come vivere felici migliorando la qualità e riducendo i costi . ovvero: la decrescita felice



da promiseland.it
martedi 30 agosto 2005

La virtù della sobrietà
Praticare la decrescita nelle proprie scelte di vita, riducendo la quantità
di merci, e vivere felici
30-08-2005 - Fonte: carta.org

Sostenere la necessità di una decrescita economica e produttiva,
descriverne i vantaggi in termini di felicità individuale, di sollievo per
gli ecosistemi terrestri, di relazioni più eque e serene tra gli individui
e tra i popoli, è un passaggio obbligato nella costruzione di una nuova
cultura capace di superare i terribili problemi che il sistema economico
industriale, fondato sulla crescita illimitata della produzione di merci,
pone all'umanità e a tutte le specie viventi. Ma è come voler parlare a
voce in un ambiente dove un potente sistema di amplificazione sostiene
contemporaneamente il concetto opposto. Non si viene ascoltati non solo
perché si sostengono posizioni così contro corrente da essere respinte a
priori dai più, ma anche perché non si riesce nemmeno a far udire la
propria voce. È come voler fermare un treno in corsa contrapponendogli solo
la propria forza muscolare.
Ciò nonostante occorre ribadire in tutte le sedi i rapporti di
causa-effetto tra la crescita del p.i.l. e l'esaurimento di risorse vitali,
l'incremento esponenziale delle varie forme di inquinamento, la progressiva
devastazione degli ambienti naturali e storicamente antropizzati, la
disoccupazione, le guerre, il degrado sociale. Ma l'analisi e la denuncia
non bastano. Occorre contestualmente effettuare nella propria vita scelte
che comportano decrementi, anche infinitesimali, del p.i.l. Innanzitutto
perché se si è convinti che la decrescita sia un elemento indispensabile
per una vita più felice sarebbe sciocco non cominciare a praticarla subito
nella propria. In secondo luogo perché se le riflessioni sulla necessità
della decrescita si sviluppano da una pratica concreta e sperimentata non
sono soltanto speculazioni teoriche e diventano più credibili. Infine
perché i vantaggi derivanti dalla loro pratica non si limitano all'ambito
individuale, alla costruzione di una nicchia in cui rifugiarsi da un mondo
che va in direzione opposta e difendersi dalle sofferenze che genera, ma
acquistano il valore di una proposta politica. Nella ossessiva ripetitività
e passività dei comportamenti consumisti massificati acquistano visibilità
e luminosità, manifestano i loro vantaggi e, di conseguenza, possono
suscitare ripensamenti: "Se lo stanno facendo alcuni, per quale motivo non
posso farlo anche io?"
Come si può praticare la decrescita nelle proprie scelte di vita?
Innanzitutto chiarendo a se stessi cosa è e come si realizza la crescita
del p.i.l. A differenza di quanto comunemente si crede, la crescita del
p.i.l. non misura la crescita dei beni prodotti da un sistema economico, ma
la crescita delle merci scambiate con denaro. Non sempre le merci sono
beni, perché nel concetto di bene è insita una connotazione qualitativa -
qualcosa che offre vantaggi - che invece non pertiene al concetto di merce.
Se si fanno le code in automobile aumenta il consumo della merce
carburante, quindi si accresce il p.i.l., ma si ha uno svantaggio, una
disutilità. Viceversa, non necessariamente i beni sono merci, perché si può
produrre qualcosa senza scambiarla con denaro, ma per utilizzarla in
proprio o per donarla. I prodotti del proprio orto e del proprio frutteto
autoconsumati non sono merci e, pertanto, non fanno crescere il p.i.l., ma
sono qualitativamente superiori agli ortaggi e alla frutta prodotta
industrialmente e comprata al supermercato. La cura dei propri figli o
l'assistenza dei propri vecchi fatta con amore è qualitativamente molto
superiore alla cura che può prestare una persona pagata per farlo. Ma
questa attività prestata in cambio di denaro fa crescere il p.i.l.,
l'altra, donata per amore, no.
Fare scelte esistenziali nell'ottica della decrescita significa quindi
ridurre la quantità delle merci nella propria vita. A tal fine si possono
percorrere due strade:
1. ridurre l'uso di merci che comportano utilità decrescenti e disutilità
crescenti, che generano un forte impatto ambientale, che causano
ingiustizie sociali;
2. sostituire nella maggiore quantità possibile le merci con beni.
La prima è la strada della sobrietà. La seconda è la strada
dell'autoproduzione e degli scambi non mercantili, basati sul dono e la
reciprocità.
