Minime. 727



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 727 del 10 febbraio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Sondaggi
2. "Liberta' e giustizia": Rompiamo il silenzio
3. Peppe Sini: In timore e tremore
4. Contro le mutilazioni genitali femminili
5. Amos Schocken: Io voto Meretz
6. Marina Montesano presenta "Islam. Lo sviluppo religioso in Marocco e in
Indonesia" di Clifford Geertz
7. Marina Montesano presenta "Quando l'Europa e' diventata cristiana" di
Paul Veyne
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: SONDAGGI
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento]

Cosa ti fa capire se stai vivendo in un regime o in una democrazia? Non sono
gli arresti arbitrari, le sparizioni di persone, i massacri di dimostranti:
quando questo succede, assieme alla tua innegabile comprensione del fatto
che la democrazia e' sparita vivono in te terrore e tentativi di
dissociazione mentale. Lo sai, e lo sai fin nelle ossa. Ma prima che il
disastro sia cosi' esposto alla luce del sole da rendere impossibile il
negarlo, ci sono le "piccole" avvisaglie. La tua nazione ha una Carta dei
diritti, una Costituzione, un Patto di cittadinanza? Parte una campagna per
cancellare documenti simili. Sono datati, impediscono lo sviluppo,
ostacolano la giustizia, frenano il progresso, limitano la tua liberta', non
permettono di mettere in sicurezza il paese, sono stati scritti da nemici o
ispirati da nemici. Non importa se ci credi o meno. Il messaggio e'
semplice, ma per chi ama le disquisizioni dotte ci saranno le dissertazioni
degli "esperti". I media, sotto diretto controllo di chi orchestra la
campagna, hanno il compito di reiterarlo ad oltranza. E sai per certo di
vivere in una dittatura mascherata da democrazia quando i media non sotto
controllo si accodano spontaneamente, quando non c'e' piu' bisogno di
pressioni o minacce perche' radio, giornali, tv "indipendenti" accordino le
vele al vento.
L'odio e' un fattore importante della campagna per la cancellazione della
democrazia. Per far accettare la riduzione di liberta' e partecipazione e
possibilita' di dissenso si devono creare un nemico interno o un nemico
esterno (il terrorismo, un paese confinante, ecc.), preferibilmente
entrambi, perche' in questo modo il piccolo cittadino che si sente impotente
ha un bersaglio concreto su cui sfogare la sua frustrazione: di certo fra i
suoi vicini di casa, o per strada, o in ufficio, incontrera' un membro del
gruppo demonizzato come "nemico interno".  I migranti sono perfetti per
quest'ultimo ruolo nel primo periodo della loro presenza, quando non hanno
legami significativi con le comunita' locali, ma vanno benone anche dopo se
si e' riusciti per svariati motivi e con svariati metodi a tenerli nelle
enclavi (magari per "preservare rispettosamente" la loro cultura). Piu' la
gente si mischia, piu' matrimoni "misti" ci sono, piu' le abitudini e le
consuetudini umane sono aperte al cambiamento, al dialogo ed alla
trasformazione, meno e' possibile individuare con chiarezza il bersaglio. E
un minor numero di piccoli cittadini saranno disposti a bere le coppe di
odio fragrante offerte dai media: la loro esperienza diretta smentira'
infatti di continuo la propaganda che gli si serve.
*
Ieri sera la coppa e' stata metaforicamente accostata alle mie labbra.
Ascoltavo musica alla radio, da un'emittente "indipendente" che e' apparsa
dagli esordi molto interessante a tutti quelli che come me amano un certo
tipo di musica (rock). Si e' limitata per mesi a proporre brani vecchi e
nuovi o a stilare classifiche, andava benissimo, era la musica che le radio
non mandavano da un pezzo e la pubblicita' era sopportabile. Poi sono
iniziati i notiziari. All'inizio la cosa che mi irritava sommamente era il
tono bamboleggiante dell'annunciatrice, ad esempio gli stessi trilli ridenti
per le vendite di mimose e lo stupro di una bambina l'8 marzo scorso (i due
fatti dati come unica notizia). Mi sono chiesta se teneva la bocca tirata
con le graffette per continuare a ridere, ma il peggio doveva ancora venire.
I notiziari sono stati infatti poi corredati da "sondaggi". E la sera dell'8
febbraio il sondaggio era piu' o meno questo: "La polizia ha salvato un uomo
che ha causato un incidente automobilistico mortale. La folla che voleva
linciarlo ha fatto bene? Dite la vostra chiamando il numero eccetera".
La notizia di cui si tratta e' del giorno precedente. Un immigrato ubriaco,
al volante di un'auto rubata, zigzagando sulla via Prenestina a Roma si e'
scontrato con un'altra automobile, il cui conducente e' morto sul colpo. La
donna che era con lui e' gravemente ferita. L'ubriaco non si e' fermato a
prestare soccorso ai due ed e' entrato in un bar. Non occorre che dica che
quest'uomo e' in torto marcio per tutto quello che ha fatto, vero? Ha
commesso un omicidio, ha ferito una seconda persona. Secondo le leggi che ci
siamo date e dati per stare insieme nella nostra nazione ne rispondera'. Il
farsi giustizia da soli e' qualcosa che abbiamo scartato non solo come
incivile, non solo come non rispondente ai nostri principi etici, ma come
assolutamente non equo, quindi ingiusto. Puo' farsi "giustizia" da solo chi
ha ne i mezzi (denaro e amicizie altolocate e posizioni influenti), e sono
mezzi che la maggioranza di noi non ha.
