Minime. 574



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 574 del 10 settembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Civilta' e barbarie
2. Luca Galassi: Vittime civili
3. Peppe Sini: Il giuramento
4. Maria Teresa Carbone presenta "Gli autori invisibili" di Ilide Carmignani
5. Michele Farina presenta "Il viaggio musicale dei Gitani" di Alain Weber
6. Annalice Furfari presenta "Romantica gente" di Daniela Lucatti
7. Ermanno Paccagnini presenta le "Opere italiane" di Giordano Bruno
8. Daniele Piccini presenta le "Opere" di Sylvia Plath
9. Armando Torno presenta "La religiosita' della medicina" di Giorgio
Cosmacini
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME COSE. CIVILTA' E BARBARIE

Le vittime, civili.
La guerra, barbara.
La guerra e' sempre contro l'umanita'.
*
Cessi la partecipazione italiana alla guerra terrorista e stragista in
Afghanistan.
Cessi la violazione del diritto internazionale e della legalita'
costituzionale.
Cessino le stragi di cui la guerra consiste.
La pace si costruisce con la pace, la democrazia con la democrazia.
Disarmo, smilitarizzazione dei conflitti, riconoscimento di tutti i diritti
umani a tutti gli esseri umani.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

2. AFGHANISTAN. LUCA GALASSI: VITTIME CIVILI
[Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente
articolo dell'dell'8 settembre 2008 col titolo "Afghanistan, triplicate in
un anno le vittime civili" e il sommario "La denuncia di Human Rights Watch.
Gli Usa riaprono il caso Azizabad".
Luca Galassi, giornalista impegnato per la pace e i diritti umani, e'
inviato di "PeaceReporter"]

Le vittime civili causate da bombardamenti Usa e Nato sono triplicate in
Afghanistan in un solo anno. Lo denuncia l'organizzazione per la tutela dei
diritti umani "Human Rights Watch" (Hrw), lanciando un atto d'accusa contro
le operazioni militari condotte dalla coalizione occidentale nel Paese. In
un rapporto intitolato "Truppe a contatto", l'organizzazione indica che raid
contro presunti talebani, come quello del 6 luglio 2008 nella provincia di
Nangarhar durante un matrimonio (20 morti), o quello piu' recente e
controverso del 22 agosto a Azizabad (90 morti secondo testimoni e operatori
Onu, 30 secondo i militari Usa), stanno gravemente minando il gia' esiguo
sostegno dellle popolazioni locali alla coalizione internazionale incaricata
di "ripristinare le condizioni di sicurezza" in Afghanistan, oltre a
spingere il presidente Hamid Karzai a invocare per l'ennesima volta una
revisione degli accordi che stabiliscono le regole d'ingaggio e la
cessazione di raid militari nei villaggi.
*
Dubbia efficacia
Secondo Human Rights Watch, gli attacchi in cui muore il maggior numero di
civili sono quelli compiuti durante operazioni di "rapid response", che a
differenza degli attacchi "pianificati", sono condotti senza preavviso, in
condizioni di emergenza durante le quali, ad esempio, e' necessario fornire
una risposta rapida e "efficace" alla mancanza di truppe sul terreno.
L'efficacia di tali operazioni e' pero' assai dubbia, se e' vero che -
denuncia il rapporto - l'aumento delle vittime civili e' anche determinato
dalle infiltrazioni di talebani nei villaggi, che rendono problematico, per
le "bombe intelligenti", distinguere gli obiettivi civili da quelli
"militari". In alcune circostanze, i talebani utilizzano i civili come scudi
umani per scoraggiare gli attacchi delle forze occidentali.
*
Scarsa trasparenza
Nel 2006, almeno 929 civili afgani sono stati uccisi in circostanze legate a
