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La nonviolenza e' in cammino. 642



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 642 del 14 agosto 2003

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: contro la guerra, la nonviolenza
2. Letture: Grazia Livi, Le lettere del mio nome
3. Letture: Luise F. Pusch, Susanne Gretter (a cura di), Un mondo di donne
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: CONTRO LA GUERRA, LA NONVIOLENZA
[Ripubblichiamo ancora una volta ampia parte di un testo gia' diffuso nel
2001 (e gia' ripresentato nei nn. 246 del 2 ottobre 2001 e 541 del 20 marzo
2003 di questo notiziario), nato dalla rifusione di materiali precedenti e
parzialmente apparso in Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace,
Annuario della pace, Asterios, Trieste 2001]
"Contro la falsa armonia del mondo ottenuta buttando via le vittime" (Aldo
Capitini)
*
Parte prima. Verso la guerra? Tre tesi
I. Affermare che la guerra sia inevitabile e' aver gia' ceduto alla guerra.
La guerra non e' mai inevitabile.
II. Affermare un rapporto rigidamente deterministico tra modello di sviluppo
e guerra consolida quel modello di sviluppo trasformandolo in destino e
ricatto.
Ogni paradigma teorico ed ogni assetto pratico della fabrilita' umana puo'
essere modificato. La guerra non e' mai necessaria.
III. Il processo della trasformazione sociale puo' assumere forme diverse,
chiunque si attardi ancora nella trista ed equivoca metafora della violenza
forcipe della storia non e' stato informato di Auschwitz e di Hiroshima.
La guerra e' in quanto tale nemica dell'umanita'.
*
Parte seconda. Di dove veniamo? Dal Novecento
Ci venne formulata la domanda: se si guardasse dalla finestra della pace sul
Novecento, che cosa si dovrebbe dire?
A questa domanda la prima, istintiva risposta e': un muto agghiacciato moto
di orrore.
Il Novecento e' stato il secolo della guerra, dei genocidii, del
dispiegamento della violenza con una estensione e profondita' tali come mai
si erano dati nella storia dell'uomo e del mondo. Le immense risorse messe a
disposizione dagli enormi progressi della scienza, della tecnica e
dell'organizzazione sociale sono state usate prevalentemente a fini cosi'
abissalmente antiumani, di devastazione ed annichilimento delle persone e
della biosfera, che la disperazione e' il primo moto.
E tuttavia questa risposta, la percezione dell'orrore, e' ad un tempo
assolutamente necessaria e palesemente insufficiente.
Non solo: in quanto essa si risolvesse in mera contemplazione atterrita
dell'orrore, e pertanto pietrificazione dinanzi all'orrore, e dunque nei
fatti si convertisse in resa all'orrore, ebbene, allora essa sarebbe una
risposta non solo insufficiente, ma indegna ed iniqua, poiche' sfocerebbe in
una effettuale complicita' con l'orrore (sia pure per mera omissione, e sia
pure come nudo essere schiacciati e sentirsi impotenti).
Vi e' dunque una seconda necessaria risposta, che attiene alla volonta' piu'
che alla percezione, che concerne la facolta' del decidersi e dell'agire
oltre che la facolta' del conoscere ed interpretare; ed e' la risposta
seguente: che al male occorre non arrendersi; che alla violenza occorre
resistere; all'ingiustizia negare il consenso.
Tra i nomi che si possono dare a questa seconda risposta vi sono i seguenti:
il principio responsabilita', la scelta della nonviolenza.
* Ma cosa e' il punto di vista della pace?
Se e' proprio di ogni essere umano percepirsi come vivente e come valore,
come preziosa scintilla senziente e pensante, e quindi rivendicare a se' dei
diritti, e quel diritto fondamentale che e' il diritto di esistere senza del
quale nessun altro diritto puo' darsi, ebbene, ne consegue che tale diritto
a tutti gli esseri umani compete e va dunque riconosciuto: "nessuno sia
respinto nel nulla" ha scritto una volta Elias Canetti; "ogni vittima ha il
volto di Abele", ha detto una volta Heinrich Boell. Dalla rivendicazione da
parte di ognuno del proprio irriducibile diritto di vivere discende
l'affermazione di tale diritto per ciascun essere umano; discende il
principio fondativo di ogni civile convivere: "tu non uccidere".
Discende che la guerra, il dare la morte, ovvero il negare il soccorso e la
vita, confliggono con cio' che di piu' radicale ed inalienabile, perche'
appunto costitutivo, vi e' in ogni essere umano.
Ovvero: ne discende che umanita' e pace sono uno stesso concetto, e che ogni
volta che contro qualcuno si rompe quel patto di mutuo soccorso che tutti
gli uomini stringe, e' all'intera umanita' che si reca offesa, e a se
stessi.
* Il secolo di Auschwitz e di Hiroshima
Il Novecento e' il secolo di Auschwitz e di Hiroshima.
Chi si provasse a pensare al ventesimo secolo cercando di abbracciarne con
lo sguardo l'intero decorso, cogliendolo nella sua globalita' e nelle sue
peculiari emergenze, nel suo completo tracciato vedrebbe io credo come una
gigantesca fornace e voragine che lo frattura, vedrebbe un cratere che
ancora erutta, vedrebbe l'anticreazione all'opera nel mondo.
E' il secolo che si apre con il trionfo della rapina coloniale e con la
carneficina della grande guerra 1914-1918.
Ed e' il secolo che s'inabissa fino al Lager e alla Bomba.
E dopo e nonostante un lungo e contrastato sforzo dell'umanita' per risalire
dal baratro della violenza e delle schiavitu' verso una vita piu' degna, e'
il secolo che si chiude con un regime di apartheid planetario che condanna i
quattro quinti dell'umanita' attuale a una vita di sofferenze e molti alla
morte per fame e di stenti; che si chiude con una crescente devastazione di
quanto vi e' di vitale e di degno nel mondo, nella natura e nella civilta';
che si chiude - tristo sigillo - con la guerra tornata fin nel cuore
dell'Europa (ovvero di una delle aree privilegiate del mondo, nella
cittadella del nord ricco, e ricco certo perche' secolare rapinatore e oggi
altresi' sfacciato usuraio), con guerre in cui sono riemersi il razzismo
genocida e le armi atomiche, mentre negli sterminati sud del mondo le guerre
e la fame ed i morti per le strade sono la realta' quotidiana di un
"disordine costituito" mondiale che senza infingimenti, ed anzi celebrandosi
come culmine della storia, saccheggia interi continenti e sacrifica chi vi
vive.
Cosicche' si torna ad Auschwitz, a Hiroshima: cifra ed emblema del secolo
che muore, e sinistro presagio, truce eredita'. Io scrivo queste righe e
provo orrore.
* Resistenza e apertura nonviolenta
Ma il Novecento e' stato anche altro: donne e uomini vi sono stati che hanno
spezzato secolari catene; donne e uomini vi sono stati che si sono opposti
alla violenza in nome dell'umanita'; donne e uomini splendenti di dignita',
portatori di speranza: nel loro camminare eretti, portatori di concreta
utopia, profeti e prefigurazione di un'umanita' di liberi ed eguali.
Il Novecento e' stato il secolo dell'orrore e della resistenza all'orrore;
dell'inesorabile disperazione e dell'inesauribile speranza; delle tenebre
piu' profonde e delle piu' fulgide luci sorte a contrastarle.
Vi e' stato Auschwitz: ma vi e' stato anche Primo Levi, che Auschwitz ed i
suoi autori ha sconfitto per sempre nel cuore e nelle menti di chiunque
abbia letto i suoi libri, si sia accostato alla sua testimonianza.
Vi e' stata l'atomica su Hiroshima e Nagasaki: ma vi e' stato anche Guenther
Anders che l'eta' atomica ha totalmente smascherato e ci ha dato ragioni e
strumenti per lottare contro l'orrore impensabile e concreto che ci supera
ed annichilisce e che pure possiamo e dobbiamo contrastare.