E linciare qualcuno non e' cosa che si possa sottoporre a sondaggio
d'opinione. Linciare qualcuno e' contro la legge come un assassinio o come
un ferimento, e resta ingiusto per tutte le ragioni che ho detto prima. Non
c'e' l'opzione "hanno fatto bene a provarci" perche' hanno fatto male a
priori, e suggerire che sia possibile una risposta diversa da questa e'
significante dell'azzeramento morale in corso nel nostro paese. Qualcuno
avra' fatto pressione alla sedicente giornalista? Io non lo credo.
Notiziario e sondaggi sono semplicemente in sintonia con quello che deve
diventare il comune sentire per permettere alla finta democrazia italiana di
diventare dittatura vera.

2. DOCUMENTI. "LIBERTA' E GIUSTIZIA": ROMPIAMO IL SILENZIO
[Da varie associazioni e persone amiche riceviamo e diffondiamo]

"Il cammino della democrazia non e' un cammino facile. Per questo bisogna
essere continuamente vigilanti, non rassegnarsi al peggio, ma neppure
abbandonarsi ad una tranquilla fiducia nelle sorti fatalmente progressive
dell'umanita'... La differenza tra la mia generazione e quella dei nostri
padri e' che loro erano democratici ottimisti. Noi siamo, dobbiamo essere,
democratici sempre in allarme" (Norberto Bobbio)
*
Rompiamo il silenzio
Mai come ora e' giustificato l'allarme. Assistiamo a segni inequivocabili di
disfacimento sociale: perdita di senso civico, corruzione pubblica e
privata, disprezzo della legalita' e dell'uguaglianza, impunita' per i forti
e costrizione per i deboli, liberta' come privilegi e non come diritti.
Quando i legami sociali sono messi a rischio, non stupiscono le idee
secessioniste, le pulsioni razziste e xenofobe, la volgarita', l'arroganza e
la violenza nei rapporti tra gli individui e i gruppi. Preoccupa soprattutto
l'accettazione passiva che penetra nella cultura. Una nuova incipiente
legittimita' e' all'opera per avvilire quella costituzionale. Non sono
difetti o deviazioni occasionali, ma segni premonitori su cui si cerca di
stendere un velo di silenzio, un velo che forse un giorno sara' sollevato e
mostrera' che cosa nasconde, ma sara' troppo tardi.
Non vedere e' non voler vedere. Non conosciamo gli esiti, ma avvertiamo che
la democrazia e' in bilico.
Pochi Paesi al mondo affrontano l'attuale crisi economica e sociale in un
decadimento etico e istituzionale cosi' esteso e avanzato, con regole deboli
e contestate, punti di riferimento comuni cancellati e gruppi dirigenti
inadeguati. La democrazia non si e' mai giovata di crisi come quella
attuale. Questa puo' si' essere occasione di riflessione e rinnovamento, ma
puo' anche essere facilmente il terreno di coltura della demagogia, cio' da
cui il nostro Paese, particolarmente, non e' immune.
La demagogia e' il rovesciamento del rapporto democratico tra governanti e
governati. La sua massima e': il potere scende dall'alto e il consenso si fa
salire dal basso. ll primo suo segnale e' la caduta di rappresentativita'
del Parlamento. Regole elettorali artificiose, pensate piu' nell'interesse
dei partiti che dei cittadini, l'assenza di strumenti di scelta delle
candidature (elezioni primarie) e dei candidati (preferenze) capovolgono la
rappresentanza. L'investitura da parte di monarchie o oligarchie di partito
si mette al posto dell'elezione. La selezione della classe politica diventa
una cooptazione chiusa. L'esautoramento del Parlamento da parte del governo,
dove siedono monarchi e oligarchi di partito, e' una conseguenza, di cui i
decreti-legge e le questioni di fiducia a ripetizione sono a loro volta
conseguenza.
La separazione dei poteri e' fondamento di ogni regime che teme il
dispotismo, ma la demagogia le e' nemica, perche' per essa il potere deve
scorrere senza limiti dall'alto al basso. Cosi', l'autonomia della funzione
giudiziaria e' minacciata; cosi' il presidenzialismo all'italiana, cioe'
senza contrappesi e controlli, e' oggetto di desiderio.
Ci sono pero' altre separazioni, anche piu' importanti, che sono travolte:
tra politica, economia, cultura, e informazione; tra pubblico e privato; tra
Stato e Chiesa. L'intreccio tra questi fattori della vita collettiva, da cui
nascono collusioni e concentrazioni di potere, spesso invisibili e sempre
inconfessabili, e' la vera, grande anomalia del nostro Paese. Economia,
politica, informazione, cultura, religione si alimentano reciprocamente:
crescono, si compromettono e si corrompono l'una con l'altra. I grandi temi
delle incompatibilita', dei conflitti d'interesse, dell'etica pubblica,
della laicita' riguardano queste separazioni di potere e sono tanto meno
presenti nell'agenda politica quanto piu' se ne parla a vanvera.
