Minime. 724



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 724 del 7 febbraio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. La piu' urgente necessita'
2. Peppe Sini: Una personale opinione
3. Gino Strada: Una norma perversa
4. Giuseppe D'Avanzo: L'odio
5. Alessandro Portelli: I cattivi modelli
6. Enrico Piovesana: Le stragi, le tombe, l'ufficiale pagatore
7. La newsletter settimanale del Centro studi "Sereno Regis" di Torino
8. Alcuni estratti da "Poesie 1961-1998" di Toti Scialoja
9. Pierpaolo Calonaci: Simone Weil
10. Marina Spada: Antonia Pozzi
11. Paolo Di Stefano presenta "Fratelli" di Carmelo Samona'
12. Caterina Ricciardi presenta "Uomo nel buio" di Paul Auster
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LA PIU' URGENTE NECESSITA'

La piu' urgente necessita' della politica italiana e' che rinasca una
sinistra, e che essa si fondi sulla scelta nitida e intransigente della
nonviolenza.
Una sinistra della solidarieta' e della responsabilita', femminista ed
ecologista, socialista e libertaria, per il riconoscimento di tutti i
diritti umani a tutti gli esseri umani, per difendere dalla distruzione
l'unica casa comune che abbiamo, una sinistra che si fondi sulla scelta
nitida e intransigente della nonviolenza.
Questa ci sembra essere la piu' urgente necessita' della politica italiana.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

2. LE ULTIME COSE. PEPPE SINI: UNA PERSONALE OPINIONE

La mia personale opinione e' questa: non uccidere. Non uccidere: questa e'
la mia personale opinione.
Il resto e' commento.

3. RIFLESSIONE. GINO STRADA: UNA NORMA PERVERSA
[Dal sito di "Peacereporter" (http://it.peacereporter.net) riprendiamo il
seguente intervento del 5 febbraio 2009 dal titolo "Una norma stolta prima
che perversa"]

A oggi, in Italia, una legge vieta al personale sanitario di denunciare gli
immigrati conosciuti per ragioni di cura, anche se la loro presenza in
Italia non fosse regolare.
Un emendamento approvato al Senato intende sopprimere questa norma.
Si metterebbero cosi' gli individui nella condizione di scegliere fra
l'accesso alle cure e il rischio di una denuncia; si spingerebbe parte della
popolazione presente in Italia nella clandestinita' sanitaria, con grandi
rischi per se' e per la collettivita'.
Si vuole affidare ai singoli medici la scelta se garantire lo stesso diritto
alla cura a tutti gli individui, nel miglior interesse del paziente e nel
rispetto del segreto professionale, oppure se esercitare la facolta' di
denunciare i loro pazienti "irregolari".
Secondo tutti i medici che ho conosciuto e apprezzato, l'unico modo giusto e
civile per fare medicina e' garantire a tutti la miglior assistenza
possibile, senza distinzione alcuna riguardo a colore della pelle, sesso,
convinzioni politiche, religiose o culturali, nazionalita' o status
giuridico.
Questo e' il modo in cui Emergency ha lavorato, per quindici anni in tredici
diversi paesi, curando tre milioni di persone senza distinzioni. Questo e'
il modo con cui continuiamo a lavorare, anche in Italia, nel poliambulatorio
per migranti e persone indigenti di Palermo.
Anche di fronte all'incivilta' sollecitata da una norma stolta prima ancora
che perversa, sono certo che i medici italiani agiranno nel rispetto del
giuramento di Ippocrate, nel rispetto della Costituzione e della
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Nel rispetto, soprattutto, di chiunque si rivolga a loro avendo bisogno di
un medico.

4. CRONACA. GIUSEPPE D'AVANZO: L'ODIO
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 6 febbraio 2009 col titolo "La nuova
civilta' dell'odio"]

