Minime. 474



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 474 del 2 giugno 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Antonella Litta: Riciclare, non bruciare
2. Igino Domanin presenta "Discesa nell'Ade" di Guenther Anders
3. Miriam Mafai presenta "Dare forma al silenzio" di Anna Rossi-Doria
4. Stefano Rodota' presenta "L'Europa del diritto" di Paolo Grossi
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. RIFIUTI. ANTONELLA LITTA: RICICLARE, NON BRUCIARE
[Ringraziamo Antonella Litta (per contatti: antonella.litta at libero.it) per
il seguente intervento.
Antonella Litta e' la portavoce del Comitato che si oppone alla
realizzazione dell'aeroporto a Viterbo; svolge l'attivita' di medico di
medicina generale a Nepi (in provincia di Viterbo). E' specialista in
Reumatologia ed ha condotto una intensa attivita' di ricerca scientifica
presso l'Universita' di Roma "la Sapienza" e contribuito alla realizzazione
di uno tra i primi e piu' importanti studi scientifici italiani
sull'interazione tra campi elettromagnetici e sistemi viventi, pubblicato
sulla prestigiosa rivista "Clinical and Esperimental Rheumatology", n. 11,
pp. 41-47, 1993. E' referente locale dell'Associazione italiana medici per
l'ambiente (International Society of Doctors for the Environment - Italia).
Gia' responsabile dell'associazione Aires-onlus (Associazione internazionale
ricerca e salute) e' stata organizzatrice di numerosi convegni
medico-scientifici. Presta attivita' di medico volontario nei paesi
africani. E' stata consigliera comunale. E' partecipe e sostenitrice di
programmi di solidarieta' locali ed internazionali. Presidente del Comitato
"Nepi per la pace", e' impegnata in progetti di educazione alla pace, alla
legalita', alla nonviolenza e al rispetto dell'ambiente]

Il continuo aumento dei rifiuti e il problema della loro gestione non sono
altro che uno degli aspetti del nostro modello di vita e sviluppo economico
che privilegia la crescita della produzione di merci e dei consumi, spesso
indotti e superflui e per soddisfare i quali ci s'indebita sempre piu'.
Moderne catene sono oggi le rate degli innumerevoli mutui e finanziamenti
con cui paghiamo oggetti spesso non necessari, avvolti da involucri ed
imballaggi che vanno a finire nella spazzatura.
E' quindi chiaro che una corretta e razionale gestione dei rifiuti non puo'
prescindere da una attenta riconsiderazione dell'attuale modello di sviluppo
che deve anche prevedere ed obbligare alla riduzione dei rifiuti "a monte".
Sono le industrie che devono farsi carico del recupero per il successivo
riciclo di tutti quei materiali che ci vengono venduti, per esempio, insieme
ad un qualsiasi elettrodomestico. E' solo il riciclo di questi materiali, e
non il loro abbandono o distruzione, che puo' arrestare il saccheggio delle
materie prime di cui sono composti, e di cui l'ambiente non possiede
quantita' illimitate.
E' quindi un problema politico ancor prima che tecnico. Infatti non sono
sufficienti le migliori tecniche di smaltimento dei rifiuti se non si regola
e non si fanno scelte politiche e di governo del territorio che devono
influire sulla qualita' e sulla quantita' dei rifiuti prodotti.
La gestione del "problema rifiuti" passa per una politica semplice, quella
delle cosiddette "r": riduzione della produzione, raccolta differenziata
porta a porta, riciclaggio, riuso, riparazione, recupero e
responsabilizzazione dei cittadini e delle istituzioni, in particolare dei
Comuni, delle Province e delle Regioni che devono predisporre centri piccoli
e diffusi sul territorio, a gestione comunale, per lo smaltimento e il
riciclo dei rifiuti solidi urbani (in sigla: rsu) con aree per il
trattamento della frazione umida che dara' vita al compost da utilizzare
come fertilizzante naturale. In parole semplici una filiera breve del ciclo
dei rifiuti che possa cosi' essere controllato e gestito in relazione alle
peculiarita' sociali ed economiche del territorio.
Con l'attuazione di questa politica e' ovvio che il quantitativo di rifiuti
che necessitano di un trattamento finale si riduce in maniera drastica ed e'
possibile trattarli con tecnologie che garantiscono ambiente e salute e che
non sono le discariche o i termovalorizzatori che  meglio sarebbe chiamare
con il loro vero nome, cioe': inceneritori.
*
L'incenerimento dei rifiuti solidi urbani e' una tra le tecniche piu'
dannose per l'ambiente e la salute.
I rifiuti non scompaiono bruciandoli ma vengono trasformati in altro:
polveri, scorie, gas. Per ogni tonnellata di rsu bruciati in un inceneritore
si producono circa 330 kilogrammi di ceneri e fanghi, scorie tossiche che
devono essere trattate e poi conferite in discariche speciali ad un costo
che e' sempre a carico dei contribuenti. Durante le fasi del processo di
combustione dei rifiuti vengono immessi nell'aria milioni di metri cubi di
gas dannosi, la cui composizione dipende dal tipo di rifiuto bruciato e che
contribuiscono all'aumento dei gas serra, al  fenomeno delle piogge acide e
di eutrofizzazione di mari e laghi. Le polveri emesse, meglio note come
particolato sottile ed ultrasottile (PM10 e PM2.5, ovvero polveri con
diametri di 10,5 micron ed inferiori a 2.5 micron) sono costituite da
nanoparticelle formate da sostanze chimiche (metalli pesanti in particolare:
arsenico, berillio, cadmio, cromo, nichel, piombo,  idrocarburi policiclici,
policlorobifenili, benzene, diossine e furani, ecc.) estremamente
pericolose, perche' persistono nell'ambiente e possono accumularsi negli
organismi viventi.
