Minime. 582



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 582 del 18 settembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Luciano Bonfrate: Si', a Vicenza il cinque ottobre il voto
2. Il 5 ottobre a Vicenza
3. Bazzecole
4. Il 25 settembre a Viterbo
5. Lidia Maggi: Le chiese per la pace
6. Centro Impastato: A Comiso rimanga l'intitolazione a Pio La Torre
7. Gustavo Zagrebelsky: Una conferenza di Piero Calamandrei del 1940
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME COSE. LUCIANO BONFRATE: SI', A VICENZA IL CINQUE OTTOBRE IL
VOTO
[In vista del referendum del 5 ottobre a Vicenza per impedire la
realizzazione della nuova base di guerra "Dal Molin" anche il nostro buon
amico Luciano Bonfrate ha scritto queste righe di amicizia e sostegno alle
persone vicentine impegnate per la pace, la legalita' costituzionale, il
diritto alla vita dell'umanita' intera]

Si', a Vicenza il cinque ottobre il voto
dei cittadini puo' dir si' alla pace
si' alla civile convivenza, al moto
di umanita' piu' semplice e verace.

Si', a Vicenza il giusto, il vero, il noto
prevalga sull'iniquo e sul rapace,
prevalga sul fallace e sull'ignoto;
e vinca il bene che salva e che piace.

Si', a Vicenza vinca la difesa
della natura e della civilta',
e sia respinta l'oltraggiosa offesa

delle armi e della loro crudelta',
dell'empia guerra che non lascia illesa
la nostra gia' dolente umanita'.

2. INIZIATIVE. IL 5 OTTOBRE A VICENZA

Il 5 ottobre a Vicenza si terra' il referendum consultivo sul seguente
quesito: "E' Lei favorevole alla adozione da parte del consiglio comunale di
Vicenza, nella sua funzione di organo di indirizzo politico-amministrativo,
di una deliberazione per l'avvio del procedimento di acquisizione al
patrimonio comunale, previa sdemanializzazione, dell'area aeroportuale 'Dal
Molin' - ove e' prevista la realizzazione di una base militare
statunitense - da destinare ad usi di interesse collettivo salvaguardando
l'integrita' ambientale del sito?".
*
Per ulteriori informazioni: www.dalmolin5ottobre.it

3. EDITORIALE. BAZZECOLE

Riferiscono le agenzie di stampa di altre decine di morti nelle stragi
odierne della guerra afgana, stragi che ormai si sono da tempo allargate al
Pakistan. Decine di morti anche oggi, e la fonte della notizia sono gli
stessi eserciti. Non passa giorno senza nuove stragi. Bazzecole.
*
E quale e' la vita dei sopravvissuti? Dei feriti, dei mutilati, degli
sfollati, degli affamati, dei derubati di tutto, delle vittime giunte alla
disperazione di invocare una morte rapida poiche' la loro vita e' ormai solo
una morte lenta in forma di tortura? Bazzecole.
*
Giunge oggi anche una notizia diffusa dall'Onu: nelle aree del Pakistan
ormai investite dalla furia della guerra afgana "260.000 persone sono state
costrette a lasciare le proprie abitazioni nelle zone dei bombardamenti". In
Pakistan. Bazzecole.
*
L'Aghanistan e' un immenso carnaio, una fornace in cui si specchia questo
momento tragico dell'umanita'. Bazzecole.
E un'estensione di questo immenso carnaio, questa immensa fornace, stanno
diventando anche le aree del Pakistan che la guerra afgana ha ormai
raggiunto. Bazzecole.
*
Bazzecole per chi pensa solo al gioco del pallone, agli inestetismi della
cellulite, alla pubblicita' dei telefonini, ai videoclip ed ai mille altri
veleni con cui l'ideologia dominante - l'ideologia dei poteri dominanti, e
la propaganda da essi diffusa - ci rende schiavi e complici degli assassini.
Per i nove decimi dell'umanita' non sono bazzecole.
*
Tutti i poveri del mondo che hanno la possibilita' di essere raggiunti dalle
notizie di cio' che li' accade riflettono sulla nostra ferocia, la ferocia
della nostra coalizione di truppe d'occupazione, di truppe assassine, la
coalizione militare terrorista e stragista dei volenterosi carnefici della
Nato, la coalizione di cui l'Italia fa parte.
Tutti, tutti gli abitanti dell'Asia, dell'Africa, dell'America Latina che
hanno la possibilita' di essere raggiunti dalle notizie di cio' che li'
accade riflettono sulla nostra ferocia, la ferocia della nostra coalizione
di truppe d'occupazione, di truppe assassine, la coalizione militare
terrorista e stragista dei volenterosi carnefici della Nato, la coalizione
di cui l'Italia fa parte.
Tutti i poveri del mondo.
Tutti gli abitanti di tre continenti che ricordano ancora cosa e' stato il
colonialismo, poiche' ancora ne stanno pagando le conseguenze - e il
ritorno.
I nove decimi dell'umanita' guardano come agiamo, e giudicano, e ne traggono
conclusioni.
I migliori tra loro si dicono che occorre far cessare la nostra furia
genocida.
I peggiori tra loro imparano "come va il mondo" e si addestrano ad imitare
la nostra furia genocida, a metterla in atto a loro volta.
Nessuno puo' approvarci.
Tutti possono soltanto odiare i nostri crimini.
E molti non odieranno solo i crimini, odieranno anche chi li commette. Ci
odieranno con la forza della disperazione.
E con la forza della disperazione decideranno di fermarci.
E queste forse non sono piu' bazzecole neppure per i pirati che ci governano
e per le platee narcotizzate dalle televisioni. Forse c'e' motivo di
preoccupazione. Forse sara' il caso di pensarci.
*
Cessi la guerra terrorista e stragista, imperialista e razzista, mafiosa e
totalitaria in Afghanistan.
Cessi la partecipazione illegale e criminale dell'Italia alla guerra.
Cessi la violazione del diritto internazionale e della legalita'
costituzionale.
S'impegni l'Italia contro la guerra, per il disarmo e la smilitarizzazione.
Il primo, indispensabile passo e' cessare di prendere parte alla guerra.
*
Solo la pace salva le vite.
Pace, disarmo, smilitarizzazione dei conflitti.
Solo salvando le vite si costruisce la giustizia.
Solo salvando le vite si costruisce la legalita'.
Solo salvando le vite si costruisce la democrazia.
Solo salvando le vite si costruisce la civile convivenza.
Solo salvando le vite si invera il primo e fondamentale dei diritti umani.
La guerra, la guerra che consiste di stragi, e' nemica dell'umanita'.
L'umanita' deve abolire la guerra, prima che la guerra abolisca l'umanita'.
La nonviolenza e' la via.

