La nonviolenza e' in cammino. 1156



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1156 del 26 dicembre 2005

Sommario di questo numero:
1. Milli, Giovanni e Giacomo Alessandroni: Ci abboniamo ad "Azione
nonviolenta" perche'...
2. Alessandro Pizzi: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
3. Sulla via della nonviolenza
4. Antonio Mazzei: Torture, forze armate e polizia
5. Anna Maria Civico: Per un teatro di presenza. Tra me e te in un
equilibrio in continuo mutamento...
6. Mario Tronti presenta "Vita di Tocqueville" di Umberto Coldagelli
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. STRUMENTI DI LAVORO: MILLI, GIOVANNI E GIACOMO ALESSANDRONI: CI ABBONIAMO
AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
[Ringraziamo Milli e Giacomo Alessandroni - e con loro Giovanni, che e'
forse un po' troppo giovane per aver posto mano alla scrittura di questa
lettera (per contatti: g.alessandroni at peacelink.it) per questo intervento.
Giacomo Alessandroni, amico della nonviolenza, ingegnere, docente, da sempre
impegnato in iniziative di pace e di solidarieta', collaboratore di
Peacelink, del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo e di altre
esperienze nonviolente, e' uno dei fondamentali collaboratori di questo
notiziario]

Ci riabboniamo ad "Azione nonviolenta" perche':
1. E' un bel periodico, parla con coscienza e spirito critico di temi che
spesso restano nell'ombra, dunque merita d'esser letto.
2. (Pubblicita' palese) l'abbonamento puo' essere sottoscritto assieme ad
altre riviste tra le quali segnaliamo "Adista" ed "Altreconomia". "Adista"
e' un'agenzia di stampa di temi sociali e religiosi, "Altreconomia" racconta
un'economia diversa, sostenibile come ci piace sognare e sperare vedere
camminare con le sue gambe (presto, possibilmente). Entrambi trattano temi
spesso dimenticati dalla "grande informazione", seguendo piu' il cuore che
il fatturato.
3. Essendo natale dovremmo essere tutti piu' buoni, questo evento
rappresenta una congiuntura astrale favorevole per farsi del bene.
4. Concludiamo qua - non ci piacciono i decaloghi, sanno di minestra
riscaldata - ringraziando chi ci ha chiesto questo intervento lo scorso
anno, "obbligandoci" cosi' a fare questa bella conoscenza.

2. STRUMENTI DI LAVORO. ALESSANDRO PIZZI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA"
PERCHE'...
[Ringraziamo Alessandro Pizzi (per contatti: alexpizzi at virgilio.it) per
questo intervento. Alessandro Pizzi, gia' apprezzatissimo sindaco di Soriano
nel Cimino (Vt), citta' in cui il suo rigore morale e la sua competenza
amministrativa sono diventati proverbiali, ha preso parte a molte iniziative
di pace, di solidarieta', ambientaliste, per i diritti umani e la
nonviolenza, tra cui l'azione diretta nonviolenta in Congo con i "Beati i
costruttori di pace"; ha promosso il corso di educazione alla pace presso il
liceo scientifico di Orte (l'istituto scolastico dove insegna)]

Mi abbono ad "Azione nonviolenta" (abbonamento cumulativo con "Gaia") per il
piacere di ricevere la rivista fondata da Aldo Capitini.
Mi abbono per avere spunti di riflessione che mi orientano nella professione
docente e nell'azione sociale e politica di tutti i giorni.
Riflessione che considero importante proprio nel momento in cui vedo fiorire
molte iniziative per la pace, compresa l'istituzione di assessorati alla
pace in vari enti locali, lodevoli, certo, ma che, spesso, mi sembra non
incidano sugli stili di vita dei cittadini e dei protagonisti delle
iniziative stesse e su un radicale cambiamento delle coscienze
indispensabili per la crescita di una cultura nonviolenta di pace.

3. STRUMENTI DI LAVORO. SULLA VIA DELLA NONVIOLENZA
"Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata
da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte
le persone amiche della nonviolenza.
La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803,
fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org
L'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n.
10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente
bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza
Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta",
via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad
"Azione nonviolenta".

4. RIFLESSIONE. ANTONIO MAZZEI: TORTURE, FORZE ARMATE E POLIZIA
[Ringraziamo Antonio Mazzei (per contatti: a.mazzei at libero.it) per questo
intervento. Antonio Mazzei, rigorosissimo studioso ed autorevole esperto
delle istituzioni militari e di polizia, e' nato a Taranto il 27 marzo 1961;
laureatosi nel 1985 in Storia all'Universita' di Bologna, e nel 1992 in
Scienze Politiche sempre all'Universita' di Bologna, nello stesso anno entra
nell'Amministrazione civile dell'Interno, attualmente servizio presso la
prefettura di Verona nell'area V (Diritti civili, Cittadinanza, Condizione
giuridica dello straniero, Immigrazione e Diritto d'asilo); giornalista
pubblicista dal 1991, collabora al settimanale "Verona fedele" e a diverse
testate e riviste specialistiche quali "Nuova Rassegna", "Rivista giuridica
di Polizia", "Il vigile urbano"; e' tra i fondatori, nel 1987, del "Centro
nazionale di studi e ricerche sulla Polizia" di Brescia; ricopre attualmente
l'incarico di coordinatore Cisl-Fps-Ministero dell'Interno per la provincia
di Verona. Attualmente sta lavorando ad un progetto riguardante la redazione
di una Carta dei servizi per le forze dell'ordine italiane. Tra le opere di
Antonio Mazzei: (con Maurizio Marinelli), Polizia nuova domani, Edizioni del
Moretto, Brescia 1986; (con Maurizio Marinelli), Temi e problemi della
Polizia. Orientamenti bibliografici 1970-1986, Comitato promotore del Centro
studi sulla Polizia, Brescia 1987; (con Maurizio Marinelli, Antonio Sannino,
Roberto Sgalla), Siulp: oltre il sindacato. L'impegno del lavoratore della
Polizia di Stato, Comitato promotore del Centro studi sulla Polizia, Brescia
1987; AA. VV., Bibliografia italiana di storia e studi militari. 1960-1984,
Angeli, Milano 1987; (con Maurizio Marinelli), Temi e problemi della
Polizia. Orientamenti bibliografici 1967-1987, Centro nazionale di studi e
ricerche sulla Polizia, Brescia 1988; La polizia ambientale, Centro
Editoriale Giuridico, Verona 1989; (con Pasquale Marchetto), Cittadini e
polizia. Rapporti tra "consumatori" e "fornitori" di sicurezza (supplemento
al n. 11/2002 del periodico "PM");  (con Pasquale Marchetto), Pagine di
storia della Polizia italiana, Neos Edizioni, Torino 2004]

Annemette Hommel e' il nome di una donna, capitano della riserva
dell'Esercito danese, che ha confessato di aver commesso abusi, insieme a
quattro sergenti, su alcuni prigionieri iracheni in un accampamento militare
vicino a Bassora.
