La nonviolenza e' in cammino. 1285



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1285 del 4 maggio 2006

Sommario di questo numero:
1. Le prime adesioni all'appello per Lidia Menapace Presidente della
Repubblica
2. Severino Vardacampi: Tre motivi ancora per Lidia al Quirinale
3. Enrico Peyretti: Relativismo (parte seconda e conclusiva)
4. "Nonviolenza e politica": un convegno a Firenze il 5-7 maggio
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. APPELLI. LE PRIME ADESIONI ALL'APPELLO PER LIDIA MENAPACE PRESIDENTE
DELLA REPUBBLICA

All'appello per Lidia Menapace Presidente della Repubblica ("Ci piacerebbe
un Presidente della Repubblica che avesse fatto la Resistenza. Un Presidente
della Repubblica che avesse fatto la scelta della nonviolenza. Un Presidente
della Repubblica femminista. Una Presidente della Repubblica. Lidia
Menapace") hanno aderito varie persone ed associazioni dell'impegno civile;
di seguito segnaliamo le adesioni che abbiamo fin qui pubblicato su "La
nonviolenza e' in cammino" (sono ancora solo una parte delle dichiarazioni
pervenuteci, e le adesioni pervenuteci sono solo una parte di quelle che
stanno pervenendo a vari siti e varie testate che sostengono l'iniziativa).
Tra le prime adesioni: Farid Adly, Enrica Bartesaghi, Franca Bimbi, Giovanna
Capelli, Giancarla Codrignani, Giovanni Franzoni, Domenico Gallo, Gerard
Lutte, Anna Maffei,  Lidia Maggi, Gigi Malabarba, Dacia Maraini, Ettore
Masina, Eugenio Melandri, Lea Melandri, Luisa Morgantini, Giorgio Nebbia,
Riccardo Orioles, Giuliano Pontara, Lidia Ravera, Annamaria Rivera, Brunetto
Salvarani, Bruno Segre, Giacomo Alessandroni, Gabriele Aquilina e Elena
Dall'Acqua, Daniele Aronne, Barbara Bellini Benini, Simona Bernasconi, Laura
Bottai, Norma Bertullacelli, Marcella Bravetti, Antonio Bruno, Gino Buratti,
Luisa Carminati, Francesco Comina, Renato Corsetti, Guido Cristini e Marisa
Mantovani, Daniele Dal Bon, Claudio Debetto, Alessio Di Florio, Pasquale
Dioguardi, Maria G. Di Rienzo, Angela Dogliotti Marasso, Antonino Drago,
Giovanna e Massimo Duranti, Giuliano Falco, Daniele Gallo, Nella Ginatempo,
Pasquale Iannamorelli, Luca Kocci, Enrico Lanza, Daniele Lugli, Roberto
Melone, Michele Meomartino, Isidoro D. Mortellaro, Flavia Neri, Claudio
Ortale, Paola Pavese, Francesco Pistolato, Alessandro Portelli, Pasquale
Pugliese, Piercarlo Racca, Luciana Ronchi, Yukari Saito, Nanni Salio,
Giovanni Sarubbi, Marco Servettini,  Zenone Sovilla, Giuseppe Stoppiglia,
Silvano Tartarini, Andrea Trentini, Daniele Vasta, Antonio Vigilante,
Marcello Vigli, Aldo Zanchetta, Franco Zunino, Associazione Macondo, Daniele
Barbieri, Vittorio Bellavite, Luciano Benini, Rodolfo Carpigo, Maria
Caterina Cifatte e Giuseppe Coscione, Umberto Cinalli, Giovanni Colombo,
Giulio De la Pierre, Mario Di Marco, Claudio Di Scalzo, Eligio Galdi,
Giorgio Gallo, Marta Ghezzi, Bruno Giaccone, Agnese Ginocchio, Doriana
Goracci, "Italia civile", "Italia laica", Domenico Jervolino, Elena Liotta,
Floriana Lipparini, Paola Mancinelli, Giovanni Mandorino, Raffaele
Mantegazza, Antonio Mazzeo, Dario Mencagli, Andrea Montagner, Giorgio
Montagnoli, Daniela Musumeci, Gigi Ontanetti, Lulu' Ortega, Helene
Paraskeva, Beppe Pavan, Rosangela Pesenti, Enrico Peyretti, Osvaldo Pieroni,
Enzo Piffer, Paolo Predieri, Vincenzo Puggioni, Edi Rabini, Rina Redivo,
Lucio Baraschi e Vania Baraschi, Giovanni Russotto, Antonella Sapio, Mirella
Sartori, Evelina Savini, Davide Scaglianti, Eugenio Scardaccione, Giovanni
Scotto, Mario Signorelli, Marco Siino, Francesco Vignarca, Normanna
Albertini, Valeria Ando', Serenella Angeloni, Franca Maria Bagnoli, Anna
Baluganti, Giuliana Beltrame, Tiziana Boari, Rita Bravi, Annamaria Burani,
Antonietta Cacciani, Igina Campus, Sandra Cangemi, Patrizia Caporossi, Elisa
Carlaccini, Claudia Cernigoi, Nadia Cinti, Anna Maria Civico, Donatella
Cortellini, Pia Covre, Nicoletta Crocella e l'associazione "Stelle cadenti",
Giuliana Cupi, Michela De Santis, Francesca Fabbri, Nella Ginatempo, Marta
Giraudo, Celeste Grossi, Raffaella Lamberti, Mimma Ianno' Latorre, Michela
Lipari, Sabina Longhitano, Enza Longo, Sigrid Loos, Nicoletta Manuzzato,
Carla Mariani, Marina Martignone, Giuliana Meli, Nadia Neri, Mary Nicotra e
"Donne in viaggio", Eleonora Parlanti, Maria Luisa Paroni, Anna Pascuzzo,
Giovanna Providenti, Barbara Romagnoli, Paola Rossi, Lucia Salemi, Marta
Sartini, Assunta Signorelli, Liliana Tedesco, Alessandra Valle, Gianni
