La domenica della nonviolenza. 181



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 181 del 14 settembre 2008

In questo numero:
1. Fabio Gambaro intervista Tzvetan Todorov
2. Luca Celada intervista Vandana Shiva
3. Lorenzo Ferrero: Luciano Berio

1. RIFLESSIONE. FABIO GAMBARO INTERVISTA TZVETAN TODOROV
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 12 settembre 2008 col titolo "Lo
straniero, la cultura, la legge. Intervista con Tzvetan Todorov" e il
sommario "Tzvetan Todorov e il suo nuovo saggio, appena uscito in Francia,
in cui lo studioso analizza la paura delle diversita'. E' barbarie non
riconoscere all'altro la piena appartenenza all'umanita'. La paura
dell'islam e' un sentimento dominante. Ma la paura e' cattiva consigliera".
Fabio Gambaro, nato a Milano nel 1958, e' saggista, corrispondente culturale
a Parigi per quotidiani e periodici italiani e francesi (tra cui "La
Repubblica" e "L'espresso"), traduttore in francese di rilevanti autori
italiani (tra cui Camilleri, De Luca, Jaeggy). Opere di Fabio Gambaro:
Colloquio con Edoardo Sanguineti: quarant'anni di cultura italiana
attraverso i ricordi di un poeta intellettuale, Anabasi, 1993; Invito a
conoscere la neoavanguardia, Mursia, Milano 1993; Surrealismo,
Bibliografica, 1996; Dalla parte degli editori. Interviste sul lavoro
editoriale, Unicopli, Milano 2001; L'Italie par ses ecrivains, Laura Levi,
Paris 2002.
Tzvetan Todorov, nato a Sofia nel 1939, a Parigi dal 1963. Muovendo da studi
linguistici e letterari e' andato sempre piu' lavorando su temi
antropologici e di storia della cultura e su decisive questioni morali.
Riportiamo anche il seguente brano dalla scheda dedicata a Todorov
nell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche: "Dopo i primi
lavori di critica letteraria dedicati alla poetica dei formalisti russi,
l'interesse di Todorov si allarga alla filosofia del linguaggio, disciplina
che egli concepisce come parte della semiotica o scienza del segno in
generale. In questo contesto Todorov cerca di cogliere la peculiarita' del
'simbolo' che va interpretato facendo ricorso, accanto al senso materiale
dell'enunciazione, ad un secondo senso che si colloca nell'atto
interpretativo. Ne deriva l'inscindibile unita' di simbolismo ed
ermeneutica. Con La conquista dell'America, Todorov ha intrapreso una
ricerca sulla categoria dell'"alterita'" e sul rapporto tra individui
appartenenti a culture e gruppi sociali diversi. Questo tema, che ha la sua
lontana origine psicologica nella situazione di emigrato che Todorov si
trova a vivere in Francia, trova la sua compiuta espressione in un ideale
umanistico di razionalita', moderazione e tolleranza". Tra le opere di
Tzvetan Todorov: (a cura di), I formalisti russi. Teoria della letteratura e
del metodo critico, Einaudi, Torino 1968, 1977; (a cura di, con Oswald
Ducrot), Dizionario enciclopedico delle scienze del linguaggio, Isedi,
Milano 1972; La letteratura fantastica, Garzanti, Milano 1977, 1981; Teorie
del simbolo, Garzanti, Milano 1984; La conquista dell'America. Il problema
dell'"altro", Einaudi, Torino 1984, 1992; Critica della critica, Einaudi,
Torino 1986; Simbolismo e interpretazione, Guida, Napoli 1986; Una fragile
felicita'. Saggio su Rousseau, Il Mulino, Bologna 1987, Se, Milano 2002;
(con Georges Baudot), Racconti aztechi della conquista, Einaudi, Torino
1988; Poetica della prosa, Theoria, Roma-Napoli 1989, Bompiani, Milano 1995;
Michail Bachtin. Il principio dialogico, Einaudi, Torino 1990; La deviazione
dei lumi, Tempi moderni, Napoli 1990; Noi e gli altri. La riflessione
francese sulla diversita' umana, Einaudi, Torino 1991; Di fronte
all'estremo, Garzanti, Milano 1992 (ma cfr. la seconda edizione francese,
Seuil,  Paris 1994); I generi del discorso, La Nuova Italia, Scandicci
(Firenze) 1993; Una tragedia vissuta. Scene di guerra civile, Garzanti,
Milano 1995; Le morali della storia, Einaudi, Torino 1995; Gli abusi della
memoria, Ipermedium, Napoli 1996; L'uomo spaesato. I percorsi
dell'appartenenza, Donzelli, Roma 1997; La vita comune, Pratiche, Milano
1998; Le jardin imparfait, Grasset, 1998; Elogio del quotidiano. Saggio
sulla pittura olandese del Seicento, Apeiron, 2000; Elogio dell'individuo.
Saggio sulla pittura fiamminga del Rinascimento, Apeiron, 2001; Memoria del
male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001; Il nuovo disordine
mondiale, Garzanti, Milano 2003; Benjamin Constant. La passione democratica,
Donzelli, Roma 2003; Lo spirito dell'illuminismo, Garzanti, Milano 2007; La
letteratura in pericolo, Garzanti, Milano 2008 (tra esse segnaliamo
particolarmente Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano
2001: un'opera che ci sembra fondamentale)]

"Sono uno straniero. Vivo in un paese diverso da quello in cui sono nato e
da sempre sono sensibile al problema delle differenze di cultura. La
relazione tra unicita' e diversita' e' inerente alla condizione umana, va
quindi continuamente ripensata per combattere la paura che trasforma
qualsiasi straniero in una fonte di pericolo".