4. INCONTRI. IL 25 SETTEMBRE A VITERBO

La prossima riunione del comitato che si oppone al devastante mega-aeroporto
a Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo si terra'
giovedi' 25 settembre 2008, con inizio alle ore 17,30, a Viterbo, presso la
sede dell'Arci, in via Garibaldi n. 34.

5. RIFLESSIONE. LIDIA MAGGI: LE CHIESE PER LA PACE
[Dal sito di "Mosaico di pace" (www.mosaicodipace.it) riprendiamo il
seguente articolo dal titolo "La nonviolenza in Chiesa" e il sommario "Le
religioni stentano ad apprendere linguaggi e stili nonviolenti che pur il
nostro tempo richiede. E l'auspicio profetico di don Tonino e' rimasto
spesso inascoltato. Che fare allora?".
Lidia Maggi e' pastora battista, teologa, saggista, responsabile per le
attivita' per i diritti umani per la Federazione delle chiese evangeliche,
fortemente impegnata nel dialogo interreligioso.
Tonino Bello e' nato ad Alessano nel 1935, vescovo di Molfetta, presidente
nazionale di Pax Christi, e' scomparso nel 1993; costantemente impegnato
dalla parte degli ultimi, promotore di iniziative di solidarieta' con gli
immigrati, per il disarmo, per i diritti dei popoli e la dignita' umana,
ideatore ed animatore di grandi iniziative nonviolente, e' stato un grande
costruttore di pace e profeta di nonviolenza. Opere di Tonino Bello:
segnaliamo particolarmente, tra le molte sue pubblicazioni, I sentieri di
Isaia, La Meridiana, Molfetta 1989; Il vangelo del coraggio, San Paolo,
Cinisello Balsamo (Mi) 1996; e' in corso la pubblicazione di tutte le opere
in Scritti di mons. Antonio Bello, Mezzina, Molfetta 1993 sgg., volumi vari.
Opere su Tonino Bello: cfr. per un avvio Luigi Bettazzi, Don Tonino Bello.
Invito alla lettura, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2001; la biografia di
Claudio Ragaini, Don Tonino, fratello vescovo, Edizioni Paoline, Milano
1994; Alessandro D'Elia, E liberaci dalla rassegnazione. La teologia della
pace in don Tonino Bello, La Meridiana, Molfetta (Ba) 2000. Nella rete
telematica materiali utili di e su Tonino Bello sono nel sito di Pax
Christi: www.paxchristi.it, in quello de La Meridiana: www.lameridiana.it e
in molti altri ancora]