Novelli, Elena Pulcini, Letizia Tomassone, Mao Valpiana, Sergio Albesano,
Stefano Allievi, Tiziana Andreola, Eros Berardelli, Ester Comini, Luciano
Comini, Franca Guana, Massimo Mercuri, Miriam Saleri e La Piccola Editrice
di Celleno, Arciragazzi di Narni, Antonio Bianciardi, Alessandro Bocchero,
Antonio Bruno, Paolo Buffoni, Giulio Bufo, Luciano Capitini, Arnaldo Casali
e la redazione di "Adesso", Silvio Cinque, Fausto Concer, Andrea Cozzo,
Massimo Dalla Giovanna, Francesco de Notaris, Michele de Pasquale, Sergio Di
Vita, Ornella D'Orazio, Carla Ermoli e Leo Piacentini, Alfredo Fagni e
Fiamma Lolli, Carla Galetto, John Gilbert, Dario Giocondi, Antonio
Grassedonio, "La citta' delle dame"; Nello Margiotta; Domenico Matarozzo,
Carmine Miccoli, Antonella Monastra, Adriano Moratto, "Narni per la pace",
Alberto Pacelli, Fiora Pezzoli e Flavio Turolla, Guido Piovano, Rosanna
Pirajno, Luigi Pirelli, Michele Poli, Fabio Ragaini, Claudio Riolo, Nora
Rodriguez, Carlo Ruta, Paolo Sales, Luca Salvi, Mauro Socini, Tiziano
Tissino, Amedeo Tosi, Gennaro Varriale, Fabio Visentin, Anna Puglisi e
Umberto Santino, Maria Schiavo, Sergio Tanzarella, "Adesso", Daniella
Ambrosino, Stella Bertuglia, Herminia Boncalan e Pierluigi Ricciarelli,
Liliana Boranga, Adriana Bottini, Maria Pia Bozzo e Carlo Ferraris, Giuseppe
Burgio, Tonino Cafeo, Rita Calabrese, Comitato per la pace "Rachel Corrie"
di Genova, Marinella Correggia, Virginia Del Re, Alfredo Di Noia, Fabrizio
Fassio, Anita Fisicaro, Gabriella Grasso, Celeste Grossi e le Donne in nero
di Como, Marco Giubbani, Rosanna Labalestra, Massimo Lafronza, Marilena
Martino, Francesca Mongelli, Mariella Sciancalepore, "La societa' delle
estranee" di Palermo, Pierpaolo Loi, Alessandra Mambelli, Maira Marzioni,
Gisella Modica, Toni Peratoner, Erica Piantini, Stefano Poli, "Prospettive",
associazione di italiani in Grecia per la sinistra, Luisa Randi, Andrea
Maria Ricci, Nicola Sanna, Maria Pia Simonetti, Antonio Sorrentino, "Tempi
di fraternita'", Patrizio Tressoldi, Maria Natalina Trivisano, Stefano
Ulliana, Riccardo Dello Sbarba, Giampiero Girardi, Tarcisio Alessandrini,
Franco Borghi, Coordinamento nazionale dell'Associazione Italia-Nicaragua,
Versilia Dominici e Franca Nosenzo, "Donne in nero" di Alba, Teresa Ducci,
Giuliano Falco, Rachele Farina, Laura Favro Bertrando, Fondazione "Popoli e
Costituzioni", Angelo Gandolfi, Marzia Gelardi, Angela Giuffrida, Carlo
Gubitosa, Gianfranco Laccone, Marco Palombo, "Peacelink", Francesco Pisano,
Alessandro Pizzi, Antonio Revelli, Rosetta Riboldi, Yousef Salman, Angelo
Saracini, Maria Edoarda Trillo', Maria Chiara Tropea, Lalla Uher, Giulio
Vittorangeli, Elisabetta Caravati, Letizia Lanza, Carlo Sansonetti, Cinzia
Abramo, Simonetta Barocchi, Cristiana Basilico e Federico Marolla, Bengasi
Battisti, Stefano Bona, Viola Buzzi e l'"Associazione culturale i Tusci",
Paola Caenazzo, Roberto Cappellini, Misa Chiavari, Piero Coltelli e
l'associazione "Antica come le montagne", Comitato per la pace Roma X,
Grazia Corrente, Gianpaolo D'Errico, i giovani comunisti ed il circolo del
Prc "Antonio Gramsci" di San Pietro Vernotico, Alessia Di Grigoli, Pasquale
Dioguardi, Le "Donne in nero" e settantanove cittadine e cittadini di Alba,
Cosetta Erinaldi, Tommaso Fattori: Per Lidia Presidente della Repubblica,
Antonietta Federici, Domenico Ferraro e l'Unione civica riformatori del
Piemonte, Rita Filippo, Pina Garofalo, Giorgio Guelmani, "Il battito del
mondo", "La citta' delle dame", Nunzia Mandanici, Antonietta Mariotti e
Vitaliano Visentini, Roberto Mazzini e l'associazione "Giolli", Chiara
Mellina, Silvia Montevecchi, Bruna Montorsi, Anna Moscucci, Milena Nicolini,
Francesco Paolella, Patrizia Parodi, Francesco Pistolato, Francesco
Quaranta, Vittoria Ravagli, Piera Rella, Mario Ricci, Giovanni e Paolo
Rosa', Katia Sacchi, Antonella Santarelli,  Margherita Sestieri, Paolo
Spunta, Stefano Toppi, Alberto Trevisan, Mariangela Vairo, Nicola Vallinoto,
i Verdi dell'Alto Adige, Giancarlo Villa, Maria Vanna Zanini...

2. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: TRE MOTIVI ANCORA PER LIDIA AL
QUIRINALE

Ai tanti buoni motivi perche' Lidia Menapace venga eletta Presidente della
Repubblica gia' da molte altre persone segnalati, vorrei aggiungere i tre
seguenti.
*
Penso che se Lidia Menapace fosse stata Presidente della Repubblica nel 1998
si sarebbe rifiutata di promulgare la legge che ha riaperto in Italia i
campi di concentramento.