Soprattutto, il risultato che ci sta dinnanzi spaventoso e' un regime chiuso
di oligarchie rapaci, che succhia dall'alto, impone disuguaglianza, vuole
avere a che fare con clienti-consumatori ignari o imboniti, respinge chi,
per difendere la propria dignita', non vuole asservirsi, mortifica le
energie fresche e allontana i migliori. E' materia di giustizia, ma anche di
declino del nostro Paese, tutto intero.
Guardiamo la realta', per quanto preoccupante sia. Rivendichiamo i nostri
diritti di cittadini. Consideriamo ogni giorno un punto d'inizio, invece che
un punto d'arrivo. Cioe': sconfiggiamo la rassegnazione e cerchiamo di dare
esiti allo sdegno.
*
Che cosa possiamo fare dunque noi, soci e amici di Liberta' e Giustizia?
Possiamo far crescere le nostre forze per unirle alle intelligenze, alle
culture e alle energie di coloro che rendono vivo il nostro Paese e, per
amor di se' e dei propri figli, non si rassegnano al suo declino. Con questi
obiettivi primari.
Innanzitutto, contrastare le proposte di stravolgimento della Costituzione,
come il presidenzialismo e l'attrazione della giurisdizione nella sfera
d'influenza dell'esecutivo. Nelle condizioni politiche attuali del nostro
Paese, esse sarebbero non strumenti di efficienza della democrazia ma
espressione e consolidamento di oligarchie demagogiche.
Difendere la legalita' contro il lassismo e la corruzione, chiedendo ai
partiti che aspirano a rappresentarci di non tollerare al proprio interno
faccendieri e corrotti, ancorche' portatori di voti. Non usare le
candidature nelle elezioni come risorse improprie per risolvere problemi
interni, per ripescare personaggi, per pagare conti, per cedere a ricatti.
Promuovere, anche cosi', l'obbligatorio ricambio della classe dirigente.
Non lasciar morire il tema delle incompatibilita' e dei conflitti
d'interesse, un tema cruciale, che non si puo' ridurre ad argomento della
polemica politica contingente, un tema che destra e sinistra hanno lasciato
cadere.
Riaffermare la linea di confine, cioe' la laicita' senza aggettivi, nel
rapporto tra lo Stato e la Chiesa cattolica, indipendenti e sovrani
"ciascuno nel proprio ordine", non appartenendo la legislazione civile, se
non negli stati teocratici, all'ordine della Chiesa.
Promuovere la cultura politica, il pensiero critico, una rete di relazioni
tra persone ugualmente interessate alla convivenza civile e all'attivita'
politica, nel segno dei valori costituzionali.
Sono obiettivi ambiziosi ma non irrealistici se la voce collettiva di
Liberta' e Giustizia potra' pesare e farsi ascoltare. Per questo chiediamo
la tua adesione.
*
Primi firmatari: Gustavo Zagrebelsky, Gae Aulenti, Giovanni Bachelet, Sandra
Bonsanti, Umberto Eco, Giunio Luzzatto, Claudio Magris, Simona Peverelli,
Guido Rossi, Elisabetta Rubini, Salvatore Veca.
*
Per adesioni: www.libertaegiustizia.it o anche www.repubblica.it

3. LE ULTIME COSE. PEPPE SINI: IN TIMORE E TREMORE

Ringrazio i lettori e le lettrici che mi hanno scritto in merito
all'articolo "Non uccidere" di ieri.
Sono nell'impossibilita' di rispondere personalmente ad ogni interlocutrice
ed interlocutore, questo notiziario raggiunge ogni giorno per e-mail diverse
migliaia di destinatari ed in redazione arrivano ogni giorno diverse
centinaia di messaggi, e' gia' un impegno non lieve leggerli tutti.
Mi si perdonera' quindi se rivolgo un solo ringraziamento comune a tutti, ed
a tutti dichiaro che ho attentamente letto e meditato le loro parole, anche
quando le abbia trovate assolutamente inaccettabili.
E mi si perdonera' se aggiungo qui qualche forse non inopportuno
schiarimento, ancora una volta in poche parole (non per esser secchi ma per
esser brevi).
*
1. L'uccisione di un essere umano
Cio' di cui stiamo parlando e' l'uccisione di un essere umano.
Non mi si opponga il dolore dei familiari, l'impudenza del premier eversore,
le mene papiste, la Costituzione aggredita, il nunzio sidereo e i massimi
sistemi.
Cio' di cui stiamo parlando e' l'uccisione di un essere umano.
Se si e' in grado di replicare su questo, bene; il resto e' altra cosa.
Cio' di cui stiamo parlando e' l'uccisione di un essere umano.
Sconvolge solo me?
*
2. Laisser faire, laisser passer
Mi si e' chiesto come mi permetto di intrudermi nei fatti altrui.