Ormai innumerevoli studi scientifici mostrano l'evidente correlazione tra
l'esposizione alle polveri sottili ed ultrasottili e l'aumento dei ricoveri
ospedalieri, della mortalita', delle malattie respiratorie, delle malattie
cronico-degenerative (alzheimer, sclerosi laterale amiotrofica, sclerosi
multipla), delle malattie endocrine, delle malattie neoplastiche e del
sistema cardiovascolare.
L'inalazione delle polveri sottili e ultrasottili provoca riduzione della
funzionalita' polmonare nei bambini, riduzione della speranza di vita,
aumento delle malattie neoplastiche e basso peso alla nascita per
esposizioni avvenute nel periodo di gravidanza e precedentemente.
Molte sostanze prodotte dalla combustione di rsu sono sconosciute e il loro
impatto sulla salute e l'ambiente ancora imprevedibile e non valutabile.
Gli inceneritori di ultima generazione emettono meno polveri e gas ma non
hanno filtri in grado di fermare le polveri ultrasottili (quelle piu'
pericolose perche' arrivano direttamente nel sangue) e la ridotta emissione
di gas e polveri e' compensata dall'aumento della capacita' di combustione e
non rassicura in alcun modo in quanto le sostanze immesse nell'ambiente sono
sempre dannose per la salute ed hanno la capacita' di persistere ed
accumularsi negli organismi viventi.
A conferma di quanto affermato, uno studio commissionato dal Cewep -
Confederation of European Waste-to-energy Plants - (confederazione europea
dei gestori degli impianti dai rifiuti all'energia) afferma che "il
riciclaggio dei materiali raccolti con una buona differenziazione, provoca
un minor impatto ambientale rispetto alla termovalorizzazione".
In Francia nell'ottobre scorso l'Ordine dei medici ha chiesto una moratoria
alla costruzione  di nuovi inceneritori e la stessa cosa ha fatto l'Ordine
dei medici dell'Emilia-Romagna  richiamandosi al principio di precauzione.
Il principio di precauzione, nato all'interno di tematiche strettamente
ambientali (Rio de Janeiro, 1992) ed entrato a far parte del Trattato
Costitutivo dell'Unione Europea (Maastricht, 1994), afferma che "qualora
esista il rischio di danni gravi ed irreparabili, la mancanza di piena
certezza scientifica non puo' costituire il pretesto per rinviare l'adozione
di misure efficaci, anche non a costo zero, per la prevenzione del degrado
ambientale".
La stessa Unione Europea indica la termodistruzione e il conferimento in
discarica come ultime opzioni, in quanto entrambe non sono scevre da rischi
per l'ambiente e la salute.
E' assolutamente necessario evitare il ricorso agli inceneritori - o
termovalorizzatori che  dir si voglia - non solo per ragioni di salute ed
ambientali ma anche economiche.
In America, in Europa e anche in Italia, di recente e' nata una nuova
imprenditoria che dalla gestione del ciclo dei rifiuti senza il ricorso alle
discariche e agli inceneritori e' riuscita a creare opportunita' di lavoro e
guadagno. Queste imprese trattano il residuo non riciclabile con metodi
definiti meccanico-biologici, ed i trattamenti meccanici con estrusione dopo
biostabilizzazione hanno un impatto ambientale pressoche' nullo. Il costo
del riciclo dei rifiuti con queste metodiche e' di molto inferiore rispetto
all'incenerimento, ma queste tecnologie purtroppo stentano a farsi spazio e
sono poco pubblicizzate dagli organi d'informazione e poco conosciute da
amministratori, medici e cittadini.
La percentuale di rifiuti riciclati in Italia e' molto bassa rispetto
all'Europa. La spiegazione sta nel fatto che in Italia e solo in Italia
l'incenerimento viene considerato una forma di riciclo e i rifiuti solidi
urbani sono equiparati alle fonti di energia rinnovabili nonostante che
questa normativa sia stata considerata illegittima e sanzionata dall'Unione
Europea: cosi' chi gestisce i termovalorizzatori riceve una sovvenzione
statale, pagata dai cittadini  con il 7% in piu' sull'importo della bolletta
Enel; e' il famoso contributo Cip 6. In questa maniera l'80% di questo
contributo, che dovrebbe essere destinato alle vere fonti rinnovabili di
energia, va a chi costruisce impianti a biomasse e inceneritori.
*
Grande e' la preoccupazione, lo sconforto e lo sdegno per una politica che
sceglie di gestire il problema rifiuti senza preoccuparsi degli effetti
negativi sulla salute e l'ambiente, senza il dialogo con le comunita'
locali, senza un piano nazionale di gestione dei rifiuti, sempre rincorrendo
l'emergenza che essa stessa ogni volta crea.
Noi sappiamo che invece una riduzione dei rifiuti insieme alla loro corretta
e salubre gestione e' possibile ed e gia' attuata in varie zone d'Italia.
Una gestione capace di operare nel rispetto per l'ambiente e di restituire
concretezza e verita' all'articolo 32 della Costituzione Italiana che
afferma che "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto
dell'individuo e interesse della collettivita'".