La sobrietà non è soltanto una virtù di cui il sistema economico e
produttivo basato sulla crescita del p.i.l. ha voluto cancellare
accuratamente ogni traccia perché non se ne serbasse nemmeno la memoria nel
giro di una generazione, ma è, soprattutto una manifestazione di
intelligenza e di autonomia di pensiero.
Chi vive in un appartamento dove in inverno la temperatura è di 22 gradi,
indossando una maglietta a maniche corte e quando ha troppo caldo apre le
finestre, è convinto di vivere meglio di una persona che vive a 18 gradi,
con un maglione, e se ha troppo caldo abbassa il riscaldamento. In realtà è
un consumista stupido, che vive in un modo fisiologicamente innaturale, è
più soggetto ad ammalarsi, contribuisce ad accrescere in misura maggiore le
emissioni di CO2 e, per ottenere questi svantaggi, paga di più. Ma fa
crescere di più il p.i.l.
Chi lavora cinque mesi all'anno per acquistare e mantenere un'automobile
che gli serve ad incolonnarsi ogni giorno lavorativo due volte al giorno
per ore sulle tangenziali nel tragitto casa-lavoro, e ogni giorno festivo
due volte al giorno per un numero maggiore di ore sulle autostrade nel
tragitto casa-località di villeggiatura, è un consumista stupido, che si
costringe a vivere una vita insopportabile e ben più infelice di una
persona che lavora di meno e guadagna di meno, ma proprio per questo non ha
bisogno di soldi da spendere in automobili, benzina, autostrade,
compensazioni illusorie nelle località di vacanza dello stress accumulato
nella settimana lavorativa. Ma fa decrescere il p.i.l.
Chi segue le mode imposte dalla pubblicità, nell'abbigliamento,
nell'alimentazione, nel tempo libero, nelle vacanze, consuma molto di più
di chi non le segue e, quindi fa crescere il p.i.l. acquistando illusioni
scambiate per realtà. Vive in uno stato di ottusità mentale, di cui i
pubblicitari sono ben consci: basta ascoltare i loro messaggi per capire
che escludono a priori le poche persone dotate di autonomia di pensiero.
Tanto questa minoranza non comprerebbe comunque le merci alla moda
pubblicizzate.
La sobrietà nell'acquisto di merci, in funzione di bisogni reali e non
indotti, privilegiando quelle prodotte col minor impatto ambientale, che
provengono da meno lontano e quindi hanno fatto consumare meno fonti
fossili nel trasporto dal produttore al consumatore, che generano pochi o
punti rifiuti, che non costano poco perché hanno sfruttato ignobilmente la
miseria dei lavoratori, che sono fatte per durare o per essere riciclate, è
quindi al contempo una manifestazione d'intelligenza e una virtù. Comporta
una decrescita del consumo di merci e del p.i.l. da cui deriva un
miglioramento della qualità della vita e degli ambienti.
La sobrietà comporta una riduzione della crescita del p.i.l. attraverso una
riduzione del consumo di merci, ma non consente una emancipazione dalla
dipendenza assoluta nei loro confronti. E la sempre maggiore dipendenza
dalle merci è la conseguenza di una sempre maggiore incapacità di
autoprodurre beni. Per aver bisogno di comprare tutto ciò che serve a
soddisfare i propri bisogni vitali bisogna essere incapaci di tutto. Solo
chi non sa fare niente di ciò che gli serve può diventare un consumista
senza alternative. La condizione di non saper produrre nessun bene, o
quasi, nei paesi industrializzati è ormai generalizzata. Oggettivamente
costituisce un enorme depauperamento culturale, che invece è stato proposto
e vissuto come un progresso e come un'emancipazione dell'uomo dai limiti
della natura. Se la crescita del p.i.l. è stata considerata sinonimo di
benessere e la crescita quantitativa delle merci un bene in sé, la
possibilità di acquistarne la maggiore quantità possibile e, quindi, la
sostituzione dei beni autoprodotti con merci prodotte industrialmente, è
stata identificata con un miglioramento della qualità della vita. Nell'arco
di una generazione alcuni beni di uso comune, come lo yogurt, il pane, la
passata di pomodoro, le marmellate, le verdure sottolio e sottaceto, non si
sono più fatti in casa e sono stati sostituiti da prodotti comprati al
supermercato. L'autoproduzione di frutta e verdura è stata sostituita con
prodotti agroalimentari carichi di veleni e senza sapore. Un processo
disastroso in cui si sommano perdita di qualità e perdita di conoscenze, ma
che è stato considerato un progresso perché ha comportato una crescita
quantitativa della produzione di merci e del p.i.l.