scontri o attacchi. Di questi, 367 sono morti durante attacchi dei miliziani
ribelli, mentre 173 sono stati vittima di raid da parte della Nato o delle
forze Usa. Almeno 119 sono deceduti in seguito ad attacchi aerei. Nel 2007,
le vittime sono state almeno 1.633. Di queste, 321 sono il risultato di "air
strikes". Le stime di Hrw sono tutte calcolate per difetto. L'organizzazione
ha criticato i comandi americani per la scarsita' di informazioni relativa
alle morti di civili, evidenziando che gli ufficiali Usa, prima di avviare
un'inchiesta su eventuali errori, negano subito ogni responsabilita',
addebitando la colpa ai talebani. Le inchieste da parte delle autorita'
Usa - sostiene sempre Hrw - sono unilaterali, lente, poco trasparenti, e
hanno spesso come conseguenza l'erosione dei rapporti con le popolazioni
locali, anziche' il loro miglioramento.
*
Cambiamenti "tecnici"?
Gli effetti degli attacchi, il cui pedaggio di morte risulta essere pesante
proprio nei casi di raid non programmati, o quando le regole di ingaggio
vengono classificate con l'ambiguo termine di "autodifesa preventiva", vanno
oltre la mera contabilita' delle vittime. Un'inchiesta del governo afgano
condotta per tre giorni dopo la distruzione di alcune case poco prima del 30
aprile 2007, ha evidenziato come numerosi civili siano in seguito fuggiti a
causa di danni alle loro abitazioni o di timori di nuovi attacchi. Stessa
cosa per gli abitanti dei villaggi vicini. Cio' ha prodotto un elevato
numero di sfollati interni. L'unica avvisaglia di un possibile cambiamento
di rotta nelle operazioni militari Nato potrebbe essere ravvisata da alcuni
modesti cambiamenti che hanno ridotto il numero dei civili uccisi da
attacchi aerei nella seconda meta' del 2007. Tra questi, l'utilizzo di armi
piu' leggere, il differimento degli attacchi in caso comprovato di pericolo
per i civili stessi, e la ricerca casa per casa affidata ai militari afgani.
*
Misure che tuttavia non mettono al riparo dall'imprevisto
E l'imprevisto e' in questo caso l'ennesima strage di civili avvenuta il 22
agosto ad Azizabad, piccolo paese nel distretto di Shindand. Gli americani,
secondo il solito copione, hanno minimizzato il numero delle vittime
(32-35), per poi veder pubblicate sul "New York Times" di ieri fotografie e
fermi immagine della strage, dopo che, a fine agosto, una squadra di
operatori delle Nazioni Unite aveva visitato il paesino e raccolto nuove
informazioni e prove che i civili uccisi erano 90, sessanta dei quali
bambini. Una visita della giornalista Carlotta Gall nell'area ha prodotto un
reportage pubblicato oggi sempre dal "New York Times" nel quale le voci
raccolte e le prove circostanziate della strage hanno avuto come conseguenza
la riapertura dell'inchiesta sull'attacco. Le foto del quotidiano Usa e i
fermi immagine ripresi dai telefoni cellulari mostrano cadaveri di civili,
fra cui molti bambini, allineati nella moschea del villaggio. Fonti
ospedaliere locali, inoltre, hanno detto al giornale che nel locale ospedale
passarono 50-60 cadaveri, fra cui quelli di donne e bambini. "Alla luce di
nuove prove su vittime civili nell'operazione contro gli insorti del 22
agosto nel distretto di Shindand, provincia di Herat, ritengo sia prudente
richiedere che il Comando centrale invii un alto ufficiale per rivedere
l'inchiesta Usa e le sue risultanze", ha detto il generale David McKiernan,
aggiungendo che "il popolo dell'Afghanistan ha il nostro impegno ad arrivare
alla verita'". Quante verita' si nascondono negli attacchi Nato-Isaf-Usa,
all'oscuro di giornalisti, macchine fotografiche e telefoni cellulari?