"Le chiese hanno un ruolo fondamentale da svolgere: riesprimere una radicale
mozione di sfiducia a ogni forma di violenza, perche' le armi non
appartengono piu' al linguaggio corrente dei popoli. Tutti i credenti in
Gesu' Cristo debbono presentare una via alternativa a quella delle guerre e
delle sovranita' nazionali, per il riconoscimento dei legittimi diritti alla
liberta' di tutti i popoli e per l'avvento di una qualita' della vita che
sia degna dell'uomo. Con la preghiera, il dialogo e la conversione occorre
precedere il futuro nonviolento della storia. Sperando che la ragione lo
segua" (don Tonino Bello).
*
Diciamola tutta: le religioni solo raramente sono state portatrici di
nonviolenza. La storia e' piena del sangue versato in nome del Dio di turno.
Nessuna religione e' esente da esso, neanche quelle orientali. L'onesta'
intellettuale chiede di riconoscerlo. Siamo figli e figlie di questa storia,
dove lo stesso Dio che annuncia la pace serve anche a motivare e a
giustificare la guerra.
E' anche vero, tuttavia, che ci sono stati, nei decenni passati, dei momenti
particolarmente felici in cui sembrava che le chiese potessero finalmente
far passare questa "mozione di sfiducia alla violenza", in cui l'anima
profetica sembrava prevalere sul bieco realismo che giustifica la guerra.
Forse gli ultimi anni della vita di don Tonino sono stati anche segnati
dalla gioia di intravedere questa possibilita': il crollo del muro di
Berlino, il sogno di una casa comune europea... Ma gia' prima di morire, il
conflitto dei Balcani lasciava intravedere una prospettiva del tutto
diversa. La guerra nel Golfo strappera' lo scenario di positive attese.
*
Il nostro tempo
Ora noi viviamo un tempo in cui le chiese sembrano fare particolare fatica a
pensare di poter dire una parola forte e autorevole contro la violenza e le
guerre. Non perche' manchino le parole, gli appelli etici, i comunicati
stampa; piuttosto perche' le chiese stesse faticano a intravedere una via
alternativa alla violenza.
Paradossalmente, proprio in un momento in cui il cristianesimo e le altre
religioni entrano nuovamente in scena come attori principali e la loro voce
e' assunta come punto di riferimento in una societa' che non sembra capace
di avere una bussola propria di orientamento, per quanto riguarda temi come
la pace e la nonviolenza risuona la risposta che Paolo riceve dagli
ateniesi: "Su questo ti ascolteremo un'altra volta".
E del resto non ci scandalizziamo piu' di quel tanto se sulla pace e sulla
giustizia la societa' non sembra interessata ad ascoltare le chiese. Abbiamo
le nostre responsabilita' e i nostri sensi di colpa perche' sappiamo di non
essere credibili: annunciamo una pace che non riusciamo a vivere nei
rapporti personali, tantomeno tra le diverse espressioni ecclesiali. Il
cammino ecumenico che ha portato le chiese a interrogarsi sullo scandalo
delle divisioni, dopo decenni di incontri cordiali, dialoghi e preghiere
comuni, sembra vivere un periodo di stanca. Le chiese sono ancora divise,
litigiose e poco disponibili ad accogliersi. Siamo, insomma, testimoni
incoerenti. Se questo fosse solo un problema intraecclesiale, legato a beghe
interne alle chiese, la situazione, seppure grave, potrebbe essere
sopportabile. Ma di fronte all'urgenza di un mondo lacerato da conflitti, di
fronte al fenomeno di immigrazioni di massa causate dalla poverta', davanti
alle continue morti di profughi che fuggono dalla miseria e dalla violenza
dei loro paesi per rifugiarsi nel nostro, dove raramente trovano accoglienza
e possibilita' di inserimento, che cosa fanno le chiese? Che alternativa
indicano? Che contributo sono state in grado di offrire alla pace nel
quartiere, nella citta', nella nazione e nel mondo?
La prospettiva di don Tonino e' esigente, richiede una verifica non solo
intraecclesiale ma, soprattutto, storica. La passione profetica di chi vede
Sion al di sopra degli altri monti, di chi sogna le chiese come laboratori
di pace, punti di riferimento per l'umanita' intera, oggi va espressa
assieme alla denuncia profetica che questo finora non e' avvenuto e non sta
avvenendo.
Non ce l'abbiamo fatta, abbiamo fallito. Le chiese non sono state in grado
di portare pace. L'auspicio di don Tonino e' rimasto inascoltato. Non solo
la crisi della ragione, ma anche quella delle chiese.
D'altra parte questo scoramento rischia di diventare un ulteriore alibi per
non agire e per ripiegarci sul privato, trasformando la pace in
tranquillita' interiore.