2. LIBRI. IGINO DOMANIN PRESENTA "DISCESA NELL'ADE" DI GUENTHER ANDERS
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 17 marzo 2008 col titolo "La nostra specie?
E' senza speranza... Scompariremo come le vittime della Shoah" e il sommario
"Nel diario esistenziale di Anders, Discesa nell'Ade. Auschwitz e Breslavia,
1966, un lungo ma deludente viaggio nei luoghi d'origine".
Igino Domanin (Chieti 1967) e' scrittore, giornalista, docente. Tra le opere
di Igino Domanin: Testo e ripetizione. Del concetto teorico come effetto
della pratica di scrittura, Led, 2000; (con Stefano Porro), Il web sia con
voi, Mondadori; (con Giuseppe Genna), Forget domani. Racconti dell'italian
lounge, Pequod, 2002; Gli ultimi giorni di Lucio Battisti, Pequod, 2005;
(con Paolo D'Alessandro), Filosofia dell'ipertesto. Esperienza di pensiero,
scrittura elettronica, sperimentazione didattica, Apogeo, 2005; Apologia
della barbarie. Considerazioni ostili sulla condizione umana in tempo di
guerra, Bompiani, 2007; Spiaggia libera Marcello, Rizzoli, 2008.
Guenther Anders (pseudonimo di Guenther Stern, "anders" significa "altro" e
fu lo pseudonimo assunto quando le riviste su cui scriveva gli chiesero di
non comparire col suo vero cognome) e' nato a Breslavia nel 1902, figlio
dell'illustre psicologo Wilhelm Stern, fu allievo di Husserl e si laureo' in
filosofia nel 1925. Costretto all'esilio dall'avvento del nazismo,
trasferitosi negli Stati Uniti d'America, visse di disparati mestieri.
Tornato in Europa nel 1950, si stabili' a Vienna. E' scomparso nel 1992.
Strenuamente impegnato contro la violenza del potere e particolarmente
contro il riarmo atomico, e' uno dei maggiori filosofi contemporanei; e'
stato il pensatore che con piu' rigore e concentrazione e tenacia ha pensato
la condizione dell'umanita' nell'epoca delle armi che mettono in pericolo la
sopravvivenza stessa della civilta' umana; insieme a Hannah Arendt (di cui
fu coniuge), ad Hans Jonas (e ad altre e altri, certo) e' tra gli
ineludibili punti di riferimento del nostro riflettere e del nostro agire.
Opere di Guenther Anders: Essere o non essere, Einaudi, Torino 1961; La
coscienza al bando. Il carteggio del pilota di Hiroshima Claude Eatherly e
di Guenther Anders, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992
(col titolo: Il pilota di Hiroshima ovvero: la coscienza al bando); L'uomo
e' antiquato, vol. I (sottotitolo: Considerazioni sull'anima nell'era della
seconda rivoluzione industriale), Il Saggiatore, Milano 1963, poi Bollati
Boringhieri, Torino 2003; L'uomo e' antiquato, vol. II (sottotitolo: Sulla
distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale),
Bollati Boringhieri, Torino 1992, 2003; Discorso sulle tre guerre mondiali,
Linea d'ombra, Milano 1990; Opinioni di un eretico, Theoria, Roma-Napoli
1991; Noi figli di Eichmann, Giuntina, Firenze 1995; Stato di necessita' e
legittima difesa, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (Fi)
1997. Si vedano inoltre: Kafka. Pro e contro, Corbo, Ferrara 1989; Uomo
senza mondo, Spazio Libri, Ferrara 1991; Patologia della liberta', Palomar,
Bari 1993; Amare, ieri, Bollati Boringhieri, Torino 2004; L'odio e'
antiquato, Bollati Boringhieri, Torino 2006; Discesa all'Ade, Bollati
Boringhieri, Torino 2008. In rivista testi di Anders sono stati pubblicati
negli ultimi anni su "Comunita'", "Linea d'ombra", "Micromega". Opere su
Guenther Anders: cfr. ora la bella monografia di Pier Paolo Portinaro, Il
principio disperazione. Tre studi su Guenther Anders, Bollati Boringhieri,
Torino 2003; singoli saggi su Anders hanno scritto, tra altri, Norberto
Bobbio, Goffredo Fofi, Umberto Galimberti; tra gli intellettuali italiani
che sono stati in corrispondenza con lui ricordiamo Cesare Cases e Renato
Solmi]

L'approdo tardivo a una terra natale, spogliata ormai delle sue valenze
affettive, devastata e senza radici, dove non ha piu' senso immaginare una
patria. Questo e' il senso delle amarissime considerazioni che costellano il
fitto diario esistenziale di Anders, Discesa nell'Ade. Auschwitz e
Breslavia, 1966, pubblicato per i tipi di Bollati Boringhieri a cura di
Sergio Fabian, un drammatico reportage, una specie di libro di viaggio nei
luoghi d'origine che si rivela pero' essere la narrazione di una catabasi
negli inferi.
Anders scrive una filosofia d'occasione e non accademica. Non troviamo
trattazioni tecniche di problemi metafisici, bensi' meditazioni che prendono
lo spunto da situazioni concrete. Il filo conduttore e' solo l'esperienza
quotidiana. Ma non si tratta di un esercizio di saggezza. Non sono aforismi
che riguardano la buona vita. Al contrario, Anders, come del resto in tutti
i suoi testi, ci descrive l'orrore che sordamente si cela dietro le
apparenze confortevoli della civilta' tecnologicamente avanzata. Questo
volume, pero', e' particolarmente significativo dei risvolti biografici di
Anders ed entra, anche con crudelta', nelle pieghe piu' personali del suo
pensiero.