3. LE ULTIME COSE. PEPPE SINI: IL GIURAMENTO

Primi cittadini e ministri non riescono a trattenersi dal riaffermare la
loro nostalgia per un regime incompatibile con l'ordinamento giuridico cui
hanno giurato fedelta'.
Hanno giurato fedelta' a una Costituzione della Repubblica Italiana
democratica ed antifascista, nata dalla Resistenza. Una Costituzione che
nella XII delle sue "Disposizioni transitorie e finali" vieta il fascismo
sotto qualsiasi forma.
E' per quel giuramento che possono occupare le cariche di primi cittadini e
di ministri.
Hanno giurato fedelta', e con le loro parole quella fedelta' rivelano essere
falsa.
In un paese civile sarebbero costretti alle dimissioni, o verrebbero
rimossi.
In un paese civile non si potrebbe impunemente far l'apologia del crimine.
In un paese civile.

4. LIBRI. MARIA TERESA CARBONE PRESENTA "GLI AUTORI INVISIBILI" DI ILIDE
CARMIGNANI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 luglio 2008 col titolo "Traduzione.
Ritratto a piu' voci di un mestiere umile e orgoglioso]

Ilide Carmignani, Gli autori invisibili, Besa, 2008, pp. 179, euro 14.
*
"Non e' necessario conoscere una lingua per tradurla, perche' si traduce
soltanto per persone che non la conoscono" scrisse Diderot nei Gioielli
indiscreti. Sentenza scopertamente ironica (soprattutto da parte di chi,
come Diderot, al tradurre dedico' non poco tempo ed energie), ma indicativa
dell'atteggiamento ambivalente con cui piu' di due secoli fa, e ancora oggi,
si guarda alla traduzione: attivita' al tempo stesso indispensabile e
forzatamente "subalterna", cosi' che il traduttore finisce per diventare
agli occhi degli altri (e anche ai suoi) "una bestia un po' particolare, una
persona molto disposta all'ascolto, a restare nell'ombra, dotata di grande
umilta' e devozione, forse anche di masochismo, ma anche di un'enorme
curiosita'... perfino di un luciferino orgoglio". A parlare e' Renata
Colorni (curatrice dell'edizione italiana delle opere di Freud, responsabile
dei Meridiani di Mondadori, e traduttrice di una schiera di scrittori, da
Canetti a Schnitzler) in un bel volume di Ilide Carmignani, Gli autori
invisibili, che raccoglie una serie di interviste ai piu' importanti
traduttori italiani.
Sono loro, naturalmente, gli "autori invisibili" cui fa riferimento il
titolo, che riecheggia quello di un fortunato ciclo di incontri organizzato
da Carmignani - lei stessa traduttrice (di autori come Borges o GarcÌa
Marquez) - in diverse edizioni della Fiera del Libro di Torino. Un titolo
sottilmente provocatorio nel ribadire l'autorialita' dei traduttori (che
tuttavia, in non pochi casi, la rifiutano: "Il traduttore, e' lampante, non
puo' sostituirsi all'autore" afferma la slavista Serena Vitale, voce
italiana della Cvetaeva e di Mandel'stam) e nel sottolineare una condizione
di invisibilita', insieme subita - quando, come accade troppo spesso, il
nome del traduttore non viene neppure citato - e rivendicata. Tradurre,
osserva infatti Delfina Vezzoli, "e' un massacro, ma non ti mette in gioco
in prima persona". E sul filo di questa continua contraddizione si dipanano
gli interventi della raccolta, sfaccettato ritratto di un mestiere molto
antico e molto contemporaneo, al cui interno - nota Ernesto Ferrero
nell'introduzione - si ritrovano tuttavia note costanti: "una sorridente
autoironia, la passione intransigente per il lavoro ben fatto, quella sorta
di mistica del perfezionismo che puo' spingere il traduttore-accordatore a
passare ore per trovare la nota giusta".