Vi e' stata la guerra: ma vi e' stato anche Mohandas Gandhi che ci ha
dimostrato che e' possibile lottare contro di essa nel modo piu' limpido ed
intransigente, e ci ha proposto la rivoluzione necessaria per cambiare il
corso della storia: la nonviolenza, che e' la forza della verita', la forza
dell'amore.
L'apartheid trionfa tuttora su scala planetaria: ma Nelson Mandela ci ha
dimostrato che se un uomo di volonta' buona sa dire di no, e sceglie nitida
la lotta per la dignita' di ognuno e di tutti contro ogni servitu', allora
l'umanita' e' invincibile.
L'oppressione di genere ancora dimidia e squarcia l'umanita': ma Virginia
Woolf ci ha spiegato che chi per secoli ha avuto la lingua tagliata reca in
se' saggezza, verita' ed amore sufficienti a rovesciare il mondo rovesciato.
La distruzione della biosfera divora irreversibilmente risorse
insostituibili: ma Vandana Shiva ci ha fatto vedere che se una popolazione
sa abbracciare gli alberi essa salva gli alberi e se stessa.
E' stato il secolo del totalitarismo, implicito tanto nel primato della
tecnica come nelle ideologie del suolo e del sangue come nei miti della
redenzione attraverso la denegazione ed il sacrificio del diverso; il
totalitarismo ai cui idoli hanno sacrificato signorie illustrissime, e sui
cui altari sono state arse seminagioni intere di uomini e donne innocenti.
Ma contro il totalitarismo sono insorti  avversari coraggiosi, donne e
uomini che quando tutto sembrava perduto hanno saputo tutto salvare e sia
pure al prezzo della propria stessa vita: gli infiniti martiri di tutte le
Resistenze, cui scrivendo queste parole ancora ci inchiniamo memori e grati.
La morte e' stata eretta a dea e padrona (da Heidegger alle SS, il Novecento
e' stato un secolo follemente necrofilo), ma e' stata combattuta sul piano
teorico e pratico da tanti generosi.
Il mondo e' stato incendiato dalle ideologie dell'esclusione e della
sopraffazione: ma vi e' stato anche Ernesto Balducci e la sua proposta
dell'uomo planetario; ma vi e' stato anche Emmanuel Levinas e la sua
responsabilita' dinanzi al volto muto e sofferente dell'altro.
L'orgia della cultura consumista che tutto divora ed in primo luogo la
nostra coscienza: ma di contro anche la riflessione di Hans Jonas ed il suo
"principio responsabilità", ed il lavoro concreto ed efficace di esperienze
come quella del Centro Nuovo Modello di Sviluppo.
La disumanizzazione: ma vi e' stato anche Franco Basaglia e la sua lotta
luminosa per restituire umanita' a coloro cui era stata negata.
Cosi' il Novecento non e' solo il secolo dell'orrore, ma anche il secolo
della resistenza all'orrore. Non e' solo il secolo delle guerre, ma anche il
secolo della resistenza alle guerre. Non e' solo il secolo della
disperazione, ma anche il secolo della speranza e della responsabilita'. E'
il secolo di Auschwitz e di Hiroshima, ed e' il secolo della Resistenza e
dell'inizio della lotta nonviolenta per un'umanita' di liberi ed eguali.
* Miti, retoriche, ideologie: la complicita' con l'orrore
Ci viene proposta una domanda sul ruolo che nel dispiegarsi della violenza
abbiano i miti, le retoriche, le ideologie; di come la dimensione del sacro
si leghi a quella della violenza; di come le chiese e le agenzie educative
(ma tra le chiese e le agenzie educative possiamo collocare altresi' i
movimenti politici, i mass-media, e una serie infinita di "-ismi" e di
istituzioni) possano venir arruolate nelle fila degli eserciti e dei
torturatori.
Domande che fanno tremare le vene e i polsi. Poiche' invero questo e'
accaduto: che i miti delle origini come quelli del progresso abbiano
prodotto stragi infinite; che le retoriche dell'identita' e della supremazia
abbiano spinto ad uccidere il diverso da se'; che le ideologie abbiano
trasformato seguaci di idee in assassini spietati; che sacro e violenza si
siano spesso stretti in un nodo scorsoio; che quasi ogni chiesa abbia
sacrificato a dei assetati di sangue, e quasi ogni agenzia educativa abbia
insegnato quella sola corrotta virtu': l'obbedienza, che tutto travolge, e
giustifica ogni abominio. Invero tutto questo e' accaduto. E l'umana ragione
troppo fragile schermo e' stata, e l'umana solidarieta' non ha saputo essere
difesa efficiente o rimedio adeguato.
* Ma anche: racconto, comunicazione, condivisione
Invero questo e' accaduto ed e' quindi legittimo avere in sospetto i miti,
le retoriche, le ideologie, ed il sacro, e le chiese e le scuole. Ma si e'
anche dato il contrario.
Si e' dato il raccontare che istituisce fraternita' ed umanita' effonde e
riscatta: si pensi al raccontare e alla riflessione sul raccontare di Primo
Levi; si pensi alla trasmissione del sapere attraverso le generazioni nel
racconto orale che ci scalda intorno al fuoco e piu' del fuoco nel freddo e
nel buio della notte.
E le retoriche possono anche essere coscienza che comunicare e' difficile e
richiede consapevolezza, concentrazione, responsabilita'; e che
nell'interazione sociale invece di vincere si puo' convincere (vincere
insieme); ed essere dunque coscienza del dubbio, arte di prudenza,
atteggiamento di ascolto, e base, canale, strumento di democrazia, di civile
convivere e condursi.
E le ideologie oltre che falsa coscienza ed alienazione (l'analisi
insuperata di Marx) possono essere anche una richiesta e uno sforzo di
rendersi conto e di dare ragione, una ricerca comune (la "religio", come
legame, collegamento, discorso comune tra gli uomini).
E le chiese, le comunita', le "ecclesie" (includendo quindi tra esse ogni
forma di comunita' tenuta insieme da valori, interessi, bisogni comuni e
profondi) possono anche essere convivenza solidale, condivisione del pane,
una legge che non opprime ma sostiene e libera, e si fondino pure su sogni e
illusioni: non sono forse sogni e illusioni tanta parte della stoffa di cui
consistiamo?
E le agenzie educative (dalla scuola al partito politico, dal lavoro alla
comunita' scientifica, dalle infinite sedi della socializzazione al
movimento di rivendicazione) possono anche trasmettere esperienze e
saggezza, essere ricerca comune ed educazione reciproca: coscientizzazione
(Paulo Freire).
In breve: e' la volonta' degli uomini che decide; il male non e' mai
necessario: ed a tutti e' dato, sempre, di contrastarlo.
* Gli uomini ora sanno
E comunque noi oggi sappiamo: sappiamo, ce lo ha spiegato Primo Levi, che la
strada dell'ossequio e del consenso e' senza ritorno, e porta ai campi di
sterminio. Sappiamo, lo ha ripetuto tante volte Mohandas Gandhi, che il
potere oppressivo si regge anche sul consenso delle vittime e
sull'indifferenza di chi sta a guardare. Sappiamo, lo scrisse memorabilmente
Lorenzo Milani, che l'obbedienza non e' piu' una virtu', ma la più subdola
delle tentazioni, e che ognuno deve sentirsi l'unico responsabile di tutto.
Gli uomini ora sanno. Ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.
* Le tre verita' di Hiroshima
Nel 1981 aprendo un celebre convegno di "Testimonianze" sul tema Se vuoi la
pace, prepara la pace, Ernesto Balducci (uno dei piu' lucidi e limpidi
costruttori di pace di questo secolo) pronuncio' un forte discorso. In esso
enuncio' quelle che chiamo' "le tre verita' di Hiroshima". Rileggiamo le sue
parole.
