legambiente ambiente italia 2005



Ambiente Italia 2005.
100 indicatori sullo stato del paese

estratti dal volume:

Innovazione, qualità, territorio: idee contro il declino
Istituto Ambiente Italia Legambiente

Ambiente versus declino: questa in sintesi la chiave di Ambiente Italia
2005. Il Rapporto di Legambiente, curato dall'Istituto Ambiente Italia,
propone quest'anno - accanto al tradizionale set di 100 indicatori
statistici in grado di cogliere cambiamenti e tendenze nello stato del
paese - una raccolta di analisi, riflessioni, proposte su quanto costa all'
ambiente la perdita di capacità innovativa da parte del sistema-Italia, e su
come proprio l'ambiente possa e debba giocare da protagonista nelle
strategie contro il declino.

Questa coppia ambiente-competitività è bene esemplificata dalla questione
energetica. Il 16 febbraio 2005 è entrato in vigore il Protocollo di Kyoto,
e l'Italia che l'ha ratificato è lontanissima dal proprio obiettivo di
riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Ma mentre continuano a
mancare atti politici concreti e conseguenti nelle sole due direzioni utili
ad applicare il trattato - migliorare l'efficienza energetica e sviluppare
le nuove fonti rinnovabili a cominciare dal solare e dall'eolico - c'è
ancora chi non vede una verità evidente: le politiche di riduzione delle
emissioni che danneggiano il clima non sono necessarie soltanto all'
ambiente, servono anche all'economia perché con esse diminuiscono i costi
per le imprese (se si consuma meno energia per unità di Pil) e aumenta l'
indipendenza energetica del paese (se si investe in fonti non "d'
importazione" come quelle pulite).
Ma il ruolo dell'ambiente come irrinunciabile fattore competitivo è decisivo
in tutte le principali strategie per sconfiggere il declino: sta dentro l'
impegno contro l'illegalità diffusa e la criminalità organizzata, che dall'
abusivismo edilizio alle ecomafie devastano il territorio e che soprattutto
nel Sud rappresentano un formidabile disincentivo allo sviluppo economico;
sta dentro la necessità di investire molto di più in educazione, formazione,
ricerca, risorse immateriali e dunque squisitamente ecologiche; sta dentro l
'esigenza di valorizzare quel cosiddetto "capitalismo territoriale" che è il
primo prodotto tipico italiano e il motore del successo del "made in Italy",
la cui caratteristica più originale è in un fortissimo radicamento nelle
risorse locali (paesaggio, beni culturali, agricoltura e turismo di qualità,
saperi tradizionali, legami sociali, patrimoni di convivialità e di "buon
vivere").