La mitezza, la nonviolenza, sono molto di piu' che elementi di una strategia
da abbandonare quando fallisce lo scopo. La pace e' una spiritualita'
segnata dalla gratuita'. Essa, per dirla con don Tonino, non e' un vocabolo
ma un vocabolario; non e' una tessera del mosaico ma l'intero quadro. Si e'
figli di Dio in quanto operatori di pace. Allontanarsi da questa
spiritualita' significa tradire la nostra vocazione: ecco perche' non
possiamo rinunciare ad essa. Significherebbe rinunciare alla nostra stessa
fede.
La nonviolenza, del resto, raramente abita luoghi pacifici, dimora nella
serenita' dei rapporti armonici. Piu' spesso si radica nei conflitti della
vita. Non nasce in zone protette ma nelle contraddizioni della storia. Che
vengono assunte, non rimosse! Oggi la nonviolenza sembra che fatichi a
diventare stile di vita anche perche' nelle chiese si ha paura di affrontare
il conflitto, lo si rimuove o si cerca un facile compromesso. La pace e'
ridotta a quieto vivere. Come uscire dall'empasse?
*
Le alternative possibili
Don Tonino ci suggerisce tre strade: conversione, dialogo, preghiera. Strade
antiche, gia' percorse, ma anche sentieri interrotti, che si perdono
facilmente nei labirinti della storia. Questo don Tonino lo sapeva bene,
poiche' chiede alle chiese di riesprimere, di provare di nuovo a dare forma,
quanto forse nel passato e' stato gia' espresso. Non si puo' vivere di
rendita: ogni generazione di credenti deve trovare il proprio linguaggio per
annunciare la pace. La nostra sembra arrivare alla preghiera e al dialogo
saltando la conversione: come se mettessimo in atto una relazione verticale
(la preghiera) e orizzontale (il dialogo) senza che queste cambino il cuore.
Lo scandalo e' che in un panorama di discriminazione e violenza, di
esibizione di forza, le chiese non riescono a esprimere una parola
differente. Manca una vera conversione. Siamo ancora agli inizi, non siamo
davvero convinti che l'evangelo sia vivibile.
Che fare, dunque?
Il primo passo dovra' necessariamente mirare a riconquistare una
credibilita': lavorare per una spiritualita', uno stile di vita che sappia
inquietare.
Nella formazione interna dei credenti delle diverse confessioni occorrera'
mettere all'ordine del giorno la nonviolenza. Noi siamo sconvolti
dall'odierna retorica della sicurezza; tuttavia non la disdegniamo a
proposito della fede. La chiesa e' vissuta come tana, nido, che rende i
credenti immaturi, poco responsabili. E' decisivo reimparare a lasciarsi
disarmare dalla Parola di un Dio che viene come un ladro a rubare le nostre
sicurezze, che domanda la disponibilita' dell'ascolto, il coraggio delle
domande scomode.
Lasciarsi disarmare anche di quel linguaggio troppo sicuro, assertivo, non
certo a favore di un linguaggio neutro, poco passionale, bensi' per
restituire dignita' ai senza voce. Una relazione nonviolenta all'interno
delle chiese significa imparare a dare voce ai piu' piccoli, senza scadere
nel paternalismo. Stare al loro fianco per rivendicare pari dignita': penso
alle donne e a tutti coloro che "non hanno le carte in regola" per stare a
pieno titolo nelle comunita' dei credenti.
Certo, le indicazioni di stile andranno finalizzate alla costruzione di
alternative. Tuttavia, queste ultime richiedono di fare i conti con i tempi
lunghi della storia. Noi, invece, in quanto figli del nostro tempo, vogliamo
vedere subito i risultati, subiamo il fascino dell'immediatezza.
L'educazione alla nonviolenza richiede l'urgenza profetica, ma anche la
pazienza della crescita, della lenta maturazione.
Troppo spesso, anche come credenti, lasciamo che sia la cronaca a dettare
l'ordine del giorno, ci limitiamo a reagire al disagio di turno. Questa
reattivita' puo' avere una sua forza; ma se e' l'unico atteggiamento delle
chiese, rischia di trasformarle in comunita' non propositive, che rincorrono
l'agenda del mondo. Il monito evangelico a cercare prima il Regno di Dio e
la sua giustizia dovrebbe fungere da anticorpo per credenti che non si
limitino a essere notai della storia bensi' lievito, sale, luce. Nei tempi
bui che ci e' dato di vivere, non sembri poca cosa salvaguardare la
freschezza del lievito, difendere il sapore del sale, scegliere di non
nascondere la luce sotto un secchio. La cura per un discepolato piu'
autentico e radicale, per uno stile di vita evangelico che si sottragga al
fascino del pragmatismo, e' il contributo decisivo che, come cristiani,
possiamo offrire a un'umanita' rassegnata all'inevitabilita' delle armi.

