La nonviolenza e' in cammino. 1287



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1287 del 6 maggio 2006

Sommario di questo numero:
1. La catena dei lutti
2. Oggi e domani a Firenze
3. Daniele Lugli: Chiediamo ai parlamentari pacifisti di dare un segno
preciso e forte votando Lidia Menapace
4. Una preghiera
5. Tiziano Tissino: Una lettera a padre Zanotelli, contro il nucleare
6. Peppe Sini: Contro il nucleare, civile e militare (in guisa di un
patetico amarcord)
7. Enrico Peyretti: Nonviolenza e politica
8. Adriana Zarri ricorda Davide Melodia
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LA CATENA DEI LUTTI

Contro la guerra infinita, c'e' solo la scelta della nonviolenza.
Contro tutte le stragi, c'e' solo la scelta della nonviolenza.
Dalla parte di tutte le vitime, c'e' solo la scelta della nonviolenza.
Contro tutte le guerre, contro tutti i terrorismi, contro tutte le stragi,
contro tutte le armi, contro tutti gli eserciti, contro tutte le mafie,
contro tutte le uccisioni, c'e' solo la scelta della nonviolenza.
Dalla parte dell'umanita', sempre e comunque, c'e' solo la scelta della
nonviolenza.

2. INCONTRI. OGGI E DOMANI A FIRENZE

Sabato 6 maggio, ore 10-18, Saloncino del Dopolavoro ferroviario (stazione
Santa Maria Novella), Via Alamanni 6r: convegno sul tema 'Nonviolenza e
politica". Intervengono, fra gli altri, Nanni Salio, Lidia Menapace, Maria
G. Di Rienzo, Alberto L'Abate, Pasquale Pugliese, Rocco Pompeo, Alberto
Trevisan, Piercarlo Racca, Elena Buccoliero, Adriano Moratto, Marco Baleani,
Mao Valpiana, Michele Boato, Paolo Bergamaschi, Alberto Tomiolo, Sergio
Albesano, ecc.
*
Domenica 7 maggio, ore 10: percorso attraverso i luoghi della nonviolenza a
Firenze.
- Partenza da Piazza dellaSignoria, luogo storico della democrazia a
Firenze; Palazzo Vecchio, dove lavorarono Giorgio La Pira e Enriquez
Agnoletti;
- Chiesa Metodista, nei pressi del luogo dove predico' Ferdinando Tartaglia,
via de' Benci;
- Cappella Pazzi, luogo caro ad Alexander Langer, piazza Santa Croce;
- Casa di Pio Baldelli, collaboratore di Capitini, via Oriuolo 9;
- Piazza San Marco, convento dove La Pira abito', sede dell'Universita' dove
insegno' Aldo Capitini;
- Chiesa di San Giovannino degli Scolopi, dove predico' padre Ernesto
Balducci, via Martelli;
- Palagio di Parte Guelfa, sede del primo Centro di Orientamento Sociale a
Firenze;
- arrivo e termine a Piazza della Signoria, ore 13.
*
L'inizativa e' promossa dal Movimento Nonviolento.
Per informazioni: tel. 0458009803, fax: 045 8009212, e-mail:
an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org

3. APPELLI. DANIELE LUGLI: CHIEDIAMO AI PARLAMENTARI PACIFISTI DI DARE UN
SEGNO PRECISO E FORTE VOTANDO LIDIA MENAPACE
[Questo intervento di Daniele Lugli (per contatti: daniele.lugli at libero.it)
estraiamo da una piu' ampia lettera diffusa attraverso la mailing list del
gruppo di lavoro tematico su "nonviolenza e conflitti" della Rete Lilliput.
Daniele Lugli e' il segretario nazionale del Movimento Nonviolento, figura
storica della nonviolenza, unisce a una lunga e limpida esperienza di
impegno sociale e politico anche una profonda e sottile competenza in ambito
giuridico ed amministrativo, ed e' persona di squisita gentilezza e saggezza
grande.
Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) e' nata a Novara
nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento
cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del
"Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle
donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino.
Nelle elezioni politiche del 9-10 aprile 2006 e' stata eletta senatrice. La
maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa
in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi
libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968;
L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un
movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La
Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della
differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con
Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma
1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la
luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto
Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004]

Da parte dei parlamentari impegnati in senso pacifista il voto per Lidia
Menapace Presidente della Repubblica sarebbe un segno preciso e forte della
volonta' di pace.

4. BUONE AZIONI. UNA PREGHIERA

A tutte le persone che ci leggono rivolgiamo una preghiera ancora: di
scrivere lettere, brevi e garbate, ai membri del Senato della Repubblica e
della Camera dei Deputati che ritenete vostri preferenziali interlocutori o
interlocutrici per chiedere loro di proporre e sostenere Lidia Menapace come
Presidente della Repubblica.
Gli indirizzi di posta elettronica dei senatori, delle senatrici, delle
deputate e dei deputati sono assai agevolmente reperibili nei siti del
Senato (www.senato.it) e della Camera (www.camera.it).
Come sapete le votazioni per l'elezione del Presidente della Repubblica
cominceranno lunedi' 8 maggio. Se vogliamo far sentire la nostra voce, o
adesso o mai piu'.