5. LIBRI. MICHELE FARINA PRESENTA "IL VIAGGIO MUSICALE DEI GITANI" DI ALAIN
WEBER
[Dal "Corriere della sera" del 5 settembre 2008 col titolo "Gitani, mille
anni al suono del violino" e il sommario "Civilta'. La storia straordinaria
della musica tzigana, dall'invenzione del flamenco alle danze ungheresi.
Senza patria, ma con una tradizione che ha influenzato Debussy"]

"Il buon re persiano Bahram, commosso dai sudditi che reclamavano musica
alla maniera dei ricchi, ottenne dal suocero che viveva nell'alta valle del
Gange l'invio di 12.000 musici. Il re diede loro di che vivere coltivando la
terra: un asino, un bue e mille carichi di grano ciascuno. Ma un anno dopo
se li vide ricomparire ridotti alla fame, perche' si erano accontentati di
mangiare i buoi e il grano. Irritato, il sovrano consiglio' loro di mettere
corde di seta agli strumenti, saltare sugli asini e andarsene a vivere della
loro musica". Questa leggenda iraniana del X secolo - spiega Alain Weber nel
suo Viaggio musicale dei Gitani (Ricordi editore) - favolosamente narra le
circostanze di quella che potrebbe essere stata la prima tappa dell'esodo
Rom dall'India all'Occidente. Un esodo lento ed errabondo cominciato prima
dell'anno Mille, che spingera' "la tribu' profetica dalle pupille ardenti"
(Baudelaire) a disseminarsi e a seminare tra il Mediterraneo e l'Europa le
note "contaminate" della sua cultura meticcia.
Non hanno lasciato libri e filosofie ma un ibrido universo di suoni, danze,
acrobazie, incantesimi buoni per addomesticare il cobra reale e a volte gli
esseri umani, il mondo degli stanziali spesso diffidenti verso questa gente
straniera girovaga e scura ("Quando Dio creo' lo Tzigano, lo mise su una
tavola al sole e il sole brillo' a lungo"). Una "scia di seduzioni": Weber
dipinge i Rom come "precursori dei fenomeni di fusione musicale, dal jazz
alla world music". Da Debussy in estasi per il violinista zingaro del Caffe'
Ungheria alla chitarra di Django Reinhardt ai ritmi di Goran Bregovic. Dal
jazz manouche ai 400 gruppi che suonano ogni estate al festival serbo di
Guca (300.000 spettatori) dedicato alla tromba e alle fanfare. Dai motivi
Gondhali dell'India centrale all'Andalusia del gitano Tio Luis, classe 1715,
il primo cantore conosciuto di flamenco.
Flamenco da "flama", fiamma. "Fusion" come combustione di tradizione e
improvvisazione, locale ed esotico. I Rom popolo "glocal" ante litteram? Li
chiamiamo gitani, tzigani, zingari, gipsy, bohemien: in mille anni i Rom
hanno avuto tanti nomi e nessuna patria. Kowli per i persiani (da kabuli,
originario di Kabul), nel Nord dell'India sono accomunati alle khanabadosh,
le caste erranti. Rom deriverebbe da Dom (in origine "tamburo"), casta di
Intoccabili dedita alla fucina ("come il diavolo"), alla musica e alla
tessitura. Suonatori e fabbri in una babele di sottogruppi: Bansphor
(fabbricanti di impalcature di bambu') e Hatyara (cacciatori di cani
feroci), cordai, tamburinai e Bahuroopia (da bahu, molti), attori di strada
che interpretavano piu' personaggi simultaneamente. Erano Dom i responsabili
della cremazione dei defunti sul Gange, come pure la sottocasta dei boia
Jallad.
Una ricchezza di radici per un mondo che oggi rischia di restare
francobollato da una parte all'immagine negativa dei "campi Rom", dall'altra
al "gitano" come etichetta di un certo "etnico" di massa. Insomma,
marginalita' sociale nelle periferie italiane e danza del ventre per turisti
nei cabaret di Istanbul, cronaca nera e il flamenco di Joaquin Cortes. Sullo
sfondo di desolanti cliche', il libro di Weber (promosso dalla seconda
edizione del festival "MiTo Settembre Musica", in corso a Milano e Torino)
rida' colore e profondita' all'epopea tragica e irridente di un popolo "il
cui unico destino fu il viaggio".
Non esodo compatto e mirato, piuttosto una disseminazione (a piccoli gruppi)
che in mille anni ha sparso tracce dal Gange all'Andalusia, da Luxor al
Danubio. Ecco le danzatrici egiziane ghawazi' con il profondo decollete' e
la cintura dorata che gia' incantarono il ventottenne Flaubert: "Il loro
modo di girare su se stesse colpendo con il piede la superficie del
bancone - spiega Weber - non puo' non richiamare le giravolte della danza
kalbelia' del Rajasthan, o lo schiocco di talloni del flamenco". Tre
ballerine ai tre angoli del mondo, la stessa matrice. "La maggior parte
degli artisti popolari tradizionali del mondo arabo, mediterraneo e
balcanico sono Rom". Sono i gitani a comporre le orchestre militari turche
che percorrono l'Europa dell'Est dal XVI secolo e che finiscono per
propiziare l'emergere delle fanfare contadine. In Romania a inizio '900 si
conoscevano 50 gruppi Rom: dai Kalderash (stagnini) agli Ursarii
(ammaestratori di orsi riconvertiti all'intaglio di pettini in corno). Vi
brillano i Lautari, virtuosi del liuto e del violino, affrancati dalla
condizione di musici schiavi a partire dal '700. E' alla fine di questo
secolo che si sposta in Russia la "tziganomania". Ogni principe ha il suo
complesso. Con la Rivoluzione d'Ottobre gli tzigani scappano in seguito alla
proibizione bolscevica del nomadismo (e alla fine dell'aristocrazia), prima
che in Germania le leggi coercitive della Repubblica di Weimar facciano da
preludio alla follia nazista (oltre 200.000 Rom sterminati nei lager). In
quegli anni il celebre violinista Jean Gulesco aveva gia' chiuso il suo
straordinario vagabondare: dal palazzo dello zar Nicola II a Berlino, da
Istanbul alla Parigi dei cento cabaret come il Montechristo e lo
Sheherazade.
Oggi quasi tutti i Rom sono ancorati in qualche luogo. Adesso sono loro gli
stanziali, mentre noi giriamo low-cost. Al nostro mondo globale e' riuscito
quello che non riusci' a Maria Teresa d'Austria, quando nella seconda meta'
del '700 tento' di imporre agli tzigani fissa dimora in Ungheria: "Potranno
far musica solo quando non avranno da fare nei campi". Figurarsi. Come per i
12.000 musici alla corte del re persiano Bahram, nel vecchio mondo vivere
per i Rom era spostarsi, asini e musica, era la maledizione che un'antica
maga lancio' a Tchen, figlio di un capotribu' sulla riva del Gange: "Tu e la
tua gente non berrete mai due volte dallo stesso pozzo".