Il resistibile declino dell'Italia

L'Italia guarda con preoccupazione al suo futuro. Preoccupano non solo gli
aggregati macro-economici e sociali, oltre a quelli ambientali. Ma anche - o
forse soprattutto? - lo scarto tra le potenzialità e i risultati, le
dichiarazioni e le realizzazioni, il persistere ostinato nel tempo di
problemi dapprima occultati, poi percepiti, poi infine apparentemente
rimossi.
Lasciamo parlare i numeri.
Guardiamo intanto al Prodotto Interno Lordo, che rappresenta l'indicatore
più consolidato di valutazione dello stato delle economie, anche se - come è
noto e non è certo qui il caso di riprendere annose discussioni - il
prodotto interno lordo non rappresenta una misura del benessere e della
qualità della vita.
Anche nel 2004 la crescita dell'Italia è stata contenuta entro l'1,3%. Nel
2003 era stata dello 0,3%. Nel 2002 dello 0,4%. Questa sostanziale
stagnazione non è affatto condivisa con il resto del mondo e - a questi
livelli - neanche con il resto dell'Europa.
Al contrario di quella che è la percezione diffusa in Italia, il 2004 è
stato un anno di eccezionale crescita economica mondiale. Il Global Economic
Prospects 2005 della World Bank sintetizza così la situazione: "La crescita
mondiale è accelerata bruscamente nel 2004, con un Prodotto Interno Lordo
che avanza del 4%. Tutte le regioni in sviluppo stanno ora crescendo più
velocemente delle loro medie degli anni 80 e degli anni 90. Vi ha
contribuito in maniera notevole il continuo sviluppo economico della Cina,
così come la forte ripresa registrata in Giappone e negli Stati Uniti".
Per dare una misura: se la Cina è cresciuta nel 2004 di circa il 9% e l'
India del 6% - su tassi simili al 2002 e al 2003 - anche gli Stati Uniti e
il Giappone sono cresciuti di circa il 4% (contro una media degli anni 90
rispettivamente dell'1,9% e dell'1,1%) e l'Europa nel suo insieme è
cresciuta del 2% (contro una media dell'1,8% negli anni 90). È l'Italia che
resta bloccata, anche all'interno di un'area -quella europea - che sconta un
dinamismo inferiore a altre aree del mondo. Ed è ormai un blocco di lunga
durata, di carattere strutturale.
Fatto 100 il Prodotto Interno Lordo del 1995, nel 2003 (per prendere un dato
consolidato) il PIL dell'Unione Europea a 15 era salito - a prezzi
costanti - al livello 118. L'Irlanda - che ha conosciuto un eccezionale boom
economico - era arrivata a 185. Altri paesi molto dinamici, come la Spagna o
la Finlandia, erano cresciuti di oltre il 30%. La gran parte dei paesi era
cresciuta di oltre il 20%. L'Italia e la Germania, invece, si erano
arrestate rispettivamente a 112 e a 110.
In termini di crescita del valore aggiunto, peraltro, la performance dell'
Italia era stata anche un po' peggiore di quella della Germania.
Per Italia e Germania, però, gli altri indicatori ci raccontano storie
diverse. Entrambi i paesi hanno affrontato due difficili, seppur diverse,
sfide: in un caso l'integrazione di un intero nuovo paese (quella che si
chiamava Repubblica Democratica Tedesca), nell'altro l'uscita dalla
bancarotta fiscale dello stato.
Le prospettive di fronte ai due paesi sono però molto diverse. L'arresto
della crescita della Germania è dipeso dalla caduta della domanda interna e
da un forte incremento del risparmio, mentre la capacità produttiva
industriale ha mantenuto un alto livello qualitativo e competitivo, le
vendite all'estero hanno continuato a espandersi, guadagnando quote di
mercato, anche nelle economie del Sudest asiatico e nell'area dell'euro: in
cinque anni dal 1998 le quantità esportate di merci e servizi sono aumentate
del 33%, la quota di mercato è salita dal 10,7 all'11,3% nel 2003, la
produzione industriale è cresciuta del 6,4%.
Altri sono i problemi dell'Italia. La crescita dei consumi è risultata
debole, ma allineata agli altri paesi dell'area dell'euro. Ma solo gli
investimenti in costruzioni hanno ripreso a espandersi. In cinque anni la
produzione industriale è aumentata soltanto dello 0,9% e gli investimenti in
macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto hanno rallentato dal 2001:
nell'ultimo biennio sono diminuiti di oltre il 5%. Ma è la perdita di
competitività nei confronti dei paesi sviluppati e ancor più delle economie
emergenti che si conferma l'elemento di maggiore debolezza del nostro
sistema economico. Le esportazioni di beni e servizi si sono ridotte in
quantità del 3,4% nel 2002 e ancora del 3,9 nel 2003; in cinque anni sono
aumentate soltanto del 3,6%. La quota dei prodotti italiani sul commercio
mondiale, a prezzi costanti, dal 4,5% nel 1995 è scesa al 3,9 nel 1998 e al
3,0 nel 2003. E i settori in cui si ancora si concentra la forza dell'