I maltrattamenti, fisici e verbali, sono avvenuti a marzo, ad aprile e a
giugno del 2004, a dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, di un "vizio"
antico, che non conosce tempi e latitudini, sesso e divise. Poliziotte o
militari, quello delle torture e' un problema attuale, che ci offre
l'occasione per parlare di come il nostro Paese, di fronte all'alternativa
"umano/disumano", imponga al personale delle Forze armate e di polizia di
scegliere sempre il primo termine di questa dicotomia inconciliabile.
*
La protezione dei diritti dell'uomo
La tutela della personalita' del singolo ed il suo diritto alla libera
autodeterminazione nell'ambito della collettivita' hanno trovato un chiaro
riconoscimento con il progresso civile e politico delle Nazioni.
Le principali tappe di questa progressiva affermazione delle fondamentali
liberta' dell'individuo si identificano con:
a) la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, scaturita nel
1789 dalla Rivoluzione francese;
b) l'affermazione solenne, da parte del presidente americano Franklin D.
Roosevelt nel l941, delle quattro liberta' fondamentali, individuate nelle
liberta' dal bisogno e dalla paura e nelle liberta' di religione e di
stampa;
c) la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata con la
risoluzione n. 217 del 10 ottobre 1948 dall'Assemblea generale dell'Onu e
primo esempio di indicazione specifica ed organica dei diritti individuali
meritevoli di tutela;
d) la Convenzione europea di Roma del 4 novembre 1950 per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, entrata in vigore il 3
settembre 1953.
L'Italia, con la legge 881/1979 ha ratificato i patti di New York del 16 e
19 dicembre 1966 (patti con i quali e' stata data concreta attuazione alla
Dichiarazione del 1948), mentre con la legge 848 del 4 agosto 1955 aveva
ratificato la Convenzione europea la quale, diversamente dalla
Dichiarazione, presenta delle disposizioni a tal punto vincolanti che nel
1993 prima la Corte costituzionale con la sentenza n. 10 del 12 gennaio
(depositata il 19 dello stesso mese) e, in seguito, la Cassazione con la
sentenza n. 2194 del 10 luglio 1993 (meglio conosciuta come sentenza
Medrano, dal nome dell'imputato) avevano riconosciuto l'immediata
applicazione delle norme in essa contenuta e la loro "particolare forza di
resistenza rispetto alla normativa ordinaria successiva".
A distanza di alcuni anni il nostro Paese, con la legge 7/1989, ha
provveduto a ratificare la Convenzione europea per la prevenzione della
tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, adottata a
Strasburgo il 26 novembre 1987, e la Convenzione contro la tortura ed altre
pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, firmata a New York il 10
dicembre 1984 (legge 498 del 3 novembre 1988).
L'art. 1 di questa Convenzione recita testualmente: "Ai fini della presente
Convenzione, il termine tortura indica qualsiasi atto mediante il quale sono
intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche
o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona
informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza
persona ha commesso o e' sospettata di aver commesso, di intimorirla o di
far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza
persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di
discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un
agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo
ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito.
Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti
unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse
cagionate. Tale articolo non reca pregiudizio a qualsiasi strumento
internazionale od a qualsiasi legge nazionale che contenga o possa contenere
disposizioni di piu' vasta portata".
Il successivo art. 2, nel lasciare ai singoli Stati l'adozione delle misure
atte ad impedire che vengano inflitte  sofferenze fisiche, afferma che
nessuna circostanza, sia che si tratti "di stato di guerra o di minaccia di
guerra, di instabilita' politica interna o di qualsiasi altro stato di
eccezione" puo' essere invocata per giustificare la tortura e neppure puo'
essere invocato "l'ordine di un superiore o di un'altra autorita' pubblica".
*
La normativa italiana
Le disposizioni previste in questi due articoli trovano ampio risalto nella
normativa italiana, peraltro antecedente a buona parte dei provvedimenti
internazionali, dalla citata Dichiarazione del 10 dicembre 1948 alla legge
257/1993 che ha ratificato il protocollo n. 9 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali
sottoscritto a Roma il 6 novembre 1990.
In effetti, la nostra Costituzione, approvata dall'Assemblea costituente il
22 dicembre 1947 ed entrata in vigore il primo gennaio 1948, "riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo" (art. 2).
Il terzo comma dell'art. 13, poi, punisce "ogni violenza fisica e morale
sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di liberta'", mentre il
successivo art. 27, al secondo comma, afferma che "le pene non possono
consistere in trattamenti contrari al senso di umanita'".
Il codice penale approvato con regio decreto del 19 ottobre 1930, inoltre,
puniva - e punisce ancora oggi - le lesioni personali (art. 582), prevedendo
pure che "se un fatto costituente reato e' commesso per ordine
dell'autorita'", del reato rispondono sia il pubblico ufficiale che ha dato
l'ordine, sia l'esecutore dell'ordine stesso "salvo che, per errore di
fatto, abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo" (art. 51, commi 2
e 3). In questo caso, pertanto, l'esecutore di eventuali lesioni non va
esente da pena, trattandosi di un ordine manifestamente criminoso.
La sindacabilita' di un ordine del genere era prevista pure dall'art. 40 del
codice penale militare di pace, abrogato dall'art. 22 della legge 382/1978.
Nel settore delle Forze armate, poi, il limite della manifesta criminosita'
trova un preciso appiglio nel regolamento dei disciplina militare, approvato
con il d.p.r. 45 del 18 luglio 1986. Il secondo comma dell'art. 25 del
regolamento, riprendendo quanto disposto dall'art. 4, ultimo comma, della
legge 382, ribadisce che "il militare al quale viene impartito un ordine
manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione
costituisce comunque manifestamente reato, ha il dovere di non eseguire
l'ordine e di informare al piu' presto i superiori".