Anders, intellettuale ebreo di nazionalita' tedesca, esule in America e
sopravvissuto allo sterminio degli ebrei, ritorna nella nativa Breslavia. La
citta' ha cambiato nome, e' diventata Wroclaw e adesso fa parte della
Polonia comunista. Per recarvisi e' necessario transitare nei pressi di
Auschwitz. Il racconto del libro si apre li'. Anders e la sua terza moglie
Charlotte sono in viaggio con la loro auto. Nelle vicinanze del lager. Le
vittime della Shoah sono scomparse senza lasciare una traccia del loro
morire. Proprio per questo, per via della loro eliminazione affidata a un
cieco dispositivo tecnologico, per essere state private di qualsiasi
connotazione umana della morte, non e' possibile nessuna elaborazione del
lutto. Un'atmosfera mefitica, un miasma insopportabile si respira nell'aria.
La presenza dei morti e' invadente, pressante, ingombrante. Chi e'
sopravvissuto e' soverchiato da un'incontenibile vergogna d'esistere. Un
fatto che non riguarda solo il mondo ebraico, ma che diventa il crisma
universale della situazione storica attuale. Per Anders, infatti, questa e'
diventata la condizione normale degli esseri umani. Come testimonia il
prosieguo del testo, dove, a partire dall'arrivo a Breslavia, si assiste
alla descrizione di uno scenario perturbante: l'assoluta mancanza di patria
del mondo attuale. Siamo tutti meramente dei sopravvissuti. O dei profughi,
solo per il momento scampati a un pericolo supremo. Potremmo sparire dal
mondo senza nessun motivo, privati persino di poter depositare qualche segno
ascrivibile alla nostra presenza. La nostra specie e' senza speranza. Ha
costruito sistemi di distruzione, che, se si sono rivelati micidialmente
nell'epoca dei totalitarismi, sono definitivamente presenti nel nostro
orizzonte. La possibilita' della definitiva scomparsa del genere umano e'
divenuta una realta'. Questo potere di distruzione senza limiti e' dovuto
alla tecnologia che e' in grado di annichilire, fino alle estreme
conseguenze, la vita. Le conseguenze attuali sono sotto il nostro sguardo.
La violenza della seconda guerra mondiale non e' un ricordo. Torna a
ripetersi. Ma il nostro senso d'umanita' pare ridursi. La stato d'eccezione
diventa normale.
Per Anders il pericolo cresce smisuratamente nella misura in cui questa
situazione angosciosa e' solo presentita, ma non puo' essere immaginata. La
nostra sensibilita' e' dimidiata. Le catastrofi ci vedono solo spettatori
anestetizzati ed eticamente indifferenti. La tragedia del mondo ci appare in
uno specchio irreale rispetto al quale non siamo in grado d'essere
coinvolti. Siamo intrappolati dentro una deficienza emotiva, incapaci di
avvertire sensibilmente la tragedia in cui siamo calati.
Questo e' l'enigma che ci consegna questo preziosissimo libro. Come
espandere la nostra coscienza, come dilatare il nostro mondo psichico fino a
entrare in contatto con la minaccia irrapresentabile che aggredisce le
fondamenta della condizione umana?

3. LIBRI. MIRIAM MAFAI PRESENTA "DARE FORMA AL SILENZIO" DI ANNA ROSSI-DORIA
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 9 gennaio 2008 col titolo "Un saggio di
Anna Rossi Doria sul silenzio delle donne. La storia non scritta del
femminismo" e il sommario "E' stata un'utopia diventata concreta, una
stagione felice e breve, chiusa irreparabilmente dagli eventi del 1977
culminati nell'uccisione di Aldo Moro".
Miriam Mafai, giornalista e saggista, e' editorialista del quotidiano "La
Repubblica" di cui e' stata tra i fondatori; e' stata parlamentare in
numerose legislature, ha un lungo passato di militante del Pci ed ha
lavorato per "l'Unita'" e "Paese Sera". Tra le opere di Miriam Mafai: Pietro
Secchia. L'uomo che sognava la lotta armata, Rizzoli, Milano 1984; Il lungo
freddo. Storia di Bruno Pontecorvo scienziato atomico, Mondadori, Milano
1992; Pane nero, Mondadori, Milano 1995; Dimenticare Berlinguer. La Sinistra
italiana e la tradizione comunista, Donzelli, Roma 1996; Botteghe oscure,
addio, Mondadori, Milano 1997; con Vittorio Foa e Alfredo Reichlin, Il
silenzio dei comunisti, Einaudi, Torino 2002.