*
Penso che se Lidia Menapace fosse stata Presidente della Repubblica nel 1999
avrebbe difeso l'art. 11 della Costituzione e non avrebbe permesso che
l'Italia partecipasse alla guerra. Ugualmente negli anni successivi ed
ancora adesso.
*
Penso che se Lidia Menapace fosse stata Presidente della Repubblica dal 2001
a oggi non avrebbe promulgato le molte leggi criminali e criminogene con cui
personaggi sotto processo per gravi delitti hanno cercato - con la
complicita' di una maggioranza parlamentare ora finalmente rovesciata dal
voto popolare - di garantirsi l'impunita'.
*
Questo penso. E ho voluto scriverlo.
*
Mi piacerebbe una Presidente della Repubblica che difendesse la
Costituzione, la legalita', la democrazia, la giustizia e la liberta', i
diritti umani di tutti gli esseri umani. Lidia Menapace, lo so, lo farebbe.

3. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: RELATIVISMO (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci
messo a disposizione questa traccia di una conversazione tenuta
nell'incontro col gruppo "Agire politicamente" a Genova il 19 aprile 2006
sul tema "Il significato delle parole: relativismo. Ovvero: verita' e
societa'. Alla luce del pensiero nonviolento". Enrico Peyretti (1935) e' uno
dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu'
nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato
nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino
al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e'
ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino,
sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato
scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita'
piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha",
edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la
Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale
della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue
opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989;
Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace,
Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999;
Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005;
Esperimenti con la verita'. Saggezza e politica di Gandhi, Pazzini, Villa
Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a
stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio
nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la
traduzione italiana), e che e stata piu' volte riproposta anche su questo
foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari suoi interventi sono anche
nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia
bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15
novembre 2003 di questo notiziario]

11. Vocazione di tutti alla verita'
Anche resistendo e lottando contro il male, il combattente nonviolento cerca
il bene-verita' anche nell'avversario, con lui, per lui, nonostante lui; non
gli basta neutralizzarlo o domarlo, vuole guadagnarlo alla stessa ricerca
pratica di verita', liberare anche lui da una verita' chiusa e violenta.
Gandhi ha una fiducia, che dico piu' prodigiosa che ingenua, in questa
possibilita' presente in tutti, in questa vocazione alla verita' che e' nel
profondo di tutti, anche di Hitler (11). Durante la seconda guerra mondiale,
gli scrisse due lettere in questo senso, che la censura inglese fermo' (12).
Ma cio' che dice agli inglesi nel luglio 1940, di non resistere ai tedeschi
con le armi, ma soltanto negando loro obbedienza (13), va nella stessa
direzione. "Il mio ottimismo si fonda sulla mia fede nelle infinite
possibilita' dell'individuo di sviluppare la nonviolenza" (14).
Quindi e' la mancanza di certezza assoluta che rende ingiustificabile il
ricorso alla violenza: "L'uomo e' incapace di conoscere la verita' assoluta,
e dunque non ha il diritto di punire" (15) in nome della verita'.
*
12. La verita' non esclude il dubbio-ricerca-esperimento
La verita' non esclude il dubbio. Anzi, il dubbio collabora alla verita'.
Poiche' non afferriamo la verita', non la mettiamo in tasca come un oggetto,
ma l'abbiamo di fronte come in una relazione, come un orizzonte, dunque il
dubbio, l'incompiutezza, la strada ancora da percorrere, l'ignoranza,
accompagnano la conoscenza come l'ombra accompagna un corpo in presenza di
una luce. Piu' si impara, piu' si ignora. Non si sa tutto, non si sa fino in
fondo, non si sa con una certezza senza ombre (se non le verita' inferiori a
noi, tecniche, utili). Non si sa "senza ombra di dubbio": infatti, ogni
verita' conosciuta ha la sua ombra. La possibilita' del diverso e del
contrario non e' esclusa in modo assoluto dalle nostre convinzioni.
Il dubbio non e' soltanto un nemico della verita'. C'e' un dubbio negativo,
radicale: tutto cio' che conosciamo non e' reale conoscenza, e' solo
apparenza; ma c'e' anche un dubbio positivo, interrogativo, attivo,
procedurale, di insoddisfazione e stimolo, per l'ignoranza che accompagna il
sapere, e per il desiderio di sapere meglio.
I dubbi possono portare avanti nella verita', scuotendo precedenti
assestamenti, quindi possono essere non dubbi dissolutori, cosi' da farci
perdere il tesoro trovato nel campo, ma necessari passaggi faticosi di un
ulteriore cammino valido.
*
13. Funzione veritativa del dubbio
C'e' una funzione veritativa del dubbio: esso libera la verita' dalla crosta
dura irrigidita della retorica, del dogmatismo, dell'ideologia,
dell'appagamento; il dubbio veritativo e' l'apertura di ogni verita' al suo
inveramento ulteriore, oppure alla sua verifica-falsificazione, che porta a
una piu' vera verita'. Si tratta del dubbio scientifico. La scienza ha
"simpatia per l'errore" (16), per la scoperta dell'errore, che le permette
un passo avanti nella migliore conoscenza. Quando una conoscenza diventa
ovvia, come l'arresto di un cammino, e' allora che bisogna dubitarne, per
darle nuova verita'.
Il dubbio e' la fragilita' feconda di un'affermazione aperta
all'interrogazione; e' la qualita' di una sostanza, non e' una sostanza. Se
il dubbio ha ragione diventa un'affermazione.
*
14. La verita' e' irrinunciabile
Il dubbio attivo cerca una nuova certezza di verita'. La verita' e'
irrinunciabile tensione costitutiva dell'umanita' autentica, e' una realta'
viva all'orizzonte, che ci attrae, non e' illusione ne' presunto possesso.
Non e' una de-finizione che limita, che con-fina, ma una in-dicazione che
apre, pro-spetta.
Perche' diciamo che c'e' in noi una tensione irrinunciabile alla verita'?