Saro' cosi' inelegante da ribattere che se vedi commettere un omicidio non
puoi startene buonino buonino a lasciar fare (o peggio, scendere in piazza a
manifestare in favore dell'uccisione - in favore dell'uccisione di un essere
umano)?
Si', sono cosi' inelegante.
*
3. La catastrofe della nonviolenza ridotta al suo contrario
Se persone che si suppongono o si dichiarano o si pretendono amiche della
nonviolenza a forza di essere "ragionevoli" (ovvero, traducendo in lingua
corrente: docilmente corrive alla violenza dei poteri violenti) prima
accettano la guerra ovvero le stragi di massa, poi accettano anche
l'individuale uccisione di innocenti dove neppure guerra c'e', mi chiedo
alla fine della nonviolenza (ovvero della lotta contro la violenza) cosa
resti nell'agire loro.
La nonviolenza, cosi' come la penso io, non e' una visione del mondo
totalizzante e totalitaria (il cielo ce ne scampi), non e' una galleria
museale di auctores (di cui non sento proprio il bisogno), non e'
un'ideologia (che sarebbe ridicola e grottesca pretesa): ma una prassi
autocosciente di lotta contro la violenza, una prassi autocosciente
complessa e sperimentale, dialettica e dialogica, contestuale e
fallibilista; la nonviolenza e' per me sostanzialmente una guida per
l'azione: ma una guida per l'azione che ti chiede di essere attento al
rapporto tra mezzi e fini; che ti chiede di rispettare e salvare la vita, la
dignita' e i diritti tuoi propri ed altrui; che ti chiede di combattere -
combattere, dico, combattere - contro la violenza e la menzogna, e contro
l'ignoranza e l'indifferenza, e contro la vilta' che coopera al crimine.
E' la nonviolenza che trovo nella Ginestra di Giacomo Leopardi e nella
societa' delle estranee di Virginia Woolf, nell'Antigone di Sofocle e in
Vandana Shiva, nel Manifesto di Marx ed Engels e nei Vangeli cristiani, nel
lavoro immenso e nella luminosa riflessione di Franca Ongaro e Franco
Basaglia, in Primo Levi e in Nelson Mandela, in Hannah Arendt e Simone Weil,
in Rosa Luxemburg e Luce Fabbri, nei miei maestri di morale Vittorio
Emanuele Giuntella e Tomaso Serra.
*
4. Le parole e le cose
Proporrei di non essere ipocriti.
Alle persone che presumono di sapere "cosa vuole" una persona che da molti
anni non puo' comunicare volonta' esplicite, e che in base a questa mera
presunzione sono favorevoli a metterla a morte, chiederei un po' di
modestia, e - se mi si consente - un po' di pieta'.
Alle persone che vedono solo il dolore straziante dei familiari chiederei se
questo basta perche' una persona sia messa a morte.
Quanto alle persone che vedono solo l'astratto caso giuridico ed
istituzionale e non vedono piu' la concreta uccisione di un essere umano,
ebbene, saro' cosi' amaro da rinviarli a cio' che Pascal scriveva
sull'allora corrente manualistica etico-giuridica nelle Lettere Provinciali.
*
5. Gettarsi sulla spada
Sono due cose distinte suicidio e omicidio.
Personalmente credo che ogni persona abbia il diritto di togliersi la vita,
se la vita gli fosse insostenibile ed altri esseri umani non mettessero in
opera ogni forma di aiuto per rendergliela sostenibile; ma credo anche che
nessuna persona abbia il diritto di ucciderne altre.
So bene che i progressi tecnologici in campo biomedico rendono ancor piu'
complicato cio' che ancora in un recente passato pareva semplice (anche se
ad onor del vero semplice non era affatto neanche allora); e so che la
riflessione etica e giuridica e' investita dai laceranti interrogativi che
la situazione derivante da questi sviluppi suscita; anch'io ho letto nel
corso degli anni centinaia e centinaia di libri e di saggi e di articoli
sulle questioni che questa tragica vicenda pone, dalle "artes moriendi" ai
testi del dibattito bioetico di questi ultimi decenni.
Ma proprio per questo ritengo che occorra ancor piu' fortemente attenersi
alla massima "Tu non uccidere".
*
6. Contro il Fuhrerprinzip
In questioni cosi' gravi non vale il principio di autorita', non e'
ammissibile la delega agli "esperti". Io la penso come Guenther Anders: la
pretesa di lasciare le questioni morali fondamentali in monopolio alla
presunta competenza dei potenti dominanti, e dei prominenti cosiddetti
"tecnici", e' prova d'incompetenza morale, e vile una resa al fascismo.
Non delego ne' a chierici ne' a giudici ne' a medici ne' a parlamentari ne'
a professori di qualsivoglia professura ne' a giornalisti onniciarlieri di
pensare al mio posto: sulle questioni morali fondamentali ogni essere umano
ha il diritto (e direi anche il dovere) di comprendere, valutare ed
esprimersi con la propria ragione e la propria responsabilita'.
Per questo mi e' sempre sembrato comico e borioso anche il ricorso, da parte
delle personalita' autoritarie di ogni dogma e affiliazione, all'ipse dixit:
fosse pure lo Stagirita, San Paolo, Karl Marx o Mohandas Gandhi: grazie
tante, ma preferisco pensare con la mia testa.