Analoghe norme vigono per la Polizia di Stato e per il Corpo di Polizia
penitenziaria. L'art. 66, quarto comma, della legge 121/1981, dispone che
"l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della Pubblica sicurezza, al
quale viene impartito un ordine la cui esecuzione costituisce manifestamente
reato, non lo esegue ed informa immediatamente i superiori". L'art. 10 della
legge 395 del 15 dicembre 1990, al n. 4, ribadisce, con gli stessi termini,
il divieto per il personale della Polizia penitenziaria di dare attuazione
ad un ordine che "costituisce manifestamente reato".
Non deve infine dimenticarsi che sin dal 16 febbraio 1947 il Viminale, con
diverse circolari, ha richiamato l'attenzione "sulla necessita' che il
comportamento degli organi di polizia sia ispirato, nel quadro degli
ordinamenti democratici dello Stato, al massimo rispetto della dignita' e
della persona dei cittadini" (ministeriale 10.37478/13000.A.1/2 del 28
agosto 1954).
*
La tutela della dignita' umana: dalla teoria alla prassi
Da quanto precede e soprattutto dalla lettura dei trattati internazionali,
emergono alcuni principi fondamentali in materia di tutela dei diritti
umani.
Il primo concerne il divieto della tortura in ogni sua forma. Si tratta di
una norma di diritto consuetudinario, cosi' come sostenuto dalla Corte
d'appello di New York nel caso Filartiga.
Joelito Filartiga, figlio diciassettenne di Joel, medico nel Paraguay del
generale Alfredo Stroessner, venne torturato sino alla morte dall'ispettore
di polizia Americo Pena-Irala. Questi, recatosi negli Stati Uniti nel 1978,
due anni dopo l'assassinio di Filartiga, venne arrestato dall'I&NS
(Immigration and Naturalization Service, la polizia federale creata il 27
marzo 1891 con il compito di vigilare sugli stranieri presenti sul suolo
americano e far rispettare tutte le norme in materia di immigrazione e
cittadinanza) con l'accusa di essere rimasto negli Usa oltre i tre mesi
consentiti dal visto.
Il processo, iniziato nel 1978, si concluse nel 1983 con la vittoria della
sorella e del padre di Joelito, stabilitisi dal 1979 a Washington dove
avevano chiesto asilo politico. Nel frattempo, il provvedimento di
espulsione era stato annullato dai tribunali statunitensi e cio' aveva
consentito l'espatrio di Pena-Irala, condannato comunque, il 13 maggio 1983,
a pagare al padre ed alla sorella di Joelito 375.000 dollari.
A 54,6 milioni di dollari, invece, un tribunale civile della Florida ha
condannato, il 23 luglio 2002, il sessantottenne Jose' Guillermo Garcia ed
il sessantaquattrenne Carlos Eugenio Vides Casanova, cittadini statunitensi
e, rispettivamente, ex ministro della Difesa ed ex direttore generale della
Guardia nacional del Salvador, per le torture subite dal professore
universitario Carlos Mauricio, dalla catechista Neris Gonzalez e dal
chirurgo Juan Romagoza Arce subito dopo la strage compiuta il 10 dicembre
1981 nel villaggio di El Mozote (dove furono massacrati oltre 800
contadini).
In questi due casi, non rileva tanto il "conto" che i giudici hanno
presentato all'ispettore paraguaiano ed ai due generali salvadoregni, quanto
il fatto che le pronunce emesse abbiano stabilito, sulla base del Torture
Victims Protection Act del 1991, che l'intero coacervo dei trattamenti
disumani o degradanti forma oggetto di una norma internazionale che la vieta
a tutti coloro che rappresentano la sovranita' statale, militari e
poliziotti in primo luogo.
Inoltre, il tribunale di West Palm Beach, nel riconoscere Garcia e Casanova
responsabili per carenza di "effective control in the command
responsability" (cioe' per non aver esercitato la responsabilita' di comando
sui loro sottoposti, permettendo loro di violare i diritti umani), ha
ribadito il cambio di rotta del principio latino "respondeat superior".
Questo principio, sino alla Seconda guerra mondiale, era stato interpretato
nel senso di ritenere i comandanti di truppe responsabili solo se avevano
ordinato la perpetrazione di crimini di guerra (distruzione di beni
artistici, maltrattamenti di prigionieri, massacri di civili, etc.). Il
processo contro un generale giapponese segno' una svolta in tal senso.
Tomoyuki Yamashita era il comandante in capo delle Forze armate nipponiche
che occuparono le Filippine tra l'ottobre del 1944 ed il settembre del 1945.
Dopo aver appreso dalla radio che il Giappone aveva capitolato, Yamashita
continuo' a combattere sino al 2 settembre 1945, giorno in cui si arrese al
generale statunitense Jonathan Wainwright.
Accusato di aver violato le leggi belliche per non aver controllato "le
operazioni dei membri del suo comando, permettendo loro di commettere
brutali atrocita' e altri gravi crimini contro il popolo degli Stati Uniti e
dei suoi alleati e, in particolare, delle Filippine", Tomoyuki Yamashita
venne impiccato il 23 febbraio 1946 per ordine del generale Douglas
MacArthur, capo delle Forze alleate in Giappone. Nei vari gradi del processo
davanti alla magistratura militare statunitense, risulto' che Yamashita non
solo non aveva ordinato i crimini commessi dalla sue truppe, ma ne era stato
completamente all'oscuro.
Malgrado l'inesistenza di norme e precedenti specifici che prevedessero quel
tipo di responsabilita' per i comandanti e benche' il giudice Murphy della
Corte suprema degli Stati Uniti avesse espresso il suo netto dissenso,
Yamashita venne condannato a morte per un fatto che, al momento della sua
commissione, non era vietato.
Dall'impiccagione di Yamashita sorse dunque la nuova norma internazionale,
ripresa, fra l'altro, nei codici penali militari della Gran Bretagna del
1958, di Israele del 1963 e degli Stati Uniti del 1976, in base alla quale
la responsabilita' non e' solo di chi commette un crimine di guerra e di chi
lo ordina, ma pure di chi omette di impedirne, prevenirne o punirne la
commissione. In pratica, venne sancita la "culpa in vigilando" del superiore
che, proprio perche' superiore, non puo' ne' deve ignorare quanto attuato
dai sottoposti.