Con queste premesse, Tzvetan Todorov torna ad affrontare uno dei temi che da
sempre gli sono piu' cari, quello delle relazioni tra le culture, a cui in
passato ha dedicato libri importantissimi come La conquista dell'America,
Noi e gli altri e Le morali della storia (Einaudi). In Italia esce in questi
giorni un suo vecchio saggio, Teorie del simbolo (Garzanti), e in Francia
sta per uscire La peur des barbares (Robert Laffont, pp. 310, euro 20), un
denso lavoro in cui lo studioso francese di origine bulgara - oltre a
polemizzare con Huntington e i suoi numerosi seguaci, i quali immaginano un
Occidente assediato dalla minaccia islamica - analizza e discute la paura
della diversita' che attanaglia la nostra societa'. "Oggi il problema della
relazione tra le culture e' diventato centrale", spiega Todorov. "Il
dibattito ideologico tra destra e sinistra si e' spento, lasciando spazio
alla problematica dello scontro tra le culture. La mondializzazione rimette
in discussione la tradizionale supremazia dell'Occidente, mentre le
popolazioni del pianeta comunicano tra loro molto piu' facilmente che in
passato. La rivoluzione delle comunicazioni e dei trasporti moltiplica i
contatti tra le culture. Purtroppo pero', piu' che essere considerati una
fonte di arricchimento reciproco, tali contatti vengono vissuti dal mondo
occidentale come una minaccia che genera paura. La paura dei barbari".
*
- Fabio Gambaro: Chi sarebbero i barbari?
- Tzvetan Todorov: C'e' chi pensa che la barbarie esista solo nello sguardo
di chi considera tale l'altro perche' non lo capisce. Per il mondo
occidentale, i barbari sarebbero gli stranieri, coloro che non conoscono la
nostra civilta' e la nostra cultura. Da questo punto di vista, la civilta'
coinciderebbe con la nostra tradizione culturale. Sappiamo tutti pero' che
persone che conoscevano benissimo la nostra cultura hanno potuto comportarsi
come barbari. Cio' dimostra che barbarie e civilta' non possono essere
definite attraverso l'assenza o la presenza di una cultura.
*
- Fabio Gambaro: Quindi la barbarie non esiste?
- Tzvetan Todorov: La barbarie esiste, ma per definirla, al posto di un
criterio culturale, e' bene utilizzare la nostra relazione con gli altri. E'
civilizzato chi riconosce la piena umanita' degli altri e quindi li tratta
nella stessa maniera e con la stessa attenzione che vorrebbe per se'. E' un
barbaro invece chiunque rifiuti di riconoscere agli altri la piena
appartenenza all'umanita', considerandoli inferiori o infliggendo loro
trattamenti disumani. La barbarie trascende le culture, non dipende
dall'educazione o dalle conoscenze. Non e' una categoria culturale, ma una
categoria morale. Le culture, invece, sono categorie descrittive senza alcun
valore morale. Il fatto che io parli il bulgaro e lei l'italiano non implica
alcun valore particolare ne' per me ne' per lei. Non e' nella cultura che
risiede la civilta', anche perche' nessuna cultura protegge definitivamente
dalla barbarie. Cosi', e' barbaro l'islamista che compie un attentato
terroristico, ma anche l'esercito americano che uccide i civili o tortura i
prigionieri. Purtroppo pero' larga parte dell'opinione pubblica occidentale
continua a considerare barbari coloro che non possiedono la nostra cultura.
*
- Fabio Gambaro: Soprattutto chi proviene dal mondo musulmano, nei confronti
del quale prevale un sentimento di paura...
- Tzvetan Todorov: La paura dell'islam e' oggi un sentimento dominante. Essa
e' ampiamente diffusa dai media, ma anche da opere come quelle di Oriana
Fallaci. A volte la paura resta sullo sfondo, altre volte si manifesta
apertamente, tanto che molti governi la sfruttano per governare. A
cominciare dagli Stati Uniti. Certo, gli americani hanno subito un attacco
terroristico senza precedenti, ma l'amministrazione Bush ha poi sfruttato la
paura dell'islam per mantenere la popolazione in uno stato di stupore
acritico e far accettare piu' facilmente le sue decisioni. Purtroppo la
paura e' sempre cattiva consigliera, tanto che la paura dei barbari rischia
di trasformarci in barbari, spingendoci all'intolleranza e alla guerra.
Oggi, per la prima volta nella storia delle democrazie occidentali, la
tortura e' diventata un atto lecito. E la tortura e' un atto barbarico.
*
- Fabio Gambaro: Il primo a teorizzare lo scontro tra il mondo occidentale e
quello islamico e' stato Samuel Huntington. Cosa pensa della sua tesi?
- Tzvetan Todorov: Per lui, la guerra fredda costituiva lo stato normale
delle relazioni internazionali. Quindi, sparito il blocco comunista (anche
se oggi dovremmo domandarci se il vecchio nemico sia veramente scomparso),
l'Occidente si e' trovato un nuovo nemico nel mondo islamico. Si tratta di
una visione manichea e semplicistica che considera il mondo musulmano come
un unico blocco compatto, dimenticando che le culture non sono entita' che
si tramandano come essenze platoniche. Le culture non sono blocchi
monolitici immutabili nel tempo, sono costruzioni in divenire permanente,
realta' meticce al cui interno agiscono numerose sottoculture che si
trasformano di continuo in funzione delle loro relazioni e dei contatti con
le culture esterne. Parlare di un'unica cultura islamica non ha senso.
*
- Fabio Gambaro: Dove nasce la diffidenza nei confronti del mondo musulmano?