6. APPELLI. CENTRO IMPASTATO: A COMISO RIMANGA L'INTITOLAZIONE A PIO LA
TORRE
[Dal sito del Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato" (per
contatti: Via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax:
0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it) riprendiamo
il seguente comunicato dal titolo completo "Il Centro Impastato aderisce
all'appello di 'Articolo 21' perche' l'aeroporto di Comiso rimanga
intitolato a Pio La Torre"]

La decisione del sindaco di An di cancellare il nome di Pio La Torre e
ripristinare quello di Vincenzo Magliocco e' un gesto di marca fascista e
decisamente filomafioso.
Pio La Torre ha avuto un ruolo fondamentale nelle lotte contro la mafia, dai
primi anni della sua militanza comunista, quando e' andato a Corleone per
dirigere il sindacato dopo l'assassinio di Placido Rizzotto, all'impegno
degli ultimi anni, con la redazione del progetto di legge che e' diventato
la legge antimafia del settembre 1982, ed e' stato un promotore delle
mobilitazioni per la pace, contro l'installazione dei missili a testata
nucleare. Se l'aeroporto di Comiso e' oggi un aeroporto civile si deve alle
lotte dei primi anni '80.
Vincenzo Magliocco, a cui era intitolato l'aeroporto militare, era un
generale fascista, corresponsabile di un crimine di guerra come i
bombardamenti con l'iprite sulle popolazione etiopi.
La decisione del sindaco di Comiso di cancellare la memoria di lotte che
fanno parte integrante della storia della Sicilia migliore e di rievocare
gli orrori del colonialismo fascista si spiega con il clima che stiamo
vivendo, dopo la vittoria elettorale delle destre e la formazione del
governo Berlusconi che attua una politica di legalizzazione dell'illegalita'
e apertamente razzista, gia' avviata con i governi precedenti. Il messaggio
di Dell'Utri, che negli ultimi giorni della campagna elettorale definiva
"eroe" un capomafia condannato all'ergastolo per omicidio come Vittorio
Mangano, sta dando i suoi frutti.
Il Centro si augura che si dia vita a un'opposizione efficace e a una
mobilitazione adeguata alla gravita' della situazione.