*
7. La societa' dello spettacolo
La questione che pongo e' semplice, e tante digressioni che mi sono state
opposte sono appunto digressioni, e direi quasi cortine per non vedere e non
nominare quel che realmente sta accadendo: che si sta procedendo
all'uccisione di un essere umano. L'uccisione.
Come l'uccisione di un essere umano possa essere ridotta ad argomento da
talk-show con tante finte goffe polemiche ed autentiche lugubri smancerie
tra "favorevoli e contrari" mi fa rabbrividire: pensavo che non si facesse
"il dibattito e il televoto" sull'omicidio, pensavo che fosse acquisito che
uccidere e' un delitto, e che l'apologia di reato e' un reato anch'essa.
E aggiungo che trovo ripugnante il roboante invito ai cittadini da parte di
politicanti e vassalli loro gia' responsabili di complicita' con regimi
totalitari, con guerre e stragi, col regime della corruzione, col
berlusconismo e il razzismo oggi al potere, a scender per le strade a
manifestare in favore della messa a morte di una persona.
Mi chiedo, cari amici, come sia possibile che non vediate.
*
8. Infine
Infine: penso forse di aver le risposte per tutto?
Al contrario: penso di aver molte domande e molti dubbi su tante cose.
E ben poche dolorose tragiche certezze, che non risolvono ma complicano
vieppiu' i dilemmi.
*
9. Dimenticavo
A me e' capitato di chiudere per sempre con le mie dita gli occhi spenti di
una persona amata. A me e' capitato di vegliare notte dopo notte una persona
in coma. A me e' capitato che mi si chiedesse aiuto e non arrivassi in
tempo, arrivo' prima la corda. Ma il fatto che abbia passato tanta parte
della mia vita a cercare di recar soccorso a persone ridotte in condizioni
estreme di oppressione, sofferenza o fragilita' non implica dal mio punto di
vista che le mie opinioni in questa materia valgano un ette di piu' delle
altrui: si prescinda dunque dalla mia persona, per favore, e su questo si
rifletta: se sia lecito uccidere un essere umano. Io dico di no.

4. MATERIALI. CONTRO LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI

Segnaliamo la Legge 9 gennaio 2006, n. 7, recante "Disposizioni concernenti
la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale
femminile", disponibile nel sito del Ministero del Lavoro, della Salute e
delle Politiche Sociali (www.ministerosalute.it).
Segnaliamo le "Linee guida destinate alle figure professionali sanitarie
nonche' ad altre figure professionali che operano con le comunita' di
immigrati provenienti da paesi dove sono effettuate le pratiche di
mutilazione genitale femminile per realizzare una attivita' di prevenzione,
assistenza e riabilitazione delle donne e delle bambine gia' sottoposte a
tali pratiche", linee guida previste dall'art. 4 della legge 9 gennaio 2006,
n. 7, disponibili nel sito del Ministero del Lavoro, della Salute e delle
Politiche Sociali (www.ministerosalute.it).
Segnaliamo l'Opuscolo informativo sulle mutilazioni genitali femminili,
disponibile nel sito del Ministero per le Pari Opportunita'
(www.pariopportunita.gov.it).

5. DOCUMENTAZIONE: AMOS SCHOCKEN: IO VOTO MERETZ
[Ringraziamo Bruno Segre (per contatti: bsegre at yahoo.it) per averci messo a
disposizione in traduzione italiana il seguente articolo che Amos Schocken,
direttore ed editore del giornale israeliano "Haaretz", nonche' nipote del
fondatore del quotidiano nel 1919, ha pubblicato sul suo giornale lo scorso
6 febbraio 2009 col titolo "Io voto Meretz"]

Durante la guerra nel sud, il Meretz ha tenuto una posizione che non da'
motivo per negargli il voto. Casomai, quella posizione e' un titolo d'onore
per il partito e per i suoi leader, e rappresenta una delle molte ragioni
per votarlo nel prossimo turno elettorale.
"Lo Stato d'Israele ha il diritto e il dovere di tutelare il benessere e la
sicurezza dei suoi cittadini", ha affermato il capo del partito Haim Oron
durante lo speciale dibattito svoltosi alla Knesset due giorni dopo l'inizio
delle operazioni militari. "Cio' non implica l'uso di tutta la forza
disponibile, ne' offre giustificazione a ciascuna delle azioni messe in atto
nelle passate 48 ore", ha aggiunto.
L'opposizione del Meretz all'operazione di terra e' stata immediata e
vigorosa, e si e' espressa nell'affermare che "il pantano della campagna
libanese sara' considerato un modesto acquitrino in confronto al pantano che
si profila a Gaza. Un'offensiva delle truppe di terra, con l'invasione di
Gaza, contraddice un interesse di fondo di Israele".