5. APPELLI. TIZIANO TISSINO: UNA LETTERA A PADRE ZANOTELLI, CONTRO IL
NUCLEARE
[Ringraziamo Tiziano Tissino (per contatti: t.tissino at itaca.coopsoc.it) per
questo intervento. Tiziano Tissino e' impegnato nel movimento nonviolento
dei "Beati i costruttori di pace" ed in numerose altre esperienze ed
iniziative nonviolente]

Caro Alex,
ho letto su "La nonviolenza e' in cammino" il tuo appello per una
mobilitazione contro il nucleare. Volevo dirti che non solo noi siamo
d'accordo, ma che da tempo siamo mobilitati su questo tema. Come sai (te ne
ho parlato, anche se di corsa, quando sei venuto a Pordenone), abbiamo in
piedi una causa contro il governo Usa per la presenza delle atomiche ad
Aviano e stiamo cominciando ad organizzare le iniziative per il 6-9 agosto,
in cui ricorderemo l'anniversario di Hiroshima e Nagasaki.
Domenica prossima, 7 maggio, il tema del nucleare sara' una delle questioni
principali su cui si concentreranno i lavori dell'assemblea nazionale de'
"Beati i costruttori di pace'' e nel week-end successivo sara' uno degli
argomenti del seminario nazionale della Tavola per la pace a Riccione.
C'e' una cosa, pero', che mi lascia un po' perplesso, nel tuo appello ed in
genere in molte delle dichiarazioni che mi capita di sentire sull'argomento:
tutti sono focalizzati sull'Iran; nessuno (o quasi) parla delle atomiche che
abbiamo qui in casa nostra. Ad Aviano ci sono (secondo fonti credibili) 50
bombe B61. Sono li' in totale violazione del Trattato di Non Proliferazione.
Tra gli "Stati Canaglia" ci siamo anche noi, peraltro in buona compagnia.
Non si tratta quindi semplicemente di chiedere agli Usa di "fare i buoni",
esercitando le armi della diplomazia anziche' quelle degli eserciti per
fermare il cattivo Ahmadinejad, quanto di far emergere che siamo noi i primi
a violare le regole e che, finche' sara' cosi', non avremo nessuna
legittimita' nel chiedere agli altri di rinunciare all'atomica (sempre
ammesso e non concesso che sia questo l'obiettivo finale dell'Iran...).

6. APPELLI. PEPPE SINI: NO AL NUCLEARE, CIVILE E MILITARE (IN GUISA DI UN
PATETICO AMARCORD)

Credo di detenere un poco invidiabile privilegio: di essere l'ultima persona
che fu spazzata via da una carica di ragazzi in divisa dinanzi ai cancelli
della allora ancora costruenda centrale nucleare di Montalto di Castro, non
solo dopo Cernobyl, ma anche a referendum antinucleare gia' vinto: senonche'
gli esiti del referendum allora erano restati inapplicati e ci tocco'
l'ennesima levataccia per bloccare i cancelli. Il giorno dopo mi dissero che
ero stato immortalato da tv e prime pagine dei giornali mentre venivo
alquanto rudemente strascicato per terra e la mia povera giacchetta di
allora se ne andava per sempre in stracci. Amen.
Del resto bloccare quei cancelli fu un ben impegnativo sport che per noi
viterbesi duro' un decennio; per quel che mi riguarda la prima volta che
andai a Pian dei Cangani fu nel fatidico 1977 per quella festa della
primavera che fu il primo grande incontro del movimento antinucleare, quando
il cantiere ancora doveva cominciare ma noi eravamo gia' li' a resistere.
In quel decennio capimmo molte cose, molte ne studiammo; probabilmente non
c'e' una sola persona tra noi campagnoli altolaziali che non abbia letto
centinaia di minuziose ricerche scientifiche e fin di tomi ponderosi, che
non abbia ascoltato infinite volte Gianni Mattioli e Massimo Scalia ed Enzo
Tiezzi e Piero Binel e Bettini e Cortellessa e Nebbia e le tante e i tanti
altri che vennero da tutta Italia a darci una mano (e tra loro mi piace
ricordare e salutare qui Alberto L'Abate che fu tra i primi a impegnarsi,
fino a farsi denunciare per l'azione diretta nonviolenta di Capalbio che fu
rilevante occasione di coscientizzazione nella costruzione del movimento che
si impegno' - infine vittoriosamente - per fermare quel famigerato Piano
energetico nazionale che se realizzato avrebbe disseminato di centrali
atomiche l'Italia intera).
Poiche' da molti, molti anni vivo una vita da fossile, la gran parte delle
persone che conosco in giro per il bel paese le ho conosciute davanti ai
cancelli di Montalto, e se la memoria non mi inganna li' ci incontrammo di
persona per la prima volta con Michele Boato ed Alex Langer, li' sono nate
alcune delle amicizie piu' belle della mia vita.
*
E li' ho inventato, in una freddissima notte prima che l'alba apparisse, la
prima tecnica nonviolenta che ho l'onore e il piacere di aver aggiunto al
repertorio gia' esistente.
In occasione di uno dei blocchi dei cancelli tirava una brutta aria di
burrasca: dal nostro lato rumoreggiavano giovinotti nelle cui mani
s'intravvedevano oggetti che sbattuti ripetutamente sui cancelli davano
l'impressione di essere qualcosa come nodosi bastoni o tondini di ferro; di
fronte erano disposti in fitta schiera ragazzi in divisa che avevan passato
una notte all'addiaccio e certo s'erano a piu' riprese rinfrancati di
pessimo cordiale. Tutti avevano una paura matta, e come capita quando si ha
una paura matta, la violenza e' li' per scoccare.
Poca era la distanza e si aspettava ormai la carica, quando pensai di
stendere in terra lunga una striscia di manifesti tra i due schieramenti,
detto fatto ci demmo una voce tra tutte le persone ragionevoli dell'uno e
dell'altro schieramento: e ricordo che dissi con voce stentorea che nessuno
di noi voleva che scorresse altro sangue (giorni prima, in occasione di un
altro blocco, c'erano stati pestaggi furiosi), e che se qualcuno fosse stato
cosi' stolto da attraversare quella sottile frontiera di carta certo in
molti avremmo molto dovuto soffrire, nel corpo e nelle anime ancora.
Nessuno varco' quella soglia.
La carica non parti'.
Gli esagitati smisero di sbatacchiare i loro arnesi.
Tutti tirammo un sospiro di sollievo.
Basto' una striscia di carta a richiamare tutti alla comune umanita'.
Venne l'alba, ormai i manifesti volavano via, tutto fini' senza danni ad
alcuno. Con gli amici piu' cari per anni abbiamo ricordato quell'ora come
una buffa esperienza, e massime coi miei piu' cari amici delle forze
dell'ordine.
*
Quella notte imparai che talvolta basta provarci - con animo limpido e
serena disposizione - perche' una cosa ritenuta impossibile invece riesca:
tanta e tale e' la forza della nonviolenza; anni dopo di quella convinzione
cercai di fare buon uso ad Aviano (Tiziano Tissino certo ricorda, ci
conoscemmo li') con l'azione diretta nonviolenta delle mongolfiere per la
pace con cui ostruire lo spazio aereo fronteggiante la pista di decollo dei
bombardieri e cosi' impedire che essi si levassero in volo a recare lor lutt
uosi doni ad una gia' tanto sofferente umanita'. E quella delle mongolfiere
e' la mia seconda invenzione originale nel campo delle tecniche della
nonviolenza (e qui temo finisca per ora il mio breve curriculum
d'inventore).
*
Tutto questo interminabile preambolo per dire, e per dirle adesso si' in
breve in breve, due cose semplici e chiare.
La prima: la tecnologia nucleare so bene essere nemica dell'umanita'.
La seconda: i farabutti che propongono il nucleare civile sanno bene che
esso non solo e' contiguo al militare, ma anch'esso reca nocumenti
gravissimi, e non solo all'ambiente e alla salute, ma anche alla civile
convivenza, poiche' implica altresi' - per ragioni di sicurezza - la
necessita' di militarizzare e carcerizzare la societa'.
E se una digressione mi e' concessa, a tutte e tutti caldo rivolgerei
l'invito di rileggere le insuperate Tesi sull'eta' atomica di Guenther
Anders, e quell'eccezionale ragionamento di padre Ernesto Balducci sulle tre
verita' di Hiroshima,  due testi che piu' volte su questo foglio abbiamo
riproposto: in poche proposizioni vi si dicono cose che tutti devono sapere.
Ergo: con tutto il cuore condivido quanto Alex Zanotelli, Tiziano Tissino e
tante altre care persone dicono, che occorre un impegno comune contro il
nucleare, questa oscena orribile minaccia che l'umanita' deve sconfiggere
prima che essa annichilisca l'umanita'.
E' anche il mio impegno da trent'anni.
Che diventi l'impegno di tutte e tutti: questa terra e' l'unica che abbiamo.
Mai piu' Hiroshima, mai piu' Cernobyl.

7. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: NONVIOLENZA E POLITICA
[Ringraziamo di cuore Enrico Peyrettti (per contatti: e.pey at libero.it) per
averci messo a disposizione il seguente intervento inviato come contributo
scritto al convegno su "Nonviolenza e politica" promosso dal Movimento
Nonviolento che si svolge da ieri fino a domenica a Firenze. Ai promotori
del convegno Enrico lo ha inviato accompagnandolo con la seguente lettera:
"Cari amici tutti, sono dispiaciuto di non poter venire, per impegni presi
prima, distrattamente. Intervengo con alcuni cenni e spunti, non originali,
solo per raccomandare che li abbiate presenti e li possiate approfondire e
sviluppare. Buon lavoro". Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali
collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura
e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e
filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il
mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore
per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede
dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato
scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita'
piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha",
edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la
Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale
della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue
opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989;
Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace,
Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999;
Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005;
Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa
Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a
stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio
nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la
traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo
foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche
nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia
bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15
novembre 2003 di questo notiziario]

1. La politica e' pace positiva
La politica e' l'arte di vivere insieme (1). Ben prima che arte di comandare
per governare, e' arte di comporre la "insocievole socievolezza" (Kant) di
ciascuno di noi nella "societa'", realta' umana di "soci" e non di "rivali",
di alleati per uno scopo comune, almeno per sopravvivere ai pericoli e
risolvere i problemi di tutti. "Il problema degli altri e' uguale al mio.
Sortirne tutti insieme e' la politica. Sortirne da soli e' l'avarizia" (2).
Cosi' vogliamo pensare e progettare la politica, per potere viverla cosi'.
Cosi', e non come il luogo dell'inimicizia assoluta, del dentro-fuori, campo
degli amici e campo dei nemici, come la pensa Carl Schmitt (3); neppure come
la sola attivita' nello stato in quanto esso consiste "in una relazione di
potere di alcuni uomini su altri uomini fondata sul mezzo dell'uso legittimo
della forza fisica" secondo Max Weber (4).
"Politico" e' in senso eminente il "cittadino", in quanto membro della
polis, ben prima del "politico di professione". La politica si realizza
nell'amicizia sociale, non nell'inimicizia, non nel comando degli uni sugli
altri. Si realizza nel "potere di tutti" (Capitini), cioe' nello sviluppo
delle possibilita' di ognuno, nel "potere di" e non nel "potere su".
Il lato "insocievole" di noi umani porta nella societa' conflitti, anche
reati e violenze. Il modo umano, proprio della societa' umana, di affrontare
queste contraddizioni interne, non puo' essere la violenza-anti-violenza
(blocco mentale e operativo che inficia la politica tradizionale), ma la
forza dell'essere-insieme di contro alla debolezza delle parti contrapposte
e divise: la forza della ragione e della volonta' comune, dei principi
acquisiti della convivenza civile, dell'unita' sociale, plurale e
dialettica, dell'organizzazione e della legge, la forza della resistenza
civile al sopruso e all'abuso di potere, anche la forza che fisicamente
impedisce la violenza, ma non sopprime e non opprime la persona; ma
soprattutto la forza morale e la fede nella forza del bene, che sanno
rispondere al male con l'amore sociale e politico (5).
Forza e violenza sono realta' opposte: la forza costruisce, la violenza
distrugge. Tra questi due estremi ci sono, nella realta' e nel linguaggio,
sfumature e  confusioni, ma i due poli - forza, violenza; costruttivita',
distruttivita' - sono chiari e orientano la scelta.
Il potere politico puo' usare la forza regolata dalla legge e dai diritti
umani, ma non la violenza, che lo rende nemico della societa' e non al suo
servizio; puo' esercitare l'azione di polizia ma non la guerra: ne' la
violenza interna ne' la violenza esterna.
Poiche' la polis diventa ormai sempre piu' unica, planetaria, la politica
non puo' usare la guerra. La politica e' pace (6), altrimenti non e'
politica, come il cibo adulterato non e' cibo. Il principio minimo
essenziale della "civilta'", della convivenza nella stessa civitas o polis,
e' il non distruggersi, il non uccidere, principio negativo che sviluppa il
suo senso positivo in tutto cio' che difende e favorisce "il pieno sviluppo
della persona umana" (7) in tutti i cittadini, senza discriminazioni.
Questa concezione della politica e' in alternativa a concezioni opposte, ben
presenti, praticate e teorizzate. Chi e' persuaso che la pace e' sostanza e
fine della politica (8), resiste con mezzi nonviolenti alla politica
violenta e bellicosa, e la critica con argomenti di ragione e di esperienza,
per fare crescere nella societa' una convivenza piu' pacifica, nei fatti e
