Fw: EVO RAFFORZA BLOCCO SUDAMERICANO



----- Original Message ----- 
From: Mario Neri 
10:48 PM
Subject: EVO RAFFORZA BLOCCO SUDAMERICANO



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  GAS BOLIVIANO
     
  EVO RAFFORZA BLOCCO SUDAMERICANO
     

     
  Tito Pulsinelli
     

     
  Raffiche di vento mediatico -e no- sul Sudamerica, giunto alla metà della mega tornata elettorale che riguarda una mezza dozzina di Paesi. La portaerei 
  nucleare Washington solca le acque dei Caraibi nel quadro delle esercitazioni militari più massicce che sia dato ricordare. I giornali delle due sponde atlantiche dipingono un paesaggio a tinte fosche: i leaders dei Paesi sudamericani di sinistra si danno colpi bassi"!(1). 
     
  La destra continentale rialza la testa e a pieni polmoni catodici intona canti di giubilo al "tramonto dell'integrazione", 
     

     
  La carne al fuoco è davvero molta, tanto da richiedere la minacciosa esibizione dei 
  muscoli nucleari per inviare messaggi non certo criptati. Sul tavolo dell'integrazione regionale si giocano in rapida successione le carte delle alleanze commerciali ed economiche. C'è chi muove portaerei e supersonici e chi muove le leve della politica e della geo-economia. 
     
  E' in atto un rimescolamento generale delle carte che -sebbene acceleri una ridefinizione necessaria delle modalità e dei tempi dell'integrazione- proietta anche incertezze e dubbi.
     

     
  Il Presidente Uribe ha accettato il  Trattato di Libero 
  Commercio (TLC) e spalanca definitivamente le porte del mercato colombiano, mettendo a repentaglio l'agricoltura e l'industria agro-alimentare nazionale, che soccomberà all'invasione di prodotti "made in USA" altamente sovvenzionati. 
     
  Una delle prime vittime immediate è la Bolivia che perderà il principale mercato per la propria soya, a vantaggio di quella transgenica proveniente dal Canada e dagli Stati Uniti.
     

     
  A poche settimane dalla sua uscita di scena, il Presidente del Perù -el cholo Toledo- subito dopo il trionfo inatteso di Ollanta Humala nel primo 
  turno delle presidenziali ha rotto gli indugi si è precipitato a Washington a firmare il TLC. Humala è un aperto oppositore del TLC. Toledo ha fatto lo strappo nonostante non conterà su nessun deputato e nonostante siano già state depositate le firme necessarie per sottopporre a referendum l'avversato TLC. 
     

     
  Il Venezuela, membro della Comunità Andina delle Nazioni (CAN), congiuntamente alla Bolivia, ha reagito con rapidità denunciando che il governo del Perù e della Colombia hanno assestato un colpo mortale alla CAN, cedendo quote significative dei rispettivi mercati agli Stati Uniti, sacrificando in questo modo i soci regionali.
     

     
  Il governo di Caracas ha deciso di ritirarsi dalla CAN perchè vede minacciati i propri interessi. La Colombia è il suo primo socio commerciale all'interno della CAN, da cui importa per 2 miliardi di dollari ed esporta solo per 1 miliardo di dollari. Nessuno può garantire che, come nel gioco delle tre sponde, la Colombia riesporti nell'area andina le merci sovvenzionate provenienti dal nord, a cui aggiungerebbe solo un minimo simbolico di valore aggiunto.
     

     
  Il TLC, 
  inoltre, impone la revisione delle leggi nazionali che devono stare in simbiosi con quelle nordamericane, al fine di proteggere gli investimenti da qualsiasi alterazione negativa causata da nuove normative salariali o di protezione ecologica. 
     
  Ogni contenzioso sui brevetti concernenti la biodiversità, farmaci a basso costo, miglioramenti della sicurezza sociale, difesa ambientale, sarà materia impugnabile dalle multinazionali e rimessa alla magistratura degli Stati Uniti.
     

