desidera dire; dunque, in un atteggiamento che e' il meno pregiudizievole
possibile per il raggiungimento, la rappresentazione, la mediazione e
l'accettazione della verita'. Se il realismo ha un senso filosofico, e'
questo.
Certamente non ci si puo' rappresentare questo "cambiamento di nome"
kafkiano come un atto, ogni volta nuovo, di traduzione consapevole; i
cambiamenti di nome kafkiani hanno ben poco in comune con quelli delle
Lettere persiane o dei Viaggi di Gulliver: l'attribuzione "estraniante" e'
quella, per cosi' dire, a lui naturale. In Kafka l'oggetto A si chiamera' B
gia' al primo intervento e l'oggetto B comparira' come C gia' alla prima
fissazione. Se c'e' qualcosa per cui Kafka avrebbe avuto bisogno di
un'abilita' espressiva, non sarebbe stato per l'estraniazione, ma piuttosto
per la revoca dell'estraniazione.
In se', la "naturalezza" di attribuzioni estranianti non e' un fenomeno per
noi sconosciuto. Quando un chimico, nel suo laboratorio, considera e tratta
l'acqua non come un liquido potabile, ma come H2O, questo non ci sorprende.
Sorprendente invece ci risulta quel cambiamento di nome che e' compiuto
individualmente e che viene preteso da noi, senza che il traduttore ci
consegni e autentichi espressamente la sua chiave di traduzione. Ora, e'
questo che accade in Kafka. E percio' il suo lettore necessita di
"istruzioni per l'uso".
Il metodo di Kafka consiste dunque nel sospendere, mediante uno scambio di
etichette, i pregiudizi legati alle etichette, e di rendere possibili in tal
modo giudizi liberi da pregiudizi. Quando attacca alle cose etichette
incomprensibili, egli agisce esattamente nello stesso senso. Per esempio,
egli descrive un oggetto ("Odradek") la cui funzione sembra consistere
proprio nel non avere alcuna funzione. Ma l'introduzione di questo oggetto
"senza senso", e denominato in una maniera apparentemente priva di senso, e'
tanto poco insensata quanto quella degli oggetti etichettati "falsamente".
L'oggetto ci ricorda tutte le specie di cose e macchine che l'uomo moderno
deve maneggiare giorno dopo giorno, sebbene le loro prestazioni non sembrino
aver nulla a che fare direttamente con i bisogni dell'uomo. L'uomo d'oggi si
imbatte mille volte in apparecchi la cui costituzione gli e' sconosciuta e
con cui egli puo' mantenere soltanto rapporti "estraniati", giacche' il loro
rapporto con il sistema di bisogni dell'uomo e' infinitamente mediato:
l'"estraniazione" non e' infatti un espediente del filosofo o del poeta
Kafka, ma un fenomeno del mondo d'oggi; soltanto che l'estraniazione nella
vita quotidiana viene appunto coperta dalla vuota abitudine. Attraverso la
sua tecnica dell'estraniazione, Kafka scopre l'estraniazione mascherata
della vita quotidiana: e quindi, in tal modo, e' di nuovo un realista. La
sua "deformazione" constata.
*
Da pagina 43
L'aldila' di Kafka e' questo mondo. La sua vita e' un arrivare per tutta la
vita
Diciamo "aldila'". E la maggior parte degli interpreti, che spiegano Kafka
in senso religioso senza alcuna ponderazione, saranno soddisfatti di questa
parola. Ma solo della parola. Poiche' l'aldila' di cui si tratta in Kafka
non e' affatto qualcosa di extraterreno, bensi' il mondo stesso, l'aldiqua
stesso. Egli (o il suo eroe K.) sta all'esterno, sta "al di la'
dell'aldiqua": in tal modo l'aldiqua diventa aldila'. L'identificazione tra
"mondo" e "aldila'" non significa piu' di quanto significasse, nel
socialismo utopistico, la rappresentazione dello stato futuro del mondo come
paradiso. L'aldila' in lui non e' il futuro, ne' il mondo che verra', bensi'
il mondo esistente. Chi deve "venire" e' di nuovo lui, lo straniero; poiche'
e' lui a dover arrivare, lui a sopraggiungere. L'opera principale di Kafka,
Il castello, e' la testimonianza fondamentale di questa tesi.