nelle convinzioni.
Siamo oggi sul punto di una lunga svolta storica dalla politica come dominio
(anche allo scopo di assicurare la pace, pensata possibile solo se imposta
da uno stato "domatore" di belve: Hobbes) alla politica come con-vivenza
nella differenza, nel pluralismo: tolleranza, diritti umani, democrazia,
sono i passi faticosi di questa lunga svolta che deve portarci alla politica
come pace e nonviolenza.
L'assenza di guerra e' la pace "negativa", ovviamente migliore della guerra:
Erasmo ripete che e' da preferire una pace ingiusta a una guerra giusta (9).
Pace "positiva" e' quella che ottiene non solo l'assenza di violenza
diretta, fisica, bellica, ma esclude anche la violenza strutturale e la
violenza culturale (giustificazione delle forme precedenti di violenza)
(10). Questo sforzo di riduzione al minimo possibile, tendente a zero, di
tutte le forme di violenza, e' la nonviolenza positiva.
*
2. Politica e conflitti
Ma, si dice, la politica e' competizione e conflitto (il secondo significato
indicato da Zagrebelsky citato sopra). I conflitti sono nella natura della
convivenza, fanno parte della vita differenziata. Politica come pace non
significa politica senza conflitti, ma arte della trasformazione dei
conflitti, per gestirli con mezzi nonviolenti, costruttivi anziche'
distruttivi, per condurli verso soluzioni non eliminatorie, ma compositive,
piu' cooperative che competitive, almeno mediante il giusto compromesso,
cioe' l'incontro di concessioni parziali, sulla base di una cultura politica
dei diritti umani, e anche dei doveri umani: di cio' che irrinunciabilmente
spetta ad ogni persona e di cio' che ognuno deve agli altri.
Un conflitto puo' essere distruttivo o creativo, secondo come viene gestito.
"Il conflitto - scrive Galtung - riguarda la vita, in quanto punta
direttamente alle contraddizioni tra creazione e distruzione della vita. Una
teoria del conflitto dovra' essere situata fenomenologicamente a questo
livello" (11).
"La verifica della pace sta nella capacita' di gestire il conflitto" (p.
482), la sua dinamica. "La pace e' un processo" (p. 493), ed un processo
interminabile, come la trasformazione del conflitto (cfr. anche p. 166).
Questa idea guida Galtung nel proporre le due definizioni della pace che
presenta subito all'inizio: "La pace e' l'assenza/la riduzione della
violenza di qualunque genere (diretta, strutturale, culturale)". "La pace e'
la trasformazione nonviolenta e creativa dei conflitti" (pp. 19 e 482). La
prima definizione e' allargata, positiva (non e' solo non-guerra), ma ancora
statica. La seconda fornisce un concetto di pace piu' dinamico. La prima e'
centrata sul superamento della violenza, la seconda sulla gestione creativa
del conflitto.
La politica, dunque, e' costruzione continua della pace, e la pace e' opera
della politica in quanto continua trasformazione dei conflitti da
distruttivi a creativi. Questa trasformazione e' la nonviolenza attiva.
Allora, la politica umana, vitale, creativa, e' nonviolenza. Se non e'
nonviolenza costruttiva non e' veramente pace, e se non e' pace non e'
veramente politica umanamente matura. Certo, la riduzione del danno e' il
primo gradino. Ma solo il primo.
*
3. Amore e politica
Ha ragione Roberto Mancini quando osa parlare di "amore politico" (12),
contro l'uso che assegna all'amore soltanto i rapporti interpersonali
prossimi, e alla giustizia i rapporti politici, coi "terzi" sconosciuti. Per
lui l'amore politico pacifico e nonviolento e' la realizzazione dell'umano
nei rapporti collettivi come lo e' nei rapporti privati.
Il concetto di "amore politico" deve accettare la sfida della distinzione
tra amore e giustizia, tra morale privata e morale pubblica, che ha visto
teorizzate separazioni e contrapposizioni assai forti e laceranti. Paul
Ricoeur (13) tratta invece con finezza la distinzione, ponendo l'amore nella
logica della sovrabbondanza e la giustizia nella logica dell'equivalenza (p.
35). La societa' politica deve chiedere la parita' (giustizia) e puo'
esigerla e imporla; puo' chiedere anche la generosita', perche' ne ha
bisogno, per non stare appena appena sulla linea di galleggiamento, ma non
puo' esigerla. L'amore orienta la giustizia. La giustizia da' una base
all'amore (cfr. p. 40). Ricoeur conclude cosi' il suo breve saggio:
"L'incorporazione tenace, via via, di un grado supplementare di compassione
e di generosita' in tutti i nostri codici - dal codice penale alle norme di
giustizia sociale - costituisce un compito perfettamente ragionevole,
benche' difficile e interminabile" (p. 45).
Come si vede, Ricoeur osserva qui la politica dal lato delle istituzioni,
dei codici, della giustizia legale, ex parte principis. Gli autori studiati
da Roberto Mancini - Gandhi, Capitini, Levinas - nei quali egli scorge una
filosofia della politica come amore politico pacifico e nonviolento,
osservano la stessa realta' ex parte populi, dal punto di vista del "potere
di tutti" (Capitini), dei cittadini in quanto politici, nelle loro relazioni
universali, politiche e non solo private. Da questo punto di vista, pur con
le naturali permanenti distinzioni, non c'e' separazione tra l'etica privata
e l'etica pubblica, e l'amore, che e' realizzazione dell'umano, e' il
principio di entrambi i tipi di relazioni umane. Giuliano Pontara scrive che
su questo punto incontriamo "il maggior contributo gandhiano" alla storia,
alla riflessione, all'esperienza politica. Contributo che avviene non solo
nella teoria ma nella prassi, in un rapporto stretto fra i due piani.
Gandhi mostra "nella concretezza dell'agire la pratica possibilita' di
estendere un'etica tradizionalmente ritenuta valida nella regolazione dei