E con i sottoposti arriviamo all'ultimo principio, anch'esso nato alla fine
del Secondo conflitto mondiale. Sino ad allora aveva dominato il principio
dell'obbedienza gerarchica, quella che nel 1961, davanti alla Corte
distrettuale di Gerusalemme, Adolf Eichmann aveva definito
"Kadavergehorsam", l'obbedienza da cadavere (la quale, si badi bene, non si
alimentava solo di automatici fanatismi. Eichmann, infatti, aveva
rivendicato pure una piu' impegnativa obbedienza alla legge improntata a
quel poco che dei principi dell'etica kantiana aveva afferrato). La ragione
di cio' e' chiara: per secoli si era ritenuto che la disciplina e
l'ubbidienza fossero necessita' fondamentali di ogni apparato militare o ad
ordinamento militare, dall'esercito alla polizia.
Le cose cambiarono con i crimini nazisti, che misero in crisi il tautologico
"Befehl ist Befehl", un ordine e' un ordine, tanto che gli inglesi prima e
gli americani poi modificarono i propri codici militari specificando che la
regola "respondeat superior" doveva essere intesa nel senso che, in caso di
ordine illegittimo, oltre al superiore, e' responsabile anche l'esecutore
dell'ordine.
Questo principio venne applicato dagli statunitensi nel caso del tenente
William L. Calley il quale, alla testa della Charley Company, una divisione
dei Marines, il 16 maggio 1968 penetro' a My Lai, un villaggio del Vietnam
del Sud, ed uccise 134 civili.
Risaputosi del massacro grazie ad un soldato, Ronald Ridenhour, e ad un
giornalista, Seymour M. Hersh, le Forze armate americane decisero di portare
davanti alla Corte marziale sia Calley ed alcuni suoi uomini (questi ultimi
subito prosciolti), sia il capitano Medina, diretto superiore di Calley.
Nel corso del processo, Calley affermo' di aver agito sulla base delle
direttive di Medina, che gli avrebbe ordinato di considerare nemici tutti
coloro che si trovavano nel villaggio. Medina, invece, affermo' di aver solo
detto che colpire donne e bambini era ammissibile se questi avessero
attentato, in qualsiasi modo, alle truppe americane.
Quale che fosse la verita', sta di fatto che la Corte marziale escluse
l'esimente dell'ordine superiore e condanno' Calley all'ergastolo, sentenza
poi ridotta in appello a 20 anni di reclusione.
*
Il "Codice etico per una Polizia democratica"
Sulla base dei principi visti sino ad ora, il Comitato dei ministri del
Consiglio d'Europa (un organismo - composto da 41 Stati membri - istituito
nel 1949, da non confondere con il Consiglio europeo previsto dall'art. 4
del Trattato sull'Unione europea) ha adottato, il 19 settembre 2001, la
Raccomandazione REC (2001) intitolata European Code of Police Ethics.
Predisposto dal Comitato degli esperti d'etica della Polizia e dei Problemi
dell'ordine pubblico (PC-PO), il codice contiene nella prima parte il testo
della Raccomandazione e, nella seconda, un commento ai 66 articoli che
enunciano le norme fondamentali da applicarsi ai servizi di polizia nelle
societa' democratiche governate dai principi dello stato di diritto. Il
testo offre un quadro generale - organizzativo e funzionale - per la
polizia, divenendo cosi' una guida per i governi nella redazione dei singoli
codici deontologici, fonti di responsabilita' disciplinare ed indirizzati a
quella parte del pubblico impiego destinata a svolgere compiti di tutela
dell'ordine e della sicurezza pubblica.
Nell'European Code of Police Ethics sono presenti diversi riferimenti alla
tutela dei diritti umani da parte delle forze dell'ordine, a cominciare
dall'art. 1 dove si afferma che "gli scopi principali della polizia in una
societa' democratica governata dallo stato di diritto sono... proteggere e
rispettare i diritti fondamentali dell'individuo e le liberta', contenuti in
particolare nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo".
La Convenzione viene poi esplicitamente richiamata negli artt. 29 e 31,
mentre l'art. 36 vieta alla polizia di "infliggere, istigare e tollerare
atti di tortura e di pena o trattamento inumano o degradante in qualunque
circostanza". Nel commento a questo articolo si ricorda che l'art. 3 della
Convenzione "sancisce un valore fondamentale delle societa' democratiche" e
che "in nessun caso puo' essere ammesso che la polizia infligga, istighi o
tolleri forme di tortura".
Nel divieto di tortura sono ricomprese sia la sofferenza fisica che quella
mentale, mentre per i concetti di pena o trattamento inumani si fa
riferimento alla giurisprudenza elaborata dalla Corte europea dei diritti
dell'uomo ed ai principi sviluppati dal Comitato europeo per la prevenzione
della tortura.
I successivi articoli 37 e 38 impongono alla polizia di "fare uso della
forza solo se strettamente necessario e solo nella misura necessaria per
ottenere un obiettivo legittimo" e di verificare sempre "la legalita' delle
azioni che intende adottare", mentre l'art. 39 ribadisce il concetto, gia'
visto in precedenza, che obbliga il personale delle forze dell'ordine a "non
eseguire quegli ordini che siano chiaramente illegali e di farne rapporto,
senza timore di qualunque atto di sanzione".
*
Costituzione europea e codice penale italiano
Oltre che nel Codice etico, anche il Trattato che adotta una Costituzione
per l'Europa (firmato a Roma il 29 ottobre 2004; il successivo 25 gennaio
2005 la Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge di ratifica ed
esecuzione del Trattato) richiama, nell'articolo I-9, la Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo, le cui norme "fanno parte del diritto
dell'Unione in quanto principi generali".
Analogo richiamo si ritrova nella presentazione alla proposta di legge (Atto
Camera 1483), presentata il 2 agosto 2001, di introduzione del reato di
tortura nel codice penale. La proposta, partendo dall'insufficienza delle
diverse previsioni dei reati di percosse (art. 581), lesioni personali (art.
582) e minaccia (art. 612) contenute nel codice Rocco, introduce l'art. 593
bis a chiusura del capo I del titolo XII del libro II (concernente i delitti
contro la vita e l'incolumita' individuale) disponendo che "il pubblico
ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che infligge ad una persona,
con qualsiasi atto, lesioni o sofferenze, fisiche o mentali, al fine di
ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di
punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o e' sospettata
di aver commesso, di intimorirla o di fare pressione su di lei o su una
terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su ragioni di
discriminazione, e' punito con la reclusione da quattro a dieci anni. La
pena e' aumentata se ne deriva una lesione personale. E' raddoppiata se ne
deriva la morte. Alla stessa pena soggiace il pubblico ufficiale o
l'incaricato di pubblico servizio che istiga altri alla commissione del
fatto, o che si sottrae volontariamente all'impedimento del fatto, o che vi
acconsente tacitamente".