Quel che e' accaduto al Senato con l'approvazione delle nuove leggi per la
sicurezza e' elementare nella sua barbarie. Per un atto di ossequio politico
ai desideri xenofobi della Lega, si sono dichiarati inattuali e fuori legge
i diritti degli uomini, delle donne, dei bambini che non sono nati qui da
noi, che non sono cittadini italiani; che non hanno il permesso di soggiorno
anche se nati in Italia; che non vivono in una casa ritenuta igienicamente
adeguata dal sindaco; che non conoscono l'italiano; che stanno come una
mosca sul naso della "guardia nazionale padana" (ora potra' collaborare con
le polizie). La notizia e' allora questa: le nuove leggi inaugurano una
nuova stagione della civilta' del nostro Paese.
E' una stagione livida, odiosa, crudele, foriera di intolleranze e conflitti
perche' esclude dall'ordine giuridico e politico dello Stato i diritti della
nuda vita naturale di 800.000 residenti non-cittadini, migranti privi di
permesso di soggiorno, un'esclusione che si fara' sentire anche sulle
condizioni di vita e di lavoro degli oltre tre milioni di immigrati
regolari.
Lo stato di eccezione, che la destra di Berlusconi e Bossi ha adottato fin
dal primo giorno come paradigma di governo, diventa cosi' regola. Con un
tratto di penna, centinaia di migliaia di non-cittadini, in attesa di
permesso di soggiorno - che spesso gia' vivono nelle nostre case come
badanti, che puliscono i nostri uffici, cucinano nei nostri ristoranti,
lavorano nei nostri cantieri e fabbriche - perderanno ogni diritto protetto
dalla Costituzione, dalla Carta dei diritti fondamentali dell'uomo, dalle
convenzioni internazionali (il diritto all'uguaglianza, il diritto alla
salute, il diritto alla dignita' della persona). Nemmeno i bambini potranno
curarsi in un ospedale pubblico senza essere denunciati (abolito il divieto
di denuncia per i medici). I migranti senza carta troveranno sempre piu'
difficolta' nel trovare un alloggio. Non potranno spedire a casa alcuna
rimessa, il denaro guadagnato qui. Dovranno mostrare i documenti alle
"ronde", improvvisate custodi di un privato ordine sociale. Vivranno nelle
nostre citta' con il fiato sospeso, con il terrore di essere fermati dalle
polizie, in compagnia dell'infelice pensiero di essere scaraventati da
un'ora all'altra in un vuoto di diritto, da un giorno all'altro rimpatriati
in terre da dove sono fuggiti per fame, poverta', paura.
Sono senza cittadinanza, sono senza "visto", saranno senza diritti: questo
e' il nucleo ideologico che la Lega ha imposto alla maggioranza che lo ha
condiviso. I diritti "nostri" diventano gli strumenti per cancellare i
diritti degli altri, di quelli che sono venuti "in casa nostra". Si sapeva
da tempo - lo ha scritto qui Stefano Rodota' - che questo "pacchetto" di
norme avrebbe creato un vero e proprio "diritto penal-amministrativo della
disuguaglianza" in contrasto con i precetti della Costituzione. E' accaduto
di piu' e di peggio. Quel profilo di legalita' costituzionale, il precetto
che impegna la Repubblica "a riconoscere e garantire i diritti inviolabili
dell'uomo", ad "adempiere ai doveri inderogabili di solidarieta' politica,
economica e sociale", e' apparso a una destra spavaldamente xenofoba
null'altro che "un fantasma senz'anima". Piu' che di incostituzionalita'
bisogna parlare di anticostituzionalita', come ha gia' fatto Gustavo
Zagrebelsky. Bisogna prendere oggi atto del passaggio da una Costituzione a
un'altra. Va registrato questo salto nel vuoto, uno slittamento che - con il
cinico progetto di trasformare la paura in utile politico - prepara una
condicio inhumana per il popolo dei "senza": dei senza permesso, dei senza
casa, dei senza patria. E' una nuova Costituzione, non ancora scritta o
discussa, che disegna una societa' di diseguali, "premessa dell'ingiustizia,
della discriminazione, dell'altrui disumanizzazione".
E' una deriva coerente con quanto il governo Berlusconi e la sua destra ci
hanno mostrato in questi mesi. L'indifferenza per l'universalita' dei
diritti della nuova legge si connette alla distruzione della funzione
parlamentare, prepara la dipendenza della funzione giudiziaria, annuncia la
fine della separazione dei poteri. Lo scambio tra Berlusconi e Bossi e'
manifesto anche per chi non ha voglia di vederlo o fronteggiarlo. Alla Lega,
federalismo e leggi xenofobe contro i non-cittadini. Al Capo, la vendetta
sulla magistratura e la concentrazione del potere. Cosi', passo dopo passo,
legge dopo legge, la nostra democrazia liberale cambia pelle per diventare
democrazia autoritaria.
Non ci si deve rassegnare a questo esito. Non ci si puo' rassegnare. La
bocciatura del governo al Senato in tre votazioni dimostra che qualche mal
di pancia c'e' nella maggioranza. Svela che non tutti, in quel campo,
accettano che la politica dell'immigrazione diventi, nelle mani della Lega,
esclusiva questione di polizia e dispositivo di esclusione e non di
integrazione. Si puo', si deve credere con disincanto che qualche argomento,
nel prossimo dibattito alla Camera, possa far leva sui piu' ragionevoli e
pragmatici. E' vero, psicologia sociale e cinismo politico tendono a
ingrassare, con la complicita' dei media, la diffidenza nelle relazioni tra
le persone e tra le comunita'. Come e' vero che l'appello alla legalita'
costituzionale suona impotente e inutile in ampie aree del Paese. E tuttavia
a quel ceto politico, a quell'opinione pubblica si puo' dimostrare come il
registro disumano delle nuove leggi non protegge la sicurezza del nostro
Paese. La minaccia. Come la persecuzione degli immigrati non conviene al
Paese. L'esercito di badanti che oggi accudisce i nostri anziani (sono
411.776 colf e badanti in attesa del "visto") consente un welfare privato,
dopo il tracollo di quello pubblico, anche a famiglie non privilegiate, dal
reddito modesto. Chi puo' ignorare che quelle braccia che oggi dichiariamo
fuori legge consentono al nostro sistema delle imprese di competere su
mercati internazionali o di tenersi a galla in tempi difficili? O chi puo'
dimenticare che il contributo al prodotto interno lordo della manodopera
straniera sostiene il pagamento delle pensioni di tutti? Anche chi volesse
ignorare tutto questo dovrebbe fare i conti con una constatazione concreta.
Le nuove leggi di uno Stato punitivo e "cattivo", come piace dire al
ministro dell'Interno Maroni, consegneranno una massa crescente di
non-cittadini migranti a organizzazioni criminali che si occuperanno del
loro alloggio, dei loro risparmi, finanche della loro salute rendendo piu'
insicuro e fragile il Paese. E' un'illusione - e sara' presto un pericolo -
credere che "noi" cittadini possiamo negare ogni riconoscimento, anche di
una nuda umanita', a "loro", ai non-cittadini. Questa strategia persecutoria
per quanto tempo credete che sara' accettata in silenzio? Il nostro Paese,
gia' diviso da ostinate contrapposizioni domestiche, non ha bisogno anche di
conflitti razziali.