     

     
  Evo Morales ha denunciato con parole dure la decisione presa da Toledo ed Uribe -"traditori dei popoli indigeni"- rilevando l'incompatibilità tra l'appartenenza al più antico processo integrativo regionale (CAN, 1969) e l'accettazione supina del liberismo. 
     
  Da più parti, si fa notare che i Paesi che si associano con gli Stati Uniti solo potranno continuare ad essere esportatori di materia di prime, perdendo però definitivamente il settore agricolo, cioè aggravando la dipendenza alimentare.
     

     
  I 
  governi di Bogotà e Lima hanno replicato che non si può proibire loro di accedere al mercato nordamericano, mentre il Venezuela lo fa liberamente collocando quote significative di petrolio e derivati. 
     
  E' un argomento debole perchè il mercato venezuelano non è stato svenduto indiscriminatamente alla concorrenza extra-regionale; nè il Perù nè la Colombia sono esportatori significativi di idrocarburi. La situazione era già così in epoca anteriore alla CAN.
     

     
  La serie di "levantamientos" degli indigeni ecuadoriani ha finora impedito al traballante 
  Presidente Palacios di aggiungere la sua firma a quella di Uribe e Toledo, per cui vi è una discontinuità territoriale  all'egemonismo al di là delle Ande. 
     
  Cionostante la sorte del CAN è ormai segnata e -come effetto collaterale immediato per controbilanciare la mossa dei due peones imperiali- ha portato al Trattato di Coperazione dei Popoli (TCP), con cui Bolivia, Cuba e Venezuela si impegnano a commerciare senza nessun dazio doganale.
     

     
  Anche l'altro patto di integrazione sudamericano (Mercosur), che si 
  sviluppò in pieno auge neoliberista, riproducendone logica e distorsioni, risente dei sussulti regionali e delle contraddizioni interne ai suoi soci. 
     
  Il Mercosur, così com'è, è disegnato alla misura degli interessi della borghesia industriale di Sao Paulo, al peso geopolitico del gigante brasiliano e alle priorità della sua economia. I soci minori come Bolivia, Uruguay e Paraguay soffrono l'asimmetria esistente e vedono troppo spesso ignorati i loro interessi. Il paradosso dell'elefante (brasiliano) e della formica (uruguayana).
     

     
  Questo malessere di fondo 
  è venuto a galla nel recente vertice di fine aprile ad Asunción, in cui i Presidenti del Venezuela, Bolivia, Paraguay e Uruguay deliberarono la costruzione di un gasodotto che modifica il primitivo progetto promosso dall'Argentina, Brasile, Perù e Cile. 
     
  La crisi delle "papeleras" tra Argentina e Uruguay, a proposito della costruzione di fabbriche di cellulosa sulle sponde comuni del Rio de la Plata, è un ulteriore fattore che segnala il cattivo stato di salute del Mercosur. E' solo una crisi di crescita?
     

     
  Il disagio crescente dei soci minori, ha indotto 
  il governo di Montevideo a ventilare un possibile TLC con gli Stati Uniti, in realtà cerca di ampliare il proprio raggio d'azione ed esercitare una pressione efficace e insidiosa sui brasiliani ed argentini. 
     

     
  Pochi giorni dopo il vertice di Asunción, Lula Chavez e Kirchner si sono incontrati a Sao Paulo e hanno disaminato i problemi relativi alla conformazione del blocco regionale, che ormai non si presenta più come graduale confluenza progressiva del CAN nell'attuale Mercosur che -in ogni caso- deve essere adattato alla nuova fase dell'allargamento al Venezuela e alla Bolivia. . 
     

     
  L'integrazione effettiva ci sarà se si riuscirà ad articolarsi attorno all'asse portante dell'autonomia energetica e del gran gasodotto trans-amazzonico. Si tratta, quindi, di pianificare per il medio periodo quale tipo di sviluppo si pesergue, e se è possibile rimpiazzare la concorrenza con la complementarietà e la coperazione tra economie che il neoliberismo ha reso più vulnerabili e dipendenti.
     