"La prima verita' contenuta in quel messaggio e' che il genere umano ha un
destino unico di vita o di morte. Sul momento fu una verita' intuitiva, di
natura etica, ma poi, crollata l'immagine eurocentrica della storia, essa si
e' dispiegata in evidenze di tipo induttivo la cui esposizione piu' recente
e piu' organica e' quella del Rapporto Brandt. L'unita' del genere umano e'
ormai una verita' economica. Le interdipendenze che stringono il Nord e il
Sud del pianeta, attentamente esaminate, svelano che non e' il Sud a
dipendere dal Nord ma e' il Nord che dipende dal Sud. Innanzitutto per il
fatto che la sua economia dello spreco e' resa possibile dalla metodica
rapina a cui il Sud e' sottoposto e poi, piu' specificamente, perche' esiste
un nesso causale tra la politica degli armamenti e il persistere, anzi
l'aggravarsi, della spaventosa piaga della fame. Pesano ancora nella nostra
memoria i 50 milioni di morti dell'ultima guerra, ma cominciano anche a
pesarci i morti che la fame sta facendo: 50 milioni, per l'appunto, nel solo
anno 1979. E piu' comincia a pesare il fatto, sempre meglio conosciuto, che
la morte per fame non e' un prodotto fatale dell'avarizia della natura o
dell'ignavia degli uomini, ma il prodotto della struttura economica
internazionale che riversa un'immensa quota dei profitti nell'industria
delle armi: 450 miliardi di dollari nel suddetto anno 1979 e cioe' 10 volte
di piu' del necessario per eliminare la fame nel mondo. Questo ora si sa.
Adamo ed Eva ora sanno di essere nudi. Gli uomini e le donne che, fosse pure
soltanto come elettori, tengono in piedi questa struttura di violenza, non
hanno piu' la coscienza tranquilla.
La seconda verita' di Hiroshima e' che ormai l'imperativo morale della pace,
ritenuta da sempre come un ideale necessario anche se irrealizzabile, e'
arrivato a coincidere con l'istinto di conservazione, il medesimo istinto
che veniva indicato come radice inestirpabile dell'aggressivita'
distruttiva. Fino ad oggi e' stato un punto fermo che la sfera della morale
e quella dell'istinto erano tra loro separate, conciliabili solo mediante
un'ardua disciplina e solo entro certi limiti: fuori di quei limiti accadeva
la guerra, che la coscienza morale si limitava a deprecare come un malum
necessarium. Ma le prospettive attuali della guerra tecnologica sono tali
che la voce dell'istinto di conservazione (di cui la paura e' un sintomo non
ignobile) e la voce della coscienza sono diventate una sola voce. Non era
mai capitato. Anche per questi nuovi rapporti fra etica e biologia, la
storia sta cambiando di qualita'.
La terza verita' di Hiroshima e' che la guerra e' uscita per sempre dalla
sfera della razionalita'. Non che la guerra sia mai stata considerata, salvo
in rari casi di sadismo culturale, un fatto secondo ragione, ma sempre le
culture dominanti l'hanno ritenuta quanto meno come una extrema ratio, e
cioe' come uno strumento limite della ragione. E difatti, nelle nostre
ricostruzioni storiografiche, il progresso dei popoli si avvera attraverso
le guerre. Per una specie di eterogenesi dei fini - per usare il linguaggio
di Benedetto Croce - l'"accadimento" funesto generava l'"avvenimento"
fausto. Ma ora, nell'ipotesi atomica, l'accadimento non genererebbe nessun
avvenimento. O meglio, l'avvenimento morirebbe per olocausto nel grembo
materno dell'accadimento'.
* Un messaggio da Assisi: sei impegni per la pace
Il 24 settembre 2000 si e' svolta, promossa dai movimenti nonviolenti, una
marcia da Perugia ad Assisi contro tutti gli eserciti e le guerre. Ai
partecipanti si chiedeva l'adesione e l'impegno personale sui sei punti del
"Manifesto 2000 per una cultura della pace e della nonviolenza" lanciato dai
Premi Nobel per la Pace; e' un programma che ci pare opportuno proporre alla
lettura e alla riflessione.
"1. Rispettare ogni vita. Rispettare la vita e la dignita' di ogni essere
umano senza alcuna discriminazione ne' pregiudizio;
2. Rifiutare la violenza. Praticare la nonviolenza attiva, rifiutando la
violenza in tutte le sue forme: fisica, sessuale, psicologica, economica e
sociale, in particolare nei confronti dei piu' deboli e vulnerabili, come i
bambini e gli adolescenti;
3. Condividere con gli altri. Condividere il mio tempo e le risorse
materiali coltivando la generosita', allo scopo di porre fine
all'esclusione, all'ingiustizia e all'oppressione politica ed economica;
4. Ascoltare per capire. Difendere la liberta' di espressione e la
diversita' culturale, privilegiando sempre l'ascolto e il dialogo senza
cedere al fanatismo, alla maldicenza e al rifiuto degli altri;
5. Preservare il pianeta. Promuovere un consumo responsabile e un modo di
sviluppo che tengano conto dell'importanza di tutte le forme di vita e
preservino l'equilibrio delle risorse naturali del pianeta;
6. Riscoprire la solidarieta'. Contribuire allo sviluppo della mia
comunita', con la piena partecipazione delle donne e nel rispetto dei
principi democratici, al fine di creare, insieme, nuove forme di
solidarieta'".
Se una lezione e un programma di lavoro dall'esperienza del secolo che si e'
concluso possiamo trarre, ci pare che nelle parole di Balducci e
nell'appello dei Premi Nobel per la Pace se ne possa trovare una traccia. E
dunque al lavoro.
*
Parte terza. Ci sono alternative? La nonviolenza
* Guardiamoci intorno
I quattro quinti dell'umanita' vivono una vita di enormi sofferenze; le
guerre, la fame, lo sfruttamento, l'oppressione e l'ingiustizia strutturale
tengono in condizioni disumane la maggior parte dell'umanita'; la biosfera
(ovvero quella sottile pellicola del nostro pianeta in cui soltanto esiste
vita vegetale, animale ed umana) e' messa a rischio da un modello di
sviluppo criminale; ingenti risorse che potrebbero offrire benessere a
molti, vengono invece rapinate, sperperate, distrutte da pochi; e' crescente
l'inquinamento dell'ambiente e la distruzione di risorse non rinnovabili; le
nuove tecnologie (particolarmente quelle informatiche e quelle biologiche)
contengono grandi potenzialita' ma implicano enormi rischi e richiedono per
la loro gestione un di piu' di democrazia, di razionalita', di
responsabilita'; si pone il problema di quale pianeta stiamo predisponendo
per le generazioni future; pace, democrazia e diritti umani mai come oggi
costituiscono una triade di esigenze irrefutabili e irrinviabili.
* Dieci ferite della contemporaneita'
Un recente volume che analizza alcune figure e correnti della riflessione
morale contemporanea (AA. VV., Etiche della mondialita', Cittadella, Assisi
1996) propone questa descrizione schematica della situazione presente:
"Le ferite piu' laceranti della contemporaneita' possono essere ricapitolate
nel quadro seguente, articolato in dieci punti:
1) l'invadenza e gli effetti sconvolgenti di un ordine economico mondiale
che, per assicurare l'opulenza ad una minoranza dell'umanita', produce per
tutti gli altri la fame, il sottosviluppo, la disoccupazione, la
degradazione del lavoro;
2) la crisi ecologica, con intollerabili danni alla biosfera ed alle
condizioni per la sopravvivenza delle diverse forme di vita sulla terra;
3) la crisi demografica, con la crescente sproporzione tra popolazione e
risorse disponibili;
4) l'acuirsi delle tensioni etniche e religiose, delle discriminazioni di
casta e di sesso, nonche' la traduzione irresponsabile del principio
dell'autodeterminazione dei popoli;
5) la crisi delle relazioni interumane di solidarieta' e l'esclusione di
intere fasce della societa';
6) il ricorso alla guerra come risoluzione delle controversie
internazionali;
7) l'esistenza di regimi dittatoriali ed il ripetersi della violazione dei
diritti umani in molti stati;
8) l'espandersi delle organizzazioni criminali transnazionali e del mercato
mondiale delle droghe;
9) il monopolio occidentale del sistema informativo-comunicativo e
l'omologazione delle culture sotto il liberismo assoluto dell'Occidente;
10) la difficolta' di indirizzare al bene comune dell'umanita' le dinamiche
e gli esiti della ricerca scientifica e della tecnologia".