Il Meretz avrebbe potuto mirare a ottenere il favore del suo elettorato con
l'esprimere opposizione a qualsiasi tipo di operazione militare. Ma alla
luce della complicata situazione creata dal protrarsi del bombardamento del
territorio israeliano da parte di Hamas, il Meretz non ha voltato le spalle
alle popolazioni che risiedono nel sud, anche se esse non costituiscono il
suo elettorato naturale; e, onde fronteggiare una situazione complessa,
altrettanto complesso e' stato l'atteggiamento mantenuto dal partito. Ora,
per essersi comportato in modo responsabile ed equilibrato, il Meretz sta
pagando un prezzo elevato [in termini di consenso elettorale], sebbene tale
suo comportamento meriterebbe in realta' d'essere premiato da un ampio
tributo di voti.
Ma la partita elettorale della prossima settimana non puo' limitarsi a fare
riferimento a una guerra nella cui conduzione il Meretz - a differenza di
Kadima e del Partito laburista - non e' stato coinvolto. Il voto deve anche
tenere conto dell'orizzonte diplomatico, dei diritti umani e civili,
dell'educazione, della salute, dell'ambiente e della struttura dell'apparato
costituzionale israeliano. Dispiace il fatto che in tutti questi ambiti,
senza eccezione alcuna, il Meretz sia l'unica sponda verso la quale
dirigersi.
L'ultima legislatura della Knesset fu caratterizzata da un tentativo di
sbarazzarsi dei traguardi costituzionali conseguiti da Israele e di scalzare
il principio del primato della legge. I cinque deputati del Meretz, assieme
a pochi altri parlamentari, per lo piu' laburisti, furono i soli a difendere
il sistema di applicazione della legalita' e la Suprema Corte dagli sfrenati
attacchi da parte del governo.
Fu il Meretz a promuovere la legge che, proibendo la tratta degli esseri
umani, consente di citare in giudizio coloro che praticano la tratta delle
donne, nonche' di assistere i lavoratori migranti e prevenire il commercio
degli organi umani. Grazie al suo lavoro legislativo, il partito ha esteso
il ventaglio degli idonei alla fruizione dell'edilizia pubblica; ha
incrementato l'assistenza legale ai ceti poveri; ha dato vigore al Consiglio
dei Consumatori israeliani; e in prima lettura, ha fatto approvare
dispositivi di legge che, in opposizione agli orientamenti del governo,
allargano il paniere dei servizi sanitari finanziati dallo Stato. Tutto cio'
in aggiunta a una battaglia campale contro una legislazione intesa ad
avvilire i diritti umani, come la "legge Shai Dromi" che permette ai padroni
di casa di uccidere uno scassinatore anche quando la vita umana non sia piu'
in pericolo, e come l'emendamento alla Legge sulla Cittadinanza che vieta ai
palestinesi coniugati a cittadini d'Israele di vivere in territorio
israeliano.
Oltre alla consistente produzione legislativa, ardua da promuovere per chi
sta sui banchi dell'opposizione, i parlamentari del Meretz, unitamente a un
ristretto stuolo di altri deputati, hanno lavorato per proteggere i
rifugiati dal Sudan e per il riconoscimento dei loro diritti. Il Meretz e'
stato l'unico partito che si e' espresso in termini chiari per denunciare il
crescente nocumento arrecato alla comunita' omosessuale d'Israele e che ha
sostenuto la "Gay Pride parade" a Gerusalemme.
E se tutto cio' non bastasse, il Meretz e' rimasto l'unico possibile partito
al quale conferire il voto poiche' e' la sola forza politica che si e'
dichiarata non disponibile a fare parte di una coalizione che comprenda
l'Yisrael Beiteinu di Avigdor Lieberman. Dopo essersi fatto promotore, con
l'appoggio di Kadima e del Partito laburista, dell'esclusione razzista e
antidemocratica dei partiti arabi, Lieberman costituisce chiaramente una
reale minaccia per chiunque abbia a cuore uno Stato d'Israele ebraico e
democratico.
Il presidente dei laburisti Ehud Barak, che intende essere il leader del
campo della pace, non esclude di prendere parte a una coalizione della quale
sia membro anche un personaggio che si propone di togliere la cittadinanza
agli arabi israeliani. La presidente di Kadima Tzipi Livni, che aspira alla
poltrona di primo ministro, non potra' mai raggiungere il suo obiettivo
senza includere nella compagine di governo l'Yisrael Beiteinu.
In effetti, il votare per un qualsiasi partito diverso dal Meretz significa
attribuire a qualcuno che costituisce un autentica minaccia per la societa'
israeliana un dicastero "di primaria importanza" - come ha promesso il
presidente del Likud Benjamin Netanyahu.
La guerra nel sud puo' essere un problema che ci giunge dal passato.
Lieberman e' certamente la macchia nera del futuro. Io voto Meretz.

6. LIBRI. MARINA MONTESANO PRESENTA "ISLAM. LO SVILUPPO RELIGIOSO IN MAROCCO
E IN INDONESIA" DI CLIFFORD GEERTZ
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 gennaio 2009 col titolo "Societa'
musulmane sotto la lente di Clifford Geertz"]

Clifford Geertz, Islam. Lo sviluppo religioso in Marocco e in Indonesia,
Raffaello Cortina Editore, pp. 134, euro 16,80.