     
  Chavez ha fatto appello ad un "nuovo Mercosur" che rappresenti in modo più armoso anche gli interessi degli Stati più piccoli, cosa 
  che Lula sembra aver raccolto. Infatti, pochi giorni dopo, nelle assisi del PT con cui ha messo a punto il piano per la rielezione, Lula ha detto che "non siamo interessati ad un Brasile forte e ricco, circondato da paesi poveri". 
     
  Il Venezuela sembra aver preso l'iniziativa di dispiegare la funzione strategica di paese-cerniera che gli è propria, e di creare un contrappeso importante di fronte al gigante carioca.
     

     
  Svaniscono i dubbi, l'unica alternativa per i Paesi dei due blocchi (CAN e Mercosur) è la sedimentazione accelerata del blocco sudamericano. 
  Questo processo può avvenire solo con un piano concordato di sviluppo, però non all'insegna del liberismo selvaggio e dei mercati nazionali consegnati al capitale finanziario internazionale. 
     
  Da più parti viene rilevata l'importanza di assimilare la lezione dell'unificazione europea, che si basò sull'acciaio e il carbone (CECA). Chavez ripete che il Gran gasodotto del sud "sarà la locomotrice di un nuovo processo di integrazione, che ha come obiettivo la fine della povertà e dell'esclusione".
     

     
  A parte il costo ragguardevole di una ventina di miliardi di 
  dollari, il gasodotto lungo 10mila chilometri è un'opera che non sarebbe terminata prima di dieci anni, e questo implica che ci dovrà essere una continuità di azione che va oltre la durata dei singoli governi. L'integrazione sarà possibile solo se diventerà politica di Stato, almeno per i Paesi strategicamente determinanti dell'area. 
     

     
  La nazionalizzazione degli idrocarburi boliviani, dopo il diluvio ecumenico di distorsioni, preoccupazioni, intimazioni e messaggi mafiosi, toglie definitivamente la Bolivia dall'isolamento. Tutti gli occhi sono su La Paz. 
     
  Il governo boliviano è al centro del grande gioco geopolitico subcontinentale e mette sulla bilancia il peso dei giacimenti di gas. 
     
  Contrariamente ai desideri della vulgata mediatica -che rielabora canovacci propagandistici stilati a Washington- siamo di fronte ad un'accelerazione considerevole nella conformazione del blocco sudamericano. 
     
  Ossia un polo che concretamente -succeda quel che succeda- è l'unione della potenzialità della decima economia del mondo, dell'arsenale agroalimentare argentino, del gas boliviano e degli idrocarburi e materie prime venezuelane. Autonomia energetica garantita per un secolo.
     
  Le risorse energetiche dell'area sono un bene comune, per lo sviluppo comune, pertanto la loro difesa dalle mire predatrici non è più una questione nazionale.
     

     
  Questo è il fulcro di gravitazione attorno a cui ruoteranno le economie e con cui dovranno misurarsi i Paesi a sud del Panama. 
     
  E' necessaria la lungimiranza per andare oltre le contraddittorie aggregazioni sovranazionali attualmente esistenti e i contrasti contingenti. 
  Andare oltre i limiti degli attuali patti commerciali, l'integrazione è altra cosa e non può sacrificare la questione sociale. 
     

     
  Le classi subalterne possono contribuire significativamente a sbloccare la situazione, e oltrepassare il bivio in cui ci si trova ora. 
     
  La consapevolezza è che la prospettiva peggiore è quella dell'orizzonte plumbeo del TLC, che è restaurazione del pieno potere delle oligarchie,  accentuazione dell`esclusione, livello di vita 
  in caduta libera verso il basso, esodo. 
     