Si potrebbe dire diversamente, di alcune cose si potrebbe discutere, ma il
quadro complessivo e' all'incirca questo.
Vari studiosi e vari rappresentanti di movimenti che lottano per la dignita'
umana, concordano nel denunciare la situazione presente come intollerabile;
cfr. ad esempio le analisi proposte dalla prestigiosa rivista "Le Monde
diplomatique", o le analisi del Marcos portavoce dell'esperienza zapatista
in Chiapas, o le riflessioni della Rete di Lilliput. Come si puo' accettare
questa situazione?
* Che fare?
Si pone il problema di opporsi a tanta violenza, a tanto dolore, a tanta
ingiustizia, a tanta follia.
Ed occorre quindi elaborare e praticare delle adeguate etiche planetarie;
dei comportamenti concreti capaci di contrastare la catastrofica deriva
presente; una azione politica coerente ed efficace; progetti, dinamiche,
istituzioni all'altezza delle necessita'. Come fare?
Noi crediamo che per la lotta che occorre condurre alcuni strumenti
operativi importanti li offra la teoria-prassi della nonviolenza.
* La proposta della nonviolenza come teoria-pratica di liberazione
La nonviolenza e' una possibile risposta a questo urgente problema: alla
violenza crescente si puo', si deve, opporre la nonviolenza.
Ma detto questo e' stato detto ancora ben poco: cosa e' la nonviolenza?
In prima approssimazione potremmo dire che la nonviolenza e' una
teoria-pratica di liberazione, ovvero una proposta di azione finalizzata
all'affermazione concreta e immediata della dignita' umana; una proposta
pratica, ma che implica dei giudizi di valore, e quindi una teoria: un punto
di vista che concerne questioni morali, politiche, gnoseologiche (cioe'
relative alla teoria della conoscenza), antropologiche (ovvero una visione
dell'uomo e della cultura). Ma essenzialmente a nostro avviso la nonviolenza
e' lotta contro la violenza, lotta contro l'ingiustizia, lotta che afferma
la responsabilita' di ognuno per il bene di tutti, lotta che nel suo stesso
farsi istituisce democrazia, diritti umani, difesa della biosfera.
* La nonviolenza come cosa complessa
La nonviolenza e' una teoria-prassi sperimentale ed in continuo sviluppo
creativo, dalle molteplici dimensioni ed interpretazioni, quindi da studiare
rigorosamente.
La nonviolenza non e' una cosa semplice. Lo stesso termine si presta a
diverse interpretazioni; i suoi ambiti applicativi sono molto diversificati,
coloro che alla nonviolenza si sono accostati o che di strumenti, tecniche,
riflessioni di essa hanno fatto uso, ne hanno dato interpretazioni molto
diverse.
Lo stesso Gandhi, che ne e' il vero e proprio fondatore, ne ha dato
definizioni diverse ed ha elaborato un concetto di essa sperimentale,
contestuale, dinamico, critico. Sperimentale perche' la nonviolenza non e'
un dogma ma un concreto operare in quanto tale constantemente
ri-discutibile; contestuale, perche' e' solo nel vivo del conflitto, solo
nella concretezza della lotta contro l'ingiustizia, che la nonviolenza in
quanto prassi si da', si misura e si definisce; dinamico, perche' appunto la
nonviolenza non e' un che di statico, di ipostatizzato, di prefissato, di
preconfezionato, ma si realizza nel processo della lotta, nel vivo del
conflitto, nel cuore della storia e della societa', ed agisce come parte in
causa, come elemento contraddittorio e propulsivo, come rottura del
disordine costituito e come progetto di trasformazione; critico, perche' la
nonviolenza non e' uno stato di quiete, di appagamento, la fine di
alcunche', ma un costante rovello, un'incessante verifica, una lotta
interminabile, e quindi anche una serrata critica ed autocritica.
La nonviolenza non e' una ideologia o una filosofia politica e sociale in
piu'; ma non e' neppure un mero repertorio di strumenti e di tecniche; essa
si propone come una teoria-prassi compatibile con altre teorie morali e
politiche, ma ha una sua autonomia e coerenza che ne fa una cosa complessa,
inconclusa, in sviluppo, ma insieme una cosa non confondibile, non
sussumibile, non addomesticabile.
* Dimensioni ed interpretazioni della nonviolenza
Dimensioni: vedremo che la nonviolenza ha diverse dimensioni, una di esse e'
quella della scelta etico-politica, e quindi della condotta personale e
collettiva nella vita quotidiana come nei conflitti politici, sociali e
culturali; una seconda dimensione e' quella delle tecniche di lotta e delle
forme di gestione delle relazioni e dei conflitti; una terza dimensione e'
quella della nonviolenza come strategia di lotta contro le ingiustizie; una
quarta dimensione e' quella del progetto politico, economico e sociale che
la scelta nonviolenta implica se le sue premesse vengono svolte fino alle
ultime conseguenze.
Intepretazioni: si potrebbe dire che vi sono tante interpretazioni della
nonviolenza quanti sono coloro che la hanno adottata e che su di essa hanno
riflettuto.
Per quanto ci concerne, noi qui proponiamo un approccio non dogmatico, ma
sperimentale ed aperto, concreto e contestuale; pertanto questo stesso
scritto non e' un formulario tuttologico, o un ricettario onnivalente, ma la
proposta e la descrizione - certo intenzionata, certo non neutrale - di una
serie di tesi su cui comunque la discussione e la riflessione restano
aperte.
* Cosa e' la nonviolenza: questioni terminologiche preliminari
1. Il termine
Il termine "nonviolenza" e' la traduzione italiana del concetto coniato da
Gandhi per definire la sua proposta ed azione di lotta; Gandhi utilizza due
termini: ahimsa, che potremmo tradurre come "non violenza", o anche
"assoluto contrario della violenza", "radicale opposizione alla violenza",
ed anche "in-nocenza", "assoluto rifiuto di fare del male"; e satyagraha,
che potremmo tradurre come "forza della verita'", "attaccamento, adesione
alla verita'", "ma anche "forza coesiva della verita'"; non solo: la radice
indoeuropea "sat" designando non solo il vero, ma l'essere, il bene, il
divino come infinitamente vero e buono, il termine coniato da Gandhi
significa altresi' "prossimita' al bene", "contatto con l'essere", "unita'
con il e nel giusto e verace", "coessenzialita'": insomma i termini
gandhiani ahimsa e satyagraha definiscono un campo semantico ad un tempo
molto preciso, molto profondo ed insieme molto ampio. Il termine italiano
nonviolenza li traduce entrambi unificandoli; la sua peculiare forma grafica
(scrivere cioe' "nonviolenza" tutto attaccato e non separando "non" e
"violenza") e' stata proposta da Aldo Capitini, il maggior pensatore e
promotore della nonviolenza in Italia, per sottolineare la positivita' ed
originalita' del concetto.
Il termine "nonviolenza" e' quindi recente, risale a Gandhi ed e' del tutto
novecentesco.
2. Il concetto
Ci si e' posti spesso il problema se sia recente anche il concetto cui il
termine si riferisce. Come e' noto una diffusa antologia di scritti
gandhiani edita per le cure dell'Unesco si intitola Antiche come le
montagne, e fa riferimento ad una celebre frase gandhiana in cui la
nonviolenza e' definita appunto "antica come le montagne".