Chi nega l'esistenza di una verita' ultima, oppure la possibilita' di
conoscerla, dice questo come una affermazione vera, che vale perche'
corrisponde alla realta'. Non si puo' parlare senza dire qualcosa in quanto
vero. Chi mente lo fa per interesse, o per gioco, o per utile, ma la
menzogna che egli dice vuole apparire verita'. Il discorso comunicativo tra
noi deve essere dato come vero, o almeno come ipotetico, altrimenti non e'
degno di ascolto, oppure si ascolta come scherzo. Anche la favola, non vera
storicamente, vuol dire una verita' metaforica. Gandhi scrive: "Abbiamo
conosciuto la negazione di Dio, le negazione della verita' no. Anche l'uomo
piu' ignorante ha in se' una verita'. Noi tutti siamo scintille di verita'"
(17).
Persino la menzogna rende omaggio alla verita'. Ogni menzogna e' un omaggio
alla verita'. Ogni menzogna raggiunge il suo scopo di ingannare solo se si
nega come menzogna per affermarsi come verita'. L'inganno non inganna se non
si serve della verita'. Nessuno dice: "Ascoltami! Questa e' una menzogna!".
La verita' e' il senso e lo scopo di ogni parola, anche quando sbagliamo,
anche quando inganniamo. Per andare contro la verita' dobbiamo servirci
della verita'. Una moneta falsa viene spacciata per buona, e serve per
comprare qualcosa solo in quanto appare buona. Se non ci fosse la moneta
buona, nessuna moneta sarebbe falsa.
Nessuno puo' rinunciare a dire (e quindi cercare) la verita'; oppure a far
credere vero cio' che dice, perche' gli altri attendono da ogni discorso la
verita'. Nessuno dice se non per gioco: quello che ti dico non e' vero.
Dunque, in un certo senso, la verita' e' insopprimibile, irrinunciabile.
C'e' una per-manenza della verita', che non si puo' perdere, una sua
onni-presenza, che pervade anche la menzogna, almeno la sua superficie
apparente, perche' possa esistere e agire da menzogna. Ogni relazione
umana - e la parola e' una relazione - ogni dis-corso, ogni con-versazione,
si basa sulla verita', almeno apparente, altrimenti non e' una relazione. Il
lupo parla all'agnello fin quando il suo sembra un dis-correre; smascherata
la falsita', passa alla pura violenza, dove non c'e' piu' ne' parola ne'
relazione. La violenza e' l'essenziale non-verita'. Percio' si dice bene che
la prima vittima della guerra e' la verita'.
*
15. Danni della menzogna
Quando nel nostro discorso c'e' verita' soltanto apparente, non sostanziale,
cioe' quando c'e' inganno, ci sono danni sia alla relazione tra noi, sia
alle azioni nostre e altrui.
Dalla menzogna e' danneggiata non solo la conoscenza esatta, ma la relazione
tra noi, l'affidabilita', la fiducia, l'appoggio reciproco necessario a
vivere, perche' nessuno e' sufficiente a se stesso senza l'altro. Chi mente
danneggia se stesso, si priva della relazione con gli altri. La bugia non e'
una teoria errata (come l'errore in buona fede), ma una relazione
danneggiata. Quel pastorello che grida per gioco "Al lupo! Al lupo!" e fa
accorrere tutti in suo aiuto, quando il lupo viene davvero, nessuno piu' gli
crede, egli perde l'aiuto degli altri. La menzogna non e' relativismo, e'
anti-relazione. La verita' della parola, al contrario, e', in questo senso,
"relativismo", meglio: relazionalita', atto di relazione.
E poi, dalla menzogna sono danneggiati i nostri atti, le scelte della vita.
Una falsa visione delle cose orienta male, fa deviare, inciampare, cadere,
colpire. La nostra parola si fa vita in chi ci ascolta, o semplicemente ci
guarda con fiducia. Siamo gli uni responsabili degli altri. La parola e'
responsabile non solo verso la verita', verso le cose come stanno, ma verso
la vita degli altri. La menzogna e' in se stessa violenza fatta ad altri.
Quando il discorso pubblico e' inquinato di menzogna, usata come un mezzo
furbo e spregiudicato, la vita pubblica risulta avvelenata, le azioni
diventano cattive.
*
16. Verita' astratta o verita' concreta, verita' detta o vissuta
Una cosa e' dire una verita', altra cosa e' fare la verita', vivere secondo
verita'. Il nostro discorso e' necessitato, per avere senso e credito, ad
essere o sembrare veritiero, ma la nostra vita, le nostre azioni hanno
difficolta' ad essere vere come puo' essere vera la parola sincera. Perche'?
Perche' la nostra ragione, messa all'opera, e' turbata da emozioni, positive
o negative, e da interessi. Possiamo parlare bene, dire il vero, ma
razzolare male, fare azioni non vere e non giuste. Scrive san Paolo:
"Sappiamo che la legge e' spirituale, io invece sono di carne, venduto
schiavo del peccato. Non capisco, infatti, quello che faccio: non eseguo
cio' che voglio, ma faccio quello che odio" (18).
Possiamo pensare belle verita' astratte, ma se non facciamo verita'
concrete, nel reale, le belle verita' restano staccate dalla vita, e la
nostra vita non diventa vera. Scrive Arturo Paoli: "La Chiesa e' stata
portata fuori perche' ha troppo legato la sua esistenza e il suo potere alla
verita' astratta. Senza pensare che noi siamo testimoni della verita'. E
testimoniare la verita' significa manifestare le nostre vere linee umane,
che sono l'amore, la solidarieta', la carita'. Il farsi vero e' essere piu'
umani. Essere veri significa manifestare la verita' profonda della vita,
essere immersi nel flusso vitale delle cose, degli eventi" (19).