La rivalutazione dell'autoproduzione di beni e servizi non solo consente di
ridurre il consumo di merci e, di conseguenza, il p.i.l., ma anche di
riscoprire un sapere e un saper fare dimenticati, considerati arretrati e
poco scientifici perché non finalizzati ad accrescere le quantità. Ha
quindi una grande valenza culturale, che non si limita a questo recupero di
conoscenze, ma, cosa ancora più importante, libera dalla dipendenza
assoluta dalle merci. Emancipa dalla subordinazione alle leggi del mercato.
Aumenta il prezzo della frutta? E chi se se importa, se me la produco io.
Maggiore è la quantità di beni che si sanno autoprodurre, meno merci
occorre comprare, meno denaro occorre per vivere. Non si è costretti a
incolonnarsi tutti giorni feriali due volte al giorno sulle tangenziali per
andare a guadagnare un salario con cui comprare tutto ciò che non si sa
autoprodurre. Non si ha bisogno di incolonnarsi tutti i giorni festivi
sulle autostrade nell'illusorio tentativo di recuperare con altro stress lo
stress accumulato nella settimana lavorativa.
La sostituzione delle merci con beni, dell'acquisto con l'autoproduzione,
comporta dunque una decrescita del p.i.l. ma non ristrettezze di
approvvigionamento, sacrifici e rinunce. Ne deriva anzi un sensibile
miglioramento della qualità della vita individuale e delle condizioni
ambientali. La frutta e la verdura autoprodotte non sono nemmeno
paragonabili qualitativamente a quelle prodotte industrialmente. Inoltre,
nel loro statuto ontologico non esiste il carattere della crescita, perché
non ha nessun senso produrne più di quanta se ne consuma e se ne dona. Se
se ne producesse più del fabbisogno si farebbe soltanto una fatica inutile.
E se nel loro statuto ontologico non esiste il carattere della crescita non
esiste nemmeno la necessità delle protesi chimiche per sostenerla
(fitofarmaci, antiparassitari, diserbanti, concimi di sintesi). Non c'è
quindi inquinamento dei suoli, né l'inquinamento dell'aria causato dai
consumi di energia necessari a produrre e trasportare le protesi chimiche.
Non c'è nemmeno l'inquinamento dell'aria causato dal trasporto dei merci
dai produttori ai consumatori. Non ci sono imballaggi né rifiuti da
raccogliere e smaltire. E ognuno di questi vantaggi è un fattore di
decrescita del p.i.l.
Nessuno potrebbe illudersi di autoprodurre tutto ciò che gli serve per
vivere. L'autoproduzione di beni e servizi può essere tuttavia potenziata
da scambi non mercantili fondati sul dono e sulla reciprocità, che oltre a
essere fattori di decrescita economica contribuiscono anche a rafforzare i
legami sociali. Il dono e la reciprocità, che hanno sostanziato la vita
economica delle società pre-industriali e nei paesi industrializzati hanno
apportato i loro benefici fino agli anni cinquanta del secolo scorso, non
devono essere confusi con i regali acquistati e donati in un numero di
circostanze fittizie crescenti, create appositamente per potenziare il
consumismo, né possono essere semplicemente ridotti al baratto (scambio di
prodotti senza l'intermediazione del denaro), ma consistono essenzialmente
in uno scambio gratuito di tempo, di professionalità, di conoscenze, di
disponibilità umana. In tutte le società di tutti i luoghi del mondo in cui
si sono realizzate prima dell'industrializzazione e dell'estensione della
mercificazione a tutte le sfere della vita umana, queste forme di scambio
non mediato dal denaro hanno seguito tre regole, non scritte, ma
generalizzate: l'obbligo di donare, l'obbligo di ricevere, l'obbligo di
restituire più di quello che si è ricevuto. In questo modo si creano legami
sociali, mentre gli scambi mercantili li distruggono. La parola "comunità",
formata dall'unione delle parole latine cum, che significa "con", e munus,
che significa "dono", indica un'associazione fondata su scambi non
mercantili, sul dono e la reciprocità, su legami sociali più forti di
quelli esclusivamente mercantili che legano i membri di una società.