Ahinoi, qui mettiamo in discussione questa autorevole opinione, ed en
passant contesteremo anche la fattura di questo celebre libro come di molte
altre antologie gandhiane. E cominciamo da questa seconda opposizione:
spesso si pubblicano raccolte di scritti gandhiani riducendo i suoi
ragionamenti in "pillole", in frasi celebri astratte dal contesto. Ma Gandhi
non e' stato uno scrittore sistematico, un accademico, un trattatista,
bensi' un militante; e la sua scrittura e' quasi esclusivamente
giornalistica ed epistolare, sempre mirata alla concreta lotta da condurre
in quel preciso momento ed in quella precisa situazione; e stando cosi' le
cose non e' infrequente che Gandhi torni autocriticamente sulle sue
precedenti opinioni per modificarle; cosi' come e' assolutamente ovvio che
in momenti e situazioni diverse egli si esprima in modo diverso e vi siano
quindi testi gandhiani che estrapolati dal contesto e posti l'uno di fronte
all'altro possono sostenere due tesi perfettamente opposte. Da cio'
deduciamo la necessita' di evitare la pubblicazione di "pillole" gandhiane,
per quanto brillanti ed acuminate possano essere singole frasi ridotte ad
aforismi, e proponiamo invece che si pubblichi (e quindi si legga) Gandhi in
edizioni che diano conto del contesto in cui i singoli testi proposti alla
riflessione concretamente si inseriscono (da questo punto di vista non si
lodera' mai abbastanza per il suo rigore e la sua lealta' la fondamentale
antologia di scritti gandhiani curata da Giuliano Pontara per Einaudi:
Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino, piu'
volte ristampata).
Peraltro del carattere sperimentale, aperto, contestuale e concreto della
sua proposta teorico-pratica Gandhi era pienamente consapevole, al punto da
intitolare la sua autobiografia Storia dei miei esperimenti con la verita'
(in traduzione italiana disponibile oggi col titolo stabilito dagli editori
La mia vita per la liberta', Newton Compton, Roma), ripetutamente
sottolineandovi come la sua ricerca, le sue esperienze e riflessioni, lo
portassero ad un atteggiamento non dogmatico e ad una concezione
costitutivamente aperta, sperimentale, dialettica, creativa della
nonviolenza.
Detto questo, passiamo alla prima questione proposta: il concetto di
nonviolenza e' antico o recente? Noi propendiamo per la seguente risposta:
il concetto di nonviolenza e' recente, e risale a Gandhi; la prassi della
nonviolenza e' invece effettivamente antica ed ha molte manifestazioni nel
corso della storia dell'umanita'.
3. La prassi
Vi sono nel passato prenovecentesco innumerevoli episodi di riflessione e
prassi nonviolente, ma in essi raramente la nonviolenza si presenta come un
concetto autonomo e fondativo dell'azione; piu' spesso e' implicato da
motivazioni o da finalita' che restano altre.
Facciamo alcuni esempi: sono sicuramente altissime figure di nonviolenti
alcuni fondatori e rappresentanti di religioni: ma in queste personalita',
nella loro predicazione, nelle loro esperienze, non era centrale l'idea di
un'azione riformatrice etico-politico-sociale nonviolenta; centrale e' una
posizione e proposta religiosa e trascendente.
Orbene, si potrebbe obiettare che anche in Gandhi la prospettiva religiosa
e' centrale; cio' e' vero, ma e' non meno vero che la proposta della
nonviolenza non si configura come parte speciale di un progetto religioso da
assumere tout court, ma come teoria-prassi dotata di una sua autonomia e di
una sua capacita' persuasiva anche rispetto a persone che non ne condividono
i fondamenti religiosi. Ed in effetti e' possibile aderire alla
teoria-prassi nonviolenta senza aderire ad una posizione religiosa.
Ancora: nel corso della storia molti movimenti sociali hanno fatto uso di
tecniche di lotta nonviolente; hanno proposto e praticato programmi sociali
e politici nonviolenti; hanno adottato etiche personali e collettive
nonviolente; basti pensare a tante esperienze del cristianesimo (il cui
ruolo storico nell'abbattimento del sistema schiavistico antico e
dell'ideologia ad esso inerente e' indiscutibile), con punte
rilevantissime - un solo esempio: Francesco d'Assisi -; dell'umanesimo -
anche qui un solo esempio: l'irenismo erasmiano -; dell'illuminismo; del
socialismo in molte delle sue concrete vicende di pensiero e di lotta; delle
tradizioni che oggi definiremmo "ecologiste" - includendo in esse anche
culture tradizionali comunitarie distrutte dalla furia colonialista -.
Tuttavia una compiuta (ancorche' aperta e felicemente inconcludibile)
teorizzazione della nonviolenza ed una pratica politico-sociale centrata su
di essa e' un fatto dell'ultimo secolo.
Poi, naturalmente, in alcune delle figure piu' rilevanti della nonviolenza
contemporanea ed autocosciente la radice della riflessione, della scelta e
dell'impegno puo' benissimo essere religiosa, cosi' e' in Gandhi, cosi' in
Lanza del Vasto, cosi' in Martin Luther King, cosi' anche - in modo a lui
peculiare - in Aldo Capitini (che pure interagisce con l'antifascismo
politico e la tradizione otto-novecentesca azionista, mazziniana ma anche
liberal-socialista come e' noto); ma molte delle persone che hanno aderito
ai movimenti di lotta da essi suscitati potevano benissimo non condividere
quella radice e pur sentirsi completamente presi da quelle proposte
analitiche ed operative, di riflessione e di lotta, ed aderirvi quindi toto
corde muovendo da una prospettiva integralmente laica.
Fondamentalmente laica ci pare di poter considerare la proposta di Danilo
Dolci, o quella ecofemminista di Vandana Shiva, o l'elaborazione di Gene
Sharp, o di Johan Galtung, o di Giuliano Pontara. Ed un rappresentante
illustre della nonviolenza come Jean Marie Muller ha pertinentemente
argomentato nel senso del riconoscimento dell'autonomia teorica della
nonviolenza e della possibilita' di un'adesione ad essa indipendentemente
dall'eventuale credo religioso personale; ed analogamente ha argomentato, in
una piu' ampia riflessione sull'uomo "planetario" che deve fronteggiare qui
e adesso sfide globali terribili e cruciali e costruire una cultura della
pace che a tutti chiede un peculiare contributo, uno straordinario sacerdote
cattolico come Ernesto Balducci.
Insomma, la prassi nonviolenta e' un fenomeno che ha una lunga tradizione
storica; la concettualizzazione della nonviolenza come teoria-prassi
specifica risale a Gandhi ed e' quindi fenomeno relativamente recente; la
terminologia precisamente corrispondente e' gandhiana, e la sua piu'
adeguata traduzione e peculiare trascrizione italiana e' merito particolare
di Aldo Capitini.
* Cosa e' la nonviolenza: alcune definizioni classiche
Venendo alla definizione di cosa la nonviolenza sia, preliminarmente
ripetiamo che di essa sono state date definizioni molteplici non solo a
seconda dei diversi protagonisti che ne hanno fatto uso e dei diversi autori
che ne hanno scritto, ma anche dalla stessa persona, militante e/o studioso,
in fasi e contesti diversi della sua riflessione e del suo agire.
Qui proponiamo una nostra definizione sintetica ed aperta: la teoria-prassi
della nonviolenza si basa sull'amore-forza della verita', e' lotta contro la
violenza condotta in modo rigoroso e radicale, praticando la coerenza tra
mezzi e fini; la nonviolenza si caratterizza per un atteggiamento
sperimentale e non dogmatico, di apertura e comprensione; la nonviolenza e'
agire nelle situazioni di conflitto, e' resistenza concreta e intransigente
contro l'oppressione, e' progetto sociale di eguaglianza e di liberazione
testimoniato e costruito nell'azione diretta.
Di seguito indichiamo alcuni testi di riferimento presso cui è possibile
trovare alcune definizioni classiche di essa date dai più grandi studiosi e
militanti della nonviolenza.