economia italiana, il made in Italy dei settori tradizionali e del lusso,
rappresentano ormai poco più di un decimo degli scambi mondiali e sono
sottoposti a una fortissima concorrenza dei paesi emergenti, non solo sul
prezzo, ma ormai anche sulla qualità dei prodotti. E ciò è avvenuto in un
periodo di bassa crescita del costo del lavoro: tra il 2000 e il 2004 il
costo del lavoro in Italia è cresciuto del 4%, contro l'8% della Germania,
il 23% della Spagna o il 20% della Finlandia.
Ma per capire il declino dell'Italia - e per capire come uscirne - non è
inutile dare uno sguardo anche a un'altra parte dell'Europa. All'Europa che
ancora cresce, come reddito e come benessere sociale e umano (e anche
ambientale).
Finlandia e Svezia, due dei paesi europei a più alto reddito pro capite
(rispettivamente il 57% e il 62% più alto dell'Italia), hanno conosciuto tra
il 1995 e il 2004 una sostenuta crescita economica: + 37% la Finlandia, +
27% la Svezia, il triplo in un caso e più del doppio nell'altro rispetto all
'Italia.
Questa crescita non si è certo fondata né sul costo del lavoro - tra i più
elevati d'Europa e cresciuto sia in Finlandia che in Svezia di oltre il 3%
annuo in tutto il periodo - né sulla bassa pressione fiscale. Una crescita
imbarazzante per le teorie economiche che hanno dominato gli anni 90.
Finlandia e Svezia - eredi della tradizione delle socialdemocrazie
scandinave - hanno infatti mantenuto un'elevata pressione fiscale. Nel 2003
il carico fiscale della Finlandia era pari al 45,1% e quello della Svezia -
il più alto d'Europa - era pari al 51,4% del Pil, contro il 41,8% dell'
Unione Europea (a 15) e il 43,2% dell'Italia. In Finlandia la pressione
fiscale ha conosciuto una riduzione di 1,6 punti tra il 1995 e il 2003,
mentre in Svezia la pressione fiscale è addirittura aumentata di 1,2 punti
sul 1995.
Finlandia e Svezia, invece, condividono una eccezionale incidenza della
spesa in ricerca e sviluppo, pari rispettivamente nel 2002 al 3,5% e al 4,3%
del Pil contro una media europea del 2% e una media Ocse del 2,2%. L'Italia
invece ha una spesa per ricerca e sviluppo ai minimi dell'area Ocse, pari
all'1,16%, ancora inferiore al livello del 1992. Finlandia e Svezia sono di
gran lunga i paesi sviluppati con il più alto investimento in ricerca e in
formazione del "capitale umano", con tassi dell'85% e del 71% di giovani con
livelli universitari di istruzione, con la più elevata concentrazione al
mondo di ricercatori e tecnici (rispettivamente 7.110 e 5.186 per milione di
abitanti, contro una media dei paesi sviluppati di 3.300). Finlandia e
Svezia sono i due paesi europei con la più elevata densità di brevetti
hi-tech per abitante (rispettivamente 136 e 101 per milione di abitanti,
contro i 6 dell'Italia).
Finlandia e Svezia - e una storia non troppo diversa potrebbero raccontare
anche la Norvegia o la Danimarca - hanno riscosso a partire dalla seconda
metà degli anni 90 un investimento di lungo periodo in qualità e benessere.
Sono stati gli alfieri del modello "sociale" europeo e oggi mostrano che
politiche lungimiranti di investimento in servizi collettivi e nella qualità
possono rendere quanto se non più delle politiche neoliberiste.
Qui non è cresciuto solo il Pil, ma tutti i macro-indicatori di benessere.
Se guardiamo all'indice di sviluppo umano, prodotto dalle Nazioni Unite
(UNDP), troviamo al primo posto la Norvegia, al secondo la Svezia e al
tredicesimo la Finlandia; e sia Svezia che Finlandia hanno una posizione
nell'indice di sviluppo umano molto più alta di quella che hanno nella
graduatoria del reddito pro capite (mentre ad esempio gli Stati Uniti e l'
Italia hanno una posizione peggiore). Finlandia e Svezia, insieme alla
Danimarca, sono anche i tre paesi europei (e quindi del mondo) con la più
equilibrata distribuzione del reddito. Se guardiamo all'indice di
competitività, elaborato per il World Economic Forum, vediamo che Finlandia
e Svezia si collocano al primo e al terzo posto, in netto e continuo
progresso rispetto agli anni precedenti. Se guardiamo all'Environmental
Sustainability Index, predisposto dalla Università di Yale, troviamo
Finlandia, Norvegia e Svezia che occupano le prime quattro posizioni (mentre
l'Italia occupa la 69° posizione). Molto concretamente la Svezia è anche l'
unico paese europeo (insieme al Regno Unito) che ha già ridotto ed ecceduto
gli obiettivi di taglio delle proprie emissioni di CO2.
E infine, ma sappiamo che in ciò gioca la grande estensione forestale,
Finlandia e Svezia sono anche tra i pochissimi paesi sviluppati che non
presentano un deficit ecologico secondo il calcolo dell'Impronta Ecologica
del Living Planet Report.