Anna Rossi-Doria insegna Storia delle donne in eta' contemporanea alla
Seconda Universita' di Roma; ha lavorato presso l'Istituto romano per la
storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza dal 1974 al 1980, ha insegnato
Storia delle donne nelle Universita' di Bologna, Modena e della Calabria; fa
parte della direzione della rivista "Passato e presente", del Comitato
direttivo della Societa' italiana delle storiche, e di quello dell'Istituto
romano per la storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza. Ha condotto in
generale ricerche di storia politica e, piu' di recente, di storia delle
idee, occupandosi in una prima fase dei gruppi conservatori italiani in eta'
liberale, in particolare della figura di Antonio di Rudini' e della crisi di
fine secolo; poi del rapporto tra partiti politici e movimenti sociali nel
periodo delle origini della Repubblica, analizzando in particolare la
politica agraria e le lotte contadine meridionali; da circa vent'anni si
occupa prevalentemente di storia delle donne e di genere, sia dal punto di
vista storiografico e metodologico che con ricerche di storia dei movimenti
femminili e femministi e di storia dei diritti delle donne. In quest'ultimo
campo, ha condotto ricerche prima sulla legislazione protettiva del lavoro
femminile e sul suffragismo nel secolo XIX in Inghilterra e negli Stati
Uniti, poi sulla conquista del diritto di voto e sul rapporto tra diritti
civili e diritti politici nel secolo XX in Italia (con alcuni casi di
comparazione con la Francia). In queste ricerche gli interrogativi centrali
riguardavano il rapporto teorico e politico tra rivendicazione
dell'uguaglianza e difesa della differenza, con le contraddizioni, i
paradossi ma anche le potenzialita' di ridefinizione del liberalismo e della
democrazia che esso comportava; negli ultimi anni, ha cominciato a occuparsi
di storia ebraica a partire dal nodo dell'emancipazione - in cui
l'alternativa obbligata tra uguaglianza e differenza si presenta, in modo
analogo ma capovolto rispetto a quel che avveniva per le donne, nella forma
della equazione tra diritti di cittadinanza e assimilazione, avviando
ricerche su alcune forme specifiche di antisemitismo europeo alla fine del
XIX secolo, legate non al razzismo - anche se da esso gia' segnate - ma al
rifiuto del "particolarismo" ebraico, e sul ricorrente loro abbinamento a
forme di antifemminismo; ha anche lavorato su temi di storia della memoria
della shoah e della memoria della deportazione nei Lager nazisti, avviando
di recente una ricerca sulle memorie scritte e le testimonianze orali di
donne ebree e di deportate politiche italiane e francesi. Opere di Anna
Rossi-Doria: Per una storia del "decentramento conservatore", in "Quaderni
storici", n. 18, 1971; Il ministro e i contadini. Decreti Gullo e lotte nel
Mezzogiorno (1944-1949), Bulzoni, Roma 1983; Uguali o diverse? La
legislazione vittoriana sul lavoro delle donne, in "Rivista di storia
contemporanea", n. 1, 1985; La liberta' delle donne. Voci della tradizione
politica suffragista, Rosenberg e Sellier, Torino 1990; Il difficile uso
della memoria ebraica: la shoah, in Nicola Gallerano (a cura di), L'uso
pubblico della storia, Angeli, Milano 1995; Le donne sulla scena politica in
Storia dell'Italia repubblicana, I, La costruzione della democrazia,
Einaudi, Torino 1994; Diventare cittadine. Il voto alle donne in Italia,
Giunti, Firenze 1996; Memoria e storia: il caso della deportazione,
Rubbettino, Soveria Mannelli 1998; Antifemminismo e antisemitismo nella
cultura positivistica, in A. Burgio (a cura di), Nel nome della razza. Il
razzismo nella storia d'italia 1870-1945, il Mulino, Bologna 1999; (a cura
di), Annarita Buttafuoco. Ritratto di una storica, Jouvence, 2002; (a cura
di), A che punto e' la storia delle donne in Italia, Viella, 2003; La stampa
politica delle donne nell'Italia da ricostruire, in S. Franchini e S.
Soldani (a cura di), Donne e giornalismo. Percorsi e presenze di una storia
di genere, Angeli, Milano 2004; Memorie di donne, in AA. VV., Storia della
Shoah, II, La memoria del XX secolo, Utet Torino 2006; Dare forma al
silenzio, Viella, 2007]

"Ogni generazione ha diritto di scrivere per prima la storia degli eventi
cui ha partecipato", scriveva Marc Bloch. Forse ne ha anche il dovere. Ma
per il femminismo degli anni Settanta questo non si e' ancora verificato.
Qualcuno, o meglio qualcuna di coloro che hanno animato o partecipato al
movimento femminista ci prova. Ma restano storie parziali, abbozzi di
autobiografie, raccolte di documenti, primi avvii di ricerca. Anche quando
chi scrive e' stato tra i protagonisti di quelle vicende. E' il caso di Anna
Rossi Doria, uno dei nostri migliori storici, che ha dedicato gran parte del
suo lavoro alla storia delle donne, e che non a caso ha scelto per questa
sua ultima fatica un titolo allusivo e intrigante (Anna Rossi Doria: Dare
forma al silenzio, Viella, pp. 320, euro 27).
Il silenzio delle donne, esordisce l'autrice, "e' antico, profondo, tenace,
particolarmente pesante nella sfera politica che fu a lungo, insieme al
diritto, il luogo della massima esclusione delle donne. L'individualita' e
la cittadinanza, tra loro strettamente connesse, verranno conquistate dalle
donne alla fine di un processo difficile e contrastato, durato nei paesi
occidentali oltre un secolo e non interamente compiuto nemmeno oggi".