6. LIBRI. ANNALICE FURFARI PRESENTA "ROMANTICA GENTE" DI DANIELA LUCATTI
[Da "Scripta manent", anno II, n. 13, settembre 2008
(www.bottegascriptamanent.it) col titolo "Un popolo forte ed enigmatico in
lotta per la vita" e il sommario "Chi sono veramente i rom? Il diario edito
da Magi svela la vera identita' di una popolazione umiliata, bistrattata e
dalle tradizioni incomprese"]

Un popolo senza patria, dalle origini avvolte nel mistero, che mantiene un
senso estremo dell'unita' e un grande rispetto delle tradizioni. Sono questi
gli elementi che contraddistinguono la peculiare identita' dei rom, i quali
affollano i paesi europei da tempi immemorabili ma continuano, ancora oggi,
a subire pregiudizi che alimentano il disprezzo e in alcuni casi addirittura
l'odio degli autoctoni. Ecco, allora, che emerge la necessita' urgente di
fare chiarezza e gettare luce su un mondo troppo spesso misconosciuto e
frainteso, in modo tale da favorire il rispetto reciproco e l'integrazione.
E' proprio questo l'ambizioso obiettivo del libro scritto da Daniela
Lucatti, Romantica gente (Edizioni Magi, pp. 140, euro 12). Si tratta di un
prodotto letterario dalle caratteristiche inconsuete, dato che non assume la
forma tradizionale del romanzo e neppure quella del saggio. Si presenta,
invece, come un diario, grazie al quale l'autrice, una psicologa, rievoca e
ricostruisce i momenti salienti del suo lavoro come referente presso il
Centro informazione e consulenza cittadini extracomunitari e rom del comune
di Pisa, sua citta' natale. E' nel corso di questa importantissima
esperienza lavorativa che l'autrice entra per la prima volta in contatto
ravvicinato con la comunita' di etnia rom e impara a conoscerne la cultura,
le tradizioni, le abitudini, i difetti e gli straordinari pregi. Il suo
contributo letterario e' pregnante, proprio perche' nasce dall'esperienza
diretta sul campo, maturata giorno dopo giorno e a prezzo di notevoli
difficolta' per ben undici anni, contrassegnati dalla soddisfazione di avere
fatto tutto il possibile per migliorare le condizioni di vita di chi stenta
a essere riconosciuto e accettato.
*
Chi sono realmente i rom?
Per sradicare il pregiudizio e il sospetto dal nostro cuore e' fondamentale,
innanzitutto, conoscere e comprendere l'identita' di coloro che siamo
abituati a tacciare sbrigativamente come "diversi". La confusione e
l'ignoranza sono accresciute dalla mancanza di libri scritti dai membri di
questa popolazione, testi che ci raccontino il loro universo, le loro
individualita' e le loro storie. Cio' accade perche' quella romani' e' una
cultura prettamente orale, che solo negli ultimi anni sta assistendo a
qualche rara eccezione. Inoltre, i rom dislocati in Occidente sono
generalmente frequentati soltanto da operatori pubblici e del privato
sociale, i quali danno loro assistenza, o da rappresentanti di confessioni
religiose disparate, che tentano di fare proselitismo, per non parlare dei
molteplici criminali che se ne servono facendo leva sulla poverta' per i
loro sporchi traffici. Questa situazione non produce altro effetto se non
quello di incoraggiare i sentimenti di timore, preconcetto e razzismo,
ulteriormente accresciuti dai piu' recenti casi di cronaca nera, che hanno
ricoperto i rom di pubblicita' negativa. Ma non si puo' certo fare di tutta
l'erba un fascio. Tocca, dunque, chiederci chi siano realmente gli
appartenenti al popolo romani'. In primo luogo, dobbiamo chiarire che "rom"
significa "uomo" e che con questo termine si fa riferimento a coloro che
appartengono alle comunita' di lingua e cultura romanes, giunte per la prima
volta in Europa all'inizio del XV secolo. Si tratta di una popolazione
indoariana, costituita da cinque grandi gruppi: rom, sinti, manouches,
romanichals e kale'. Ciascun raggruppamento e' costituito da numerosi
sottogruppi contrassegnati da caratteristiche economiche, etiche,
linguistiche e socioculturali particolari, sebbene vi sia comunque
un'omogeneita' sostanziale. In tutto il mondo si contano circa dodici
milioni di individui (otto milioni circa in Europa e quasi centoventimila
nel nostro paese, di cui l'ottanta per cento di antico insediamento e con
cittadinanza italiana). Essi rappresentano una nazione senza stato e senza
territorio e sulle motivazioni del loro esodo esistono solo supposizioni non
suffragate da dati di fatto. Si crede provengano dalle regioni a Nord-Ovest
dell'India (Pakistan, Punjab, Rajasthan, Valle del Sindh) e pare che abbiano
intrapreso un percorso storico comune (inizialmente raggiungono l'Armenia,
l'impero bizantino e la Persia, per poi distribuirsi nei paesi europei e
infine allontanarsi ulteriormente a causa delle deportazioni nelle colonie
delle potenze europee in Africa, America e Australia).
Il termine con il quale gli occidentali staziali usano definire le
popolazioni romanes e' "zingari", che deriva forse dal nome di origine
orientale di una setta eretica, quella degli athingani, che, a partire
dall'VIII secolo, si introdussero nell'impero bizantino. L'accezione
fortemente negativa del termine "zingari" deriva proprio dalla cattiva fama
di cui questa setta, confusa con la comunita' romani', godeva, essendo
dedita all'arte della magia. Un altro nome con il quale vengono designati i
rom e' "nomadi", anche quando questi sono stanziati nel territorio da
secoli. Dobbiamo, inoltre, tenere in considerazione che la continua
mobilita' che ha caratterizzato la popolazione romani' in Europa e nel mondo