  Bisogna "adottare un neo-protezionismo ragionevole sul breve periodo" (Gullo), a difesa della sovranità nazionale, giuridica, ambientale, alimentare e culturale. Su queste cose, e sulle conquiste sociali, non può deliberare un giudice di New York. Le multinazionali non devono più designare i governi nazionali.
     

     
  Il blocco sudamericano emergerà solo sconfiggendo le elites riunite nel "partito imperiale", e il loro disegno di ridurre le sovranità nazionali a spazi geografici consegnati alla dittatura finanziaria del 
  G7. Non è una questione teorica, è solo il buonsenso comune di un continente sopravvissuto al neoliberismo. 
     
  L'integrazione è il cammino per il superamento delle divisioni storiche ereditate dal colonialismo spagnolo e dal neo-colonialismo successivo, e implica il superamento dei settori organici al vassallaggio.
     

     
  Costoro si dividono in due categorie: quelli che già fanno salti di gioia e celebrano prematuramente il "tramonto dell'integrazione", e quelli che dividono la sinistra latinamericana in una parte "buona" e 
  civilizzata (Lula e Tabarè Vazquez) e in un'altra cattiva perchè "populista" (2). 
     

     
  Jorge Castañeda dice che Chavez, Evo Morales, Kirchner, Humala e persino Lopez Obrador sono intrisi di fetore "populista". L'ex dirigente guerrigliero salvadoregno Joaquin Villalobos, dopo il riciclaggio ad Harvard, parla di "sinistra religiosa", e il venezuelano Teodoro Petkoff di "sinistra borbonica".
     
  Non è dato sapere con certezza che cosa intendano dire esattamente, visto che i paesi governati 
  dalla sinistra continentale collaborano tra loro a diverso titolo, e tutti indistintamente hanno rinsaldato le relazioni con Cuba. 
     
  Nell'Organizzazione degli Stati Americani hanno una ferrea condotta comune contro le ingerenze destabilizzanti di Washington, memori delle disgrazie dell'epoca di Allende e dell'impossibilità del riformismo in un solo paese. 
     

     
  Risulta criptico e pretestuoso il teorema delle "due sinistre", quindi è meglio affidarsi alle fatiche non letterarie dei suoi teorici. Di sicuro c'è che la più recente impresa di J.Castañeda è aver fatto il 
  ministro degli esteri per conto di Fox,  il più reazionario Presidente del Messico moderno. 
     
  Teodoro Petkoff, invece, si prodigò come ministro dell'economia dell'ultimo governo venezuelano prono al FMI, per conto del quale salvò i banchieri, annullò i contributi previdenziali dei lavoratori ed aprì il petrolio alle multinazionali. Due anni fa, inoltre, inneggiò all'effimero colpo di Stato portato a segno dal capo degli industriali venezuelani Carmona Estanga. "Ciao Hugo" era il titolo che Petkoff sparò sulla prima pagina del suo giornale.
     

     
  La nazionalizzazione del gas boliviano sarebbe "borbonica", "religiosa" o "populista"? Il welfare di Chavez è deplorevole? Le ragioni della Repsol o della British Petroleum devono prevalere sugli interessi dei boliviani? La sinistra non sarà "moderna" però governa, con ampio consenso.
     

     
  L'appoggio incondizionale al corrotto ex Presidente peruviano Alan Garcia, lascia intravedere che il  grido di guerra "tutti uniti contro Humala" lanciato dal "partito imperiale", raccoglie sotto le sue bandiere la destra razzista, la tecnocrazia opusdeista e il fascino discreto 
  del neoliberismo di sinistra. 
     
  E' finito il tempo degli economisti e degli avvocati, e per recuperare governi perduti si torna al riciclaggio di politici stagionati, poco importa se corrotti. Sono i paladini della democrazia-di-mercato nella fase di transizione a mercato-della-democrazia.
     

     

     
  (1)http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=609
     
  (2) Jorge Castañeda, Latin America Left Turn, in "Foreign Affairs", maggio-giugno 2006.
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