7. MEMORIA. GUSTAVO ZAGREBELSKI: UNA CONFERENZA DI PIERO CALAMANDREI DEL
1940
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 17 settembre 2008 col titolo "Piero
Calamandrei. Se la legge e' uguale per tutti" e la nota redazionale
"Anticipazioni. La prefazione di Zagrebelsky a una conferenza inedita del
grande giurista. Anticipiamo parte dell'introduzione di Zagrebelsky a un
testo inedito di una conferenza che Piero Calamandrei pronuncio' nel gennaio
del 1940 e che ora viene raccolto in un volume intitolato Fede nel diritto
(a cura di Silvia Calamandrei, Laterza, pp. 148, euro 12)".
Gustavo Zagrebelsky, nato nel 1943 a San Germano Chisone (To), illustre
costituzionalista, docente universitario, giudice della Corte Costituzionale
(e suo presidente, quindi presidente emerito); componente dei comitati
scientifici delle riviste "Giurisprudenza costituzionale", "Quaderni
costituzionali", "Il diritto dell'informazione", "L'Indice dei libri", e
della Fondazione Roberto Ruffilli; socio corrispondente dell'Accademia delle
Scienze di Torino, gia' collaboratore del quotidiano "La Stampa"; per la
casa editrice Einaudi dirige la collana "Lessico civile"; autore di vari
volumi e saggi, ha collaborato al commentario alla Costituzione italiana
diretto da Giuseppe Branca. Tra i suoi numerosi lavori segnaliamo
particolarmente Amnistia, indulto e grazia. Problemi costituzionali,1972;
Manuale di diritto costituzionale. Il sistema costituzionale delle fonti del
diritto, 1974, 1978; La giustizia costituzionale,1978, 1988; Societa',
Stato, Costituzione. Lezioni di dottrina dello Stato, 1979; Le immunita'
parlamentari, Einaudi, Torino 1979; Il diritto mite, Einaudi, Torino 1992;
Questa Repubblica, Le Monnier, Firenze 1993; Il "crucifige" e la democrazia,
Einaudi, Torino 1995; (con Pier Paolo Portinaro e Joerg Luther, a cura di),
Il futuro della costituzione, Einaudi, Torino 1996; La giustizia
costituzionale, Il Mulino, Bologna 1996; (con Carlo Maria Martini), La
domanda di giustizia, Einaudi, Torino 2003; (a cura di), Diritti e
Costituzione nell'Unione europea, Laterza, Roma-Bari 2003, 2005; (con M. L.
Salvadori, R. Guastini, M. Bovero, P. P. Portinaro, L. Bonanate), Norberto
Bobbio tra diritto e politica, Laterza, Roma-Bari 2005; Imparare la
democrazia, Gruppo editoriale L'Espresso, Roma 2005; Principi e voti,
Einaudi, Torino 2005; Lo Stato e la Chiesa, Gruppo editoriale L'Espresso,
Roma 2007.
Piero Calamandrei, nato a Firenze nel 1889 ed ivi deceduto nel 1956,
avvocato, giurista, docente universitario, antifascista limpido ed
intransigente, dopo la Liberazione fu costituente e parlamentare, fondatore
ed animatore della rivista "Il Ponte", impegnato nelle grandi lotte civili.
Dal sito dell'Anpi di Roma (www.romacivica.net/anpiroma) riprendiamo la
seguente notizia biografica su Piero Calamandrei: "Nato a Firenze nel 1889.
Si laureo' in legge a Pisa nel 1912; nel 1915 fu nominato per concorso
professore di procedura civile all'Universita' di Messina; nel 1918 fu
chiamato all'Universita' di Modena, nel 1920 a quella di Siena e nel 1924
alla nuova Facolta' giuridica di Firenze, dove ha tenuto fino alla morte la
cattedra di diritto processuale civile. Partecipo' alla Grande Guerra come
ufficiale volontario combattente nel 218mo reggimento di fanteria; ne usci'
col grado di capitano e fu successivamente promosso tenente colonnello.
Subito dopo l'avvento del fascismo fece parte del consiglio direttivo
dell'"Unione Nazionale" fondata da Giovanni Amendola. Durante il ventennio
fascista fu uno dei pochi professori che non ebbe ne' chiese la tessera
continuando sempre a far parte di movimenti clandestini. Collaboro' al "Non
mollare", nel 1941 aderi' a "Giustizia e Liberta'" e nel 1942 fu tra i
fondatori del Partito d'Azione. Assieme a Francesco Carnelutti e a Enrico
Redenti fu uno dei principali ispiratori dei Codice di procedura civile del
1940, dove trovarono formulazione legislativa gli insegnamenti fondamentali
della scuola di Chiovenda. Si dimise da professore universitario per non
sottoscrivere una lettera di sottomissione al duce che gli veniva richiesta
dal Rettore del tempo. Nominato Rettore dell'Universita' di Firenze il 26
luglio 1943, dopo l'8 settembre fu colpito da mandato di cattura, cosicche'
esercito' effettivamente il suo mandato dal settembre 1944, cioe' dalla
liberazione di Firenze, all'ottobre 1947. Presidente del Consiglio nazionale
forense dal 1946 alla morte, fece parte della Consulta Nazionale e della
Costituente in rappresentanza del Partito d'Azione. Partecipo' attivamente
ai lavori parlamentari come componente della Giunta delle elezioni della
commissione d'inchiesta e della Commissione per la Costituzione. I suoi
interventi nei dibattiti dell'assemblea ebbero larga risonanza: specialmente
i suoi discorsi sul piano generale della Costituzione, sugli accordi
lateranensi, sulla indissolubilita' del matrimonio, sul potere giudiziario.
Nel 1948 fu deputato per "Unita' socialista". Nel 1953 prese parte alla
fondazione del movimento di "Unita' popolare" assieme a Ferruccio Parri,
Tristano Codignola e altri. Accademico nazionale dei Lincei, direttore
dell'Istituto di diritto processuale comparato dell'Universita' di Firenze,
direttore con Carnelutti della "Rivista di diritto processuale", con Finzi,
Lessona e Paoli della rivista "Il Foro toscano" e con Alessandro Levi del
"Commentario sistematico della Costituzione italiana", nell'aprile del 1945
fondo' la rivista politico-letteraria "Il Ponte". Mori' a Firenze nel 1956".
Tra le opere di Piero Calamandrei segnaliamo particolarmente Uomini e citta'
della Resistenza, edito nel 1955 e successivamente ristampato da Laterza,
Roma-Bari 1977, poi riproposto da Linea d'ombra, Milano 1994, e nuovamente
ripubblicato da Laterza nel 2006]