L'art. 2 della proposta di legge vieta al Governo italiano di assicurare
l'immunita' diplomatica ai cittadini stranieri sottoposti a procedimento
penale o condannati per il reato di tortura in un altro Stato o da un
tribunale internazionale, mentre l'art. 3 istituisce presso la Presidenza
del Consiglio un fondo ed una Commissione per le vittime torturate.
Come si vede, la proposta individua nel "pubblico ufficiale" e
nell'"incaricato di pubblico servizio" i soggetti in grado di commettere il
reato di tortura, venendo in tal modo a comprendere quanti operano nel
sistema penale e, per certi aspetti, nelle Forze armate. In effetti, nel
commento alla "definizione del raggio d'azione" del citato codice etico,
viene specificata la non applicabilita' del codice stesso "ai corpi di
polizia militare nell'esercizio delle loro funzioni militari", ai servizi
segreti, alla polizia penitenziaria (anzi, l'art. 11 afferma che "la polizia
non deve assumere il ruolo di personale penitenziario, ad eccezione dei casi
di emergenza") ed alle "aziende private di sicurezza".
Ora, tralasciando il problema della qualificazione giuridica delle polizie
private (in particolare delle guardie particolari giurate) che, nel nostro
Paese, costituisce una delle diatribe "storiche" con numerose pronunce della
giurisprudenza amministrativa, civile e penale spesso discordanti tra loro,
e' indubbio che la particolare configurazione del nostro modello poliziesco,
composto da strutture civili (Polizia di Stato, Polizia penitenziaria, Corpo
forestale, Polizie locali) e da strutture militari (Arma dei carabinieri,
Guardia di finanza, Capitanerie di porto), e la sempre maggiore
partecipazione delle Forze armate italiane (carabinieri e Fiamme gialle
incluse) a missioni all'estero, imporrebbero che alla proposta di legge
prima vista sull'introduzione, nell'ordinamento italiano, del reato di
tortura, si affiancasse una "carta dei servizi" contenente non solo il
richiamo ai principi base che devono guidare le Forze armate e di polizia
nell'espletamento dei loro compiti, ma pure l'obbligo di formare tutto il
personale all'uso della nonviolenza (corsi di questo genere, fra l'altro,
sono stati realizzati da Andrea Cozzo, docente all'Universita' di Palermo).
Cio' che infatti i francesi (non tutti) chiamano "bavures", sbavature (sono
stati 140, nel corso del biennio 2003/2004, gli episodi accertati di
maltrattamenti nei confronti dei cittadini fermati dalla Police e dalla
Gendarmerie secondo i dati contenuti nel rapporto della Commissione
nazionale di deontologia della sicurezza presieduta di Pierre Truche) e gli
americani (non tutti) "abuses", abusi (proprio partendo da questo termine
Louise Arbour, ex giudice della Corte suprema canadese ed ora alto
commissario per i diritti umani dell'Onu, nel corso della sessione annuale
tenutasi a Ginevra il 18 marzo 2005 ha denunciato che "fatti molto
pubblicizzati hanno dato l'impressione che l'esistenza della proibizione
assoluta della tortura sia messa in discussione") non sono un puro affare
interno di una singola Nazione o di una singola struttura, ma hanno
rilevanza universale.
In tale contesto, la condanna della tortura deve essere ribadita in ogni
circostanza ed in qualunque modo, giacche' le donne e gli uomini che hanno
il preciso compito di tutelare la sovranita' interna ed esterna del proprio
Paese si devono muovere, pur nella fermezza, sulla base della difesa dei
diritti universali.
Il capitano Annemette Hommel lo ha, forse, dimenticato.

5. ESPERIENZE E RIFLESSIONI. ANNA MARIA CIVICO: PER UN TEATRO DI PRESENZA.
TRA ME E TE IN UN EQUILIBRIO IN CONTINUO MUTAMENTO...
[Ringraziamo Anna Maria Civico (per contatti: amcivico at hotmail.com) per
averci messo a disposizione questo suo testo "... tra me e te in un
equilibrio in continuo mutamento... pubbliche riflessioni sul proprio
mestiere" diffuso anche in occasione del corso di accostamento alla
nonviolenza svoltosi a Narni e Amelia in questi mesi. Anna Maria Civico,
calabrese, ha vissuto a Catanzaro, Roma, Malo (Vicenza), Venezia,
attualmente vive a Terni; e' attrice, cantante, trainer di canto e di
teatro; conduce laboratori di teatro nella natura, drammaturgia per un
teatro ecocompatibile, laboratori di canto, laboratori di teatro; molte
utili informazioni su di lei sono nel suo sito:
www.mediarama.it/annamaria/ - ma queste minime informazioni non bastano
certo a rendere l'incanto del suo recitare, del canto suo, della sua viva
presenza: colta ricercatrice delle tradizioni popolari e sperimentatrice
inesausta di forme espressive, dolce e mite la sua voce e il suo sguardo
guarisce ferite, lenisce dolori, suscita riconoscimento di umanita',
costruisce cosi' - respiro per respiro, parola per parola - la pace
possibile e necessaria, nell'incontro infinito con l'altra e con l'altro]

La mutazione e la crisi in atto del sistema economico e lavorativo nella
societa' italiana ed europea ci chiede di formulare, definire ed operare a
piu' livelli di cooperazione orizzontale e trasversale e ci orienta verso
l'integrazione e trasparenza fra gli ambiti del piu' ampio orizzonte della
societa' globale cui apparteniamo. Orizzonte che si definisce man mano che
il percorso si alimenta di obiettivi affini, identificando allo stesso tempo
i soggetti attuanti.
Primo obiettivo comune in questo caso e' la valorizzazione del territorio in
chiave culturale e ambientale attingendo a forze e contenuti operanti sia
localmente che nel panorama nazionale e internazionale. Convinti che la
valorizzazione di un territorio passa attraverso il rapporto dialettico di
un senso identitario continuamente arricchito da contaminazioni culturali e
strategie d'ampio respiro, e in questo momento storico non puo' che
confrontarsi e costruirsi insieme al grande patrimonio storico, creativo e
civile che costituisce la forza originale dell'Europa delle diversita'.