5. RIFLESSIONE. ALESSANDRO PORTELLI: I CATTIVI MODELLI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 febbraio 2009 col titolo "I cattivi
modelli"]

Per fortuna, neanche stavolta c'entra il razzismo. Un poliziotto ammazza a
fucilate il vicino senegalese a Civitavecchia: e' una banale lite di
condominio. Tre ragazzi bruciano vivo un senza casa indiano a Nettuno: e'
una ragazzata, magari quasi omicida, ma si sa, i ragazzi si annoiano e tutti
siamo in cerca di emozioni. E davvero, sono quasi tentato di crederci: il
razzismo c'entra, ma non e' un ingrediente isolabile, un'ideologia
motivante; e' piuttosto una componente ormai intrinseca e indistinguibile di
un senso comune di violenza e sopraffazione che se non e' diventato
egemonico, poco ci manca.
Coltellate, fucilate, violenze sessuali fanno tutte parte di un'unica
grammatica dell'annientamento e dell'umiliazione dell'altro (anche la
violenza sessuale e' una forma di assassinio, in cui nonostante le strizzate
d'occhio del nostro presidente del consiglio il desiderio sessuale non
c'entra per niente). E questo senso comune e' condiviso tanto dai cinque
rumeni stupratori di Guidonia o dai tre marocchini che avrebbero violentato
una donna (rumena) a Vittoria in Sicilia, quanto dall'italiano stupratore di
una cilena, dai ragazzetti di Campo de' Fiori accoltellatori di un
americano, dal bravo ragazzo violentatore di Capodanno a Roma. E da tanti
episodi meno sanguinosi ma diffusi nelle famiglie, nelle strade, negli
stadi, nelle scuole, nelle caserme...
La sola differenza - e qui il razzismo c'entra espressamente - e' la
strategia di depistaggio messa in modo da politici e media. Quando, sempre a
Guidonia, nel 2006, fu una donna rumena a essere violentata per ore da un
italiano la notizia non riempi' le prime pagine ma si esauri' in due righe
in fondo a un comunicato Ansa e a un trafiletto del "Corriere della sera".
Non ci furono ronde di patrioti indignati nei bar e nelle carceri,
circondate da simpatia e complicita' della brava gente circostante. Percio'
far credere che la violenza sia un portato dell'immigrazione, e' un modo per
parlare d'altri e non di noi - a cominciare dall'altra cosa che tutti questi
episodi hanno in comune: il genere maschile degli aggressori e la debolezza
delle vittime.
Molti anni fa, il sociologo David Riesman diceva che nella societa' di massa
la fiaba di Pollicino ammazza-giganti si sarebbe trasformata nella fiaba di
Pollicino ammazza-nani. Infatti adesso siamo tutti dalla parte di Golia:
anche le guerre, dall'Iraq a Gaza, esibiscono e addirittura vantano la
sproporzione tra i deboli e i forti.
Essere o sembrare deboli, nella modernita' della competizione, della
deregolazione, dell'individualismo e del mercato elevati a religione, e' una
colpa in se'. E' una colpa essere donna, e' una colpa essere senza casa, e'
una colpa essere nero. E forse la colpa peggiore di tutte queste minacciose
debolezze sta nel fatto che mettono a nudo la debolezza profonda dei
"forti", la precarieta' del loro diritto, la tranquillita' del loro dominio.
I potenti non riescono a vincere davvero le guerre, i violenti non fanno che
mettere in scena la loro paura, i razzisti non riescono a sentirsi superiori
alle loro vittime, la finanza globale va in rovina e porta rovina con se'.
La rabbia frustrata di chi si crede forte e si accorge di non esserlo piu'
produce violenza.
Fermarla, o almeno porvi un limite, e' un lavoro di profondita' e di lungo
periodo, una costruzione di socialita' nuova, di rapporti civili fa le
persone, di politica coraggiosa e anticonformista. Altro che "essere
cattivi" con i "clandestini" - cioe', essere come quelli che li bruciano
vivi - come vaneggia nella sua frustrazione il povero Maroni. Non la
fermeranno certo i poliziotti per le strade, i vigili urbani con la pistola
e la licenza di sparare: anzi, saranno un'ulteriore modello di ruolo per i
futuri aggressori, un'altra esibizione di forza impotente, e un altro
esempio di quella politica bipartitica - quella si', "cattiva" politica -
che alimenta queste paure e se ne nutre.

6. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: LE STRAGI, LE TOMBE, L'UFFICIALE PAGATORE
[Dal sito di "Peacereporter" (http://it.peacereporter.net) riprendiamo il
seguente articolo del 2 febbraio 2009 col titolo "Il costo della vita in
Afghanistan" e il sommario "Duemila euro. Questo vale, per le forze Usa, la
vita di un civile afgano"]

In Afghanistan la vita costa poco. Il salario medio e' di 20 euro al mese.
I contabili del comando militare Usa di Kabul devono aver fatto conto su
questi dati per quantificare l'ammontare del risarcimento destinato ai
parenti delle vittime civili di uno degli ultimi bombardamenti aerei
condotti dalla maldestra aviazione statunitense.
*
Inzeri
Martedi' scorso il colonnello Greg Julian e' arrivato a bordo del suo Hummer
blindato nella brulla valle di Tagab, in provincia di Kapisa, solo una
cinquantina di chilometri a nord-est della capitale Kabul.
Ad aspettarlo c'erano tutti gli uomini del piccolo villaggio di Inzeri, sul
quale - nelle stesse ore in cui a Washington Obama giurava come presidente -
i cacciabombardieri Usa hanno sganciato bombe da 30-50.000 euro l'una,
uccidendo quindici civili.
L'anziano capo-villaggio - un vecchio pashtun con la lunga barba bianca e il
turbante in testa - ha condotto il giovane ufficiale straniero vicino a
quindici cumuli di terra smossa di fresco, le tombe delle quindici vittime,
e li' si e' fatto consegnare il denaro: meno di duemila euro per ogni
famiglia.
*
Guloch
Tornato nel suo ufficio di Kabul, il collonnello Julian ha archiviato il
fascicolo "Inzeri" e si e' messo a lavorare su un nuovo caso: quello di
sedici civili, tra cui due donne e tre bambini, morti sotto un altro
bombardamento avvenuto quattro giorni prima a un centinaio di chilometri a
est della capitale, sulle montagne di Laghman, nel villaggio di Guloch. La
versione ufficiale dei comandi Usa, come per Inzeri, come sempre, e' che le
vittime erano talebani, non civili. Se poi verra' fuori la verita', bastera'
rimettere mano al portafogli. Tanto in Afghanistan la vita costa poco. E
vale ancora meno.

7. STRUMENTI. LA NEWSLETTER SETTIMANALE DEL CENTRO STUDI "SERENO REGIS" DI
TORINO

Segnaliamo la newsletter settimanale del Centro studi "Sereno Regis" di
Torino, un utile strumeno di informazione, documentazione, approfondimento
curato da uno dei piu' importanti e piu' attivi centri studi di area
nonviolenta in Italia.
Per contatti e richieste: Centro Studi "Sereno Regis", via Garibaldi 13,
10122 Torino, tel. 011532824 e 011549004, fax: 0115158000, e-mail:
info at serenoregis.org, sito: www.serenoregis.org

8. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "POESIE 1961-1998" DI TOTI SCIALOJA
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Toti
Scialoja, Poesie 1961-1998, Garzanti, Milano 2002]

Di tanto in tanto a Taranto
arde un cielo amaranto
nasce dal mare un rantolo
interrotto da un tonfo.

E' una tortura a Taranto
la ronda del tramonto
anima mia all'istante
moribonda tarantola.

*

La notte chiara e' un cerchio
un triangolo e' l'alba
un quadrato l'aurora
- teoremi di dolore.

Di giorno il loro marchio
timbra la mente calma
necessaria a chi esplora
rottami di dolore.

*

Desiderio vuol dire
attesa che si inoltra
di poco - nelle spire
irrisolte di un'altra

eterna scelta: latte?
limone?  Con astuzia
provvedo che la sorte
non esca dalla tazza.

*

Mi hai insegnato che abbandonarsi e' una scommessa
e la riuscita deriva dallo stupore
la conchiglia si meraviglia di se stessa
rivelando che all'interno non ha colore.

*

Il carnevale della mosca

Questa mosca si maschera da vespa
perche' si sente mesta e un po' nerastra
quando era vispa vispa e zampettava
quando era azzurra azzurra e ruzzolava
si mascherava sempre da zanzara.

9. MEMORIA. PIERPAOLO CALONACI: SIMONE WEIL
[Ringraziamo Pierpaolo Calonaci (per contatti: p_calonaci at hotmail.com) per
questo intervento]