Quindi c'e' la parola vera (o falsa) e la vita vera (o falsa). E' bella la
coerenza tra parola e vita: la parola, il pensiero che orienta la vita, e la
vita che realizza il pensiero e lo stimola, lo alimenta di realta'. Ma e'
anche possibile una parola vera non tradotta in vita vera, come e' possibile
una parola non vera, un pensiero distorto, pero' entro una vita che vive
quelle verita' operanti che sono la giustizia, la solidarieta', l'amore. Tra
le due incoerenze, e' meglio che sia vera la vita vissuta, piuttosto che la
parola e il pensiero; e' meglio la verita' vissuta che la verita' soltanto
detta. La parabola dei due figli (Matteo 21, 28-31) insegna che tra quello
che dice e non fa, e l'altro che nega ma fa, e' questo secondo nel giusto. E
nel giudizio finale, chi avra' agito bene verso il prossimo bisognoso, senza
conoscere la verita' della presenza di Cristo nel prossimo, avra' fatto la
verita' e sara' benedetto (Matteo 25, 31-46).
Percio', se facciamo una decisa scelta di vita spirituale, seria (non
frivola, futile, irresponsabile), civile, democratica, solidale,
nonviolenta, noi siamo sulla via giusta (opzione fondamentale), pur con
possibili passi falsi e cadute, se non dubitiamo dell'orientamento, ma
sempre lo rinnoviamo, ne' rassegnati ne' presuntuosi, ne' scettici ne'
esclusivisti.
Luigi Pintor, anagrammando la gelida domanda di Pilato a Gesu', nella
versione latina, trova la risposta: "Quid est veritas? Est vir qui adest"
(20). Della verita' in se' possiamo sapere, dubitare, interrogarci,
discutere, ma l'altro uomo davanti a noi e' il volto concreto della verita'
che ci trascende e ci appella.
*
17.  Verita' "relativa"
La nostra verita' e' relativa, non perche' soggettiva o arbitraria o comoda,
ma perche' e' relazione varia, approssimativa e balbettante, ma personale e
dinamica, vero appassionato contatto vitale progressivo, sempre parziale,
con la verita' reale. Sempre relazione, mai appropriazione. La verita' e'
sempre di fronte, mai stretta nelle mani.
Oggi c'e' un brutto clima nel pianeta umano: ci sono verita' chiuse e
arroganti, e ci sono nichilismi cinici, sia dalla parte dei satolli in
difesa aggressiva del loro privilegio, sia tra i ribelli disperati e
inferociti. I primi dominano usando la morte, i secondi lottano usando la
morte. Uguali, in questo. Questo clima naturalmente ci tocca, percio' ci fa
pensare e discutere e ci richiede un fine continuo riesame per camminare tra
enormi pericoli senza cadervi: arroganza, dogmatismo, ma anche rinuncia,
nichilismo. Interroghiamoci, senza ingenuita' ma senza sfiducia. Non e'
giusto il dilemma: o integralismo o relativismo.
Integralismo, fondamentalismo, sono termini correnti ma impropri per dire
dei veri e propri totalitarismi, che pretendono di avere tutto, di non
essere debitori di nulla a nessuno, dunque posizioni senza verita', proprio
perche' pretendono di possedere la massima verita'.
Verita' relativa significa anche che cio' che vediamo e' sempre in relazione
con altri approcci e vie alla verita'. Percio' la verita' e' dialogica (21):
e' composizione laboriosa di luci, di punti di vista. Noi ci avviciniamo ad
essa nel dia-logo, cioe' parole in relazione.
*
18. Altri due relativismi
Quanto al relativismo, possiamo ancora vedervi un'altra distinzione: quello
ontologico, e quello pratico.
Per il primo, che vuol parlare dell'essere, tutto e' indifferente, tutto
vale lo stesso nulla, nessun valore comune tra noi si puo' cogliere, ma solo
valori relativi all'uno o all'altro. Nulla permane, nulla supera il
particolare, percio' ogni relazione finisce per essere di sola forza
quantitativa. Vale non la visione piu' giusta ma quella piu' affermata,
senza altro criterio conoscitivo che questo. In un tale relativismo siamo
dissolti in quanto soggetti vivi, c'e' solo un gioco di figure solitarie,
l'una senza e contro l'altra, tutto e' possibile e nulla vale. Quando questo
tipo di relativismo pervade una cultura, si accentua il limite intrinseco al
metodo democratico, il quale vale molto per decidere senza violenza, ma non
garantisce la decisione migliore in termini di verita' e di giustizia. La
ricerca di questi valori e' affidata alle coscienze e alle intelligenze.
Nella misura in cui la democrazia si nutre di dialogo morale e intellettuale
puo' procedere da un calcolo solo quantitativo di opinioni ad una ricerca di
umanita' piu' vera.
C'e' poi un relativismo pratico, etico, che consiste nel vedere
costantemente la relazione che apre ogni soggetto all'altro. E' la giusta
relativita': tutto e' in relazione con tutto, senza cessare di essere cio'
che e',  col suo insostituibile valore, sempre in un costitutivo legame con
l'altro. Tutto e', nello stesso tempo, sostanza e relazione, felicemente.
Ci sono dunque dei criteri. Siamo dunque in relazione con la verita', una
relazione di attrazione e di sete, di ricerca sincera che e' sempre in
rapporto con gli altri, un cammino in compagnia universale. Percio' possiamo
dare cauti e seri giudizi di valore, perche' non siamo privi di metri e di
criteri. Ci sono chiare negativita' e chiare positivita', che valgono oltre
il caso, oltre l'utile singolo. Le convinzioni profonde, sempre
correggibili, non sono condanna di convinzioni diverse. Il dialogo e' bene
che avvenga tra soggetti identificabili, non tra indistinti. Non sono da
temere le identita', se sono aperte e dialoganti.
*
19. Democrazia e verita'
La democrazia e' relativamente facile nell'ipotesi di una cultura condivisa,
una societa' omogenea, che ha una "verita'" comune. Allora basterebbe
scegliere dei rappresentanti capaci per sperare di vedere attuato quello che
la societa' ritiene il bene comune.
Ma se, come normalmente avviene oggi, ci sono piu' culture, con piu'
"verita'" come riferimento massimo, la scelta popolare effettua forse un
calcolo quantitativo delle differenti "verita'" ultime? Decidera' tra le
diverse verita' e valori semplicemente la forza del numero? Ma una verita'
vale di piu' soltanto perche' piu' frequente?