*
L'antropologia interpretativa di Clifford Geertz ha segnato profondamente
gli studi storici e antropologici nell'ultimo quarto del XX secolo. Islam
Observed e' stato uno dei suoi primissimi libri, tratto dall'esperienza sul
campo dell'allora giovane studioso: uno studio comparato dell'Islam in
Indonesia e in Marocco, pubblicato negli Stati Uniti nel 1968. In Italia la
traduzione arriva soltanto quarant'anni piu' tardi (Islam. Lo sviluppo
religioso in Marocco e in Indonesia, Raffaello Cortina 2008), forse in
seguito alla scomparsa di Geertz, avvenuta il 30 ottobre 2006, forse perche'
il tema dell'Islam oggi torna a interessare. Geertz scriveva in un'epoca in
cui si riteneva che le religioni fossero in regresso non soltanto nelle
societa' occidentali, e alcuni riflessi di tale opinione si percepiscono
anche nel suo lavoro.
Leggere la ricerca dell'antropologo statunitense alla luce di sviluppi piu'
recenti, permette di comprendere come alcune fra le sue riflessioni gia'
mostrassero quanto l'intreccio tra politica e religione - evidente tanto nel
Marocco quanto nell'Indonesia postcoloniali - sarebbe stato carico di
implicazioni per gli anni a venire. Ma il merito di Geertz non sta nell'aver
predetto il futuro, quanto nell'aver mostrato la stretta interazione tra
cultura, storia e religione.
La scelta degli elementi da comparare e' in apparenza quasi paradossale:
Marocco e Indonesia sono due paesi musulmani situati agli estremi opposti
del globo; il primo e' stato investito in pieno dalla prima onda
dell'espansione araba, il secondo e' stato islamizzato gradualmente in tempi
molto piu' recenti. E' dunque possibile una comparazione? Geertz ci mostra
che e' possibile e sorprendente: entrambe le societa' vivono la conversione
e l'essere musulmane alla luce delle tradizioni religiose e dei contesti
culturali precedenti, dando vita a due interpretazioni profondamente
differenti dell'Islam, in una fase che Geertz definisce di tradizione
religiosa "classica" dei due paesi. Ma cosi' come al suo arrivo la nuova
fede non opera in un contesto di vuoto culturale, anche gli eventi storici
successivi portano in Marocco e in Indonesia modificazioni importanti; la
reazione all'occupazione coloniale induce a una reazione non solo contro la
religione degli occupanti, ma anche e soprattutto nei confronti delle
tradizioni religiose "classiche", dando vita alla fase "scritturalista"; e'
un processo proprio non solo all'Islam, ma anche ad altri contesti religiosi
presenti e passati: in epoche di crisi si presentano come tentativi di
ritorno alle origini (spesso reimmaginate o inventate ex novo), spinte in
realta' profondamente innovatrici.
La fase "scritturalista" del Marocco e dell'Indonesia si lega strettamente
alla costruzione di nuove forme statuali, cosi' come furono quelle avviate
rispettivamente da Maometto V e da Sukarno a cavallo tra anni Cinquanta e
Sessanta. In alcuni suoi brevi saggi piu' recenti, Geertz era tornato a
riflettere sul problema, a indicare strade per analizzare in campo
antropologico gli sviluppi dell'Islam contemporaneo al di la' delle sterili,
consuete polemiche sul cosiddetto "fondamentalismo"; ci si puo' solo
augurare che altri siano in grado di farlo al suo livello.

7. LIBRI. MARINA MONTESANO PRESENTA "QUANDO L'EUROPA E' DIVENTATA CRISTIANA"
DI PAUL VEYNE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 gennaio 2009 col titolo "Paul Veyne
rivisita la svolta di Costantino" e il sommario "Storia. Da Garzanti un
saggio dello studioso francese"]

Paul Veyne, Quando l'Europa e' diventata cristiana (312-394), Garzanti, pp.
204, euro 23.
*
Alcuni argomenti storici suscitano quasi naturalmente curiosita' di tipo
ucronico; per esempio, cosa sarebbe avvenuto se l'imperatore Costantino non
avesse concesso liberta' di culto ai cristiani e soprattutto non avesse
sostenuto la Chiesa nascente? Il cristianesimo si sarebbe imposto con
ritardo? Oppure mai? O in forme diverse da quelle che conosciamo? Quando
l'Europa e' diventata cristiana (312-394), l'ultima opera di Paul Veyne,
celebre studioso del mondo antico, non e' un libro ucronico, ma suscita
questo genere di interrogativi.
Il IV secolo comporto' per l'impero romano grandi sconvolgimenti. L'arco
compreso fra 312 e 394 si apri' infatti con l'affermazione della liberta' di
praticare il cristianesimo e si chiuse con la condanna di tutti i culti
all'infuori di questo; fu insomma il secolo in cui la nuova religione venuta
dall'Oriente per il tramite greco si fece strada nell'impero, sottomettendo
e poi ostracizzando ogni altro credo religioso; tuttavia, per compiersi,
questo processo dovette attraversare un momento di crisi profonda,
l'opposizione del Senato romano, la "rinascita" pagana del giovane
imperatore Giuliano (quello che la polemistica cristiana avrebbe chiamato
"l'Apostata").