- Tzvetan Todorov: Sono diversi da noi, non li capiamo e allora li
consideriamo barbari animati esclusivamente da intenzioni ostili. Non ho
alcuna simpatia per gli islamisti, ma e' un'assurdita' pensare che oltre un
miliardo di persone siano esclusivamente determinate dal loro Dna culturale
e religioso. Come tutti, i musulmani si comportano in base a una quantita'
di motivazioni, personali, psicologiche, politiche, sociali, ecc. In
Occidente, pero' continuiamo a immaginarci che essi siano esclusivamente
mossi dal Corano. Inoltre, non tutti i musulmani sono islamisti e non tutti
gli islamisti sono terroristi. La semplificazione nei confronti del mondo
musulmano e' profondamente ingiusta, frutto di una pigrizia mentale che si
accontenta di facili schematismi. Al manicheismo di questa percezione
occorre contrapporre la complessita' di un mondo ricco di sfumature. Occorre
sfuggire al politicamente corretto ma anche al politicamente abietto.
*
- Fabio Gambaro: E' per questo che lei cerca di articolare relativismo e
universalismo, evitando gli eccessi da entrambe le parti?
- Tzvetan Todorov: Siamo diversi, ma siamo anche tutti umani. I due termini
quindi vanno costantemente articolati. Come ci hanno insegnato gli
illuministi, dobbiamo riconoscere l'universalita' della condizione umana ma
al contempo la varieta' delle differenze culturali. C'e' chi sostiene troppo
semplicisticamente che l'illuminismo abbia segnato il trionfo dell'unita'
della civilta'. In realta', l'illuminismo riconosce l'universalita' della
civilta', ma sempre all'interno della pluralita' delle culture.
*
- Fabio Gambaro: Sul piano concreto della relazione tra le diverse
comunita', lei ipotizza una soluzione pragmatica, vale a dire che la legge
prevalga sempre sui costumi. E' cosi'?
- Tzvetan Todorov: Difendere il confronto e il dialogo tra le culture non
implica avere una visione ingenua della realta'. So benissimo che i problemi
esistono. Ma piu' che occuparsi delle identita', occorre affrontare le
situazioni specifiche. Le identita' non sono barbariche, le situazioni
invece si'. Quando, ad esempio, ci troviamo di fronte ai crimini d'onore,
all'escissione, alle punizioni fisiche, ecc., occorre fare appello alla
legge. Questi crimini riguardano spesso le minoranze musulmane, le quali, in
nome di un'interpretazione abusiva del Corano, piu' patriarcale che
musulmana, ledono i diritti delle donne. Nei confronti di tali
comportamenti, non si deve mostrare alcuna indulgenza. Per questo e'
necessario ricorrere alla legge, ma anche aiutare le minoranze a conoscere i
codici, la lingua e le regole della vita collettiva.
*
- Fabio Gambaro: Chiedere di riconoscere la legge significa imporre a tutti
un'unica cultura?
- Tzvetan Todorov: Assolutamente no. Leggi e cultura vanno separate. Anche
se in Occidente viviamo in nazioni che tendenzialmente hanno sempre fatto
coincidere lo Stato con la cultura, non credo che tutti i francesi o tutti
gli italiani abbiano la stessa cultura. Insomma, occorre accettare le
culture degli altri senza paura. Dalla pluralita', infatti, si possono
trarre grandi vantaggi. E l'identita' dell'Europa risiede proprio nella
capacita' di aver elaborato regole comuni per gestire la diversita'. Una
lezione che non bisogna mai dimenticare.

2. RIFLESSIONE. LUCA CELADA INTERVISTA VANDANA SHIVA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 settembre 2008 col titolo "Vandana
Shiva: il cibo e' democrazia" e il sottotitolo "Intervista. Parla la
scienziata indiana". L'intervista accompagna un articolo di Luca Celada su
un incontro del movimento Slow Food a San Francisco.
Luca Celada scrive sul quotidiano "Il manifesto".
Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti
istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni
Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa
dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di
riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli,
di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia
di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti
pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo,
Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino
1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze,
DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta
di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano
2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003; Le nuove guerre della
globalizzazione, Utet, Torino 2005; Il bene comune della Terra, Feltrinelli,
Milano 2006; India spezzata, Il Saggiatore, Milano 2008]

"Il successo del movimento Slow Food e' stato di saper unire molteplici
problematiche legate al cibo e all'alimentazione equa in un paradigma
unitario, capace di affrontarle in maniera politicamente propositiva. Con
Terra Madre e il congresso in Messico dell'anno scorso, Slow Food ha fatto
dell'impegno sul sud del mondo una priorita' con la filosofia di usare
un'evoluzione illuminata dei consumi nel mondo sviluppato per incidere sulle
realta' produttive del terzo mondo perche', nelle parole di Wendell Berry,
decano e antesignano del movimento, anche lui presente a San Francisco,
'mangiare e' un atto agricolo'". Vandana Shiva, scienziata indiana e
militante contro la fame, nel movimento esprime in modo forte il punto di
vista del mondo in via di sviluppo.
*
- Luca Celada: Perche' e' importante occuparsi di alimentazione?
- Vandana Shiva: La ragione per cui il cibo ha assunto un'importanza cosi'
cruciale e' che poteri enormi stanno decidendo della vita e della morte dei
contadini. Se noi abbiamo o meno diritto a cibi sani, e' diventata una
problematica centrale della democrazia. E anche se puo' essere comodo
ignorare questi fondamentali equilbri geopolitici e rinchiudersi nel proprio
orto, questo movimento dovra' sapere farsi carico diretto di queste
problematiche. Pena la perdita di efficacia come forza democratica.
*
- Luca Celada: In che senso e' centrale per la democrazia?