Questo e' infatti il contenuto del Castello: un uomo, K., si presume sia
stato chiamato in un villaggio situato presso un castello, e una sera giunge
in questo villaggio. Vuole essere accolto. Ma coloro che lo hanno chiamato
non sanno nulla della sua chiamata: dunque non viene accettato, anche se non
proprio rispedito via. Tutto il resto della sua vita - tutto il resto del
contenuto del libro - e' costituito dai tentativi e dagli sforzi, mille
volte ripetuti, per essere comunque accettato. Vale a dire: tutta la sua
vita e' una nascita continua, un "venire al mondo" che non ha fine.
L'enorme tensione che nelle religioni vere e proprie esiste tra il mondo
celeste e questo mondo, oppure tra creator e creatura - la cosiddetta
trascendenza -, qui sussiste tra K. ed il mondo, che in quanto mondo di
potere totalitariamente istituzionalizzato resta irraggiungibile. Dunque, K.
non "vive" (se, con Heidegger, la vita significa "essere nel mondo"): la sua
vita e' tutt'al piu' un fare anticamera. "In qualche modo" il nuovo venuto
e' nel mondo, ma il grado del suo esserci e' appena sufficiente a rendergli
chiaro che non e' in esso. Numerose favole kafkiane (e il suo romanzo
America) cominciano con situazioni di arrivo, che non si differenziano
fondamentalmente da quella sviluppata nel Castello, e tutte finiscono come
sforzi inutili di arrivo: "[...] la mancanza d'illusione sul fatto che tutto
sia soltanto un inizio, beh, nemmeno questo e' un inizio [...]" (Diari,
1921). E nel 1922: "Nel mio ufficio si continua ancora a fare calcoli come
se solo ora la mia vita iniziasse in modo definitivo, mentre sono alla
fine".
*
Conseguenze dell'arrivo perpetuato
Mentre i romanzi del mondo borghese interpretavano la crescita in questo
mondo come un'"educazione", in Kafka il mondo e' descritto dall'esterno, la
crescita come un naufragio. L'eroe non appartiene al mondo. Il realismo
kafkiano consiste proprio in questa eccentricita', poiche' per la maggior
parte degli uomini d'oggi il mondo - che del resto, nella teoria della
conoscenza, si chiamava gia' da tempo "mondo esterno" - e' divenuto
"esterno". La figura principale diviene cosi' un eroe in senso negativo,
perche', nel confronto con il mondo essente, si distacca in modo assoluto
come "nessuno". E' il punto centrale dei romanzi, esattamente come il punto
centrale di un cerchio: non ha estensione.
"Esserci" per Kafka significa certamente arrivare eternamente, senza
arrivare mai, quindi "non-esserci"; ma, dal momento che egli d'altra parte
non puo' negare di essere invece in qualche modo nel mondo, deve dare al
non-esserci un mascheramento positivizzante, oppure trovare forme intermedie
tra essere e non-essere. Egli trova queste forme intermedie in maniera
classica, conferendo al non-essere un significato temporale: esso diventa
"non-essere-ancora" oppure "non-essere-piu'". Nella storia del Cacciatore
Gracco, ad esempio, Kafka rappresenta l'essere partoriti come un morire,
come un "morire-dentro-il-mondo". Anni prima Gracco era morto per una caduta
(nascita), ma, in seguito ad una disattenzione del traghettatore dei morti,
non era mai giunto nel regno delle ombre: la sua esistenza e' dunque,
contemporaneamente, essere ancora e non essere piu', non semplicemente un
non-essere (temporalmente neutrale).