A questa tormentata vicenda sono dedicati i saggi della prima parte del
libro. Vengono ricostruiti cosi' momenti importanti della storia inglese,
americana e italiana degli ultimi due secoli segnati dalla lotta condotta da
gruppi e associazioni femminili per accedere alla politica e ridefinirla. Si
va allora da una analisi della legislazione vittoriana sul lavoro delle
donne a una ricostruzione delle lotte e delle idee del suffragismo, fino ad
una ricostruzione attenta della presenza delle donne sulla scena politica
italiana sia nel dibattito politico nella fase della Resistenza
(generalmente ignorato o sottovalutato) sia nella fase della conquista del
voto e della elaborazione della nostra Costituzione.
Una seconda, corposa parte del lavoro della Rossi Doria e' dedicata alle
vicende del nostro femminismo. L'autrice ha incontrato a suo tempo il
femminismo e lo ha vissuto intensamente "con l'entusiasmo" scrive "di quella
che mi pareva un'utopia diventata concreta, una stagione felice e breve,
chiusa irreparabilmente dagli eventi del 1977 e dal delitto Moro".
Secondo la periodizzazione della Rossi Doria, la stagione "felice e breve"
del femminismo italiano puo' essere scandita in quattro fasi: la nascita
(1968-1972), i collettivi (1972-1974), il movimento di massa (1974-1976), la
crisi (1977-1979). E dalla crisi il movimento uscira' rifugiandosi nel
lavoro culturale, nella pratica "intraducibile" dell'autocoscienza, fondando
librerie, associazioni, riviste, circoli tra cui il famosissimo Virginia
Woolf di Roma. Sara' il terrorismo, ha ragione la Rossi Doria, a chiudere,
in modo drammatico, la disordinata ma felice stagione dei movimenti. Di
tutti i movimenti, compreso quello dei giovani e degli operai. Ma il
femminismo ostenta, come ci riferisce in una sua lontana ma importante
ricerca Anna Maria Mori, la sua indifferenza rispetto al terrorismo.
L'appello di quelle settimane al senso dello Stato e alla pieta' per le
vittime non raggiunge le donne che partecipano a quel movimento, non le
riguarda.
La storia del femminismo (che e', evidentemente, cosa diversa dalla storia
della donne) e' ancora comunque tutta da scrivere, per metterne in luce
limiti, successi e paradossi. Il primo dei quali, scrive l'autrice, e'
quello per cui "le elaborazioni femministe che hanno prevalso negli anni
Ottanta e Novanta, legate all'impostazione filosofica del pensiero della
differenza hanno costruito e trasmesso una visione per cui proprio il
femminismo italiano, che aveva avuto un carattere di massa superiore a
quello di ogni altro paese, e' stato invece rappresentato come un percorso
di piccoli gruppi o singole pensatrici, sia pure grandi, Carla Lonzi su
tutte". Una contraddizione, certamente. Confermata dal fatto che in generale
il femminismo italiano, molto critico nei confronti del movimento di
emancipazione che aveva contrassegnato tutta la storia del dopoguerra, si
disinteresso' alla elaborazione e alla conquista di leggi che pure hanno
segnato un reale avanzamento della condizione delle donne nel nostro paese.
Basti ricordare a questo proposito la legge sul divorzio e quella
sull'aborto (confermate dai successivi referendum), quella sui consultori,
sul nuovo diritto di famiglia, sulla parita'. Leggi peraltro rivendicate da
un vasto movimento di donne e salutate da quel movimento e dall'opinione
pubblica democratica come uno storico successo.
In questa contraddizione (o in questo sovrapporsi) tra un vasto movimento di
massa e il percorso ideologico di piccoli gruppi sta forse il mistero o il
fascino del femminismo italiano. E la difficolta' di ricostruirne una storia
completa, che tenga insieme le due anime o le due vicende: quella del
movimento di massa e quella dei piccoli gruppi e di singole teoriche del
"pensiero della differenza".
Ma sta qui anche, probabilmente, la radice del misterioso ma felice
sopravvivere del movimento, nonostante gli anni che ci separano da allora e
da quel dibattito culturale. Vanno ricercate probabilmente in quelle lontane
contaminazioni (tra movimenti di massa e spinte culturali) e in quelle
contraddizioni la capacita' "carsica" del movimento, il suo improvviso o
imprevisto riemergere, quasi a sorpresa, come e' accaduto recentemente prima
nel corso della manifestazione milanese a difesa della legge 194, poi nel
corso della manifestazione romana contro la violenza.

4. LIBRI. STEFANO RODOTA' PRESENTA "L'EUROPA DEL DIRITTO" DI PAOLO GROSSI
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 3 aprile 2008 col titolo "Se la
modernita' fa male al diritto. A proposito delle tesi contenute in un saggio
dello storico Paolo Grossi".