- Vandana Shiva: E' una tematica centrale della democrazia a partire dalla
constatazione che in quaranta paesi quest'anno ci sono state sommosse
direttamente attribuibili al controllo monopolistico esercitato sulla
produzione alimentare da una manciata di grandi comglomerati. Eventi che
hanno costretto molti governi a fare un passo indietro dalle politiche
liberiste che erano state imposte loro. E' una questione di democrazia per
gli agricoltori che non sono piu' in grado di scegliere le sementi da
piantare perche' sono legati da contratti-capestro a multinazionali come la
Monsanto, che controlla oggi il 90% dei semi geneticamente modificati e il
70% delle sementi del mondo. Quando esiste questo tipo di monopolio sul
primo anello della catena alimentare non e' possibile che ci sia liberta'
nel resto della catena. Dobbiamo influenzare governi e parlamenti ma questo
vuol dire anche far pressione sulle lobby commerciali che ne determinano le
politiche. Molto dipendera' se gli Stati Uniti sapranno e vorranno
modificare l'attuale modello di business agrolimentare che impone le proprie
norme al resto del mondo per agevolare le operazioni di mercato delle
proprie corporation. E' questa la sfida.
*
- Luca Celada: Lei critica i programmi di alimentazione delle grandi
organizzazioni mondiali. Perche'?
- Vandana Shiva: La catena del cibo risale a ritroso dalle nostre fattorie e
dai contadini il cui lavoro determina la quantita' di cibo disponibile, che
si coltivi per sussistenza o per profitto. Il modello economico decide
altresi' se i produttori di cibo possano sopravvivere o meno. La fame oggi
e' un prodotto diretto dell'imposizione ai contadini di cosa possono
coltivare, obbligandoli a vendere i raccolti per reinvestire in
fertilizzanti. Il World Food Program e' utilizzato sempre piu' da un sistema
di ingiustizia globale che usa il cibo per "l'alimentazione d'emergenza", ma
questo travisa del tutto il ruolo del cibo che non e' fatto per supplire
alle emergenze ma per l'alimentazione, la sicurezza e, si' certo, il piacere
quotidiano. E' una tragedia aver permesso di trasformarlo nello strumento di
un sistema globale che spende 700 miliardi di dollari in derrate d'emergenza
e da' altri 400 miliardi di dollari in sussidi alle corporation che
distruggono l'ambiente e creano le emergenze.
*
- Luca Celada: E l'argomento per cui passare a una economia agricola
biologica e sostenibile non potrebbe supplire al fabbisogno alimentare del
mondo? Che gli Ogm sono ormai necessari a sfamarci?
- Vandana Shiva: Io vengo da quella parte del mondo in cui la fame e'
risultato diretto proprio delle politiche di conglomerati come la Cargill e
la Archer Daniels Midland, che obbligano il nostro governo ad aprire al
mercato globale e usano i sussidi che ricevono dal governo americano per
invadere il nostro mercato con prodotti industriali Ogm di cui detengono i
brevetti. Cosi' l'invasione del cotone Ogm della Monsanto ha portato al
suicidio di oltre mille contadini indiani. E' vero che un cambiamento nelle
abitudini dei consumatori dei paesi avanzati ha un ruolo importante nel
modificare questo quadro ma piu' in generale dobbiamo ricordare che i
principi di sostenibilita' e di agricoltura secondo precetti naturali, della
localizzazione invece della globalizzazione e del rispetto dovuto al cibo,
sono diritti dovuti anche all'ultimo bambino dell'India.

3. PROFILI. LORENZO FERRERO: LUCIANO BERIO
[Dal mensile "Letture", n. 647, maggio 2008 col titolo "Luciano Berio" e il
sommario "Cinque anni fa moriva Luciano Berio. Erede di un'illustre
tradizione di cui pare il termine ultimo, e' stato al tempo stesso
innovatore radicale del linguaggio e come tale protagonista del panorama
musicale contemporaneo"]

Sono cinque anni dalla scomparsa di Luciano Berio: un tempo insufficiente
per usare il filtro della storia e abbastanza lontano per iniziare un
ragionamento svincolato dalla cronaca. Certo e' che gia' negli anni Ottanta
era considerato, non senza fastidio per alcuni colleghi, il maggior
compositore italiano della seconda meta' del Novecento, ed era circondato
dal rispetto non solo di quanti lo riconoscevano come un maestro
dell'avanguardia, insieme a Stockhausen, Nono, Maderna e Boulez (l'unico
ancora in vita), ma anche dalla nuova generazione che andava prendendo
strade diverse. Tanto e' vero che fra i suoi ultimi collaboratori-allievi
figurano autori diversissimi come Luca Francesconi, Ludovico Einaudi e
Filippo Del Corno.
Era nato il 24 ottobre 1925 a Oneglia, da una solida famiglia di musicisti.
Continuare la tradizione di famiglia, prendendo lezioni dal nonno e dal
padre, sembrava la cosa piu' naturale, e pareva inizialmente che il suo
futuro fosse il pianoforte, salvo per un incidente alla mano (nel '44), non
grave ma sufficiente a fargli perdere la speranza di competere ai massimi
livelli. Ma anche la composizione era di casa, e, secondo una tradizione
quasi ottocentesca, era tutt'uno con lo studio di uno strumento.
La composizione lo porta, nel 1946, al Conservatorio di Milano, tappa
inevitabile nella formazione di un giovane di solide ambizioni. Qui trova
due maestri di grande valore: il contrappuntista Paribeni e l'ottimo
compositore Ghedini. A entrambi, e particolarmente al secondo, tributera'
sempre un ricordo affettuoso.
*
Incontri
Non sempre le biografie spiegano le ispirazioni di fondo di un artista,
tuttavia nel nostro caso alcuni passaggi sono molto di piu' di una
coincidenza. All'insegnamento di Paribeni si puo' far risalire la concezione
fondamentalmente contrappuntistica della scrittura musicale, mentre da
Ghedini raccoglie l'eredita' di un'antica sapienza compositiva e
orchestrale, che lo portera', anche nel momento piu' furiosamente
sperimentale delle avanguardie, a rimanere "con i piedi per terra", legato
al concreto fatto musicale e strumentale. Chiunque l'abbia conosciuto
ricorda bene come nello spiegare la musica le sue mani si muovevano sempre
quasi a mimare un gesto esecutivo, perlopiu' di pianoforte o di violino.