Come artisti ed operatori culturali nostro obiettivo e' anche quello di
ri-orientare, ri-definire e far ri-scoprire la funzione dell'arte per la
crescita sociale, economica e culturale ed in particolare per lo sviluppo
della persona e dell'umanita'. Crescita e sviluppo che possono contribuire
ad orientare e ripensare la crescita economica a vocazione ambientale,
turistica e culturale nel rispetto delle forze (associazioni, cooperative,
aziende, enti, singole persone) che gia' operano nell'ambito della ricerca e
sperimentazione tra codici e ibridazione delle arti e che vanno
ri-configurando il proprio sistema produttivo e gestionale, oltretutto
investendo in ricerca, tradizione e cultura, nel rispetto e integrazione,
oltretutto, degli stimoli creativi generati dalla civilta' contemporanea
plurietnica...
*
Tecniche del teatro di ricerca contemporaneo come contenitore del complesso
di elementi necessari a creare il contesto attorno al quale sviluppare
tematica e pratiche della ri-conoscenza del corpo. Tecniche che affondano le
radici ed ancora si rivolgono a forme tradizionali popolari.
L'arte teatrale capace di attuare e disporre di antiche e nuove strategie
che qualificano l'espressivita' umana, luogo che accoglie i corpi cercando,
proponendola, l'integrazione con l'oikos (da cui ecologia) la casa
originaria in cui tutti ci siamo trovati a vivere.
In questa prospettiva di integrazione, tra la persona e il proprio corpo e
tra individui e ambiente, si pensa che la conoscenza e la ri-appropriazione
dell'arte umana per eccellenza, ospite e creatrice di elementi quali la
danza, la musica, il canto, la narrazione che si propongono di partire dai
corpi, possa aprire il dialogo fra generi e nel genere stesso.
Nell'ottica che proprio dal tessuto comunitario stesso possano venire
risposte ed elaborazioni nella direzione di una sapiente innovazione di se'
affrontate attraverso tecniche le cui funzioni originarie, come un filo
turchino che attraversa la storia, non sono sempre e solo state rivolte
all'intrattenimento bensi', in primo luogo, ad una strategia precisa di
indagine e conoscenza, capace di soffermarsi (attraverso il corpo) sulla
funzione del ritmo, della reiterazione, del canto, dell'immaginario, del
valore simbolico dell'icona e che fa l'arte e l'artista come strumento e
soggetto capace di rapportarsi e di contribuire alla crescita sociale
poiche' si rivolge e parte dalla base, dagli individui e dai corpi.
In sintesi: l'arte della conoscenza del corpo come linguaggio che sa
esprimere la condizione umana...
*
Il processo artistico e' trasmissione dei saperi, quelli elementari, quelli
che ci riconducono al corpo, imparando a leggerlo, a guardarci dentro, e che
ci restituisce come valore l'esperienza del quotidiano. Ci restituisce come
valore l'esperienza della propria esistenza.
La ricerca di una relazione viva con il proprio corpo puo' contribuire ad
entrare in contatto con un se' intuitivo capace di interagire con le regole
del vivere sociale e condurre a quella qualita' recettiva necessaria alla
nascita dell'atto creativo, alla nascita di una capacita' di osservazione di
se' e dunque anche di poter guardarsi a distanza, a non identificarsi
totalmente, e a esclusivo vantaggio del potere della ragione, nelle
condizioni quotidiane. A prendersi il proprio tempo. A riscoprire la
vocazione a guardare e ad ascoltare, assieme al gusto di esercitare la
funzione di testimone della realta'.
Poter guardare alla memoria e alla cultura individuale, al proprio contesto,
la propria famiglia, il proprio lavoro come luoghi in cui essere presenti
senza esserne fagocitati...
Queste sono alcune premesse e obiettivi di progetti culturali.
Quello che hanno in comune e' l'urgenza di mettere l'attenzione sui corpi,
sul valore di tutte le arti per la crescita dell'individuo e della societa';
mettere l'attenzione sull'idea omologante, trasmessa dai media e dalla
cultura, di donna e di uomo che isola e ghettizza le fasce d'eta'
condizionandone e stereotipandone l'estetica e la funzione, dando
indicazioni per l'uso dei corpi, condizionandolo fortemente sin dalla piu'
tenera eta'. Questo condizionamento e' il rischio maggiore, in questo
condizionamento si crea l'immagine che ognuno ha di se', che e' pero'
indotta e non confrontata alla luce o alla penombra della propria intimita'
e sentire che si crea dalla relazione con l'altro...
*
Ci sono molti modi di fare teatro e dunque di stare davanti agli altri. Cio'
di cui in un certo teatro contemporaneo ci si vuole riappropriare con nuova
consapevolezza e atteggiamento critico attraverso una prassi teatrale, non
sta tanto nel rappresentare qualcosa o qualcuno, quanto piuttosto nel
tentare di dare forma, movimento, voce al mondo immaginario che si affaccia
e preme sempre nella personalita' di ognuno e che ha come direzione da
dentro a fuori.
Penso che la nostra "civilta'" si sia occupata abbastanza del parlare e
dell'agire per conto degli altri pretendendo di sapere la verita' dell'altro
e ahime' di imporla, magari anche al vicino di casa o ad una intera nazione.
Penso che in questa epoca cio' di cui piu' soffriamo sia della distanza dal
presente e dalla presenza, dunque e' sempre il momento giusto per cui ci si
debba accorgere che essere e agire insieme agli altri (partendo dal basso e
ancora dai corpi) possa fare, costituire la base della realta' e che la
risorsa forse sta tra me e te in un equilibrio in continuo mutamento.

6. LIBRI. MARIO TRONTI PRESENTA "VITA DI TOCQUEVILLE" DI UMBERTO COLDAGELLI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 dicembre 2005 riprendiamo questa
recensione di Mario Tronti al libro di Umberto Coldagelli, Vita di
Tocqueville (1805-1859). La democrazia tra storia e politica, Donzelli, Roma
2005, pp. VIII + 340, euro 24,50.
Mario Tronti (Roma, 1931), teorico e militante della sinistra italiana,
docente universitario di filosofia, partecipe di rilevanti esperienze di
riflessione e di impegno. Tra le opere di Mario Tronti: Operai e capitale,
Einaudi, Torino 1971; Sull'autonomia del politico, Feltrinelli, Milano 1977;
Il tempo della politica, Editori Riuniti, Roma 1980; Con le spalle al
futuro, Editori Riuniti, Roma 1992; La politica al tramonto, Einaudi, Torino
1998.
Umberto Coldagelli e' stato vicesegretario generale della Camera dei
deputati; ha concentrato per decenni la sua attivita' di studioso su
Tocqueville, di cui ha curato Il viaggio in America (Feltrinelli, Milano
1990), l'edizione degli Scritti, note e discorsi politici 1839-1852 (Bollati
Boringhieri, Torino 1994), e l'edizione completa dei Viaggi (Bollati
Boringhieri, Torino 1997).