non e' stata il frutto di una scelta culturale, bensi' la conseguenza di
politiche inospitali e repressive (basti pensare alla persecuzione di cui fu
fatta oggetto dai nazisti), di cui la creazione dei campi nomadi costituisce
solo l'ultimo baluardo. In questi luoghi, infatti, si e' determinata una
vera e propria situazione di segregazione razziale, una ghettizzazione che
spinge i rom al degrado sociale e culturale e all'impossibilita'
dell'integrazione, se non a prezzo di un'assimilazione forzata che produce
l'annientamento della propria peculiare identita'.
*
Storie toccanti di uomini e donne che lottano per un futuro migliore
Il diario scritto dalla Lucatti tratteggia, attraverso la ricostruzione dei
giorni di servizio, vite umane autentiche che non vogliono arrendersi
all'apartheid a cui sono costrette e che, giorno dopo giorno, tentano di
costruire per se stessi, e in particolare per i propri figli, un futuro piu'
roseo, improntato all'integrazione e al multiculturalismo.
Vi e' Argia, dai capelli brizzolati legati a coda di cavallo e l'andatura
tipicamente maschile, donna che incute un senso di rispetto profondo, come
se fosse un'anziana, pur non essendolo realmente. Sara' per il colore dei
capelli o per il viso provato, ma soprattutto per la sua straordinaria
saggezza, che le consente di fronteggiare con estrema determinazione anche
le difficolta' piu' ardue. Argia si reca al Centro informazione e consulenza
cittadini extracomunitari e rom per poter riavere la sua casa, una stanza
nel cimitero, da cui e' stata mandata via, costretta a vivere in una
precaria roulotte infestata da "creature minacciose".
Poi c'e' Nariba, la quale non vuole che i suoi figli vengano inseriti nella
lista dei bambini rom, perche' "non sono 'zingheri' come quelli del campo".
La donna e' disposta a rinunciare agli aiuti previsti per coloro che ne
fanno parte, purche' le sue creature non diventino oggetto del dileggio, del
disprezzo e del pregiudizio razzista dei compagni di scuola e dei borbottii
infastiditi e intolleranti dei loro genitori. Malgrado un marito sfaccendato
e una vita ben al di sotto delle aspettative di gioventu', Nariba si fa in
quattro per garantire ai suoi bambini un'esistenza serena e dignitosa e per
fare in modo che non nutrano complessi di inferiorita' nei confronti dei
loro coetanei.
Il dramma di Lukia e', invece, determinato dal fatto che in un periodo di
grandi difficolta' le e' stato sottratto il figlio, rinchiuso in un istituto
per minori. Da mesi non vede il suo bambino e non le e' neppure consentito
di parlargli per telefono. Nonostante un marito violento e innumerevoli
sacrifici, la donna non si arrende e lotta disperatamente per il bene piu'
prezioso della sua esistenza.
Trascorsi "i primi tempi di studio reciproco e di estraneita' nei quali
viene mantenuta una certa distanza valutativa", si creano splendidi rapporti
di vicinanza emotiva e confidenza tra l'autrice e queste donne tormentate,
eppure cosi' "piacevoli e intelligenti". E' Lucatti stessa a raccontarci,
non senza una punta di malinconia e commozione, quanto sia importante, anche
nell'ambito lavorativo, instaurare relazioni autentiche, improntate alla
reciproca comprensione. Ci svela, infatti: "Parlare con le donne straniere
e' una cosa che ogni volta mi fa sentire piu' ricca e le rom in particolare
mi lasciano dentro un senso strano, quasi un antidepressivo. Nonostante il
dolore che riescono a trasmettere, mantengono sempre qualcosa di
estremamente vitale che si attacca addosso a chi si permette di lasciarlo
entrare, non ponendo nel mezzo il muro del pregiudizio". E ancora: "Nei
momenti di piu' acuta tristezza incontrarli mi calma, mi restituisce un
senso. Sento che nonostante tutti gli sforzi che fanno per riuscire ad
assicurarsi la sopravvivenza non sopravvivono ma vivono comunque e a
qualsiasi costo. Come se non perdessero mai, anche nel dolore piu' grande,
questo senso del vivere nel quale riescono a includere tutto senza lasciarsi
portare via".
*
Romantica gente umiliata per il colore della pelle e l'aspetto dimesso
Il rapporto speciale e simbiotico con le sue "donne rom" fa emergere
nell'animo sensibile della scrittrice un profondo senso di colpa e di
vergogna per la cultura a cui appartiene, la quale costringe i "diversi" a
una vita che non e' degna di essere definita tale, caratterizzata da
ingiustizie, disparita' di trattamento, umiliazioni e torti, "giustificati"
unicamente dall'appartenenza a un'etnia differente.
La forma del diario scritto in prima persona mette in evidenza i sentimenti
e le emozioni provati dall'autrice del libro nei suoi undici anni di lavoro
entusiasta presso il Centro, durante le innumerevoli battaglie (alcune perse
con onore, molte altre vinte con soddisfazione) condotte fianco a fianco a
questa umanita' bistrattata e, nonostante cio', mai fiaccata del tutto. E'
proprio questa carica di straordinaria empatia, che filtra da ogni pagina di
Romantica gente, a costituire il principale punto di forza e di attrattiva
di un libro, scritto in uno stile semplice, asciutto e diretto, che si
propone l'intento di instillare nelle menti dei lettori il concetto che
professionalita' significa anche umanita' e compartecipazione e,
soprattutto, lo scopo di contribuire a condurre i rom fuori dai campi,
"intesi simbolicamente come recinti pregiudiziali all'interno dei quali sono
collocati". Speriamo davvero che l'obiettivo venga centrato.