Complementare a questi insegnamenti e' l'incontro a Tanglewood, negli Stati
Uniti, nel 1952, con Luigi Dallapiccola, il principale esponente della
dodecafonia in Italia, allora molto rispettato, ma raramente eseguito. Non
meno importante e' un fatto privato, il matrimonio, nel 1950, con la
cantante Cathy Berberian, un rapporto di fruttuosa collaborazione musicale,
a cui si devono alcune pagine considerate tuttora di riferimento. In questi
anni trova anche un grande amico, il compositore e direttore d'orchestra
Bruno Maderna, con il quale passa piu' volte ai famosi "Ferienkurse" di
Darmstadt, dove per una fortunata serie di convergenze si sviluppano le
tendenze decisive della cosiddetta avanguardia postweberniana.
Berio aveva un rispetto e una curiosita' particolari per il mondo della
cultura in generale, che lo portavano ad allargare costantemente i suoi
orizzonti ben oltre i confini musicali, traendone ispirazione per i suoi
lavori. Ricorderemo almeno tre grandi amicizie: Umberto Eco, Italo Calvino
ed Edoardo Sanguineti.
Altrettanta curiosita' aveva per qualunque forma espressiva in musica. Non a
caso fondo' nel 1955 insieme a Maderna lo Studio di fonologia musicale di
Milano, presso la Rai, che divenne un punto di riferimento per la musica
elettronica, non solo dei suoi fondatori, ma anche di Cage e di Nono. Il
nome suggeriva tra l'altro una equidistanza tra i fautori della musica
realizzata con mezzi esclusivamente elettronici (Colonia), e la cosiddetta
"musica concreta" creata a partire da registrazioni di suoni e rumori reali
(Parigi). Per diffondere le nuove tendenze musicali fondo' la rivista
"Incontri musicali" (1956) e organizzo' concerti con lo stesso nome fino al
1959. Ma certamente si distinse da molti suoi colleghi anche per l'interesse
per il jazz, e perfino per il rock, su cui negli anni Sessanta pubblico' un
saggio che rimane fra i pochi di vero interesse musicologico (trascrisse
anche Ticket to Ride dei Beatles), nonche' per la musica popolare,
testimoniato da uno dei suoi pezzi piu' famosi ed eseguiti, Folk Songs
(1964), e proseguito con un allargamento di orizzonte alla musica etnica.
Nello stesso tempo non abbandono' mai la riflessione sul passato musicale,
con omaggi diretti e indiretti (come a Bach nella Sequenza per violino
solo), e con trascrizioni e adattamenti da Bach a Brahms, da Monteverdi a
Boccherini, da De Falla a Verdi, coronate da Rendering (1989), una sorta di
restauro degli abbozzi per la decima sinfonia di Schubert, e dal nuovo
finale di Turandot di Puccini (2002), su cui torneremo.
*
La musica
Sensibile com'era alle tendenze piu' vive della cultura non poteva certo
ignorare lo strutturalismo che era il pensiero sottostante a molte tendenze
di Darmstadt. Tuttavia individua immediatamente una sua particolare strada,
non astratta, ma legata al potere comunicativo della materia musicale, per
sviluppare una tecnica compositiva basata sulla serie come successione di
intervalli musicali, anziche' come mero ordine di note. Ne deriva una sorta
di riconoscibilita' melodica, che molti, soprattutto all'estero, hanno
attribuito alle sue origini italiane, o, meno benevolmente, a una sorta di
moderatismo rispetto alle sperimentazioni piu' radicali. Ha scritto il suo
piu' acuto commentatore, David Osmond-Smith: "Il suo lavoro ha costantemente
reinventato continuita' laddove altri cercavano possibilita' di rottura".
Nel lungo percorso artistico di Berio e' possibile distinguere varie fasi, a
partire da un tuttora godibile Concertino del '49, frutto degli studi di
Conservatorio. Il tratto caratteristico degli anni '50-'60 e' una
straordinaria ricerca sperimentale, sia sul linguaggio seriale in senso
stretto (Epifanie per voce e orchestra), sia sulle piu' diverse tecniche
vocali (Sequenza III per voce femminile), strumentali (Sequenza V per
trombone solo, Circles per voce femminile, 2 arpe e 2 percussioni,
Laborintus II per ensemble), ed elettroniche (Thema. Omaggio a Joyce). A
questo periodo appartengono anche grafismi particolari e controllati spazi
di improvvisazione, mai pero' astratti da concrete finalita' musicali. Non
manca un tentativo di teatro musicale, Passaggio, su testo di Sanguineti.
Corona gli anni Sessanta Sinfonia, per otto voci e orchestra, eseguita la
prima volta da Leonard Bernstein e dalla New York Philarmonic nel 1968: un
lavoro complesso ma anche di grande impatto comunicativo, di cui resta
particolarmente impressa la citazione dell'intero Scherzo della II Sinfonia
di Mahler, accompagnato dalla lettura di testi di Levi-Strauss. Inutile dire
che un tale lavoro gli valse l'accusa di aver tradito la "vera" avanguardia,
un'accusa che vari gruppi di integralisti avrebbero piu' volte ripreso negli
anni a venire.