Simone Weil nacque cento anni fa, in Francia. Siccome questa riflessione
avrebbe come valore il suo essere donna, non mi dilungo sulla biografia o
sulla produzione letteraria; evitando accuratamente di dire chi fosse, cosa
scrisse, perche' e quando e tutto il resto. Se uno vuole proprio, cominci a
leggerla: da solo, nel silenzio della propria stanza. La legga come ella
sapeva leggere e studiare; con avida attenzione della continua scoperta
interiore.
Dato che mi sono cosi' giocato gran parte del soggetto di questa relazione,
cosa mi resta?
Mi resta, forse, di cercare di raccontarla per come la vivo io, uomo di 37
anni.
E la vorrei raccontare con una favola: sembra quasi mancare la forza quando
realizzi che descrivere una persona lo puoi fare solo paragonandola ad una
favola.
Perche' le favole non sono persone ma le persone scrivono le favole con il
loro sacrificio.
La favola a cui mi riferisco e' "I sei cigni" dei fratelli Grimm. I fratelli
Grimm non erano cosi' fuori di testa da inebriare il mondo con le loro
storie assurde; troppa fantasia appesantisce un mondo che ha bisogno di
essere invece da quella liberato, troppo genio si contorce se non crea la
"via d'uscita" concreta. E i fratelli erano sia geni che fantasiosi poeti
poiche' la favola parla di cosa provoca l'amore nel cuore e nell'anima di
ogni uomo. A patto che lo si sappia riconoscere ed accogliere. Parla quindi
della nostra liberazione.
Simone all'universita' ebbe, con gli altri compagni, il compito di offrire
una considerazione personale su questa favola. Mentre la scriveva, le sue
mani costruivano quella tensione che manca sempre all'anima, e cosi'
riflette': "Agire non e' mai difficile: agiamo sempre troppo e ci dissipiamo
in azioni disordinate. Fare sei camicie di anemoni e tacere: ecco il nostro
solo modo di acquisire potenza... e' quasi impossibile cucire assieme
anemoni per trarne una camicia, e una tale difficolta' impedisce che altra
azione sopraggiunga ad alterare la purezza di quel silenzio che dura sei
anni. In questo mondo la sola forza e' la purezza... e' un frammento di
verita'... trattenersi dall'agire: qui stanno la sola forza e la sola
virtu'".
Ora, immersi in una societa' che progredisce verso una piu' stretta
schiavitu' come quella nostra in cui collaboriamo sempre meglio a soffocarci
da soli, le parole di Simone assumono un significato profondo, vero. Cioe'
io sento le sue parole e la sua vita esattamente come quando ci si pone
davanti ad una scultura: agli Schiavi di Michelangelo. Dal silenzio duro
come la pietra nasce la forma umana, pura contorsione nella ricerca
spasmodica della propria strada, consapevolmente, ininterrottamente, in modo
importuno contro se' e gli altri, verso un barlume di Bene, uno scampolo di
Verita'.
Perche' con il suo essere donna ha indicato che cosa si dovrebbe attendere
per poi edificare la nostra attenzione. Usando una brevissima riflessione di
padre Giovanni Vannucci "perche' e per chi morire", Simone comprese,
vivendo, questa pienezza... che e' morte di se stessi?
Tutto questo assume un significato ulteriore; se penso che tutto cio' che
scrisse, ella lo visse in modo quotidiano e mistico (oltre la profondita'
quantitativa delle cose) sino a scegliere liberamente la sua morte. Dalla
condizione operaia, alla lotta in Spagna, al rifiuto anche di una briciola
se questa non fosse toccata anche a chi non poteva averne, alla condivisione
nelle sue ore d'insegnamento, ad un rifiuto di quel cercare Dio che invece
opprime tanti fedeli o aspiranti tali.
Cosa c'e' di piu' splendido che dare la propria vita per l'amore del mondo?
E Gesu', lei racconta, "discese e mi prese".
Il mistico non e' persona su un piedistallo, che vive diversamente o per pia
frustrazione. Tutte le volte che leggo qualcosa su Simone, nasce nella mente
quell'immagine nata dalle parole di uno dei piu' grandi mistici, che ebbe a
dire: "Se un uomo vuol essere certo della strada da percorrere, deve
chiudere gli occhi e procedere al buio" (S. Giovanni della Croce).
E Simone, cio' lo sento distintamente in me, sembra partorita da quella
Certezza: in cui gli occhi chiusi sono aperti al Vero e dove alla Luce serve
anche il buio, quei limiti umani contro cui, Simone disse, e' necessario
scontrarsi.
Per farsi conquistare da Dio? Per sentire il vento della Grazia sulla pelle?
Per non cadere nei "legami dell'amore per le cose di quaggiu'"?

10. MEMORIA. MARINA SPADA: ANTONIA POZZI
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "La Repubblica" del
28 gennaio 2009 col titolo "La scelta di Antonia" e il sommario "Pozzi, la
poetessa suicida che oggi sarebbe una punk"]