Maggiore è l'incidenza degli scambi fondati sul dono e la reciprocità,
minori sono gli scambi mercantili. Per allargare sempre di più la sfera
degli scambi mercantili, la sfera delle merci, e quindi la crescita del
p.i.l., la società industriale ha distrutto progressivamente gli scambi non
mercantili, anche all'interno dei nuclei comunitari più forti, quelli
fondati sui vincoli del sangue. Le famiglie sono state vieppiù ridotte al
nucleo ristretto di genitori e figli e anche nei legami tra genitori e
figli i servizi alla persona fondati sul dono e la reciprocità sono stati
progressivamente sostituiti da prestazioni a pagamento: in particolare la
cura dei piccoli e degli anziani. Rivalutare i legami comunitari nelle
famiglie, rompere i limiti mononucleari in cui la famiglia è stata
ristretta, riscoprire l'importanza dei rapporti di vicinato, costruire
gruppi di acquisto solidali e banche del tempo (sebbene quanta cultura
mercantile indotta è insita nella denominazione di "banca" data ad una
forma di legame sociale che si propone di rompere i limiti della
mercificazione nella fornitura di servizi alla persona!), restituire ai
nonni il loro ruolo educativo e di trasmissione del sapere nei confronti
dei nipoti: tutto ciò comporta una decrescita del p.i.l. attraverso una
riduzione della mercificazione nei rapporti interpersonali e al contempo
forti miglioramenti della qualità della vita.
La sobrietà, l'autoproduzione e gli scambi non mercantili non possono
comunque abolire la dimensione mercantile, né sarebbe auspicabile che ciò
avvenisse, perché alcuni beni e servizi possono solo essere acquistati e la
loro privazione peggiorerebbe le condizioni di vita. Ma possono contribuire
a ridurla in maniera determinante, riportandola alle sue dimensioni
fisiologiche.
Ma quanto e cosa si può, o conviene, autoprodurre? Dipende da dove si vive,
dal tipo di lavoro salariato che si fa, dalla fascia d'età, dalle
caratteristiche della propria famiglia, dalla sofferenza (culturale,
psicologica, esistenziale) che si prova a rimanere rinchiusi nella sola
dimensione mercantile. Ognuno troverà la dimensione ottimale per sé,
iniziando da poco e da ciò che gli sembra più facile o più vantaggioso, per
estendere progressivamente, se lo riterrà opportuno, la sfera
dell'autoproduzione e degli scambi non mercantili. Ma come si possono
recuperare forme di sapere e saper fare che sono state cancellate dalla
memoria collettiva? In realtà, come tutti i tentativi di uniformazione,
anche questo non è riuscito del tutto. Qua e là sono rimaste nicchie di
resistenza, che negli ultimi tempi hanno acquistato nuovi adepti. Come nei
monasteri del primo e del secondo millennio sono stati conservati patrimoni
di conoscenze che altrimenti sarebbero andate perdute, il sapere e il saper
fare che liberano dalla dipendenza assoluta dalle merci sono stati
conservati in pochi luoghi da poche persone, che le hanno anche
implementati con una maggiore consapevolezza scientifica. Un movimento che
si proponga l'obbiettivo di riconquistare equilibri sconvolti dal
meccanismo della crescita economica e che persegua la decrescita come
pre-requisito di questa riconquista, non può che proporsi di mettere in
rete questi luoghi dove l'autoproduzione dei beni ha ancora un ruolo
centrale. Rimettere in circolo questo sapere e questo saper fare, può
costituire un'alternativa alla mercificazione totale che caratterizza la
società della crescita.
Il primo passo in questa direzione è una mappatura di questi luoghi,
mettendo in evidenza le forme di autoproduzione che vi sono praticate per
soddisfare una parte del fabbisogno di chi li abita. La reciproca
conoscenza può attivare scambi di conoscenze che consentono di ampliare la
gamma di beni autoprodotti in ogni realtà, con benefici effetti,
quantitativi e qualitativi, sul processo della decrescita. La mappatura di
questi luoghi consentirà anche a chi vuole cominciare a introdurre nella
sua vita elementi di autoproduzione per sottrarsi al meccanismo
totalizzante del mercato, di sapere dove andare per imparare a fare i primi
passi in questa direzione o a implementare le proprie conoscenze per
arricchire la gamma dei beni con cui sostituire in misura sempre maggiore
le merci che acquista. I luoghi in cui si praticano forme di autoproduzione
sono numerosi. La varietà dei beni che si autoproducono più ampia di quanto
s'immagini. Il bisogno di liberarsi dalla mercificazione assoluta spesso
rimane mortificato dal non sapere come fare. Può mettersi in moto un
processo moltiplicatore con effetti significativi sulla decrescita del
p.i.l. e, forse, anche sulla felicità individuale di molte persone. Non è
forse questo il significato più profondo della politica?