Gli anni Settanta sono per molti versi anni di ricapitolazione. I grafismi
piu' avventurosi vengono abbandonati e le forme si espandono (Concerto per
due pianoforti e orchestra) secondo modalita' piu' vicine, con tutte le
virgolette del caso, alla tradizione classica. Alcuni gesti della sua musica
(note ribattute, ad esempio) diventano tratti costanti e inconfondibili. Ma
la ricerca non cessa per questo, anzi si arricchisce di un'attenzione sempre
maggiore alla dimensione armonica, in diretta corrispondenza con l'uso di
forme piu' ampie. Dice ancora Osmond-Smith: "Mentre alcuni contemporanei
sembravano soddisfatti di trattare l'armonia come una semplice
sotto-categoria del tessuto musicale, Berio ritornava insistentemente alla
dimensione armonica come punto focale delle sue piu' ampie aspirazioni
musicali". Le troviamo tutte nel monumentale Coro, su testi di Pablo Neruda,
per coro e orchestra, composto fra il '76 e il '77. Di questo lungo processo
vengono raccolti i frutti nei due decenni successivi, caratterizzati da un
crescente numero di opere liriche.
Le fasi dell'evoluzione del linguaggio di Berio fin qui descritte trovano
almeno apparente smentita nel suo catalogo, dove compaiono con continuita'
titoli come Sequenza e Chemins. Un'altra costante sono i pezzi per voci sole
o accompagnate. D'altra parte le sue fasi evolutive non furono mai segnate
da rotture radicali o cambiamenti di rotta, come e' avvenuto per tanti
compositori del Novecento, da Stravinskij a Ligeti. Dalle primissime alle
ultime composizioni lo "stile Berio" rimane inconfondibile: sono semmai
alcuni dettagli a emergere maggiormente e altri a passare in secondo piano,
le forme a espandersi o a concentrarsi. Non a caso i suoi allievi di maggior
talento hanno evitato accuratamente ogni forma di epigonismo. Basti pensare
a Steve Reich o a Louis Andriessen.
Le Sequenze (nessun riferimento alla musica liturgica medievale, se non per
una certa liberta' formale e altrettanto libere simmetrie) vanno da quella
per flauto solo del 1958 a quella per violoncello del 2002. Toccano i
principali strumenti conosciuti, come il violino, il trombone, il
pianoforte, la viola, e altri particolari come la fisarmonica (1995-'96).
Tratto distintivo di ciascuna sequenza e' l'amore e il rispetto per la
storia dello strumento, le sue caratteristiche per cosi' dire idiomatiche, e
nello stesso tempo la ricerca di nuove modalita' esecutive. La Sequenza III
per voce femminile (1965-'66) ad esempio include anche emissioni inusuali,
come il sospiro, il pianto e il riso. La Sequenza per trombone (1966) chiede
allo strumentista di cantare dentro lo strumento e di soffermarsi, con un
accenno di comicita' alla Grock, sulla domanda "Why?". In altre Sequenze il
rapporto fra tradizione e innovazione e' piu' difficile da decifrare, ma e'
sempre presente e ricco di stimoli sia per l'ascoltatore che per
l'esecutore. Nello scriverle Berio lavorava sempre a stretto contatto con un
esecutore, spesso dedicatario delle stesse, mai in astratto, con una
straordinaria umilta' artigianale. Di alcune Sequenze esistono versioni
dette Chemins, in cui la parte solistica e' arricchita dalle sollecitazioni
e rifrazioni di un gruppo strumentale. Da un certo punto di vista i Chemins
sono una sorta di guida all'ascolto delle Sequenze, ai loro segreti percorsi
compositivi, che Osmond-Smith definisce "ascolto in progress".
Nel loro insieme, Sequenze e Chemins costituiscono un "unicum" che sfugge
alla categorizzazione in periodi, e un filo conduttore essenziale per
seguire l'evoluzione del suo pensiero musicale.
*
Berio americano
Dal 1960 Luciano Berio risiede in modo pressoche' permanente negli Stati
Uniti. Insegna a Tanglewood, al Mills College in California, dove eredita la
cattedra che fu di Darius Milhaud, e infine alla prestigiosa Juilliard
School di New York, dove fonda lo Juilliard Ensemble. Si risposa con la
giapponese Susan Oyama, psicologa e filosofa della scienza, che gli dara'
due figli, anche se sara' un matrimonio di breve durata.
Il soggiorno americano riveste molteplici significati. Innanzitutto
culturali, segnati da rapporti che vanno dagli esponenti dell'avanguardia, e
da allievi che saranno protagonisti del cosiddetto minimalismo, a Igor
Stravinskij, agli ambienti delle arti visive e della ricerca scientifica, in
particolare la linguistica. Segna anche uno stacco dal relativo
provincialismo italiano e dalle sue beghe, che lo porranno fuori dai piccoli
giochi politici e di corrente (come si sa il rapporto cultura-politica e'
sempre stato stretto nel nostro Paese, ma Berio poteva permettersi di vivere
il suo essere di sinistra senza dipendenze e sudditanze). Verso la fine del
periodo sono sempre piu' frequenti le visite dell'amico Pierre Boulez, in
veste soprattutto di direttore d'orchestra, che lo fara' approdare alla
testa della New York Philarmonic. Insomma oltre ad allargare i propri
orizzonti culturali in uno dei periodi piu' fertili per le avanguardie in
America, Berio consolida insieme all'amico Boulez la posizione delle
avanguardie europee negli Stati Uniti.
*
Ritorno in Europa
All'inizio degli anni '70 torna brevemente in Italia, ma presto, a partire
dal '74, si sposta a Parigi, dove sotto la guida di Boulez prende forma un
progetto di incontro fra la ricerca musicale e la ricerca scientifica,
fortemente sostenuto dal presidente Pompidou, che si chiama Ircam, acronimo
per Istituto di ricerca e coordinamento fra acustica e musica.