7. LIBRI. ERMANNO PACCAGNINI PRESENTA LE "OPERE ITALIANE" DI GIORDANO BRUNO
[Dal mensile "Letture", n. 601, novembre 2003, col titolo "Bruno
'riabilitato' da una bella edizione"]

Giordano Bruno, Opere italiane, Utet, 2003, vol. I di pp. 752, euro 67; vol.
II di pp. 910, euro 73.
*
Non e' detto che le polemiche siano necessariamente controproducenti. Non lo
sono certo state nel caso di Giordano Bruno e dell'edizione mondadoriana dei
Dialoghi (2000) curata da Michele Ciliberto, a proposito della quale
Giovanni Aquilecchia, il massimo filologo in materia di studi e testi
bruniani, parlo' ironicamente di "cura (o sinecura?)". Non e' qui il caso di
recuperare gli estremi di quella polemica. Semmai di sottolinearne le
conseguenze in materia di edizioni, perche' la miglior conseguenza possibile
e' proprio la presente edizione delle Opere italiane che per la prima volta
propone, insieme, la commedia Candelaio e i sei dialoghi filosofici, sotto
il coordinamento di Nuccio Ordine, gia' direttore dell'edizione delle
Oeuvres per la prestigiosa collana delle Belles Lettres e qui anche autore
della corposa introduzione (190 pagine), e, quanto ai testi critici, quelli
appunto stabiliti da Aquilecchia in questa coedizione Utet - Belles Lettres.
Sono molte le ragioni per cui la presente edizione si raccomanda. Per
l'edizione in se', dunque: che rispetto alla Belles Lettres introduce nel
testo critico adottato correzioni e aggiustamenti apportati dallo stesso
Aquilecchia in uno dei suoi ultimi interventi alla vigilia della morte
(2001), rendendola la piu' aggiornata. Quindi, per un ricco apparato di
commenti a pie' di pagina, che riprendono integralmente quelli approntati
per l'edizione francese, e firmati dai maggiori specialisti in varie
discipline: oltre ad Aquilecchia, compaiono Nicola Badaloni, Barberi
Squarotti, Maria Pia Ellero, Miguel Angel Granada, Jean Seidengart.
Infine, oltre naturalmente ai consueti apparati di indici analitici, per la
ricca sezione appendicistica che chiude il secondo volume. Qui si hanno
infatti un saggio sulla storia dell'iconografia bruniana di Lars Berggren,
una Tavola delle costellazioni (compresi i disegni di Durer) con relativi
vizi e virtu' e Le quattro figure congetturali dallo Spaccio, un
interessante Incipitario, Tavola metrica e rimario di tutti i componimenti
in versi che figurano nelle varie opere e, a corollario, un approfondito
studio di Donato Mansueto Sulle fonti emblematiche degli "Eroici furori"
(ovviamente con riproduzioni delle varie iconografie ed emblemi).

8. LIBRI. DANIELE PICCINI PRESENTA LE "OPERE" DI SYLVIA PLATH
[Dal mensile "Letture", n. 592, dicembre 2002, col titolo "Sylvia Plath:
parabola breve e densissima"]

Sylvia Plath, Opere, Mondadori, 2002, pp. CLXVIII + 1832, euro 49.
*
Fra le molte lotte ingaggiate nella sua breve vita da Sylvia Plath una fu
quella, tutta tecnica e fabbrile, interna al suo verso. Leggendo le sue
poesie in ordine cronologico, come ora il "Meridiano" a cura di Anna Ravano
permette di fare (224 poesie piu' 12 giovanili, accompagnate dal romanzo La
campana di vetro, dai racconti e da spezzoni dei diari), si percepisce una
sorta di progressivo liberamento dalla cappa di una formalizzazione
ingessata e obbligante. A poco a poco il verso, anche allungandosi e
debordando oltre la misura del rigo, reinventa e riplasma dall'interno lo
spazio metrico, fluendo in maniera libera e disancorata.
Si puo' dire che Sylvia abbia deciso da sempre di essere poeta e che un poco
per volta lo sia diventata per davvero. Certo le tocco' la grazia, in un
certo numero di pezzi, di raggiungere una folgorante pienezza. Di solito si
tratta delle poesie in cui la sapienza costruttiva si mette al servizio di
una magmatica intensita', quelle in cui la prepotenza e la naturalezza
sinuosa delle immagini scorrono come da una fonte segreta. Si potrebbe
individuare questa scaturigine nella disponibilita' a lasciarsi ferire,
nella fragilita'? Forse si', se si pone mente ad alcuni dati della biografia
della poetessa.
Nata nei dintorni di Boston nel 1932, la Plath perde il padre quando ha
appena otto anni. Gliene deriva una specie di estremo bisogno di
rassicurazione, via via riversato nella costruzione della propria immagine
di studentessa modello e di scrittrice. Inevitabili le ricadute di
incertezza, come quella che provoca il tentato suicidio del 1953. Ma e'
certo che il punto saldo da lei cercato, fu trovato da Sylvia nella persona
maestosa di Ted Hughes, conosciuto nel 1956. La Plath, allora, era a
Cambridge, con una borsa di studio. Iniziera', insieme al rapporto a due con
il poeta, presto sfociato nel matrimonio, il momento piu' energico e fertile
della sua produzione. Dividendosi principalmente tra Stati Uniti e
Inghilterra, Sylvia scrive come seguendo la dettatura di un'antica forza
sepolta in lei. Poesie come Point Shirley, Svegliarsi in inverno, Donna
sterile, Sono verticale, Specchio, composte fra il 1959 e il 1961, mettono
in scena una specie di dramma cosmico sottilmente interiorizzato ("Questa
notte, sotto l'infinitesima luce delle stelle, / alberi e fiori vanno
spargendo i loro freschi profumi. / Cammino in mezzo a loro, ma nessuno mi
nota", da Sono verticale).
C'e' una possibile armonia tra se stessa e le cose che la poetessa avverte
come sempre insidiata, eppure come inderogabile. In questa struggente
aspirazione e' forse il germe profondo della sua arte: consegnata a una
parabola breve e densissima, chiusa da quel suicidio, l'11 febbraio del
1963, prima dell'alba.