rapporti interindividuali a regolare anche quelli tra gruppi" (14).
*
4. La politica e' nonviolenza
Jean-Marie Muller, in un capitolo del suo libro piu' importante (15), che
riassumo in questo paragrafo, vuole dimostrare che la nonviolenza non e'
solo una esigenza morale, ne' solo filosofica, ma e' una esigenza della
politica stessa.
*
4.1. Aristotele
Il vero scopo della comunita' politica, secondo Aristotele, e' permettere
agli uomini di "vivere bene" (16), cioe' di vivere felici conformandosi alle
esigenze della virtu'. Al fine che il governo dello Stato non degeneri in un
dominio degli uni sugli altri, ma rimanga una forma di servizio reso alla
comunita' in vista dell'utile comune e del bene comune, Aristotele prevede
che tutti i cittadini esercitino il potere a turno.
Secondo Aristotele, il potere politico non implica alcuna violenza, ma si
esercita mediante la deliberazione e il voto dei cittadini riuniti in
assemblea.
Ma non bisogna ingannarsi: se, nella citta' greca, il potere politico non si
esercita con la violenza, la vita degli abitanti della citta' non e' affatto
esente da violenze. Molti di questi abitanti - gli schiavi e le donne - sono
esclusi dalla cittadinanza e, dunque, non hanno parte alcuna nel governo
della citta'. Essi devono dedicare tutto il loro tempo ai compiti
"domestici". Solo i cittadini liberi da questi compiti possono occuparsi di
filosofia e di politica. Poi, la violenza e' necessaria per mantenere
l'ordine nella citta' e difendere la comunita' dalle minacce esterne. "I
membri della comunita' - afferma Aristotele - devono avere armi in loro
possesso sia per proteggere il governo contro i cittadini disobbedienti sia
per opporsi a chi tenta di nuocere loro dall'esterno" (17).
Tuttavia, il pensiero greco conserva il merito di aver saputo distinguere
l'esercizio del potere politico da quello della violenza: se il ricorso alla
violenza e' necessario per permettere l'esercizio del potere, il potere si
esercita senza violenza. Per i greci violenza, dominio, diseguaglianza sono
nella vita privata, familiare, economica (modo di produzione servile),
pre-politica. Al contrario di cio' che pensiamo noi oggi, la politica,
l'etica pubblica, per i greci, vuole superare violenza e diseguaglianza.
*
4.2. Hannah Arendt
Hannah Arendt dimostra che il potere politico e' nonviolenza. Essa si
riferisce al pensiero greco per mostrare che la violenza e' in realta'
l'antitesi del potere politico. "I rapporti politici normali - ella scrive -
non sono viziati di violenza. Questa garanzia la troviamo per la prima volta
nell'antichita' greca in quanto la polis, la citta'-stato, si definisce in
maniera esplicita come il modo di vita fondato esclusivamente sulla
persuasione e non sulla violenza" (18).
Secondo Hannah Arendt, il potere politico nasce quando degli uomini si
riuniscono per "vivere insieme" e decidono di agire insieme per costruire il
loro avvenire entro una stessa citta'. "Il potere - scrive - corrisponde
alla capacita' umana non solo di agire, ma di agire in modo concertato"
(19), dunque insieme, non uno contro l'altro. Questo potere che nasce
dall'azione comune non ha alcun bisogno, per esercitarsi, di ricorrere agli
strumenti della violenza. "Il potere e la violenza si oppongono per natura;
quando uno dei due predomina in modo assoluto, l'altro e' eliminato...
Parlare di un potere nonviolento e' una tautologia. La violenza puo'
distruggere il potere, ma e' perfettamente incapace di crearlo" (20).
Cosi' Hannah Arendt respinge con forza la tesi dominante formulata da Max
Weber, dal suo punto di vista di sociologo osservatore, secondo la quale il
potere politico sarebbe un rapporto di dominio dell'uomo sull'uomo fondato
sui mezzi della violenza. L'uomo, dal momento che e' essenzialmente un
essere di relazione, non puo' essere libero da solo, ma diventa libero
soltanto insieme agli altri. Diventa libero quando arriva a stabilire con
gli altri delle relazioni di esseri liberi, cioe' delle relazioni prive di
ogni minaccia e di ogni paura, di ogni dominio e di ogni sottomissione. La'
dove i rapporti di dominio-sottomissione prevalgono tra gli uomini, si
stabilisce il regno della violenza e questo e' il fallimento del potere
politico.
Quando agli uomini di governo manca il potere, perche' non hanno la fiducia
dei loro concittadini, e' allora che essi sono obbligati a ricorrere agli
strumenti della costrizione, cioe' della violenza, per costringerli
all'obbedienza. Questa violenza permette ai governanti di farsi temere dagli
uomini e di dominarli per qualche tempo, ma non da' loro alcun potere. E
quando i cittadini sapranno dominare la loro paura, quando oseranno di nuovo
riunirsi, parlare e agire insieme, allora riprenderanno il loro potere e
costringeranno gli uomini di governo ad andarsene. Ricordiamo qui il grande
esempio storico delle rivoluzioni nonviolente del 1989 nell'Europa dell'est.
Il potere politico e' fondato su una parola e un'azione che si rinforzano a
vicenda. Di nuovo, Hannah Arendt si riferisce al pensiero greco: "Essere
politico, vivere in una polis, significava che ogni cosa si decideva con la
parola e la persuasione e non con la forza ne' con la violenza. Agli occhi
dei Greci, costringere, dominare invece di convincere, erano metodi
pre-politici di trattare gli uomini" (21). Se l'azione politica e' fondata
sulla parola, essa e' priva di ogni violenza per il fatto stesso che
violenza e parola si escludono a vicenda, e in modo radicale. Certo, la
parola puo' essere violenta, ma una parola violenta e' una violenza e non e'
piu' una parola. Inoltre, "la violenza stessa - come scrive Hannah Arendt -
e' incapace di parola" (22). Certo, il potere politico deve agire per