Si realizza in questo istituto, dotato di ampi mezzi e di attrezzati
laboratori, fra cui una sala da concerto ad acustica variabile, il sogno
delle avanguardie postbelliche di una ricerca musicale scientifica e
oggettiva, anestetizzata dalla mutevole e vulnerabile instabilita' del
soggetto e dalla sua adesione emotiva a questo o quello stimolo del
materiale musicale.
A rigore era questa piu' l'idea di Boulez che di Berio, il quale si
interessava piuttosto a un uso dell'elettronica come arricchimento
dell'acustica realizzato "in tempo reale", ovvero senza le attese legate ai
tempi di elaborazione dei computer.
Chi scrive puo' serenamente confessare l'impressione che Berio si rendesse
conto di aver fra le mani un giocattolo che il tempo aveva in qualche modo
superato. Nascevano in quegli anni, in Italia e in Germania particolarmente,
nuove correnti musicali che rifiutavano i processi "oggettivi" dettati dallo
strutturalismo e andavano rivalutando l'idea di musica come espressione e
comunicazione del soggetto, tanto che furono definiti "neoromantici". E'
forse un indizio utile il fatto che nonostante la dedizione di Berio al
"tempo reale", testimoniata dalla fondazione a Firenze nel 1987 di un centro
con lo stesso nome, sono relativamente poche le composizioni che fanno uso
dei risultati di ricerca dell'Ircam, e anzi nel corso del tempo il fulcro
del suo maggiore impegno produttivo diventera' il teatro d'opera.
Per contro Berio non dimentica la propria apertura ai piu' vari linguaggi
musicali, e, assunta la direzione artistica del Maggio musicale fiorentino
nel 1984, fara' realizzare tra l'altro una versione rock del mito di Orfeo.
*
In Italia
Nel 1977 sposa la musicologa israeliana Talia Pecker (da cui avra' due
figli), che si rivela nel tempo affidabile collaboratrice, fino a diventarne
librettista per l'ultima opera. Trova una casa a Radicondoli nel senese,
dove passa progressivamente piu' tempo, dedicandosi con tenace passione
hobbistica anche alla coltura del vino e dell'olio. Radicondoli diventa la
sede e il punto di partenza per innumerevoli incarichi e impegni anche come
direttore d'orchestra, oltre al luogo sereno per ricevere amici e comporre i
principali ultimi lavori.
*
Opere
La distanza dal mondo dell'opera, sede, quasi per definizione, della piu'
trita conservazione, ha caratterizzato l'atteggiamento iniziale di tutti i
compositori della generazione di Berio, salvo riavvicinamenti piu' o meno
tardivi e spesso isolati. La costante prospettiva era di considerare il
teatro d'opera soprattutto come sede dotata dei mezzi necessari per
realizzare uno spettacolo teatrale comunque "altro" dalla tradizione.
Tradizione che peraltro, a differenza di molti suoi colleghi, Berio
conosceva molto bene, sia per aver lavorato in teatro al tempo dei suoi
esordi, sia per cultura. A favore dell'opera agiva anche una particolare
passione per l'uso della voce umana, testimoniata da innumerevoli brani da
concerto, alcuni dei quali con un certo potenziale teatrale.
Il primo lavoro importante, Opera (che sta per plurale di opus, si noti
bene, quindi non e' ancora una resa al genere), e' frutto di una lunga
elaborazione, e di due versioni, che va dal '69 al '77. Sullo sfondo di un
libretto in tre parti alquanto eterogenee c'e' la vicenda del Titanic,
insieme a richiami alla storia di Orfeo e "Terminal" dell'Open Theater. Si
tratta di un lavoro ingiustamente poco eseguito, perche' in realta' evoca
egregiamente il mondo tradizionale dell'opera, ma fermandosi, per cosi'
dire, sulla porta. Conserva percio' tutta la freschezza di invenzione del
momento piu' vivacemente sperimentale delle avanguardie, e potrebbe ancora
trovare in un pubblico giovanile grande attenzione.
Qualche analogia di approccio ha La vera storia, del 1981, scritta per il
Teatro alla Scala. Il libretto e' di Italo Calvino e si propone di
raccontare nelle sue due parti la stessa storia in due modi diversi, uno nel
modo tradizionale del racconto operistico (con addentellati nella vicenda
del Trovatore), l'altro del tutto contemporaneo. Una sfida quasi
postmoderna, che, a dirla onestamente, Calvino raccoglie piu' dello stesso
compositore, scrivendo la prima parte in una geniale reinvenzione dei versi
e delle metriche dei libretti ottocenteschi. Berio non lo segue fino in
fondo con la musica, in modo tale che le due parti sono molto piu' simili di
quanto non lascerebbe presagire l'assunto iniziale. La seconda parte risulta
quindi piu' riuscita e congeniale alla propensione dell'autore.
Le tre grandi opere successive, Un re in ascolto, ancora su libretto di
Calvino (che ebbe motivo di polemica con Berio per il trattamento del
testo), del 1984, Outis, su libretto proprio e di Dario Del Corno, riferito
ovviamente alla vicenda di Ulisse, del 1995, e infine Cronaca del luogo, su
libretto di Talia Pecker Berio, del 1999, rappresentano un progressivo
avvicinamento ad un modo di narrare che ha sempre maggiori punti di contatto
con una tradizione che non e' tanto quella ottocentesca, quanto del
Novecento storico, con particolare riferimento a Dallapiccola. Come ha
osservato Gerhard Koch, critico della "Zeit", si puo' vedere una sorta di
parallelismo fra la vicenda di Ulisse, che per tornare a casa deve
percorrere un lungo periplo, e la vicenda compositiva di Berio, vista come
una lunga avventura per risolvere la tensione fra il passato e l'avvenire.