Negli anni ho sentito parlare piu' volte di Antonia Pozzi: poeta, fotografa,
scalatrice. Suicida a ventisei anni, come spesso e' accaduto alle donne che
fanno poesia, addormentata nella neve davanti all'abbazia di Chiaravalle nel
dicembre 1938. Ma il rischio sarebbe quello di leggere la sua opera
esclusivamente alla luce della sua morte. Le sue poesie mi hanno fulminato
perche' libere, carnali, sincere. Non ha mai pubblicato un rigo in vita ed
e' solo da pochi anni che viene riconosciuta come una delle piu' alte voci
poetiche del Novecento. Me ne sono innamorata e cosi' ho deciso che questa
donna avrebbe meritato un film o, meglio, un documentario, in cui alla
ricostruzione delle vicende biografiche si accompagnasse il tentativo di
visualizzare il suo immaginario poetico. Ho lavorato a stretto contatto con
la sua biografa Graziella Bernabo' e Onorina Dino, da sempre sua grande
studiosa e conservatrice dell'Archivio Pozzi, di proprieta' della
Congregazione delle Suore Preziosine di Monza. "Guardami sono nuda",
comincia cosi' la prima poesia di Antonia Pozzi che ho letto, scritta nel
1929, lei aveva 17 anni. Con una libera associazione ho pensato che sarebbe
potuto essere il testo di una canzone di Siouxsie Sioux, la sacerdotessa del
punk.
In apparenza un azzardo, visto che Antonia Pozzi nasce a Milano nel 1912 e
cresce nell'Italia tetra del fascismo, in cui le donne vengono considerate
creature emotive da rieducare tramite la maternita'. Si potrebbe dire che
aveva tutte le fortune del mondo: di famiglia ricca, destinata a una vita
condotta fra i riti della grande borghesia che lei non ha voluto e potuto
avere. Era intelligente, divertente, il padre e la madre l'adoravano e per
lei c'era il meglio: vacanze, viaggi, poltrona alla Scala, lezioni di piano.
Nel suo mondo indossava gli abiti per la messa in scena della brava figlia
borghese ma la sua anima ne era molto distante.
Laureata nel 1935 con una tesi in Estetica sull'apprendistato letterario di
Flaubert, il relatore e' Antonio Banfi che nel clima culturale dominato dal
binomio Croce-Gentile, al secondo piano della Regia universita' di Milano,
all'angolo fra via Rugabella e corso di Porta Romana, cerca di mantenere
aperto l'orizzonte sul mondo. In un periodo di delirio autarchico, teneva
lezioni su Thomas Mann e sui piu' innovativi sviluppi della filosofia
tedesca, da Simmel a Husserl. Antonia Pozzi fa parte della sua cerchia di
allievi, ma e' profondamente diversa da loro. L'unico che le somiglia e'
Vittorio Sereni, suo migliore amico e poeta come lei. Antonia, infatti, non
aveva mai smesso di scrivere poesie, ma se ne vergognava. Il suo lavoro
poetico era quasi segreto e raramente lo faceva leggere. Gli altri banfiani
le dicono: "Antonia, tu sei molto intelligente, ma molto disordinata!".
Ovviamente il disordine e' quello emotivo. E anche: "Scrivi il meno
possibile". In quell'ambiente, la poesia era guardata con sospetto perche'
il genere letterario adeguato al presente doveva essere il romanzo storico.
Ma soprattutto era guardata con sospetto lei, poeta, donna e a disagio nelle
strettoie che le convenzioni dell'epoca imponevano.
Nella sua poesia c'e' la voce profonda del poeta in cui la parola si misura
con la sostanza delle cose. E c'e' la sua storia personale vissuta come una
"parabola santa", cioe' con l'incanto magico provato di fronte a cio' che si
vive con passione, pur se intriso della nostalgia di morte. Guarda e scrive
poesie, guarda e scatta foto e nell'Archivio Pozzi ne sono rimaste circa
3.000. La fotografia per fissare il tempo, arrestare l'esistenza e
riscattare la morte. Il suo e' un linguaggio personale e profondo in quel
mondo che sta crollando. Sono i terribili anni Trenta in cui spirano venti
di guerra, prima lontani e nel '38 sempre piu' vicini. E' l'anno in cui
Hitler occupa i Sudeti e in Italia vengono emanate le leggi razziali. Un
suicidio come tanti, il suo, in un'epoca in cui il disagio non viene
perdonato. Nel biglietto che viene trovato nella sua borsetta sul prato
innevato di Chiaravalle scrive: "Fa parte di questa disperazione mortale
anche la crudele oppressione che si esercita sulle nostre giovinezze
sfiorite". Negli ultimi anni aveva anche iniziato a usare la macchina da
presa del padre. Mi piace pensare che se non fosse morta cosi' giovane
sarebbe potuta diventare una regista. Come me.

11. LIBRI. PAOLO DI STEFANO PRESENTA "FRATELLI" DI CARMELO SAMONA'
[Dal "Corriere della sera" del 3 febbraio 2009 col titolo "Fratelli" e il
sommario "Torna il romanzo di Carmelo Samona', da subito considerato un
miracolo letterario. Le vite senza tempo di un uomo demente e di suo
fratello sano"]