La conferenza e' un'apologia della legalita'. La legalita' non e' solo un
elemento della forma mentis del giurista, o di quel tipo di giurista
(legalitario, appunto) nel quale Calamandrei si riconosceva. E' per lui un
elemento morale, che corrisponde esso stesso a un'idea di giustizia: nella
legge e nel suo rigoroso rispetto sta la giustizia dei giuristi, giudici,
avvocati, studiosi del diritto. E non perche' egli creda in un
legislatore-giusto, che e' tale perche' e in quanto da lui promanino leggi
giuste, come possono ritenere i giusnaturalisti di ogni specie; e nemmeno
perche' creda in un giusto-legislatore, dal quale, per qualche qualita' sua
propria, provengano leggi giuste per definizione, come ritengono i
giuspositivisti ideologici; ma perche' crede che la legge in se stessa, in
quanto cosa diversa dall'ordine particolare o dalla decisione caso per caso,
contenga un elemento morale di importanza tale da sopravanzare addirittura
l'ingiustizia eventuale del suo contenuto.
Questo elemento morale risiede nella forma-legge in quanto tale, cioe' nella
forma generale e astratta in forza della quale si esprime, poiche' questa e'
la "forma logica" della solidarieta' e della reciprocita' tra gli esseri
umani, su cui soltanto societa' e civilta' possono edificarsi. I toni
attraverso i quali e' tratteggiata questa concezione della legge,
tipicamente razionalista, sono particolarmente appassionati: la legge
generale e astratta "significa che il diritto non e' fatto per me o per te,
ma per tutti gli uomini che vengano domani a trovarsi nella stessa
condizione in cui io mi trovo. Questa e' la grande virtu' civilizzatrice e
educatrice del diritto, del diritto anche se inteso come pura forma,
indipendentemente dalla bonta' del suo contenuto: che esso non puo' essere
pensato se non in forma di correlazione reciproca; che esso non puo' essere
affermato in me senza esser affermato contemporaneamente in tutti i miei
simili; che esso non puo' essere offeso nel mio simile senza offendere me,
senza offendere tutti coloro che potranno essere domani i soggetti dello
stesso diritto, le vittime della stessa offesa. Nel principio della
legalita' c'e' il riconoscimento della uguale dignita' morale di tutti gli
uomini, nell'osservanza individuale della legge c'e' la garanzia della pace
e della liberta' di ognuno. Attraverso l'astrattezza della legge, della
legge fatta non per un solo caso ma per tutti i casi simili, e' dato a tutti
noi sentire nella sorte altrui la nostra stessa sorte".
*
"Indipendentemente dalla bonta' del suo contenuto", "anche quando il
contenuto della legge gli fa orrore". Queste proposizioni non possono non
colpire profondamente, sia per l'immagine ch'esse rendono del giurista e
della giurisprudenza, sia per il carattere assolutorio del servizio che i
giuristi prestino all'arbitrio che si manifesta in legge: il servizio allo
"Stato di delitto" (per usare la formula di Gustav Radbruch) che si fa
schermo delle forme dello Stato di diritto. Il giurista come puro esecutore
della forza messa in forma di legge? Non e' questa una concezione servile
del "giurista, giudice o sapiens", che riduce il coetus doctorum a "una
sorta di congregazione di evirati"?, ha domandato polemicamente. Tutto
questo sembra scandaloso - si puo' aggiungere -, soprattutto in un'epoca
nella quale la legge aveva dimostrato tutta intera la sua disponibilita' a
qualunque avventura, nelle mani di despoti e perfino di criminali comuni,
impadronitisi del potere. In Italia, non si trattava solo delle leggi che
avevano istituzionalizzato l'arbitrio poliziesco e la vocazione autoritaria
del fascismo (per esempio, il codice penale del '31, o il Testo Unico delle
leggi di p. s. del '34). Si trattava, niente di meno, delle leggi razziali
del '38, sulle quali non una parola e' spesa nella conferenza: leggi che
paiono dunque essere tacitamente comprese, nella sua argomentazione, tra
quelle cui si deve "culto a ogni costo" e ossequio, sia pure, eventualmente
"sconsolato", un ossequio dovuto, da parte dei giuristi consapevoli del
compito che e' loro proprio, come atto di "freddo e meditato eroismo".
Queste espressioni, che sono state intese come manifestazione di piaggeria
verso il regime, non si leggono oggi senza scandalo.
Ma e' proprio cosi'? Il silenzio tenuto in proposito si puo' spiegare certo
col clima d'intimidazione poliziesca del tempo. Ma non e' questo il punto
che qui interessa. Interessa piuttosto sottolineare che nella nozione
"formale" di legge, cui Calamandrei si riferiva, non potevano rientrare
leggi come quelle razziali, leggi discriminatici per antonomasia, con
riguardo alle quali non si sarebbe certo potuto parlare di reciprocita',
capacita' di valere oggi per uno e domani per l'altro, solidarieta' in una
sorte comune, virtu' educatrice e civilizzatrice: caratteristiche proprie
della legge generale e astratta cui Calamandrei si riferiva, che sono invece
puntualmente contraddette da atti in forma di legge aventi lo scopo di
spaccare la comunita' di diritto, espellendone una parte. Chi potrebbe
parlare, per quelle leggi, di reciprocita', valenza generale, solidarieta',