La scelta democratica, per non essere un giudizio improprio su dati che non
sono giudicabili numericamente - poiche' una piccola minoranza puo' essere
portatrice di valori umani piu' autentici di quelli della maggioranza -
dovra' rispettare questi criteri essenziali:
1) umilmente riconoscere che e' soltanto scelta pratica delle regole e
soluzioni per convivere, per assegnare il compito e i programmi per
governare e legiferare;
2) incorporare anche un saldo rispetto del pluralismo culturale, quindi
delle culture di minoranza, che non sono false o dannose solo perche'
minoritarie, e del dialogo libero e serio tra i diversi "valori".
La democrazia non decide della verita', ma dell'agire insieme, una specie
umile e concreta di verita', ma pure una verita': falsita' e' non
rispettarci, distruggerci.
Ognuno, ogni cittadino e ogni parte, dovra' chiedersi: cio' che e' bene per
me, o non e' bene per me, e' anche bene o non bene per tutti? Ecco la
necessita' della tolleranza di cio' che io considero male, per non causare
un male maggiore, col reprimere qualcosa che puo' contenere anche del
valore. Certo, non basta scegliere la mia verita' tollerando graziosamente
le verita' degli altri. Le culture diverse devono accuratamente parlarsi e
cercare costantemente dei valori condivisi, anche minimi ma fondamentali,
fondativi di umanita'. Dovranno anche stabilire quali scelte vanno contro un
minimo di umanita' condivisa, e quindi non possono essere accettate nella
convivenza umana.
Gustavo Zagrebelsky indica con chiarezza due fatti che sono al di sotto e al
di fuori di questa condivisione necessaria: la guerra e la pena di morte.
"Morte e guerra sono decisioni irreversibili, dalle conseguenze
irreparabili". Sono decisioni basate sulla presunzione di assoluta verita' e
giustezza in materia gravissima. "Ma la democrazia e' un regime che non
consente queste certezze. La democrazia e' il sistema politico che si basa
sul provare e riprovare, sulla discussione in cerca delle soluzioni sempre
piu' umane, adeguate ai problemi e rispettose delle ragioni degli uni e
degli altri. E' il regime delle decisioni provvisorie che non contempla
ragioni assolute, se non quelle della dignita' umana e dei diritti e dei
doveri reciproci che ne derivano. Morte e guerra sono invece l'interruzione
assoluta del logos, il ritorno allo stato belluino, il confronto reciproco
non con la forza delle parole e degli argomenti, ma con la violenza
distruttrice" (22).
Senza un senso essenziale di umanita' condivisa, non c'e' societa', non c'e'
popolo, dunque non c'e' l'elemento primo della democrazia, ma solo un
aggregato di atomi umani, l'uno contro l'altro, l'uno senza l'altro, su cui
regna unicamente l'astuzia spregiudicata, la prepotenza, la paura e
l'infelicita'. Percio' chi cura ed evidenzia i valori umani piu' universali
e' il migliore costruttore di democrazia.
C'e' un relativismo positivo: il nostro essere parti relative l'una
all'altra nella convivenza, ed e' una condizione della democrazia;
relativismo positivo significa diversi punti di vista in relazione tra loro.
Questa e' anche la regola della pace: relativismo, o meglio relazionalita'
delle differenze. Il vescovo della pace Tonino Bello, definiva proprio cosi'
la pace: "convivialita' delle differenze".
Altra cosa sarebbe un relativismo negativo, quello cioe' nel quale ogni
osservatore e' in relazione soltanto con un suo proprio oggetto di verita',
di convinzione, che non rispetta e non ascolta quello degli altri.
*
20. Chiesa cattolica e democrazia
Ascoltiamo due studiosi.
Il primo e' di nuovo Gustavo Zagrebelsky, serio giurista e pensatore. In un
articolo su "Micromega" (n. 2/2006), egli ha chiesto: La Chiesa cattolica e'
compatibile con la democrazia? Cattolicesimo e democrazia sono compatibili?
Comincia citando Pietro Scoppola (La democrazia dei cristiani, Laterza,
Roma-Bari 2005), per il quale la democrazia sfida la religione perche' si
fonda sulla liberta' di coscienza e sul principio di maggioranza. La
religione, a sua volta, sfida la democrazia perche' si fonda sulla verita'
che non dipende ne' dalla coscienza ne' dalla volonta' della maggioranza.
Penso che questa tensione tra coscienza e convivenza puo' essere lacerante,
ma puo' essere anche costruttiva.
Per Zagrebelsky la chiesa cattolica solamente col Concilio ha fatto la
scelta della democrazia, pero' solo una scelta "preferenziale", come miglior
forma di partecipazione politica. Ma il magistero cattolico, specialmente
coi due ultimi papi, si e' posto come ultimo fronte di resistenza al
relativismo, parola che ha assunto il valore di un anatema. Sulle questioni
che la chiesa giudica legate alla verita' di cui ha il deposito, essa
giudica la democrazia, si erge a maestra di tutta quanta la societa', anche
dei non credenti, presenta il proprio messaggio non come profezia per una
giustizia piu' grande della legalita' (cfr. Matteo 5, 20), ma come l'unica
corretta interpretazione della natura umana. E oggi molti laici per vilta' e
opportunismo - e anche per le incertezze dell'etica laica - si inchinano
all'autorita' cattolica.
Eppure, prosegue Zagrebelsky, "la democrazia e' necessariamente
relativistica". "Relativismo, contrariamente a cio' che dice il magistero
cattolico, alludendo addirittura a una 'dittatura del relativismo', non
significa affatto condanna delle convinzioni morali; non significa che una
cosa vale l'altra e dunque nulla ha valore. Significa che le convinzioni, i
valori, le fedi sono, per l'appunto, relativi a chi li professa e che
nessuno puo' imporli agli altri. E che, sul piano della vita collettiva,
essi devono formarsi procedendo dal libero confronto tra le 'relativita''".