Stefano Rodota' e' nato a Cosenza nel 1933, giurista, docente
all'Universita' degli Studi di Roma "La Sapienza" (ha inoltre tenuto corsi e
seminari nelle Universita' di Parigi, Francoforte, Strasburgo, Edimburgo,
Barcellona, Lima, Caracas, Rio de Janeiro, Citta' del Messico, ed e'
Visiting fellow, presso l'All Souls College dell'Universita' di Oxford e
Professor alla Stanford School of Law, California), direttore dele riviste
"Politica del diritto" e "Rivista critica del diritto privato", deputato al
Parlamento dal 1979 al 1994, autorevole membro di prestigiosi comitati
internazionali sulla bioetica e la societa' dell'informazione, dal 1997 al
2005 e' stato presidente dell'Autorita' garante per la protezione dei dati
personali. Tra le opere di Stefano Rodota': Il problema della
responsabilita' civile, Giuffre', Milano 1964; Il diritto privato nella
societa' moderna, Il Mulino, Bologna 1971; Elaboratori elettronici e
controllo sociale, Il Mulino, Bologna 1973; (a cura di), Il controllo
sociale delle attivita' private, Il Mulino, Bologna 1977; Il terribile
diritto. Studi sulla proprieta' privata, Il Mulino, Bologna 1981; Repertorio
di fine secolo, Laterza, Roma-Bari, 1992; (a cura di), Questioni di
Bioetica, Laterza, Roma-Bari, 1993, 1997; Quale Stato, Sisifo, Roma 1994;
Tecnologie e diritti, Il Mulino, Bologna 1995; Tecnopolitica. La democrazia
e le nuove tecnologie della comunicazione, Laterza, Roma-Bari, 1997;
Liberta' e diritti in Italia, Donzelli, Roma 1997. Alle origini della
Costituzione, Il Mulino, Bologna, Il Mulino, 1998; Intervista su privacy e
liberta', Laterza, Roma-Bari 2005; La vita e le regole, Feltrinelli, Milano
2006.
Paolo Grossi e' ordinario di Storia del diritto medievale e moderno presso
la Facolta' di Giurisprudenza dell'Universita' di Firenze e socio nazionale
dell'Accademia dei Lincei; e' stato insignito di lauree honoris causa nelle
Universita' di Frankfurt am Main, Stockholm, Autonoma de Barcelona, Autonoma
de Madrid, Sevilla, Lima, Bologna, Cattolica di Milano, Morelia (Messico).
Tra le opere di Paolo Grossi: Le situazioni reali nell'esperienza giuridica
medievale, Cedam, 1968; Un altro modo di possedere. L'emersione di forme
alternative di proprieta' alla coscienza giuridica postunitaria, Giuffre',
Milano 1977; Stile fiorentino. Gli studi giuridici nella Firenze italiana
(1859-1950), Giuffre', Milano 1986; La scienza del diritto privato. Un
rivista-progetto nella Firenze di fine secolo (1893-1896), Giuffre', Milano
1988; Il dominio e le cose. Percezioni medievali e moderne dei diritti
reali, Giuffre', Milano 1992; Assolutismo giuridico e diritto privato,
Giuffre', Milano 1998; Scienza giuridica italiana. Un profilo storico
1860-1950, Milano 2000; Mitologie giuridiche della modernita', Giuffre',
Milano 2001, 2007; La cultura del civilista italiano. Un profilo storico,
Giuffre', Milano 2002; Il diritto tra potere e ordinamento, Editoriale
Scientifica, Napoli 2005; L'ordine giuridico medievale, Laterza, Roma-Bari
2006; La proprieta' e le proprieta' nell'officina dello storico, Editoriale
Scientifica, Napoli 2006; Prima lezione di diritto, Laterza, Roma-Bari 2007;
Societa', diritto, Stato. Un recupero per il diritto, Giuffre', Milano 2007;
L'Europa del diritto, Laterza, Roma-Bari 2007; Uno storico del diritto alla
ricerca di se stesso, Il Mulino, Bologna 2008]

All'Europa si addice la riflessione giuridica. Che e', insieme, capacita' di
penetrare una complessa vicenda culturale e consapevolezza dei molteplici
modi attraverso i quali il diritto contribuisce a conformare
l'organizzazione sociale. Lo fa, in modo nient'affatto compiacente, uno
storico di gran rango, Paolo Grossi, al quale si deve un'impresa
impegnativa, quella di ricostruire la vicenda giuridica europea dalla meta'
del primo millennio fino alle soglie del terzo (L'Europa del diritto,
Laterza, pp. 277, euro 20).
L'"intelligibilita' di discorso" e la "prevalente attenzione" per il diritto
privato, che l'autore proclama fin dalle prime pagine, non sono in alcun
momento una limitazione o un impoverimento della trattazione. Se il libro e'
scritto per i non iniziati, in nessun momento questo significa un
appiattirsi della narrazione: il linguaggio e' forte, i giudizi taglienti.
Vicende e problemi sono indicati in modo nitidissimo, si' che il libro
diviene un'ineludibile pietra di paragone. Non appartiene ai soli giuristi o
ai curiosi del diritto, ma e' quasi una sfida lanciata a tutti quelli che
riflettono su passato, presente e futuro dell'Europa.
Neppure la dichiarata intenzione di seguire prevalentemente il diritto "che
ordina la vita quotidiana dei privati" induce a distogliere lo sguardo da
una realta' piu' larga, a chiudersi in una gabbia. Se quello e' il punto
d'osservazione, da li' si contempla un orizzonte amplissimo, dove compaiono
le logiche del potere e le durezze delle relazioni sociali.
Questa capacita' di immergere il diritto nel fluire della realta' discende
dal modo in cui Paolo Grossi considera il diritto e la sua storia: come
esperienza giuridica che, nelle diverse civilta', si manifesta attraverso
diverse visioni e realizzazioni. Il diritto soffre quando lo si fa
prigioniero di una logica che contraddice questa sua intima natura. "Il
diritto - scrive Grossi - e' vita, e' esperienza mobilissima, ed e'
compresso - piu' che espresso - da un monopolio legislativo". Quando al
pluralismo si sostituisce "il potere politico supremo come unica fonte del
diritto", il risultato e' quell'assolutismo giuridico che da anni
costituisce l'oggetto polemico della ricerca di Paolo Grossi.