Alexis de Tocqueville (Verneuil, 1805 - Cannes, 1859) e' un classico del
pensiero politico e uno dei principali teorici della democrazia; tra le sue
opere fondamentali sono La democrazia in America (1835-1840), e L'Ancien
Regime e la Rivoluzione (1856)]

Il pluridecennale lavoro di Umberto Coldagelli sul "suo" autore arriva a un
punto conclusivo con questa Vita di Tocqueville (1805-1859), Donzelli, pp.
VIII-340, euro 24,50. Un bicentenario della nascita ha avuto questa volta il
merito di far rompere gli intelligenti indugi del pigro interprete,
letteralmente costringendolo a una resa dei conti finale. La fortuna
tardo-novecentesca di Tocqueville sta del resto arrivando anch'essa al suo
culmine, con ormai diffusi richiami e rimandi a una vita e a un'opera, che
profeticamente anticipava i segni e i mali dell'eta' presente. La verita' e'
che il grande aristocratico, coltivando il suo raffinato disprezzo
antiborghese, era riuscito a cogliere il destino gia' segnato che
inarrestabilmente portava dalla rivoluzione democratica alla societa' di
massa. Aveva visto prima quello che i democratici di oggi, gattini ciechi,
non riescono a vedere nemmeno dopo. Bisogna fare attenzione al sottotitolo
di questo libro, che poi e' il vero titolo: La democrazia tra storia e
politica. E' il leit-motiv, il filo conduttore del racconto di una
provvidenziale esistenza che nasce in piena eta' napoleonica, si forma nel
clima della Restaurazione, incappa nella Rivoluzione di luglio del 1830,
attraversa da spettatore i moti del '48, si trova ad essere protagonista
politico quando accade il 18 brumaio di Napoleone il piccolo. Nel frattempo,
per un fortunoso esempio di serendipity, ha l'opportunita' di compiere una
seconda scoperta dell'America, una scoperta intellettuale dei caratteri del
nuovo mondo cosi' opposto e nello stesso tempo cosi' destinale rispetto al
suo caro vecchio mondo. Lo sguardo sempre sull'Inghilterra, come altro da
se' rispetto alla Francia. Il mondo e' al di la' di questi due modelli di
sistema politico-istituzionale-sociale. Intorno a tutto questo, Coldagelli
dipana una esemplare forma di storia concettualmente narrata. Se il buon
filosofo ha a che fare con la fatica del concetto, il buono storico ha a che
fare con la fatica del fatto. Ma quando ci si trova di fronte a un autore
che pensa gli eventi - e questo e' Tocqueville - allora il compito e' quello
di districare l'intreccio tra le idee e le azioni, tra il modo di guardare
una realta' che inesorabilmente per suo conto avanza e il modo di
intervenire in essa per cercare volta a volta o di correggerne o di
rallentarne il corso. Al di la' dell'opera, e' dunque la vita di Tocqueville
che ci parla di qualcosa che abbiamo bisogno ancora oggi di ascoltare. Il
nostro - si sa - e' un tempo senza interpreti. Gli attori non mancano, ma
recitano tutti la stessa parte. La buca del suggeritore ognuno se la porta
dietro, nelle cattedre, sui giornali, nei libri, sugli schermi. Solo i
classici del passato sono rimasti a interpretare il tempo presente.
*
Tocqueville, appunto. Coldagelli sceglie un asse centrale di lettura della
sua personalita': la compresenza contraddittoria, di due motivi, o
motivazioni, che muovono al tempo stesso le ragioni di una vita e di una
ricerca. Si chiamano: scienza politica e arte di governo. Ecco: bisogna
sapere che non si da' filiazione diretta dall'una all'altra. L'una, non solo
puo' vivere, ma vive meglio, senza l'altra, pur essendo, esse,
reciprocamente indispensabili. Questo e' quanto aveva ricavato dalla sua
diretta esperienza. E in eta' per lui tarda, vista la sua non lunga
esistenza, nel 1852, poteva dire ai signori dell'Accademia delle scienze
morali e politiche che "fare dei bei libri, perfino sulla politica o su cio'
che vi si riferisce, prepara piuttosto male al governo degli uomini e alla
conduzione degli affari". E, se a Montesquieu fosse capitato di impegnarsi
nella politica attiva, "forse la finezza alquanto sottile della sua mente
gli avrebbe fatto mancare spesso quel punto preciso nel quale si decide il
successo degli affari" e "invece di diventare il piu' prezioso dei
pubblicisti egli sarebbe stato soltanto un ministro piuttosto mediocre".
Commenta Coldagelli che, certo, restava l'impegno morale di porre la propria
scienza al servizio della societa', ma la sua scienza in quel momento andava
ripiegando nello studio delle linee profonde della storia. "I 'grossolani
luoghi comuni' che muovevano il mondo d'ora in poi lo riguarderanno come
storico; il politico ne era stato sconfitto, avendo avuto la pretesa di
combatterli tutti, di schierarsi, come dice Fernand Braudel, comunque
contro: contro la chiusura della borghesia e la speranza socialista; contro
la repubblica sociale e le pulsioni reazionarie del partito dell'ordine;
contro gli operai in rivolta e la dittatura bonapartista. Contro un
complesso di fatti e di idee che preparava l'oscuro futuro del mondo che gli
altri non riuscivano a scorgere" (pp. 265-66).
*
Un aristocratico vinto che accetta la propria sconfitta: e' la definizione
data da Guizot, che Sainte Beuve si premuro' di mettere in circolazione -
dira' Schmitt - come una freccia avvelenata per colpire a morte il celebre
storico. Magistrale il breve ritratto che troviamo in Ex captivitate salus.
"E' meraviglioso come il suo sguardo penetri la superficie delle rivoluzioni
e delle restaurazioni per scorgere il nucleo fatale dell'evoluzione" che
spinge innanzi le cose "verso una sempre piu' estesa centralizzazione e
democratizzazione". "Non parla di cose nelle quali esistenzialmente non e'
coinvolto... Non si asside come il grande Hegel o il saggio Ranke nei panni
del buon Dio nel palco reale del teatro del mondo... Il suo sguardo e' mite
e chiaro e sempre un poco triste... e non esibisce alcuna rumorosa
disperazione". Opportunamente Umberto Coldagelli, ad apertura di libro, ci
introduce nel cuore segreto del personaggio, riportando due intensi squarci
autobiografici, che solo da giovani, profeti su se stessi, si possono dare.