realizzarsi nella storia, ma deve agire mediante un'azione che prolunghi la
parola che l'ha fatto nascere: "Il potere non e' attuato se non quando la
parola e l'atto non divorziano, quando le parole non sono vuote e gli atti
non sono brutali... quando gli atti non servono a violare e distruggere, ma
a stabilire delle relazioni e a creare delle nuove realta'" (23).
*
4.3. O parola o violenza
Per gli uomini, vivere insieme una vita umana e' parlare e agire insieme:
questo "parlare insieme" e questo "agire insieme" costituiscono la vita
politica. Cio' che inaugura e fonda l'azione politica e' la parola scambiata
tra i cittadini, e' la libera discussione, la deliberazione pubblica, il
dibattito democratico, la con-versazione. Questa con-versazione (dal latino
versare, che significa voltare, volgere) avviene quando gli uomini si
rivolgono gli uni verso gli altri per parlare, decidere e agire insieme.
Cio' che fonda la politica non e' dunque la violenza, ma il suo contrario
assoluto: la parola umana. Un regime totalitario si caratterizza per la
distruzione totale di ogni spazio pubblico in cui i cittadini abbiano la
liberta' di parlare e di agire insieme.
L'essenza stessa del fatto politico e' il dialogo degli uomini tra loro. La
riuscita del politico e' la riuscita di questo dialogo, cioe' l'accordo
degli uomini tra loro per decidere del loro comune avvenire. Poiche' la
comparsa della violenza tra gli uomini significa sempre il fallimento del
loro dialogo, la violenza significa sempre il fallimento della politica.
L'essenza dell'azione politica non e' agire gli uni contro gli altri, ma
agire gli uni con gli altri.
Gli individui che ricorrono alla violenza per realizzare le loro passioni,
desideri o  interessi particolari hanno gia' abbandonato il luogo politico
della comunita' a cui appartengono. La loro azione non si inscrive piu'
nello spazio pubblico che costituisce la comunita' politica. La polis dovra'
certo neutralizzare la loro capacita' di violenza. L'azione di polizia e'
una necessita' della politica, ma non costituisce la politica, che e' ben di
piu': non si riduce alla polizia se non nello "stato di polizia", inferiore
allo "stato di diritto".
Del resto, la parola offre ancora delle possibilita' per lottare contro la
violenza, come dimostra la tradizione della "chiacchierata" praticata in
certe societa' africane. "In queste societa' tradizionali - scrive a questo
proposito Jean Duvignaud - davanti a un atto di violenza la soluzione non e'
la faida familiare, ma una discussione che unisce tutto il gruppo e nella
quale la violenza e' tramutata in parola" (24). E' cosi' possibile elaborare
una soluzione al conflitto sopravvenuto e reintegrare il delinquente nella
comunita' degli uomini che si parlano.
*
4.4. La politica si realizza solo nella nonviolenza
Il fatto politico consiste nel progetto di riunire gli uomini in un'azione
comune. Dunque, non soltanto non lascia alcuno spazio alla violenza, ma non
puo' realizzarsi che mediante la nonviolenza. Nella sua finalita' come nelle
sue modalita', l'azione politica e' organicamente accordata alla
nonviolenza. Solo la filosofia della nonviolenza situa di nuovo la comunita'
politica nella sua vera prospettiva e le da' di nuovo le sue vere
dimensioni.
Se l'azione politica si caratterizza in effetti per il fatto di essere
nonviolenta, allora la violenza, per sua stessa natura, e' "anti-politica",
quale che possa essere talvolta la sua necessita'. Al massimo, bisognerebbe
forse concedere che essa e' pre-politica nella misura in cui precede e, in
certe circostanze, prepara e rende possibile l'azione politica.
La violenza, che ha sempre di mira la morte, si trova in contraddizione
fondamentale con l'esigenza essenziale del fatto politico, che e' costruire
una societa' liberata dalla minaccia della morte. Al fine di realizzare i
diritti rispettivi di tutti i cittadini e di tutti i popoli, il governo
dello stato deve sforzarsi di risolvere pacificamente gli inevitabili
conflitti che sorgono entro una societa' e tra le diverse societa'.
Pacificare la vita sociale per rendere possibile la vita politica implica
non soltanto la volonta' di instaurare la pace, ma la volonta' di
instaurarla con mezzi pacifici, cioe' nonviolenti.
*
4.5. Scelta politica della nonviolenza
In un altro punto del suo lavoro, Jean-Marie Muller scrive: "Bisogna ben
riconoscerlo, quelli che affermano la necessita' della violenza,
generalmente non hanno mai provato la nonviolenza. Una cosa e' dire: bisogna
ricorrere alla violenza il meno possibile; altra cosa e' dire: bisogna
ricorrere alla nonviolenza il piu' possibile. Se l'uomo non si prepara a
mettere in atto i mezzi dell'azione nonviolenta ogni volta che e' possibile,
allora la violenza sara' ogni volta necessaria. Non si puo' fare davvero
risparmio di violenza se non facendo risolutamente la scelta della
nonviolenza. Il risparmio di violenza non e' possibile che nella dinamica
della nonviolenza" (25).
La riflessione filosofica non ci autorizza ad affermare che la nonviolenza
sia la risposta che offre in tutte le circostanze i mezzi tecnici per
affrontare le realta' politiche, ma ci porta ad affermare che la nonviolenza
e' la domanda che, di fronte alle realta' politiche, ci permette in tutte le
circostanze di cercare la migliore risposta. Se, immediatamente, volessimo
considerare la nonviolenza come la risposta buona, noi non vedremmo altro
che le difficolta' a metterla in atto e rischieremmo di convincerci
rapidamente che esse sono insormontabili. Invece, se noi consideriamo la
nonviolenza come la domanda buona, potremo allora guardarla come una sfida