Non siamo di fronte ad affermazioni apodittiche, ma a conclusioni tratte da
una ricca analisi che segue nei secoli le vicende del diritto nei vari
luoghi dell'Europa, nelle sue diverse manifestazioni tecniche, nel suo
incarnarsi nell'opera dei giuristi, il cui essenziale protagonismo Grossi
sottolinea con attenzione partecipe e convinta. Da qui nasce una
rappresentazione della vicenda giuridica europea quasi come lotta tra chi
vuole salvaguardarne la molteplice ricchezza e chi vuole chiuderla, anche
con una mossa autoritaria, entro schemi astratti e unificanti. Da qui una
critica decisa alla modernita' giuridica, che costituisce uno dei tratti
forti dell'opera.
Nulla e' risparmiato ai simboli per eccellenza di quella modernita', il
soggetto giuridico astratto e la codificazione. Il linguaggio si accende, le
parole sono rivelatrici. Grossi riconosce quelle che sono "autentiche
conquiste della modernita'", come l'abbattimento dei vincoli di ceto, il
riconoscimento al soggetto dell'esercizio dei diritti che presidiano la sua
personalita'. Ma il prezzo? A Grossi appare troppo elevato: non piu' uomini
in carne ed ossa, ma modelli astratti che si muovono in uno "scenario
irreale", che non fa piu' i conti con la realta' e con la storia.
"E' ovvio che da un simile presupposto venga fuori solo un catalogo, che e'
teoricamente suadente nel suo parlar sonoro di liberta', di uguaglianza, di
diritti e - perche' no? - di felicita' (termine ingenuo che ricorre spesso
nelle 'carte' settecentesche), ma che non puo' consolare il nullatenente del
quarto stato, che non e' neppure sfiorato nella miseria della sua vita
quotidiana, da uno scialo di dichiarazioni irrilevanti - se non
schernitrici - per chi fa i conti con la fame. Dallo stato di natura
discende una raffigurazione statica, come si conviene all'aria rarefatta
della meta-storia; ma la vita - quella realmente vissuta - e' consegnata
tutta alla dinamica delle forze in lotta".
Cosi' argomentando, Paolo Grossi non mette soltanto in evidenza i limiti del
diritto. Denuncia un vero e proprio suo scacco quando assume la forma alla
quale la modernita' ha voluto consegnarlo attraverso il giusnaturalismo e
l'Illuminismo - la "strombazzata uguaglianza" del 1789, "museale" al pari di
quel codice civile che "presuppone le mitologie legalistiche e legolatriche
dell'illuminismo continentale"; la "foglia di fico" della volonta' generale;
l'individuo astratto dalle relazioni sociali e consegnato alla solitudine.
La critica, conseguente, investe il soggetto storico di questa operazione,
la borghesia, e il suo strumento essenziale, la proprieta', ai quali viene
contrapposta la condizione di "poveri" e "sfruttati". Ancora parole forti,
non usuali per il lessico giuridico (e ormai quasi assenti nello stesso
linguaggio politico), alle quali Grossi si affida proprio per recuperare i
dati di realta', oscurati o cancellati dalla progressiva supremazia delle
categorie giuridiche astratte.
Naturalmente qui le opinioni possono divergere, e si pone subito il problema
se la critica sociale di questo modo d'essere del diritto moderno debba
necessariamente portare con se' una ripulsa cosi' totale dell'intera
modernita' giuridica (come Paolo Grossi sa, ho orientato diversamente la mia
ricerca e, pur nella comune critica alla categoria della proprieta',
continuo a ritenere che le acquisizioni in particolare dell'Illuminismo
rimangano riferimento essenziale anche nell'attuale temperie di attacco alla
persona e ai suoi diritti).
Vi e' dunque un pensiero forte, fortissimo, che ispira e muove questo libro
che cosi' diviene politico nel senso piu' alto e pieno della parola. L'aver
proposto, in un'opera dedicata al largo pubblico, tesi cosi' impegnative e'
buona cosa, il punto di partenza per una rinnovata discussione, di cui qui
possono essere solo accennati i motivi essenziali, che vanno
dall'interrogarsi intorno ad una cosi' radicale svalutazione
dell'eguaglianza formale e dei diritti fondamentali fino all'essenziale
riapertura della questione della costruzione di una soggettivita' non
astratta.
Entrando nel secolo passato, nella ricostruzione di Grossi si scorgono
precise indicazioni che sottolineano pure come la parentesi della modernita'
si sia, almeno in parte, chiusa, con il recupero del pluralismo, con
l'articolazione delle fonti che sfida l'assolutismo giuridico, dunque con
una marcata discontinuita' rispetto allo schema prevalso nei due secoli
precedenti. Di nuovo, Paolo Grossi intreccia con maestria i fili di una
trama complessa, costituita dal convergere e divergere di tradizioni diverse
(basta ricordare l'esperienza del diritto continentale e quella di common
law) e di diversi ordinamenti giuridici, come quello della Chiesa.
A questo sono dedicate pagine assai belle, dove tra l'altro emerge il
divaricarsi del suo diritto da quello statuale, permeato dagli spiriti
dell'Illuminismo e della Rivoluzione, che della Chiesa divengono "feroci
antagonisti" (tanto che, forse con qualche malizia, questa constatazione
consente di dubitare che le radici dell'Europa possano essere ritrovate solo
in quelle cristiane).

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 474 del 2 giugno 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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