1. Alcune definizioni di Gandhi: segnaliamo qui come riferimento la bella
antologia di scritti di Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza,
Einaudi, Torino 1973 e successive edizioni.
2. Alcune definizioni di Aldo Capitini: segnaliamo qui come riferimento la
bella antologia di scritti di Aldo Capitini, Il messaggio di Aldo Capitini,
Lacaita, Manduria 1977.
3. Una sintesi di Giuliano Pontara: segnaliamo qui (oltre ai vari suoi
volumi - di cui i più recenti sono La personalita' nonviolenta e Guerra,
disobbedienza civile, nonviolenza, ambedue presso le Edizioni Gruppo Abele,
Torino, 1996 -, ed alla notevole introduzione a Gandhi, Teoria e pratica
della nonviolenza, cit.) particolarmente le brevi voci Gandhismo e
Nonviolenza in Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino (a
cura di), Dizionario di politica, Utet, Torino, poi in edizione economica
Tea, Milano.
4. Una sintesi di Jean Marie Muller: segnaliamo qui particolarmente l'opera
di Jean Marie Muller, Strategia della nonviolenza, Marsilio, Padova 1975.
5. Una sintesi di Gene Sharp: segnaliamo qui l'opera fondamentale di Gene
Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino
1985-1997, tre volumi. 6. Una sintesi di Christian Mellon e Jacques Semelin:
segnaliamo qui il volumetto di Christian Mellon e Jacques Semelin, La
non-violence, P.U.F., Paris 1994.
* Dodici sguardi sulla nonviolenza
Ci permettiamo di riprodurre qui alcune nostre proposte di definizione, che
ovviamente offriamo alla discussione.
1. Rompere la complicita'. Alla base della nonviolenza vi e' la
consapevolezza che il potere ingiusto ed oppressivo si regge anche sulla
complicita' delle vittime e degli indifferenti: la nonviolenza e' in primo
luogo un appello a rompere la complicita' con l'ingiustizia, a toglierle il
consenso, ad uscire dalla passivita', a prendersi la propria
responsabilita', a lottare per la verita' e la giustizia.
2. La nonviolenza e' lotta. E' lotta contro la violenza, contro
l'ingiustizia, contro la menzogna. E' lotta perche' ogni essere umano sia
riconosciuto nella sua dignita'; e' lotta contro ogni forma di
sopraffazione; e' lotta di liberazione per l'uguaglianza di tutti nel
rispetto e nella valorizzazione della diversita' di ognuno. E' la forma di
lotta piu' profonda, quella che va piu' alla radice delle questioni che
affronta. E' lotta contro il potere violento, cui si oppone nel modo piu'
completo, rifiutando la sua violenza e rifiutando di riprodurre violenza.
Afferma la coerenza tra i mezzi ed i fini, tra i metodi e gli obiettivi. Tra
la lotta e il suo risultato c'e' lo stesso rapporto che c'e' tra il seme e
la pianta. Chi lotta per la liberazione di tutti, deve usare metodi
coerenti. Chi lotta per l'uguaglianza deve usare metodi che tutti possano
usare. Chi lotta per la verita' e la giustizia deve lottare nel rispetto
della verita' e della giustizia. E' lotta contro il male, non contro le
persone. E' lotta per difendere e liberare, per salvare e per convincere, e
non per umiliare o annientare altre persone. E' lotta fatta da esseri umani
che non dimenticano di essere tali. Che non si abbrutiscono, che non
vogliono fare del male, bensi' contrastare il male. E' lotta per l'umanita'.
La nonviolenza e' il contrario della vilta'. E' il rifiuto di subire
l'ingiustizia; e' il rifiuto di ogni ingiustizia, sia di quella contro di
me, sia di quelle contro altri. La nonviolenza e' lotta. E' lotta per la
verita', e' lotta per la giustizia, e' lotta di liberazione e di
solidarieta', e' lotta contro ogni oppressione.
3. Otto brevi caratterizzazioni della nonviolenza. La nonviolenza e' forte:
puo' opporsi efficacemente alla forza delle armi; puo' sfidare coerentemente
i piu' grandi poteri del mondo. La nonviolenza e' umile: non richiede
attitudini eccezionali, pose monumentali, proclami retorici; non richiede
ingenti risorse fisiche o finanziarie; richiede limpidezza di condotta ed
assunzione di responsabilita'. La nonviolenza e' concreta: interviene
realmente nel conflitto; porta la pace e la giustizia nel suo stesso porsi;
si oppone ugualmente alla vigliaccheria ed alla violenza; educa alla
dignita' umana. La nonviolenza e' coerente: e' l'unico modo coerente di
lottare contro la violenza; e' l'unico modo coerente di affermare la
dignita' di ogni essere umano; e' l'unico modo coerente per ridurre
l'ingiustizia e il dolore nel mondo. La nonviolenza e' il potere di tutti:
poiche' tutti possono lottare con la nonviolenza, poiche' la nonviolenza fa
appello a tutti, poiche' la nonviolenza rispetta la dignita' di tutti e di
ciascuno. La nonviolenza e' adesione alla verita', e' forza della verita':
da Gandhi a Capitini gli amici della nonviolenza sanno che essa e'
incompatibile con la menzogna, con i sotterfugi, con gli intrighi e le
doppiezze: la nonviolenza e' l'amore per la verita' che irrompe nell'agire
politico e sociale, e' il principio responsabilita' (il rispondere al volto
dell'altro che muto e sofferente ti interroga - Levinas -, il farsi carico
del mondo e dell'umanita' - Jonas -) che si rende operare autentico; e' la
critica della ragion pratica che si fa movimento di solidarieta' e di
liberazione. La nonviolenza e' lotta come amore: lotta integrale contro
l'ingiustizia e la menzogna, lotta integrale per la comunicazione e la
dignita', lotta integrale contro la violenza; lotta integrale per i diritti
umani, lotta integrale per un'umanita' di eguali, liberi e fraterni. La
nonviolenza e' utopia concreta, principio speranza, ortopedia del camminare
eretti: abbiamo usato queste tre formule del filosofo Ernst Bloch per
significare che la nonviolenza e' concreta azione e concreto progetto
politico e sociale di dignita' umana e difesa della biosfera; che la
nonviolenza e' inveramento della speranza in una lotta coerente e che nel
suo stesso farsi e' liberante; che la nonviolenza e' affermazione ed
istituzione del diritto e dei diritti, legalita' e democrazia in cammino.
4. Quattro regole di condotta per l'azione diretta nonviolenta: I. A
un'iniziativa nonviolenta possono partecipare solo le persone che accettano
incondizionatamente di attenersi alle regole della nonviolenza. II. Tutti i
partecipanti devono saper comunicare parlando con chiarezza, con
tranquillita', con rispetto per tutti, e senza mai offendere nessuno. III.
Tutti i partecipanti devono conoscere perfettamente senso, fini, modalita' e
conseguenze dell'azione diretta nonviolenta; devono averne piena conoscenza,
e devono esserne completamente convinti; in particolare sottolineiamo la
necessita' di essere pienamente informati e consapevoli delle conseguenze
cui ogni singolo partecipante puo' andare incontro, conseguenze che vanno
accettate pacificamente e onestamente, ed alle quali nessuno deve cercare di
sottrarsi. IV. Tutti devono rispettare i seguenti princìpi della
nonviolenza: a) non fare del male a nessuno (se una sola persona dice o fa
delle stupidaggini, o una sola persona si fa male, l'azione diretta
nonviolenta e' irrimediabilmente e totalmente fallita, e deve essere
immediatamente sospesa); b) spiegare a tutti (amici, autorita',
interlocutori, interpositori, eventuali oppositori) cosa si intende fare, e
che l'azione diretta nonviolenta non e' rivolta contro qualcuno, ma contro
la violenza; c) dire sempre e solo la verita'; d) fare solo le cose decise
prima insieme con il metodo del consenso ed annunciate pubblicamente (cioe'
a tutti note e da tutti condivise); nessuno deve prendere iniziative
personali di nessun genere; la nonviolenza richiede lealta' e disciplina; e)
assumersi la responsabilita' delle proprie azioni e quindi subire anche le
conseguenze che ne derivano; f) mantenere una condotta nonviolenta anche di
fronte all'eventuale violenza altrui. Chi non accetta queste regole non puo'
partecipare all'azione diretta nonviolenta, poiche' sarebbe di pericolo per
se', per gli altri e per la riuscita dell'iniziativa che deve essere,
appunto, rigorosamente nonviolenta. Per poter partecipare ad un'azione
diretta nonviolenta e' necessario aver partecipato prima alla discussione ed
all'organizzazione che ha portato alla sua decisione e realizzazione, ed e'
altresì assolutamente indispensabile aver partecipato ad un training di
addestramento alla nonviolenza.