da raccogliere e applicarci a cercare la migliore risposta che possa esserle
data. Fino ad oggi gli uomini generalmente non si sono posti la (buona)
domanda della nonviolenza e hanno accettato subito la (cattiva) risposta
offerta dalla violenza.
Affermare che la nonviolenza e' sempre la buona domanda ci deve far evitare
di credere troppo in fretta che la violenza sia la buona risposta. Infatti,
se e' vero che la domanda buona non ci da' immediatamente la risposta buona,
essa orienta la nostra ricerca nella direzione in cui abbiamo le maggiori
probabilita' di trovarla. E questo e' gia' decisivo. Poiche' il fatto di
porre la buona domanda e' una condizione necessaria, benche' non
sufficiente, per trovare la buona risposta.
*
4.6. Violenza, fallimento della politica
La violenza puo' avere libero corso nella storia perche' viene legittimata
in nome della ragion di Stato. E' proprio cio' che la storia ci insegna. Di
fronte a tutto quello che la violenza commette di irreparabile quando
diventa il mezzo specifico della politica, non e' necessario uscire in
riflessioni morali per rifiutarla. E' nell'azione politica stessa che si
trovano le ragioni per rifiutarla. E sono ragioni imperative.
Ogni atto di violenza, soprattutto se e' compiuto dal governo, deve essere
riconosciuto come un fallimento dell'azione politica: il fatto stesso di non
aver saputo risolvere un conflitto altrimenti che con la violenza rivela una
disfunzione della societa' e non puo' essere banalizzato come se facesse
parte del suo funzionamento normale. Davanti alla necessita' di ricorrere
alla violenza, la cosa urgente non e' giustificarla, ma cercare i mezzi
nonviolenti che permetteranno in avvenire di evitare, in tutti i modi
possibili, che una tale situazione si ripeta.
*
Note
1. Gustavo Zagrebelsky, in Principi e voti (Einaudi, Torino 2005), distingue
due significati di politica: attivita' finalizzata alla convivenza;
competizione tra le parti per assumere e gestire il potere (cfr. p. 39).
2. Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice
Fiorentina, Firenze 1967, p. 14.
3. Secondo Gustavo Zagrebelsky, Carl Schmitt "non parla della politica, ma
della guerra, e in particolare della guerra di sterminio" (op. cit., pp.
38-39 in nota).
4. Max Weber, La politica come professione, varie edizioni, nelle primissime
pagine.
5. Con questo termine un filosofo scrive sulla nonviolenza: Roberto Mancini,
L'amore politico. Sulla via della nonviolenza con Gandhi, Capitini e
Levinas, Cittadella editrice, Assisi 2005.
6. Con questo titolo, La politica e' pace, raccolsi una serie di articoli in
un libro presso l'editrice Cittadella, Assisi 1998.
7. Costituzione della Repubblica italiana, art. 3.
8. Fine nel senso di scopo, e non di termine. Quindi la pace non come
qualcosa che viene dopo e fuori dalla politica, non la sua fine, perche' la
pace renderebbe superflua la politica-conflitto, ma il suo principio. Vedi
Claudio Ciancio, La pace, fine della politica, nel mensile torinese "il
foglio" n. 306, novembre 2003; Enrico Peyretti, La pace, fine o principio
della politica?, nel mensile torinese "il foglio" n. 310, marzo 2004.
9. Erasmo da Rotterdam scrive questo sia nell'opera piu' famosa, Querela
pacis (oltre la meta', al capoverso "Sunt leges, sunt homines..."), sia
nella piu' importante Dulce bellum inexpertis, al n. 14.
10. Giovanni Salio, Le guerre del Golfo e la ragioni della nonviolenza, Ega,
Torino 1991, pp. 11-21, con una chiara tabella alle pp. 14-15.
11. Johan Galtung, Pace con mezzi pacifici, Parte II, Teoria del conflitto,
Esperia,  Milano 2000, p. 134.
12. Roberto Mancini, L'amore politico. Sulla via della nonviolenza con
Gandhi, Capitini e Levinas, Cittadella editrice, Assisi 2005.
13. Paul Ricoeur, Amore e giustizia, Morcelliana, Brescia 2000 (l'edizione
originale e' del 1990).
14. Giuliano Pontara, "Il pensiero etico-politico di Gandhi", saggio
introduttivo a Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino
1996, p. XXXVIII.
15. Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace,
Plus - Pisa University Press, Pisa 2004, (traduzione mia), capitolo 8
(titolo originale: Le principe de non-violence. Parcours philosophique,
Desclee de Brouwer, 1995).
16. Aristotele, Etica Nicomachea, 1252, b 25.
17. Ibidem, 1328, b 5.
18. Hannah Arendt, La crise de la culture, Gallimard, Paris 1992, p. 11.
19. Hannah Arendt, Du mensonge a' la violence, Calmann-Levy, Paris 1972, p.
153. Questa affermazione corrisponde letteralmente a quella che si trova in
On Violence, Harcourt Bruce & Company, 1970, nella traduzione italiana di
Savino D'Amico, Sulla violenza, Guanda, Parma 1996, p. 40.
20. Ibidem, p.166; tr. it. Sulla violenza cit., p. 51 e 48.
21. Hannah Arendt, Condition de l'homme moderne, Calmann-Levy, Paris 1992,
p. 64 (edizione originale: The Human Condition, University of Chicago, 1958;
tr. it. di Sergio Finzi, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, Milano
1998, p. 20).
22. Hannah Arendt, Essai sur la revolution, Gallimard, Paris 1985, p. 21-22
(edizione originale On Revolution (1963), tr. it. Sulla rivoluzione,
Comunita', Milano 1983).
23. Hannah Arendt, Condition de l'homme moderne, op. cit. p. 260; tr. it.
cit., p. 146.
24. Jean Duvignaud, Violence et societe', in "Raison presente", n. 54, 1980,
p. 7. Su questo metodo tradizionale africano si puo' vedere anche Hildegard
Goss-Mayr, Come i nemici diventano amici, Emi, Bologna 1997, pp. 221, 222,
228. Si deve poi ricordare il grande significativo esempio precorritore di
una giustizia senza violenza che e' stata la Commissione Verita' e
Riconciliazione in Sudafrica, negli anni '90.
25. Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace,
cit., p. 296.