"La democrazia e' il regime del confronto delle diverse posizioni, per la
responsabile e ininterrotta ricerca delle soluzioni migliori ai problemi del
vivere sociale. Cio' comporta che, ferme le convinzioni etiche fondamentali
di credenti e non credenti (anche i non credenti possono avere le proprie
certezze: sotto questo aspetto non ci sono differenze), per quanto riguarda
la loro traduzione nella pratica politica, esse diventano opinioni. Non
possono essere certezze dogmatiche".
Ne' si puo' dire, secondo Zagrebelsky, che, in quanto "relativistica", la
democrazia puo' vedere la maggioranza giungere a negare i diritti umani e
instaurare un dispotismo, come e' accaduto nel Novecento, perche' le
democrazie contemporanee si premuniscono da questo rischio con principi
costituzionali intoccabili e con organi di garanzia. Egli afferma che cio'
basta, che e' una garanzia sufficiente. Qui sta una vera difficolta' e
rischio della democrazia, possiamo aggiungere noi, come Bobbio riconosceva.
Certo, non e' la chiesa che possa e debba porsi come super-garanzia. La
democrazia ha bisogno di garantirsi, oltre e piu' che nelle procedure, in
chiari valori culturali e etici che circolino nello spirito della societa'.
Alla costruzione di questi valori tutti i punti di vista relativi devono
partecipare col dialogo, il dibattito e la critica, e piu' ancora con esempi
di vita giusta e testimonianze vissute. Chi pensa che ogni essere umano e'
chiamato alla verita', puo' avere fiducia che, sui tempi lunghi, i valori
piu' veri siano accolti dalle persone di buona volonta', se testimoniati
fedelmente, non imposti autoritariamente.
Zagrebelsky riconosce che oltre la chiesa curiale c'e' la chiesa del popolo
di Dio, con una sensibilita' che, sotto il segno della democrazia, permette
il piu' facile e naturale incontro di credenti e non credenti, nel quale le
divergenze sono politiche, non coincidono con le credenze religiose.
Il punto cruciale, per l'autore che riferisco, sta nel fatto che "alla fede
cristiana e alle sue 'calde' verita' evangeliche si sono venute a sostituire
gelide e astratte dottrine dalle quali si possono dedurre tutte le
conseguenze di etica pratica e anche tutte le ambizioni di potere mondano
che si vogliono". Egli vede in cio' un "oblio del messaggio di Gesu' di
Nazareth". E scrive: "Il mondo non e' rischiarato da nessuna dottrina, ma
dalla carita', come e' detto nel 'comandamento nuovo' dato prima della
passione: 'Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri;
come io vi ho amato, cosi' amatevi anche voi gli uni gli altri' (Giovanni
14, 34). Ma la logica della carita' non si esprime in categorie astratte: la
Vita, la Famiglia, la Procreazione eccetera. Si esprime nella
considerazione, comprensione, condivisione e compassione, con riguardo agli
altri esseri umani nelle loro concrete condizioni di vita".
"Non risulta che la 'verita'' cristiana sia in un insieme di astratte
dottrine, come e' per qualsiasi dottrina umana, delle scienze naturali o di
quelle sociali. La verita' cristiana e' una persona, il Cristo". Nell'ordine
della carita', insiste Zagrebelsky, non conta tanto una Verita' teorica -
ma, dobbiamo aggiungere, non e' ovviamente da trascurare la ricerca teorica,
perche' vale ad orientare l'azione giusta - quanto quella per cui "e' il
prossimo tuo la tua verita'": "Quid est veritas? Est vir qui adest". "Tutto
questo e' pienamente all'opera - afferma Zagrebelsky - in tanti luoghi della
Chiesa cattolica, presso tanti credenti per i quali la democrazia non e'
affatto un problema. E' anzi la condizione naturale in cui puo' espandersi
la ricerca della verita' cristiana". "E qui si pone il punto d'incontro tra
non cristiani e cristiani di buona volonta': rispetto alla carita' verso il
prossimo siamo tutti uguali, credenti e non credenti, cristiani e non
cristiani".
Sentiamo anche, in breve, un secondo studioso, Gian Enrico Rusconi (docente
di Scienza politica a Torino). Nel convegno del Coordinamento teologhe
italiane (Roma 30 marzo - 1 aprile 2006), egli, una tra le voci maschili
invitate, ha toccato lo stesso tema di Zagrebelsky: se la democrazia sia
compatibile con la religione. Fra il pluralismo etico dei laici e l'accusa
religiosa di relativismo etico, la questione e' se siano tra loro
compatibili il riferimento a Dio e la secolarizzazione conclusa. Rusconi ha
riproposto la sua tesi della necessaria negoziazione della convivenza in un
"comportarsi come se Dio non ci fosse". Cio' che per la Chiesa e'
relativismo, insomma, per la societa' secolare e' pluralismo gestito con
procedure negoziate, mentre le idee non sono negoziabili.
Osservo che, proprio perche' non sono negoziabili le convinzioni
fondamentali, un credente non puo' mai fare, in nessun punto della propria
vita, "come se Dio non ci fosse". La realta' e' che, nel vivere con gli
altri in societa', non si tratta di affermare che Dio c'e' o non c'e', ne'
di applicare di peso precetti religiosi nella vita di una societa' laica,
casa di tutti; si tratta invece di dare ciascuno il meglio di se' alla
umanizzazione della vita insieme. Allora, il credente sincero accogliera' da
Dio, nella fede, energie di speranza e carita', percio' di impegno per gli
altri, senza attendere che gli altri credano come lui. Questo e' il
contributo autentico della religione e della fede - lievito interiore e non
strumento o titolo sociale - alla vita sociale democratica. Altri trarranno
analoga energia dalla coscienza dei valori umani.