(Duccio Bianchi)

La qualità ambientale valore aggiunto dell'Italia nella sfida alla
competitività

C'è un indagine di Unicredit, il "Capitalismo dei piccoli", curata da Aldo
Bonomi, che illumina a fondo lo stato del nostro paese. Uno dei tanti dati
che ne emergono è l'enorme differenza nella percezione dei piccoli
imprenditori tra le aspettative individuali e le prospettive del
sistema-paese: in larga parte positive le prime, nettamente più pessimiste e
sfiduciate le seconde.
L'economia debilitata, l'impoverimento preoccupante di tanta parte dei
cittadini, sono insomma solo la parte visibile dell'iceberg: che sotto la
superficie nasconde un paese ripiegato, in "down" psicologico, che ha perso
la gioia e il gusto della sfida. Una condizione questa che, quale che sia la
ricetta che si ha in mente per tirarne fuori l'Italia, rende molto più ardue
soluzioni in positivo. E se non è impresa facile indicare quale possa essere
la via di uscita, si può cominciare col dire quale non debba essere. Non
deve essere una strategia dettata dalla paura, che aumenti l'arroccamento
del paese, che ne alimenti l'isolamento in Europa e nel mondo; parlando più
chiaro, non dev'essere a base di dazi contro le Tigri orientali e di navi da
guerra contro l'immigrazione. Nemmeno deve essere, però, una corsa al
ribasso: che minimizzi le regole, tagli i diritti, chiuda un'occhio sulle
furberie e sulle iregolarità.
Scelte così finirebbero per minare le fondamenta stesse della convivenza
civile &endash; sarà un caso se l'ultimo rapporto della Guardia di Finanza
registra nel 2004 un'impennata attorno e oltre il 15% di tutti i reati
finanziari? &endash; e si tradurrebbe in un autogol anche in termini
squisitamente economici: perché vorrebbe dire scegliersi come competitori i
paesi dalle economie emergenti, quando è di banale evidenza che in Italia
non potranno mai esservi costi del lavoro non dico più bassi ma nemmeno
paragonabili a quelli della Romania, o leggi ambientali "elastiche" come
quelle del Pakistan. Per fortuna.
Per combattere le paure del paese, che non sono poche e nemmeno infondate,
bisogna invece definire e presentare un disegno che sappia evocare le
energie oggi solo allo stato latente, mobilitare i talenti che non trovano
la forza di emergere, le intelligenze e la creatività che portano gli
italiani a occupare le poltrone degli istituti finanziari della City di
Londra, dietro le cattedre delle università statunitensi o sui microscopi
dei più importanti centri di ricerca del mondo.
L'Italia deve puntare, da una parte, sulle risorse più "tipiche" di tutti i
paesi industrializzati &endash; scommettere cioè sui saperi, sulla ricerca,
sulla conoscenza, sull'innovazione &endash; e insieme deve valorizzare
pienamente ciò che ci rende un paese unico al mondo.
Parlo dell'intreccio non replicabile e non delocalizzabile tra città e
patrimonio storico-culturale, ambiente naturale e paesaggio, prodotti tipici
e buona cucina, coesione sociale e creatività, che è anche la ragione del
successo del "made in Italy", tante volte richiamato dal presidente di
Confindustria Montezemolo. Questi stessi sono i pilastri dell'identità
positiva del nostro paese, che si declina in forme diverse nei vari
territori e che spesso il presidente Ciampi ci invita, a ragione, a
considerare la base del nostro futuro; e sono la materia prima per costruire
una modernità a misura d'uomo, il punto di partenza irrinunciabile per
ridare competitività alla nostra economia e avviare un nuovo ciclo di
sviluppo. L'Italia deve ritrovare l'orgoglio, deve tornare a credere in se
stessa e nel proprio futuro. Deve tornare a fare l'Italia.