9. LIBRI. ARMANDO TORNO PRESENTA "LA RELIGIOSITA' DELLA MEDICINA" DI GIORGIO
COSMACINI
[Dal "Corriere della sera" del 16 novembre 2007 col titolo "L'excursus di
Giorgio Cosmacini. Scienza e fede nella medicina"]

Le prime forme conosciute di terapia furono religiose. Anche gli antichi
egizi, che avevano un medico per l'occhio destro e uno per quello sinistro,
praticavano cure permeate di teologia. In Grecia e' Asclepio, figlio di
Apollo, il dio che guarisce: i suoi sacerdoti sono semplici emissari. I
malati vengono ricevuti e trattati seguendo precisi riti, dei quali il
serpente e il gallo sono i simboli. E anche oggi molti sperano piu' nei
miracoli che non nei medici.
Giorgio Cosmacini ha ora affrontato l'argomento (e i suoi interessanti
dintorni) in un accattivante saggio: La religiosita' della medicina.
Dall'antichita' a oggi (Laterza, pp. 214, euro 18). In esso cristianesimo,
ebraismo, islamismo e anche l'atteggiamento agnostico e ateo si confrontano
con i rimedi che l'uomo ha scoperto nei secoli. Il titolo del libro richiama
alla mente una piccola opera dell'epicureo Thomas Browne, Religio medici,
pubblicata a Londra nel 1642. In essa l'autore, che si era ritirato in uno
sperduto paesello dello Yorkshire, anticipava di una ventina d'anni la
pubblicistica inglese - che causo' una rivoluzione paragonabile a quella in
politica legata al nome di Cromwell - sull'anatomo-fisiologia del fegato,
del cervello, del cuore, del trattamento delle febbri, nonche' buona parte
di quel che oggi consideriamo una condotta laica dinanzi alla malattia.
Cosmacini offre storie e profili che vanno dai curatori ebrei ai grandi
trattati arabi, via via risalendo le epoche sino alla Bibbia: in ogni secolo
la bonta' di Dio e la sapienza del curatore sembrano dividersi il soccorso
al malato. Del resto la parola "medico" compare nel libro del profeta
Geremia (e' rofe' in 8, 22), ma essa si puo' trovare gia' nella prima parte
della cosiddetta rivelazione greca, di poco anteriore al testo profetico:
l'Iliade. Il termine ieter, riferito a Macaone, si legge nel IV libro (v.
194). Ma e' altresi' vero che la lingua greca confessa un rapporto che si
perde nella notte dei tempi, mostrando l'intimo legame tra medicina e
religione: isotheos, ovvero simile a Dio: e' il medico guaritore. La
dimensione religiosa e quella strettamente scientifica non riescono a
distinguersi nemmeno con Paracelso, in pieno XVI secolo: egli brucia sulla
pubblica piazza i testi di Ippocrate e Galeno, considerati obsoleti, ma le
sue cure risentono sovente di concezioni alchemiche. Ci vorra' ancora
qualche anno per consentire a William Harvey di scrivere il De motu cordis
et sanguinis e dare inizio alla desacralizzazione del sangue.
Gli esempi si moltiplicano se si getta lo sguardo nei rapporti tra progresso
delle cure e cristianesimo, dove gli scontri non mancano. Come provano, per
esempio, i problemi sollevati dall'innesto del vaiolo nel XVIII secolo. Si
parlo' di imponderabile salto nel buio, di diavolerie barbare, di
peccaminoso vulnus. La pratica, prima di evolversi nella inoculazione di
"pus vaccino" attuata nel 1798 dal naturalista inglese Edward Jenner,
divento' un problema che, come sottolinea Cosmacini, "non solo richiedeva un
netto pronunciamento tra scienza e religione ma che, soprattutto, costituiva
un momento di confronto con le correnti piu' avanzate della cultura
illuministica". Papa Benedetto XIV, al secolo Prospero Lambertini, aperto e
tollerante, consulto' medici e teologi e alla fine si persuase che "non era
giunto ancora il tempo" di far "adottare un tal preservativo". La questione
impose a tutti una scelta. Se l'imperatrice Maria Teresa d'Austria si
convinse della liceita' dell'innesto, che considero' un utile mezzo nelle
mani del medico e una pratica voluta da Dio, nel 1763 la facolta' di
teologia di Parigi si dichiarava contraria sentenziando: "E' sufficiente che
questa inoculazione sia una novita' per essere reputata condannabile".
Oggi stiamo vivendo l'epoca nella quale la scienza sta compiendo miracoli,
anche se - come nota Georges Canguilhem nel denso libretto Sulla medicina
(appena uscito da Einaudi, pp. 120, euro 12) - siamo circondati da guaritori
che vivono e prosperano appena oltre la soglia degli istituti clinici piu'
attrezzati. Ma sia la ricerca avanzata che la medicina selvaggia rimandano a
problemi morali, gli stessi che interagiscono da secoli con competenze e
speranze dell'uomo.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 574 del 10 settembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it