D'altro canto, per Kafka, colui che non arriva mai, si trasforma (giacche',
"in qualche modo e' comunque li'") in uno che, fondamentalmente, arriva
troppo tardi; e la vita si trasforma in un inseguimento di luogo in luogo:
si e' giunti e gia' s'e' mutata intenzione. Questo e' il tema esclusivo dei
racconti I coniugi e Confusione di ogni giorno. In queste storie la sfortuna
sta nel fatto che il mondo, che si frappone tra la meta del cammino e colui
che cammina, e' troppo forte: in un certo senso sommerge, con i suoi
dettagli, il cammino. Se si prende la vita stessa come un "cammino" (cosa
che Kafka fa volentieri, richiamandosi a Lao-Tse), allora ogni nuovo giorno
porta un nuovo obbligo "che allontana dalla meta"; questo conduce a sua
volta ad un nuovo obbligo, e si giunge, anche se correndo costantemente,
sempre troppo tardi. Una descrizione che si adatta ovviamente solo a colui
che, come Kafka, in fondo non ha chiari misura e ambito dei suoi obblighi, e
per il quale ogni passo significa gia' tralasciare innumerevoli altri passi,
dal momento che il mondo e' lastricato di grida d'aiuto.
*
Da pagina 102
Eppure la lingua di Kafka e' graziosa
Che il mondo e la lingua di Kafka, malgrado la loro pietrificazione (o, piu'
esattamente, in virtu' della loro pietrificazione), siano "belli", risulta
ora ben comprensibile. Difficilmente intelligibile appare pero' il fatto che
la lingua kafkiana, nonostante cio', si possa muovere con perfetta grazia.
Difficilmente intelligibile, poiche' la "grazia" e' proprio la promessa
della benevolenza malgrado la distanza; e' anzi costantemente commozione e
scioltezza giocosa: dunque il contrario della pietrificazione. La "grazia"
e' una scioltezza cosi' perfetta da poter trasformare perfino la paura in
qualcosa di "incantevole", cioe' in "timidezza".
Come si deve intendere la grazia, davvero innegabile, della prosa kafkiana?
Come un salto a lato dell'impotenza. Proprio in quanto il mondo e'
considerato la potenza superiore assoluta ed esclude ogni liberta'
effettiva, la lingua salta verso le mille possibilita' immaginate, i
congiuntivi e le frasi ipotetiche, per "giocare" cosi', non gravata dalla
realta'. "Tra i miei mucchi di terra", dice il tasso nel racconto La tana,
"posso naturalmente sognare qualunque cosa, anche un'intesa, pur sapendo
benissimo che una cosa di questo genere non esiste". "Posso" e "se". "Se
un'acrobata a cavallo, fragile, tisica, venisse spinta per mesi interi senza
interruzione in giro sulla pista sopra un cavallo vacillante di fronte a un
pubblico instancabile, da un direttore di circo spietato sempre con la
frusta in mano, continuando a frullare sul cavallo, gettando baci,
oscillando sulla vita, e se questo spettacolo proseguisse in mezzo al
fracasso dell'orchestra e dei ventilatori nel grigio futuro che continua a
spalancarsi sempre, accompagnato dall'applauso, che si estingue e poi torna
ad ingrossare, di mani che sono veri martelli a vapore" - e soltanto a
questo punto abbiamo cio' che puo' accadere in seguito (In loggione). Qui,
in effetti c'e' tutto: il se "sciolto", "il gioco" di circo e cavallo,
l'inutilita' del maneggio a forma di carosello che ricomincia a piu'
riprese, infine la dimensione di morte data da frusta e martello a vapore;
in breve: la grazia nasce dal fatto che il linguaggio, simile ad un cane che
gioca, scorrazza intorno alla potenza superiore del mondo, che occupa tutta
l'ampiezza della strada; la sua leggerezza e' la leggerezza di chi viene
reputato troppo leggero in confronto al peso del mondo, e la sua serenita'
e' quella di chi non viene preso sul serio, non quella di chi non e' serio.
*
Da pagina 105
Kafka fa parte della storia dell'ateismo che si vergogna
Solo di tanto in tanto abbiamo preso in mano fino ad ora quella chiave che
solitamente e' considerata come il grimaldello per penetrare nell'opera di
Kafka. Kafka viene definito come homo religiosus; si assicura che l'unico
accesso al suo mondo sbarrato sia quello religioso.