In realta', il libro di Veyne tocca di sfuggita questi aspetti, poiche' al
centro del suo interesse vi sono Costantino e la cosiddetta "questione
costantiniana", cioe' la valutazione storiografica del significato della sua
conversione. La "questione costantiniana", come e' noto, e' stata ampiamente
dibattuta, e - ricorda lo stesso Veyne - almeno a partire dal XIX secolo si
e' affermata una forte tendenza a svalutare il significato religioso della
conversione per privilegiare l'idea che sotto tale scelta vi fosse una
tendenza ad assecondare non solo e non tanto il cristianesimo, quanto le
tendenze religiose monoteiste, oppure una valutazione di tipo politico (o un
intreccio tra questi due ordini di ragioni). Si e' infatti considerato che
nel mondo romano ellenizzato fosse in atto da tempo una decadenza dei culti
tradizionali, che corrispondeva a una diversificazione delle esigenze
presenti nella societa'.
Nel corso dell'eta' ellenistica, la diffusione dei culti solari aveva
influenzato la stessa figura del Dio-Padre uranico che aveva finito per
"orientalizzarsi"; tuttavia, l'influenza delle divinita' solari raggiunse
nel tardo impero livelli tali da intaccare il primato stesso di Giove e, sia
pure tra oscillazioni derivanti dalla volonta' politica degli imperatori, a
prenderne il posto. Cio' non impediva che altri culti divenissero popolari a
Roma; e' il caso dei culti iniziatici, come quelli di Cibele e di Mithra.
Tuttavia, mentre per definizione tali culti investivano l'ambito privato,
quelli solari ebbero subito carattere istituzionale; al principio del III
secolo venne introdotto a Roma, da Caracalla e poi da Eliogabalo, il culto
del Sol Invictus e l'importanza che esso raggiunse condusse presto alla
concentrazione della devozione su un'unica figura, dunque a una forma,
seppure elastica, di monoteismo.
Il cristianesimo giunse a Roma mimetizzato fra le tendenze orientalizzanti
ormai sempre piu' diffuse, anche se furono presto chiare le sue differenze
rispetto agli altri culti. Il secondo e il terzo capitolo del libro di Veyne
sono dedicati a delineare le ragioni di tale differenza; ragioni che
ovviamente derivano dalla differente origine del cristianesimo e dalla
diversita' di quel monoteismo assoluto rispetto alle tendenze ben piu'
flessibili affermatesi fino a quel momento nella societa' romana. E' la
premessa che serve a comprendere come, in controtendenza con quanto larga
parte della storiografia pensa, per lo storico francese la scelta di
Costantino sia da considerarsi profondamente religiosa, non politica, e
dunque "in buona fede". E' una tesi presentata in modo eloquente e con
ricchezza di spunti, ma che pure desta alcune perplessita'.
Fu, quella di Costantino, una scelta politica? Veyne dice che il
cristianesimo era minoritario al tempo e malvisto, il che e' vero; ma nei
cristiani, che Costantino comincio' presto a inserire nei quadri di governo,
egli trovo' alleati fedelissimi. Come scrive Veyne, "il paganesimo era
maggioritario, ma vecchiotto, mentre il cristianesimo, anche agli occhi dei
suoi critici, era d'avanguardia". Soprattutto, pero', Veyne asserisce che
non vi sono prove del sincretismo costantiniano, e che le ragioni addotte in
suo favore (il fatto che Costantino abbia mantenuto la carica di pontefice
massimo dopo la conversione, o la monetazione che recava intatti i simboli
del paganesimo) significano solo che Costantino compi' un percorso privato,
mentre l'impero e i suoi simboli potevano restare improntati alla tradizione
precedente. "Quanto alla ragione profonda di questa conversione, non la
sapremo mai... Non speculeremo pertanto... perche' la credenza e' una
condizione di cui non riusciamo a comprendere la causalita'".
Se il "mistero" non puo' essere sondato, possono esserlo pero' le forme che
tale conversione assume; tutto cio' che lo storico puo' giudicare sono i
fatti, le testimonianze pubbliche, non il privato della coscienza. Sotto
Diocleziano molti cristiani avevano pagato con la vita il non poter cedere,
proprio in virtu' della loro professione di fede nel Dio unico, al culto
dell'imperatore. Alla luce di questo, allora, ci si chiede: se quella di
Costantino fu una conversione in senso paolino, cioe' totalizzante, come
poteva esservi spazio per un imperatore pienamente cristiano e insieme
pontifex? Costantino accetta il suo ruolo imperiale, con tutto cio' che esso
comporta, pur appoggiandosi sulla nuova fede. In tal senso il suo
sincretismo e' innegabile, se ci si accorda sul significato di tale termine:
sincretismo non significa infatti confusione fra culti, ma vuol dire che il
cristianesimo si trasforma passando dalla Palestina alla Grecia, dalla
Grecia a Roma, e ancora mutera' nei secoli a venire, quando alla conversione
aderiranno popoli nuovi. Al punto che, se non si puo' forse parlare di
"cristianesimi" al plurale, e' opportuno almeno parlare di "stili" secondo
cui il cristianesimo si declina a seconda di dove e da chi viene praticato.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 727 del 10 febbraio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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