8. MEMORIA. ADRIANA ZARRI RICORDA DAVIDE MELODIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 aprile 2006.
Adriana Zarri, nata a S. Lazzaro di Savena nel 1919, e' teologa e saggista.
Tra le sue opere segnaliamo almeno: Nostro Signore del deserto, Cittadella,
Assisi; Erba della mia erba, Cittadella, Assisi; Dodici lune, Camunia,
Milano; Il figlio perduto, La Piccola, Celleno.
Davide Melodia, amico della nonviolenza, infaticabile costruttore di pace,
era nato a Messina nel 1920, figlio di un pastore evangelico socialista e
pacifista; fratello di Giovanni Melodia (1915-2003, antifascista, deportato
a Dachau, segretario nazionale dell'Aned, testimone e studioso della Shoah);
prigioniero di guerra nel 1940-'46; maestro elementare, pastore evangelico
battista, maestro carcerario, traduttore al quotidiano "Il Giorno", pittore,
consigliere comunale e provinciale, dirigente dei Verdi; pacifista
nonviolento, segretario del Movimento Nonviolento (1981-'83), segretario
della Lega per il Disarmo Unilaterale (1979-'83), membro del Movimento
Internazionale della Riconciliazione, vegetariano, predicatore evangelico,
dal 1984 quacchero. Ma questa mera elencazione di alcune sue scelte ed
esperienze non ne rende adeguatamente la personalita', vivacissima e
generosa. E' deceduto a Verbania l'8 marzo 2006. L'ultima  delle opere di
Davide Melodia e' Introduzione al cristianesimo pacifista, Costruttori di
pace, Luino (Va) 2002]

A 85 anni e' morto Davide Melodia e, in sua memoria, non troviamo di meglio
che trascrivere una sua poesia: "Non pregare Iddio / prima della battaglia /
signor generale, / ne' lei, signor presidente, / prima della guerra che
vuole scatenare / contro un popolo di fatto innocente / non preghi per
niente. (...) Il Dio dell'amore universale / non e' con te / ne' contro di
te; / quel Dio e' contro ogni violenza".

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1287 del 6 maggio 2006

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