"Vivo, ormai sono anni, in un vecchio appartamento nel cuore della citta',
con un fratello ammalato. Nessun altro abita con noi, e le visite si fanno
rare". Basta questo splendido incipit, esempio di precisione e di
semplicita' e di ritmo, per capire come la prosa di Carmelo Samona' si
affidi soprattutto alla musica e all'orecchio di chi la ascolta. Basta per
farci tornare al senso profondo della letteratura, cioe' pura necessita'
consegnata alla parola, in un momento in cui evasione e/o consumo sono
scambiati per letteratura. Ogni parola e' al suo posto e non potrebbe
occuparne un altro.
Fratelli fu pubblicato da Einaudi nel 1978 e viene ora riproposto da
Sellerio accompagnato da L'esitazione, il racconto a cui Samona' (famoso
come ispanista prima che come scrittore) lavoro' durante la malattia che gli
fu fatale nel 1990. Fratelli apparve, gia' all'uscita, come un miracolo. E
lo e' ancora di piu' ora, a oltre trent'anni dalla prima pubblicazione. Un
corpo del tutto estraneo alla narrativa corrente.
Non racconta quasi nulla, se non l'immobilita' senza tempo nel rapporto tra
un fratello sano e l'altro demente, eppure ti tiene attaccato alla pagina
con la forza dell'emozione, della parola che si fa, quasi inavvertitamente
sotto i nostri occhi (o meglio dentro il nostro orecchio piu' interno),
incubo, delirio. Incubo, perche' la narrazione si svolge come un nastro
lungo un tempo immobile: "Mi dico che una mattina e' perfettamente uguale a
un'altra, una notte a un'altra notte". Non c'e' cambiamento ma ripetizione
fino allo sfinimento, e noi lo sappiamo sin dall'inizio.
La malattia mentale, l'"oggetto invisibile", e' li' e non vi e' rimedio,
nonostante le strategie che il fratello narratore mette in atto: i Grandi e
i Piccoli Viaggi che portano i due a inventarsi giochi, recite, scambi di
ruolo, letture destinate ad essere stravolte (Geppetto diventera' uno
stregone perverso), brevi rincorse nell'appartamento lasciato semideserto da
una famiglia che non c'e' piu'.
Sono strategie che vengono messe in atto per occupare il vuoto del tempo (e
dello spazio), non perche' ci si illuda mai che qualcosa possa mutare. E il
paradosso su cui si regge tutto il romanzo e' proprio qui: nella tragica
tensione tra la fiducia nella parola che traspare dall'esattezza della
pagina costruita dall'autore e l'impossibilita' di comunicare che emerge
implacabile dal racconto della relazione a due. Il linguaggio, nonostante
tutto, non guarisce, anzi. Nel migliore dei casi, e' fatto di "suoni flebili
e opachi" o di silenzio "sterminato e piatto", piu' spesso viene piegato a
logiche distorte, incontra resistenze e rigetti.
In questo tempo immobile, il narratore, alternando responsabilita' e senso
di colpa, pensa, concatena ipotesi, torna indietro e riformula ipotesi
opposte, si sforza di intravedere una logica nei minimi segnali, cerca di
decifrare il non decifrabile, le contraddizioni, le reazioni attese e
inattese, architetta inutili progetti per domare la follia. Cerca, nei gesti
e nelle parole del fratello, una coerenza che non c'e'. Si sente forte e
debole, partecipe e antagonista, amichevole e autoritario, paterno e
materno, dolce e violento, diverso e uguale. E questi opposti non trovano
soluzione neanche quando interviene la "donna con il cane zoppo", allegoria
di una possibile mediazione, di un possibile incontro tra due solitudini
incomunicanti (lei che possiede "non due lingue diverse" per la sanita' e
per la malattia, ma "una lingua sola... ricca di equilibri cangianti,
onnivalente"). E' una donna misteriosa, in cui il fratello malato si imbatte
durante in una delle vertiginose uscite che i due protagonisti sono soliti
fare nella citta' anonima e grigia. E che non sono liberazione dalla
claustrofobia della casa: sono il precipizio dentro un altro labirinto,
perche' favoriscono un gioco crudele, le fughe del malato che accrescono
l'angoscia del narratore o al piu' ripropongono in lui l'effimera tentazione
di andarsene: "In linea teorica potrei farlo. Ed e' importante che possa
pensarlo; e' importante che possa fantasticare di vivere altrove,
preparandomi alla partenza, anche nei piu' minuti dettagli, raffigurandomi
case limpide e sobriamente addobbate... Naturalmente rimango". La presenza
enigmatica della donna (prodiga di regali: una mela, una cintura, un
bracciale...) accanto al fratello demente fa nascere nell'io narrante una
insana gelosia, poi la curiosita' di conoscerla, infine la speranza. Finche'
la morte violenta (e altrettanto indecifrabile) del cane infrangera'
quell'ultima illusione, e il nebuloso ricordo che ne rimane lascia sospeso
quell'episodio in una zona d'ombra molto inquietante. E a tratti si avverte
come la strenua difesa del confine tra normalita' e anormalita' abbia qua e
la' ceduto al contagio.
Il densissimo saggio di Francesco Orlando, collocato in postfazione, da'
conto dell'urgenza autobiografica che sta alla base del tormentato percorso
narrativo di Samona', ma individua soprattutto alcuni "momenti" che lo
rendono estremamente unitario (Fratelli e' il solo romanzo uscito in vita,
cui seguiranno Il custode, Casa Landau e un paio di racconti) e sicuramente
irripetibile.

12. LIBRI. CATERINA RICCIARDI PRESENTA "UOMO NEL BUIO" DI PAUL AUSTER
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo febbraio 2009 col titolo "L'ultimo
Paul Auster si avvita nella trama. Una distopia americana approdata in
Iraq"]