5. Una definizione fondamentale: la "carta" del Movimento Nonviolento. Una
definizione breve e precisa degli obiettivi e dei metodi di chi si impegna
con e per la nonviolenza e' nella carta ideologico-programmatica del
Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini: [Non lo riproduciamo qui
poiche' e' gia' integralmente trascritto in tutti i numeri di questo stesso
notiziario - anche nel presente - come penultimo testo].
6. Necessita' dell'addestramento alla nonviolenza. La nonviolenza non e' ne'
un atteggiamento spontaneo, ne' un banale "volersi bene"; bensi': a) una
meditata scelta etico-politica di trasformazione delle relazioni personali e
sociali, b) un insieme di tecniche di lotta rigorose ed assai elaborate, c)
una strategia di lotta profondamente caratterizzata, d) un progetto di
relazioni umane e politiche radicalmente alternativo a quelle dominanti.
Quindi la nonviolenza non è affatto "spontanea", va conosciuta e coltivata.
Nessuno si sorprende se un soldato deve addestrarsi, nessuno si sorprende se
un medico deve studiare: ebbene, la nonviolenza richiede un addestramento e
uno studio non inferiori ma superiori a quelli richiesti al soldato ed al
medico. Senza studio non e' possibile comprendere la nonviolenza; senza
addestramento non e' possibile condurre l'azione nonviolenta. Proprio
perche' la nonviolenza e' una proposta morale, sociale e politica di lotta
di liberazione che nel suo stesso farsi inveri la dignita' umana di ognuno e
di tutti, essa richiede un impegno di conoscenza, di preparazione, di
discussione, di consapevolezza e di capacita' critica e autocritica
assolutamente superiore a quello richiesto in altre forme di organizzazione,
in altri ambiti di studio, in altre proposte di azione.
7. I diritti umani, presi sul serio. Scegliamo la nonviolenza perche' essa
e' l'unica teoria-prassi dell'azione politica e sociale collettiva che si
prefigge nel suo stesso svolgersi il rispetto dei diritti umani di tutti,
non solo di coloro che partecipano all'azione, ma anche di coloro che la
subiscono. La nonviolenza non rinvia la realizzazione dei diritti umani ad
un futuro successivo alla conclusione della lotta, essa realizza i diritti
umani nel corso stesso della lotta. La nonviolenza non nega umanita' agli
avversari con cui lotta, essa riconosce l'umanita' degli avversari con cui
lotta. La nonviolenza e' lotta intransigente per affermare la dignita' umana
di tutti e per affermarla subito. Essa e' nei suoi metodi e nel suo
svolgersi coerente con i suoi fini: poiche' il fine e' la dignita' umana e
la liberazione dall'oppressione, la lotta nonviolenta nel suo stesso
svolgimento deve realizzare la dignita' di tutti e prefigurare la
liberazione di tutti. Per questo diciamo che la nonviolenza e' lotta come
amore.
8. La liberazione umana, subito. Inoltre scegliamo la nonviolenza perche'
essa e' l'unica teoria-prassi dell'azione politica e sociale collettiva che
realizza nel suo stesso farsi una forma autentica di democrazia diretta,
rapporti egualitari e non gerarchici, che prefigura gia' nella sua
organizzazione relazioni umane e sociali liberate e liberanti; perche'
consente la partecipazione di tutti ed abolisce rapporti di potere e di
oppressione. Per questo essa adotta il metodo del consenso, per questo essa
non e' solo una forma di lotta ma anche una occasione di costruzione di
rapporti umani solidali; per questo nella nonviolenza si richiede una piena
limpidezza di comportamenti e una forte lealta' nei confronti di tutti, di
sottoporre tutto alla discussione comune, e di scegliere sempre e solo gli
obiettivi e le forme di lotta che tutti i partecipanti condividono.
9. La nonviolenza e' gestione del conflitto. La nonviolenza e' gestione del
conflitto, la cui esistenza essa riconosce e valorizza. La nonviolenza non
e' una visione idilliaca ed illusoria, quindi narcotizzante, dei rapporti
sociali; ma la consapevolezza della conflittualita' degli ideali e degli
interessi, delle situazioni esistenziali e delle relazioni sociali, dei
rapporti economici e politici, degli assetti culturali e ideologici. Essa si
propone di intervenire nel conflitto e di farlo umanizzando il conflitto,
valorizzandone la dimensione morale e conoscitiva, gestendolo in modo da
renderlo fecondo di rapporti umani piu' giusti, lottando incessantemente
contro la violenza, contro l'ingiustizia, contro l'inganno. Si puo' essere
nonviolenti solo nel conflitto, si puo' essere nonviolenti solo se si lotta
per la giustizia. Gli indifferenti, coloro che chiudono gli occhi, chi se ne
sta chiuso in casa sua, non hanno nulla a che vedere con la nonviolenza. La
nonviolenza e' lotta integrale e intransigente contro l'ingiustizia. La
nonviolenza e' il contrario della vilta', il contrario dell'egoismo, il
contrario della passivita', il contrario del motto fascista "me ne frego".
La nonviolenza e' quella specifica forma di gestione del conflitto che
ripudia la violenza e si propone come fine precipuo di combatterla e di
abolirla.
10. La nonviolenza e' ripudio assoluto della violenza. La nonviolenza e'
opposizione assoluta alla violenza: non ammette complicita', meschinita' o
sotterfugi. La nonviolenza smaschera e ripudia i sofismi sulla "violenza
buona", sulla "guerra giusta", e simili infamie: la nonviolenza si oppone
sempre e comunque alla guerra e alla violenza. Ovviamente gli amici della
nonviolenza riconoscono agli oppressi il diritto di legittima difesa;
ovviamente gli amici della nonviolenza hanno la capacita' di ricostruire i
rapporti di causa ed effetto che producono l'oppressione e la violenza, e si
battono in primo luogo contro le cause e le condizioni strutturali che
producono ingiustizia, sopraffazione, sofferenza, violenza. Lo stesso Gandhi
era esplicito nel dichiarare che di fronte alla violenza la cosa peggiore e'
la vilta', e che se non si ha la forza di resistere con la nonviolenza, gli
oppressi hanno il dovere di resistere comunque; ma aggiungeva che la
nonviolenza e' incomparabilmente piu' forte e migliore della resistenza
violenta, e che occorre avere la forza di scegliere sempre e comunque la
nonviolenza. Noi riteniamo che vi siano argomentazioni ineludibili che ci
convincono a ripudiare la violenza come metodo di lotta; argomenti che ci
persuadono quindi ad ammettere solo la nonviolenza come metodo di lotta.