Lettera a Reeve, 22 marzo 1837: "Sono venuto al mondo alla fine di una lunga
Rivoluzione che, dopo aver distrutto l'antico stato, non aveva creato nulla
di durevole. L'aristocrazia era gia' morta quando cominciai a vivere e la
democrazia non esisteva ancora; il mio istinto dunque non poteva spingermi
ciecamente ne' verso l'una ne' verso l'altra. Abitavo un paese che nell'arco
di quarant'anni aveva tentato di tutto senza arrestarsi definitivamente a
niente, dunque non ero affatto facile in fatto di illusioni politiche...". E
poi un appunto strettamente privato, databile forse tra il 1839 e il 1840,
dove fa il punto sui suoi "istinti fondamentali" e sui suoi "principi seri":
"Ho per le istituzioni democratiche un gusto della mente, ma sono
aristocratico per istinto, cioe' disprezzo e temo la folla. Amo con passione
la liberta', la legalita', il rispetto dei diritti, ma non la democrazia.
Questo il fondo dell'anima... La liberta' e' la prima delle mie passioni.
Questa e' la verita'".
*
Il nome di Tocqueville evoca la grande critica liberale della democrazia. Un
passaggio ineludibile per il pensiero politico contemporaneo. La Democratie
en Amerique, 1835 e 1840, e' stata una geniale anticipazione del Novecento,
come secolo democratico e come secolo americano. Secolo americano e russo,
secondo la profezia tocquevilliana. In fondo, capitalismo reale e socialismo
reale hanno sperimentato due differenti forma di potere del popolo.
L'alternativa, l'antagonismo, non e' tra democrazia e autorita', ma tra
democrazia e liberta'. La "societa' democratica" coltiva in se' un germe
totalitario antipolitico, che puo' salire dal basso come puo' scendere
dall'alto. Tocqueville la chiamava aristocraticamente egalite' des
conditions. Noi oggi abbiamo altri nomi, per differenti aspetti del
problema: massificazione, omogeneizzazione, pensiero unico, populismo,
plebiscitarismo. La fonte e' la', La democrazia in America, e in quel libro
la', da tornare a rileggere sempre daccapo. E invito a leggere chi non lo ha
ancora fatto. Proprio in questi giorni ne e' uscita una nuova edizione
italiana, per le sempre piu' interessanti Citta' Aperta Edizioni: due
volumi, a cura di Mario Tesini e nuova traduzione di Sara Furlati, al prezzo
di 22 euro.
*
Proseguiva Tocqueville in quella lettera, citata, del '37: "Ero cosi' ben in
equilibrio tra il passato e l'avvenire da non sentirmi naturalmente e
istintivamente attratto ne' verso l'uno ne' verso l'altro, e non ho affatto
avuto bisogno di grandi sforzi per gettare uno sguardo tranquillo dalle due
parti". Se la democrazia era il cupo avvenire che avanzava, la rivoluzione
era il cupo passato che incombeva. La grande opera della maturita' sara'
infatti L'Ancien Regime et la Revolution, che uscira' nel 1856.
Coldagelli ha cura di sottolineare l'assoluta originalita' dell'impostazione
tocquevilliana, rispetto alla storiografia corrente, sia liberale che
democratico-repubblicana. C'era stata una sostanziale continuita' del
processo storico, data da quell'accentramento statuale e amministrativo,
tipico della vicenda istituzionale francese, che era passato indenne dal
prima al dopo della Rivoluzione. E se e' vero che l'altra grande lettura
antirivoluzionaria era stata quella di Burke, e' vero anche che qui "la
logica burkiana veniva letteralmente rovesciata: non solo la tabula rasa in
quanto discontinuita' assoluta non c'era stata, ma cio' che era
sopravvissuto dell'Antico regime era proprio l'elemento 'perverso' su cui si
erano innestate la violenza e la tirannia rivoluzionarie".
*
Insomma. Che cos'e' un classico? E' colui che, parlando del suo tempo, ci fa
capire il nostro tempo. Per chi sa leggere obliquamente, cioe' con gli occhi
del pensiero, questa personalita' dell'Ottocento sembra a volte parlare
metaforicamente del nostro Novecento.
E allora voglio dire una cosa. Non sono sicuro che questo sia il libro
giusto da scrivere al momento giusto a' propos de Tocqueville. Forse il
genere biografico non era il piu' adatto, per un uomo di tanto pensare e di
cosi' scarso agire. Umberto Coldagelli appartiene a quella costellazione che
giornalisti di scarsa fantasia non sanno definire altro che come
ex-operaista. Storico formatosi alla scuola di Chabod, e' intellettuale
politico di mente acuta, di sensibilita' inquietamente curiosa, di cultura
raffinata. Il tema era quello del sottotitolo: la democrazia tra storia e
politica, traduzione del motivo tocquevilliano tra scienza della politica e
arte del governo. Un testo piu' scarno e incisivo e un affondo piu'
polemologico sarebbero state due scelte piu' opportune. Si trattava di
decostruire, con una strategia intellettuale di attacco, il significato e la
portata di quell'attuale identificazione di democrazia e America, che e' il
dato egemonico incontrastato con cui abbiamo a che fare.
Tocqueville, a duecento anni dalla nascita, meritava, una nietzcheana
"considerazione inattuale", in grado di gettare il sasso, anzi il macigno,
nella palude delle idee quotidiane. O e' forse l'editore ad essersi mostrato
allergico alla critica politica, quella di spigolo, e di tendenza, di
conflitto? Critica politica, non critica della politica. Ce n'e' gia' troppa
di questa in giro. E non fa che gonfiare il cerchio dei "grossolani luoghi
comuni". Vorrei capire e non riesco ancora a farlo, come si fa a spezzare
l'egemonia del pensiero di tutti che si esercita su ognuno. Abbiamo
costruito il paradiso delle idee dominanti. Ogni occasione, anche la
recensione di un libro, tanto piu' la scrittura di un libro, va colta per
tentare disperatamente di riaccendere una battaglia delle idee dalla parte
"contro": senza giocare sempre di rimessa rispetto all'offensiva che viene
dai pulpiti dei vescovi, dalle cattedre dei neoconservatori, dalla piazza
degli animali televisivi, dall'opinione corrente che detta legge, costumi,
comportamenti, perfino sentimenti, perfino pensieri. Eppure - diceva
Tocqueville - "l'epoca attuale e' triste ma non e' oscura". E aggiungeva:
"riesco ad essere tranquillo, ma non certo gaio".

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1156 del 26 dicembre 2005

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