Chi scrive preferisce tuttavia sospendere il giudizio su questi lavori, di
cui comunque e' quasi inutile sottolineare la maestria compositiva e la
ricchezza di idee, non tanto per l'esito in se', quanto perche' sembra
prevalere lo sguardo verso il Novecento storico, senza ne' sperimentare
nuovi traguardi, ne' lasciar correre libera una vena lirica che Berio
possedeva in misura ben maggiore di quanto l'appartenenza a una certa
generazione gli permettesse osare esprimere, e che meglio traspare in lavori
piu' brevi dello stesso periodo, come per esempio Ofanim (1988-1997).
*
Gli ultimi anni
Nel 2000 viene eletto presidente e direttore artistico dell'Accademia di
Santa Cecilia. Si sta per inaugurare la nuova sede dell'orchestra, il Parco
della musica progettato da Renzo Piano (2002). Inizia per lui un lavoro
intensissimo e logorante, rivolto a creare una programmazione rinnovata e a
conquistare nuovo pubblico per la musica contemporanea. L'attivita'
compositiva non sembra risentirne, e vede anche una importante e severa
Sonata per pianoforte. L'impresa piu' straordinaria del periodo e' comunque
la riscrittura del finale di Turandot di Puccini. Come e' noto Puccini aveva
lasciato incompiuta l'opera (completata da Alfano) non solo e non tanto per
ragioni di salute, ma soprattutto perche' si interrogava insistentemente sul
finale, lasciando appunti di vario genere, anche piuttosto enigmatici, fra
cui il celebre "e poi Tristano". Come seguendo la pista di questo appunto,
Berio crea un finale aperto e sospeso, evitando ogni trionfale happy end, ma
non tradendo l'idea della capitolazione di Turandot all'amore di Calaf,
realizzata con una meditazione orchestrale che sottolinea l'abbandono della
maschera di gelo della principessa. Tutto il materiale melodico e armonico
e' sostanzialmente pucciniano, ma il colore generale porta verso una piu'
vicina modernita', in cui Berio pur nell'assoluto rispetto di Puccini non fa
nulla per nascondere la propria mano.
Resistendo eroicamente al male incurabile che lo aveva colpito, ha lavorato
fino all'ultimo, come era nel suo carattere, sempre animato da ottimistica
volonta' verso ogni nuovo progetto. Si e' spento a Roma il 27 maggio 2003 ed
e' stato sepolto a Radicondoli con un toccante discorso del vecchio amico
Umberto Eco.
*
E la storia di Turandot ebbe fine, 75 anni dopo
Musica: La musica di Luciano Berio e' edita da Universal Edition, Wien. Le
opere Outis e Cronaca del luogo sono edite da Casa Ricordi, Milano, come
anche la versione di Turandot di Puccini.
Bibliografia essenziale: Rossana Dalmonte, Luciano Berio. Intervista sulla
musica, Edizioni Laterza, Bari, 1981. David Osmond-Smith, Berio, Oxford
studies of composers, Oxford University Press, 1991. Autori vari, a cura di
Enzo Restagno, Berio, Edizioni Edt, Torino, 1995. Luciano Berio, Un ricordo
al futuro (Lezioni americane), Edizioni Einaudi, Torino, 2006.
Discografia essenziale: The great works for voice, soprano Christine
Schadeberg, Mode Records, 1995. Sequenzas, solisti Ensemble
Intercontemporain, Dgg, (3 dischi), 1998. Chamber Music, esecutori vari,
Md&G, 1998. Coro, direttore Luciano Berio, Dgg, 2002. Rendering, direttore
Riccardo Chailly, Universal Music Italia, 2004. Sinfonia, direttore Peter
Eotvos, Dgg, 2005. Finale di Turandot, direttore Riccardo Chailly, in
Puccini discoveries, Decca, 2004.
Le principali composizioni, con vari interpreti, sono presenti su ITunes
Music Store o scaricabili dal sito http://www2.deutschegrammophon.com
*
In perenne contatto con il mondo della musica
1925 Nasce a Oneglia il 24 ottobre. Prime lezioni di musica dal nonno Adolfo
e dal padre Ernesto.
1944 L'incidente alla mano interrompe le promesse di carriera come pianista.
1945 Studi al Conservatorio di Milano con Paribeni e Ghedini.
1950 Sposa la cantante Cathy Berberian.
1951 Diploma in composizione.
1952 A Tanglewood da Luigi Dallapiccola.
1953 Nasce la figlia Cristina.
1954 Fonda con Bruno Maderna lo Studio di fonologia musicale della Rai.
1956-1959 Pubblica "Incontri musicali" e fonda i concerti con lo stesso
nome.
1960 Insegna a Tanglewood.
1961 Insegna al Mills College a Oakland.
1965 Sposa Susan Oyama.
1965-1971 Insegna alla Juilliard School di New York e fonda lo Juilliard
Ensemble.
1966 Nasce la figlia Marina.
1967 Nasce il figlio Stefano.
1972 Torna in Europa.
1974-1980 Dirige la sezione elettroacustica dell'Ircam.
1975-1976 Direttore artistico dell'Accademia filarmonica romana.
1977 Sposa Talia Pecker.
1978 Nasce il figlio Daniel.
1980 Nasce il figlio Jonathan.
1984 Direttore artistico del Maggio musicale fiorentino.
1987 Fonda Tempo reale a Firenze.
1989 Premio Ernst von Siemens, Germania.
1991 Premio della Fondazione Wolf, Israele.
1993-1994 Norton Professor of Poetry, Harvard University.
1995 Leone d'oro alla Biennale di Venezia.
1996 Praemium imperiale, Giappone.
1999 Dottorato onorario, universita' di Torino e universita' di Edimburgo.
2000 Presidente dell'Accademia di Santa Cecilia e dottorato onorario
universita' di Urbino.
2003 Muore a Roma il 27 maggio.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 181 del 14 settembre 2008

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