Anche noi ci siamo imbattuti in quei motivi kafkiani fondamentali come
colpa, redenzione, grazia, trascendenza, potenza superiore, sacrificio, che
difficilmente possono essere discussi sotto un titolo differente dal
religioso; anche se poi e' risultato che quelli che Kafka ha descritto con
concetti presi a prestito dal linguaggio religioso erano rapporti dell'uomo
con l'aldiqua, e non con l'aldila'. Resta tuttavia innegabile che gia'
questo "prestito" (il minimo, che nemmeno il piu' scettico puo' negare)
rappresenta pure un problema.
Se abbiamo rinviato cosi' a lungo la trattazione di Kafka come homo
religiosus, cio' e' accaduto perche' quest'espressione non ci sembra
costituire una risposta, ma un problema: resta dubbio cio' che questa parola
puo' designare nel nostro mondo secolare. La storia delle religioni positive
offre una lunga serie di definizioni di funzioni religiose ben distinte:
Salvatore, santo, profeta, apostolo, fondatore, riformatore, eretico e cosi'
via. Nessuno, interrogato su "che cosa" siano stati San Francesco o Buddha,
si limiterebbe alla vaga risposta: un homo religiosus. D'altra parte, pero',
nessuno neppure oserebbe applicare a Kafka una delle diverse definizioni
nominate sopra. In effetti, l'incerta espressione in fondo non puo' nemmeno
venir realmente precisata; cio' che solo puo' essere fatto oggetto
d'indagine e di comprensione e' perche' Kafka sia stato classificato in un
modo tanto vago.
Salta immediatamente agli occhi, infatti, che coloro i quali, in modo cosi'
precipitoso e cosi' generico, hanno applicato alla posizione fondamentale di
Kafka l'investitura dell'espressione "religiosa", non sono riusciti a
collegare alla parola nessuna concreta concezione religiosa. L'investitura
di Kafka ha avuto luogo nella letteratura, dunque in una sfera gia' da molto
tempo divenuta irreligiosa, o almeno indifferente alla religione. In una
sfera a cui lo stesso Kafka (se mai egli puo' essere annoverato da qualche
parte) certamente apparteneva ancora.

8. LETTURE. GUIDO CALDIRON: GLI SQUADRISTI DEL 2000
Guido Caldiron, Gli squadristi del 2000, Manifestolibri, Roma 1993, pp. 96,
lire 10.000. Una ricognizione del neofascismo in Europa, con capitoli
specifici su Inghilterra, Germania, Austria, Francia, Belgio, Croazia. Con
un'introduzione di Benedetto Vecchi.

9. LETTURE. GUIDO CALDIRON: LA DESTRA PLURALE
Guido Caldiron, La destra plurale. Dalla preferenza nazionale alla
tolleranza zero, Manifestolibri, Roma 2001, pp. 360, lire 29.000. Un ampio
saggio fondato su una solida documentazione: una delle migliori ricognizioni
disponibili sulla nuova destra criminale, razzista ed eversiva in Italia e
nel mondo.

10. LETTURE. GUIDO CALDIRON: LESSICO POSTFASCISTA
Guido Caldiron, Lessico postfascista. Parole e politiche della destra al
potere, Manifestolibri, Roma 2002, pp. 184, lire 28.000. La nuova destra
eversiva italiana al potere analizzata in un utile volume di saggi disposti
per lemmi in ordine alfabetico.

11. RIEDIZIONI. PRIMO LEVI: OPERE (VOLUME IV)
Primo Levi, Opere (volume IV), Einaudi, Torino 1997, Gruppo Editoriale
L'Espresso, Roma 2009, pp. XLII + 856 (in supplemento a "La Repubblica" e
"L'espresso", a euro 9,90 oltre il costo del periodico). E' l'ultimo tomo
della riedizione della classica edizione curata da Marco Belpoliti delle
Opere di Primo Levi che meritoriamente "Repubblica" e "L'Espresso" hanno
diffuso in edicola, contiene la miscellanea di scritti apparsi su "La
stampa" Racconti e saggi, il fondamentale I sommersi e i salvati (a giudizio
di chi scrive questa nota un'opera capitale della cultura del Novecento, da
far leggere in tutte le scuole), un'ampia silloge di pagine sparse dal 1981
al 1987, e l'"antologia personale" La ricerca delle radici. Una lettura
indispensabile.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 302 del 14 febbraio 2009

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