11. Per la critica della violenza. Elenchiamo alcune ragioni essenziali per
cui occorre essere rigidamente contro la violenza. Citiamo da Giuliano
Pontara, voce Nonviolenza, in AA. VV., Dizionario di politica, Tea, Milano
1992: I. il primo argomento "mette in risalto il processo di escalation
storica della violenza. Secondo questo argomento, l'uso della violenza (...)
ha sempre portato a nuove e piu' vaste forme di violenza in una spirale che
ha condotto alle due ultime guerre mondiali e che rischia oggi di finire
nella distruzione dell'intero genere umano"; II. il secondo argomento "mette
in risalto le tendenze disumanizzanti e brutalizzanti connesse con la
violenza" per cui chi ne fa uso diventa progressivamente sempre piu'
insensibile alle sofferenze ed al sacrificio di vite che provoca; III. il
terzo argomento "concerne il depauperamento del fine cui l'impiego di essa
puo' condurre (...). I mezzi violenti corrompono il fine, anche quello piu'
buono"; IV. il quarto argomento "sottolinea come la violenza organizzata
favorisca l'emergere e l'insediamento in posti sempre piu' importanti della
societa', di individui e gruppi autoritari (...). L'impiego della violenza
organizzata conduce prima o poi sempre al militarismo"; V. il quinto
argomento "mette in evidenza il processo per cui le istituzioni
necessariamente chiuse, gerarchiche, autoritarie, connesse con l'uso
organizzato della violenza, tendono a diventare componenti stabili e
integrali del movimento o della societa' che ricorre ad essa (...). 'La
scienza della guerra porta alla dittatura' (Gandhi)". A questi argomenti da
parte nostra ne vorremmo aggiungere altri due: VI. un argomento, per cosi'
dire, di tipo epistemologico: siamo contro la violenza perche' siamo
fallibili, possiamo sbagliarci nei nostri giudizi e nelle nostre decisioni,
e quindi e' preferibile non esercitare violenza per imporre fini che
potremmo successivamente scoprire essere sbagliati; VII. soprattutto siamo
contro la violenza perche' il male fatto e' irreversibile (al riguardo Primo
Levi ha scritto pagine indimenticabili soprattutto nel suo ultimo libro I
sommersi e i salvati). Agli argomenti contro la violenza Pontara aggiunge
opportunamente un ultimo decisivo ragionamento: "I fautori della dottrina
nonviolenta sono coscienti che ogni condanna della violenza come strumento
di lotta politica rischia di diventare un esercizio di sterile moralismo se
non e' accompagnata da una seria proposta di istituzioni e mezzi di lotta
alternativi. Di qui la loro proposta dell'alternativa satyagraha o della
lotta nonviolenta positiva, in base alla duplice tesi a) della sua
praticabilita' anche a livello di massa e in situazioni conflittuali acute,
e b) della sua efficacia come strumento di lotta" per la realizzazione di
una societa' fondata sulla dignita' della persona, il benessere di tutti, la
salvaguardia dell'ambiente.
12. Perche' ci diciamo "amici della nonviolenza" e non "nonviolenti". Ci
diciamo "amici della nonviolenza" e non "nonviolenti" perche', come spiegava
Aldo Capitini, dobbiamo essere modesti e realistici: la nonviolenza e' un
ideale cui tendere, un ideale assai impegnativo, una pratica da verificare
giorno per giorno nella vita quotidiana, nei rapporti interpersonali come
nelle grandi lotte necessarie; e solo nella verifica quotidiana per un
verso, e nel momento piu' aspro della lotta, per l'altro, si evidenzia la
nostra capacita' di attenerci ad essa, di esserne creativamente gli
artefici; quindi evitiamo di sembrare sbruffoni, e consideriamoci per quello
che siamo: donne e uomini in ricerca, per un'umanita' di liberi ed eguali,
appunto: amici della nonviolenza.
* Perché riteniamo necessaria la scelta della nonviolenza
Scopo di questo scritto e' propugnare la tesi che per fronteggiare la
situazione planetaria attuale sia necessario adottare la nonviolenza come
teoria e come prassi per elaborare e realizzare modifiche strutturali ad un
"ordine internazionale" iniquo e distruttivo ed a forme di organizzazione,
di produzione e riproduzione sociale assolutamente ingiuste ed alienate.
Crediamo che solo la nonviolenza costituisca una teoria-prassi che
logicamente e coerentemente possa contrapporsi sistematicamente ed
efficacemente alla violenza dominante, possa costituire una metodologia di
lotta adeguata, possa indicare e prefigurare un modello di relazioni
personali e sociali desiderabili e sostenibili.
Proponiamo la scelta della nonviolenza a quanti sono impegnati per la pace,
la democrazia, i diritti umani, la difesa della biosfera, in quanto essa e'
coerente e compatibile con i loro obiettivi.
Sottolineiamo che formuliamo la proposta della nonviolenza come esigenza di
verita' e di concretezza; di intervento attivo e immediato; di azione
coerente e rigorosa; di assunzione personale e collettiva di
responsabilita'; di rifiuto della complicita', della vilta',
dell'indifferenza.
Rimarchiamo che la proposta di dedicarsi allo studio e di far uso della
teoria-prassi della nonviolenza non vuol essere sostitutiva di altri
approcci e di altre teorie: crediamo che essa sia compatibile con un impegno
religioso come con un impegno laico; che essa sia compatibile con varie
tradizioni filosofiche, di filosofia morale, di filosofia del diritto e di
filosofia politica; che essa sia giovevole ed arricchente per movimenti di
liberazione e di solidarieta' che si richiamano sia a tradizioni religiose,
sia a tradizioni politiche ordinate a fini di giustizia e liberta', di
eguaglianza e dignita' umana, di emancipazione degli oppressi, di difesa e
promozione dei diritti sociali, civili, politici, umani; e particolarmente
alle tradizioni liberali, democratiche, socialiste e libertarie.
*
Parte quarta. Per i lettori distratti? Una bibliografia essenziale
[Qui la omettiamo, gli interessati possono richiederla gratuitamente
inviando una e-mail alla casella di posta elettronica nbawac@tin.it].
*
Parte quinta. Verso la pace? Tre ultime tesi, e un congedo
* Tre tesi sulla violenza
I. Chiunque ancora propugni la tesi che possa esistere una "violenza giusta"
e' complice degli assassini, e mette in pericolo il futuro dell'umanita'.
II. Chiunque ancora ritenga che i suoi fini particolari, sia pur
nobilissimi, possano essere al di sopra del fine di salvare la civilta'
umana dal pericolo della distruzione, mette a repentaglio la vita
dell'umanita' intera.
III. Chiunque non abbia capito che anche l'uccidere un solo uomo equivale ad
affermare la liceita' di ucciderci tutti, costui coopera alla fine del
mondo.
Mohandas Gandhi e Guenther Anders queste cose le capirono e le dissero molto
tempo fa.
Solo la scelta della nonviolenza puo' salvare il mondo. Occorre decidersi.
"Lo tempo e' poco omai che n'e' concesso" (Dante, Inferno, XXIX, 11).
* Congedo
Il dolore, che tutti ci accomuna. Il dolore lacerante e inestinguibile ogni
volta che un essere umano perde la vita.
E la facolta' di pensare, che tutti ci accomuna. La facolta' di unirci,
l'umanita' intera, contro il male e la morte.
Che vi siano al mondo esseri umani resi cosi' disperati e alienati da essere
disposti a uccidere ed essere uccisi: questa e' la logica che presiede a
tutti gli eserciti e a tutti i terrorismi, a tutte le guerre e a tutte le
stragi.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

2. LETTURE. GRAZIA LIVI: LE LETTERE DEL MIO NOME
Grazia Livi, Le lettere del mio nome, La Tartaruga, Milano 1992, 2003, pp.
280, euro 14,60. "Da Simone de Beauvoir a oggi il risveglio della coscienza
delle donne nei suoi momenti chiave".

3. LETTURE. LUISE F. PUSCH, SUSANNE GRETTER (A CURA DI): UN MONDO DI DONNE
Luise F. Pusch, Susanne Gretter (a cura di), Un mondo di donne, Pratiche,
Milano 2003, pp. 384, euro 21. Trecento ritratti di donne "che nella
concretezza della loro vita significano un diverso modo di abitare il
mondo".

4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

5. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 642 del 14 agosto 2003