*
21. Tentando una sintesi
Provo a trarre una sintesi mia su societa' e verita':
- in una societa' pluralistica, i cittadini ritengono, oppure no, che ci sia
una verita' oggettiva e trascendente al di la' dei propri punti di vista e
delle proprie comprensioni;
- i cristiani sanno che la rivelazione cristiana accolta non esaurisce tutta
la verita': "Quando verra' lo Spirito di verita', egli vi guidera' in tutta
la verita'" (Giovanni 16, 13). Chi ha fede continua ad imparare verita' di
Dio e verita' umane;
- il piano delle convinzioni personali di verita' e' diverso dal piano delle
convinzioni comuni di una societa', da cui discendono le regole di vita
sociale; e questo non e' fariseismo, ma giusta ricerca di accordo per la
convivenza e la pace sociale, per il maggior bene possibile, senza una
prevalenza imposta;
- e' essenziale il rispetto e l'attenzione alle minoranze (principio
democratico pari alla regola della maggioranza), alla loro critica e alla
loro proposta, che puo' portare verita' nuove, o dimenticate;
- altrettanto e' essenziale il rispetto delle coscienze personali che non
possono essere costrette, e possono invece, sulle questioni maggiori,
obiettare lealmente;
- distinguiamo quindi chiaramente un relativismo teorico, che significa
indifferenza di valore tra le diverse opinioni, dalla relativita', ovvero
relazionalita'; questa e' un rapporto di dialogo, per prendere decisioni
democratiche che non decidono verita' assolute, ma, rispettando  al massimo
possibile le convinzioni piu' profonde, tendono alla pratica vivibilita'
della vita sociale, quando vi sono compresenti una pluralita' di valori, ed
e' necessario comporre pazientemente questa differenza attraverso la
procedura democratica e nonviolenta;
- il relativismo democratico e' positivo se favorisce rispetto e convivenza,
e se si basa su un dialogo culturale e morale vivo nella societa', e intanto
riduce mali e danni. Questo relativismo e' negativo quando i diversi punti
di vista sulla vita rifiutano di porsi in relazione tra loro, ma ogni
soggetto sta in relazione soltanto con un suo oggetto di verita', ignorando
quello degli altri.
*
22. Religioni, verita', violenza, nonviolenza
Le religioni hanno un riferimento alla verita'. Alcune hanno piu' forte il
senso di una verita' ricevuta, per la vita buona. In ogni caso, la verita'
e' sempre da penetrare meglio, e soprattutto da vivere fedelmente. Le
religioni hanno oggi il compito di comprendere:
- che la verita' non e' mai posseduta ma sempre cercata, ricevuta, invocata,
e sempre veduta solo parzialmente e imperfettamente;
- che essa, per quanto ci e' data, non risiede tanto nelle menti e nelle
definizioni intellettuali (certamente utili alla vita buona, ma sempre
perfezionabili) quanto negli atti pratici della vita autentica;
- che la verita', comunque la intendiamo, la esprimiamo e la pratichiamo, e'
sempre piu' grande della nostra comprensione e attuazione;
- che i nostri diversi approcci e interpretazioni della verita' devono
essere intesi come in relazione tra loro, pur nelle differenze, e non in
opposizione escludente;
- che, ovviamente, la verita' non si puo' diffondere o inculcare con la
forza coattiva, che e' ad essa estranea e con essa incompatibile;
- soprattutto, le religioni hanno oggi il compito di comprendere che la
verita' che possiamo conoscere non ci arma mai gli uni contro gli altri
(come nella storia ha fatto chi arrogantemente ha pensato di tenerla in
pugno e di imporla ad altri come verita' armata), ma proprio ci "disarma",
nel senso che ci rende piu' miti ed umili, impegnati continuamente ad
imparare dall'ascolto reciproco, e a vivere una vita piu' giusta. La verita'
non ci arma, ma proprio ci disarma, per guidarci ad una vita personale e a
relazioni umane piu' buone e piu' vere. La "forza della verita'" non e'
offensiva, ma consiste nell'agire profondamente su di noi, in quanto la
cerchiamo e le siamo fedeli, col renderci piu' veri, piu' forti nel
resistere al male e nel vivere il bene, nei rapporti col nostro prossimo.
*
Note
11. A questo proposito, Pontara (in Il penisero etico-politico di Gandhi,
saggio introduttivo a Gandhi,Teoria e pratica della nonviolenza, cit., p.
CXXXII), cita Albert Camus: "Se l'uomo che spera nella natura umana e' un
pazzo, colui che dispera di fronte agli avvenimenti e' un codardo" (Ni
victimes ni bourreaux, in Actuelles, Paris 1950, p. 179).
12. Il testo della lettera di Gandhi a Hitler del dicembre 1940 e un
accurato commento di Matteo Soccio si trovano in AA. VV., Convertirsi alla
nonviolenza? Credenti e non credenti si interrogano su laicita' religione e
nonviolenza, a cura di Matteo Soccio, Il Segno dei Gabrielli editori,
Negarine 2003, pp. 51-58.
13. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, cit., pp. 248-251.
14. Gandhi, The Collected Works, New Delhi, 1858-1984, vol. 68, p. 270.
15. Gandhi citato da Pontara in Il pensiero etico-politico di Gandhi, cit.,
p. CXXXVIII.
16. Cfr Carl Friedrich von Weizsaecker, Il tempo stringe, Queriniana,
Brescia 1987, pp. 56, 65, 67, 127.
17. In "Young India", 6 dicembre 1928.
18. Romani 7, 14-15.
19. Arturo Paoli e Francesco Comina, Qui la meta e' partire, La Meridiana,
Molfetta 2005, p. 80.
20. Luigi Pintor, I luoghi del delitto, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p.
15.
21. Cfr. Roberto Mancini, L'ascolto come radice. Teoria dialogica della
verita', Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1995.
22. Gustavo Zagrebelsky, Nel Libro della Costituzione non ci sono la morte e
la guerra, in "La Stampa Tuttolibri", 15 aprile 2006.
(Parte seconda - fine)

4. INCONTRI. "NONVIOLENZA E POLITICA": UN CONVEGNO A FIRENZE IL 5-7 MAGGIO

Si svolgera' a Firenze dal 5 al 7 maggio il convegno su "Nonviolenza e
politica" promosso dal Movimento Nonviolento.
Per informazioni: tel. 0458009803, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1285 del 4 maggio 2006

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