eccetera? L'elogio della legalita' non era dunque riferito alla pura e
semplice forma del potere che si fosse espresso nel rispetto delle vigenti
procedure per la produzione di atti d'imperio, chiamati leggi. Era rivolta a
quella legalita' che esige una determinata struttura della prescrizione: la
generalita' e l'astrattezza, alle quali soltanto si possono riferire virtu'
come la reciprocita', la solidarieta', ecc., del tutto estranee alle misure
che creano discriminazioni. Queste ultime, dunque, a ben leggere, non sono
da comprendere nell'elogio alla legalita', anche se assumono l'aspetto
esteriore della legge. (...)
*
"La scienza giuridica deve mirare soltanto a 'sapere qual e' il diritto',
non a crearlo; solo in quanto il giurista abbia coscienza di questo suo
limite e non tenti di sovrapporsi al dato positivo che trova dinanzi a se',
l'opera sua e' benefica per il diritto. Io mi immagino il giurista come un
osservatore umile e attento". La certezza del diritto e' il valore che
primariamente e' in gioco, un valore strettamente intrecciato alla sicurezza
del singolo, affinche' possa "vivere in laboriosa pace la certezza dei suoi
doveri, e con essa la sicurezza che intorno al suo focolare e intorno alla
sua coscienza la legge ha innalzato un sicuro recinto dentro il quale e'
intangibile, nei limiti della legge, la sua liberta'". Anche a questo
proposito, sarebbe facile osservare che queste parole possono sembrare
addirittura beffarde, se riferite a leggi che legittimano l'arbitrio. Delle
leggi dei regimi autoritari o, peggio ancora, totalitari, tutto si puo'
dire, ma non che esse valgano a protezione della sicurezza delle persone. Ma
la preoccupazione di Calamandrei, risultante con evidenza dalla conferenza e
da numerosi passi di altri scritti coevi, era la difesa, se non contro
l'autoritarismo o il totalitarismo, almeno contro l'arbitrarieta' del
potere. Era un'ultima e minima linea difensiva, contro quello che in altri
tempi si sarebbe detto il dispotismo, cioe' il potere capriccioso,
imprevedibile, casuale. Cosi', si spiega l'attaccamento alla legge e, per
converso, la polemica contro quello che viene definito il "diritto libero",
considerato il regno dell'arbitrio. (...)
Il "diritto libero" cui Calamandrei si riferisce e' un movimento che
"libera" la giurisprudenza dall'osservanza stretta della legge, ma allo
scopo di sottoporla a una devastante soggezione, la soggezione alle
minaccianti pressioni ideologiche e politiche dell'epoca. Gli esempi ch'egli
porta, tratti dall'esperienza sovietica e nazista, non sono quelli che ci si
aspetterebbe siano forniti da regimi politici e sociali in disfacimento, ma
sono quelli di regimi che si sono affermati con durezza e integrita'
totalitaria. Se non ci si rendesse conto di questo punto, il "chiodo fisso"
di Calamandrei - l'incubo del diritto libero - resterebbe incomprensibile.
Forse ci si avvicina al vero, osservando che il "diritto libero" che veniva
offrendosi all'attenzione degli studiosi negli anni di Calamandrei era
tutt'altro che "libero": era un diritto fortemente ideologizzato, era un
diritto che si alimentava direttamente nella "legalita' socialista" o nel
Volksgeist nazista e nei loro "valori". L'attuazione di tali valori, una
volta posta come compito dei giudici, avrebbe travolto ogni limite e
legittimato ogni azione, perche' di fronte ai valori "che devono valere" in
maniera assoluta come fini, ogni mezzo e' autorizzato. (...)
Ritorniamo, per un momento, alla "politica razziale", lo scoglio che la
conferenza, nell'elogio della legalita', evita accuratamente. Certo, abbiamo
difficolta' a vedere differenze di abiezione tra la persecuzione e lo
sterminio pianificati per legge, da un lato, o, dall'altro, lasciati
all'attivismo dei pogrom, delle azioni "spontanee" della "notte dei
cristalli", delle direttive di partito e dei suoi funzionari, assunte fuori
di ogni procedura legale in un raduno di gerarchi (la "conferenza di
Wannsee", ad esempio), diramate illegalmente e in segreto (come avvenne in
Germania e poi, dopo l'8 settembre, da noi, nella Repubblica sociale) ed
eseguite con zelo creativo anche se, talora, con improvvisazioni
controproducenti. Anzi, sotto certi aspetti, la procedura "legale" ci appare
ancor piu' ributtante perche' apparentemente "oggettiva", apparentemente
"non coinvolgente" le responsabilita' personali, apparentemente piu'
"pulita". Sotto altri aspetti, pero', pubblicizzando e burocratizzando le
procedure, almeno si evitava di mettere direttamente in movimento il
fanatismo ideologico e l'odio razziale che lo Stato etico diffonde nella
societa', facendo di ogni suo membro un organo o una vittima. Lo Stato, per
quanto criminale, evitava almeno di trasformarsi in orda. La difesa della
legalita' aveva questo estremo significato. Calamandrei, per la sua
concezione della legalita', probabilmente non avrebbe rifiutato la famosa
immagine di Eraclito delle leggi come le "mura della citta'".

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 582 del 18 settembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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