Paul Auster, Uomo nel buio, Einaudi, pp. 152, euro 17.
*
Accade tutto in una notte nell'ultimo romanzo di Paul Auster. Attraverso un
duplice intreccio, Uomo nel buio ripercorre la tragedia americana - dalla
caduta del World Trade Center all'Iraq - chiudendosi con quella che puo'
apparire come una catartica soluzione consolatoria. Piu' di una toccante
forma di provvisoria rassegnazione di fronte ai guasti della nazione, nel
2008 Auster non ha saputo offrire. Anche il suo consueto, e tutto personale,
modo di giocare a intrecciare storie su storie - storie alternative - legate
dalla mera legge del caso, in questo breve romanzo si ridimensiona a favore
di una rigorosa aderenza finale alle domande concrete poste da una realta'
creata non dal caso, o da altre possibili "realta' immaginate", ma da atti
consapevolmente determinati.
Il protagonista di Uomo nel buio, e l'inventore delle storia racchiusa nella
cornice dominante, e' l'anziano August Brill, un critico letterario in
pensione, uno che le storie le conosce bene di seconda mano. Da poco vedovo,
assillato dalle sue irresponsabilita' matrimoniali, immobilizzato dalle
conseguenze di un incidente d'auto, Brill e' tormentato dall'insonnia.
Lasciata New York, vive ora nel Vermont, a Battleboro (cittadina
"battagliera" che nel gennaio 2008 si e' ufficialmente pronunciata contro la
politica di Bush e Cheney), con la figlia divorziata e la nipote Katyak,
anche lei afflitta da sensi di colpa per la morte dell'ex fidanzato in Iraq.
Questa, dove si svolgono i pochi eventi dell'intreccio principale, e' una
casa in lutto, tutti e tre gli inquilini soffrono per qualche grave dolore
provocato o subito. Come sedativo Brill inganna la notte inventando storie.
A una storia, in particolare, e' dedicata buona meta' del romanzo: racconta
di un'America alternativa e parallela a quella presente, un "antimondo" o
"mondo-ombra", in cui le torri gemelle non sono mai crollate e la guerra in
Iraq non e' mai avvenuta. In compenso, da sette anni si protrae una seconda
guerra civile che ha dilaniato e impoverito il paese, ormai diviso fra
Federali e Stati Indipendenti. Questi ultimi sono quelli che nelle elezioni
del 2000 si dissociarono, lo Stato di New York in testa, dalla vittoria di
Bush. Bush e', nella finzione, il presidente degli Stati federati. Brill
immagina dunque una distopia (piu' amara della storia reale?), cui si puo'
porre rimedio solo uccidendo colui che sta tramando, o scrivendo, o
immaginando, la nuova guerra civile americana: "la guerra era nella mente di
un tale", eliminando quel tale "la guerra finirebbe". Per Brill, che e'
quell'uomo "nel buio" con la guerra nella testa, cio' significa che il suo
assassinio da parte di Owen Brick, il protagonista della storia che ha
inventato, varrebbe come una scelta di suicidio. Mentre la notte avanza,
egli decide di eliminare Brick che resta ucciso nell'altra guerra, quella
civile. L'antimondo immaginato si eclissa nel nulla, perche' Brill ha deciso
di sopravvivere, convinto che nel mondo in cui vive "ci sono anche altre
pietre da dissotterrare", altre storie di guerra. Se "abbassi la guardia per
un attimo - dice - ti si avventano contro, una dopo l'altra".
Nella seconda parte di Un uomo nel buio dalla distopia si torna al Vermont e
all'America impantanata in una "guerra fasulla, un imbroglio, il piu' grave
errore politico della storia americana". Questo e' il paese reale. Nel corso
della notte Katya si unisce alla veglia del nonno. Il racconto liberatorio
delle loro vite tormentate si intreccia per convergere nella morte di Titus
Small, il fidanzato di Katya, un evento per il quale, con grande destrezza
narrativa, si fa ricorso al linguaggio cinematografico. Come Auster
(sceneggiatore e regista in proprio), Brill e sua nipote amano i film di
qualita', una passione che permette loro di cimentarsi in abili analisi
tecniche di capolavori quali Ladri di biciclette e La grande illusione.
Oltre a raccontare altre storie di guerra, questi straordinari intertesti
filmici sembrano intesi a far da preludio e contrappunto all'inserto,
collocato nelle ultime pagine del romanzo, del "video internet" sull'uomo
incappucciato e giustiziato in Iraq. Al lettore non si risparmia nulla:
"Quando infine la testa e' recisa dal corpo, il boia lascia cadere la scure
sul pavimento. L'altro leva il cappuccio dalla testa di Titus...".
Perche', ci si chiede, descrivere nei piu' crudi dettagli un documento cosi'
scioccante? Perche' Paul Auster, nel ruolo di "regista" della sua storia,
dimentico delle lezioni di alta cinematografia, sceglie un linguaggio cosi'
diretto, molto distante da quello lirico ed ellittico di De Sica e di
Renoir? "Lo sapevamo", dice Brill, che quel video "ci avrebbe ossessionato
per il resto della vita, eppure sentivamo chissa' come di dover stare vicino
a Titus, di tenere gli occhi aperti sull'orrore per amor suo, di inspirarlo
in noi e tenercelo dentro - in noi, quella morte sventurata e solitaria
(...), in noi e nessun altro, per non abbandonarlo al buio senza pieta' che
lo aveva inghiottito".
A differenza di quanto sosteneva Susan Sontag in Davanti al dolore degli
altri, un libro in cui si mette in discussione l'uso o la manipolazione
mediatica di immagini sconcertanti, qui Auster sembra voler suggerire che il
corpo macellato di Titus debba essere invece condiviso quasi come
un'eucarestia. Incappucciato dai suoi aguzzini, Titus Small e' l'"uomo nel
buio" che l'America insonne o addormentata deve riconoscere - come fu per
l'"uomo che cade" di DeLillo - in piu' chiara luce.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 724 del 7 febbraio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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