il bilancio partecipato un modello



da liberazione.it
sabato 26 marzo 2005

Ill bilancio partecipato come ricerca di un modello alternativo al capitalismo
Presentato a Roma il libro dell'ex sindaco di Porto Alegre, Raul Pont

Maria D'Amico

Si può governare ribaltando l'idea del potere gestito dall'alto e praticare esperienze di
democrazia partecipativa? Sì, si può fare e la conferma sta tutta nella testimonianza -
pacata ma emotivamente forte - di Raul Pont, uno dei fondatori del Partito dei Lavoratori
in Brasile, ex sindaco di Porto Alegre. La città brasiliana, prima esperienza di
democrazia partecipativa diventata poi modello di riferimento in ogni angolo del mondo di
azione diretta contro la mancanza di democrazia.
L'incontro organizzato a Roma per presentare il suo ultimo libro La democrazia
partecipativa Edizioni Alegre, è diventato un'importante occasione per confrontarsi anche
su altre esperienze. Da quella praticata dagli operai argentini che autogestiscono le
fabbriche dopo il disastro economico, per arrivare a quelle italiane. Una realtà che - da
Vimercate a Grottammare passando per la Provincia di Roma e per alcuni Municipi
capitolini - è disseminata da un arcipelago di "esperienze partecipative".
Un dato questo che, in tempi di "devolution selvaggia" imposta dai ricatti leghisti e
legiferata da una maggioranza parlamentare rappresentativa solo degli interessi della
destra, non può che far ben sperare.
«Quando nel 1997 sono diventato sindaco di Porto Alegre - ha raccontato Pont - ho
cominciato subito a lavorare per recuperare l'idea della partecipazione diretta dei
cittadini a cominciare dal coinvolgimento dei Consigli locali. L'introduzione del Bilancio
partecipativo, come metodo democratico di gestione delle risorse pubbliche per le quali la
popolazione in forma organizzata discute e delibera sugli investimenti, ha rappresentato
una vera e propria inversione delle priorità delle spese pubbliche. Non più "grandi opere
da realizzare" ma apertura del bilancio su salute, istruzione, politica della casa. Il
Bilancio partecipativo non è l'unico strumento di partecipazione popolare, ma rappresenta
un elemento centrale di riposta alla crisi del socialismo per la costruzione di un modello
alternativo al capitalismo». L'esperienza di porto Alegre - ha spiegato l'ex sindaco - «ha
coinvolto migliaia di donne e uomini diventando sempre più complessa. La città è stata
divisa in 16 regioni geografiche, dove ci si riunisce in assemblee territoriali e
tematiche. Queste, rappresentano i principali canali con cui i cittadini si appropriano
del bilancio del municipio, della composizione delle entrate e delle uscite, di quali
tasse o introiti fiscali bisogna pagare o sostenere. In questo modo le persone fanno
proprie anche le spese di ogni assessorato o struttura municipale. La delega non è
prevista, tutti partecipano nella stesura del documento programmatico che è elaborato
dalla comunità e contiene il piano di investimenti con i servizi e le opere stabilite
dalla popolazione. Radio, giornali, megafoni sulle auto che girano per le strade, invitano
tutti a partecipare alle assemblee plenarie. E la comunicazione in quei casi è quasi
martellante per scongiurare l'esclusione di chi non sapeva. Ogni cittadino che partecipa
alle riunioni, riceve una copia del Piano di investimenti in cui sono fornite le
previsioni di entrate, le spese per il personale, i costi e le manutenzioni, le priorità
scelte dalla popolazione per ogni anno. Questo non è un colpo di bacchetta magica, non è
la panacea per i gravi problemi che riguardano le macchine burocratiche amministrative di
molte città. Sicuramente è uno strumento efficace perché mette in moto una relazione tra
società e Stato dove le persone assumono effettivamente la propria condizione di
cittadini». «La questione della democrazia partecipativa, il rifiuto della delega così
come testimoniato da Raul Pont, ci rimandano necessariamente alla situazione italiana» -
ha detto Nando Simeone, curatore del libro di Pont e vicepresidente del Consiglio
Provinciale di Roma - «dove il rischio è che queste sperimentazioni si possano trasformare
in un moderno strumento di concertazione. Perché quando le politiche nazionali impongono
tagli alle amministrazioni locali, è facile chiedere sacrifici a tutti. Un pericolo che va
scongiurato coniugando il conflitto con la democrazia dal basso».