Attorno a queste convinzioni è nata recentemente la Carta di Ravello, un
manifesto per lo sviluppo e contro il declino sottoscritto fra gli altri da
Alessandro Profumo di Unicredito Italiano, Anna Maria Artoni di
Confindustria, Diego Della Valle di Tod's, e poi da Legambiente, Coldiretti,
Club dei Distretti Industriali e tanti altri soggetti che hanno trovato la
loro strada puntando sul territorio, dalle città del vino a quelle dell'olio
ai borghi più belli d'Italia. Non si tratta, tengo a sottolinearlo, di mere
riflessioni teoriche: qui risiede il segreto di tante nostre imprese di
successo. Come la Faam, una piccola azienda marchigiana che produce macchine
elettriche: ha aperto una filiale in Cina, e da Monterubbiano in provincia
di Ascoli Piceno vende le sue vetture elettriche in tutta Europa e fino in
Uruguay in Marocco e in Cina. O come la Nuova Simonelli, che fa macchine da
caffè e le esporta in ogni angolo del pianeta, e che prima di venderle ai
cinesi e giapponesi si prende il lusso di portare per una settimana i
committenti a gustare il caffè qui da noi in Italia. Storie così non
sarebbero possibili fuori da un rapporto forte e di forte reciprocità con il
territorio che garantisce l'alta qualità delle maestranze, senza una
missione condivisa dalla comunità, senza gli asili nido, senza la tenuta del
tessuto sociale, senza il welfare, senza i presìdi sanitari, senza le
scuole, senza gli uffici postali.
Ancora due esempi illuminanti. Pochi mesi fa Montezemolo e la squadra della
Ferrari sono stati ricevuti dal Papa, che si è congratulato con loro per la
capacità straordinaria di tenere unita una comunità, dai piloti ai
meccanici, dagli ingegneri al parroco, attorno a una missione comune. Un'
altra vicenda che trovo splendida è quella della Brioni, azienda sartoriale
che a Penne, un piccolo paese alle pendici del Gran Sasso, produce abiti da
uomo tra i più belli del mondo indossati da Kofi Annan e dalle star di
Hollywood. Agli amministratori della Brioni un giorno fu proposto, con
argomenti convincenti come la possibilità di ottenere più facilmente
incentivi pubblici, di spostare la produzione di qualche centinaio di
chilometri, in un'area industriale. La risposta fu negativa: perché la
Brioni poteva mantenere la qualità soltanto lavorando alle pendici del Gran
Sasso, in un rapporto di osmosi con quel territorio che gli offriva una
manodopera di eccezionale qualità. E questo è stata la chiave per restare
competitivi: non la precarizzazione dei lavoratori, non la libertà di
licenziarli.

Robert De Niro, in una scena del suo film Bronx, al figlio sbandato ricorda
che "non c'è peccato peggiore del talento sprecato". Vorremmo tutti che l'
Italia potesse svolgere un ruolo all'altezza del suo passato e del suo
futuro. Vorremmo tutti che nessuno potesse pensare al nostro paese come a un
"talento sprecato".

Ermete Realacci

Dal sogno alla realtà: il comune progetto di un'Italia di qualità
LA "CARTA DI RAVELLO"

Per dare uno sviluppo duraturo e sano al paese, allontanando il rischio del
declino, dobbiamo fare appello alle sue più preziose risorse. Dobbiamo
scommettere sulla conoscenza, sulla formazione, sulla ricerca, sull'
innovazione, sulla qualità. Non si può prescindere dal riconoscimento e
dalla valorizzazione del capitale sociale, dei talenti custoditi nelle
pieghe del territorio e nel fitto tessuto delle comunità.
Come afferma il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, ". il
modello qualità Italia basato sulla ricchezza e la varietà del patrimonio
culturale rappresenta un esempio in Europa e nel mondo in grado di coniugare
i rapporti socioeconomici con la tradizione e l'innovazione".
Vogliamo che questo modello permei e indirizzi le scelte politiche, quelle
del mondo dell'economia e delle istituzioni. Per farlo è necessario
intessere nuove e decisive alleanze tra i protagonisti e gli attori della
qualità italiana:
. il mondo delle Reti delle qualità territoriali. Una delle più originali
occasioni di riscoperta delle risorse naturali, storico-culturali,
enogastronomiche e artigianali del nostro paese, le Reti territoriali hanno
saputo imboccare una via originale allo sviluppo, integrando le nuove
tecnologie e il rispetto dei saperi tradizionali, la globalizzazione e l'
orgoglio locale;
. il mondo delle imprese e del credito. A partire da tutti coloro che per
competere nella dimensione globale hanno scelto di fare leva sulla vocazione
italiana all'eccellenza, consapevoli che questa non si dà senza un forte
radicamento territoriale;
. la società civile. Che su strade non convenzionali ha saputo orientare
grandi energie proprio verso la ricerca della qualità, sia essa dell'
ambiente o dei servizi di assistenza, anticipando la consapevolezza che è
principalmente su questi fronti che si misura il grado di sviluppo e civiltà
di un paese.

Ci impegniamo per questo a convogliare le nostre esperienze e le nostre
passioni in un comune progetto sotto il segno della qualità. Un progetto che
passi primariamente per l'individuazione di strumenti con cui avviare e
sviluppare questa collaborazione e per dar vita a strategie comuni che
facciano della qualità il porto verso cui traghettare il paese.

Ravello, 6 agosto 2004
(Ermete Realacci)

La qualità italiana tra passato e futuro

Per un paese come l'Italia, povero di materie prime ma ricco di risorse
naturali, artistiche e culturali, quella della qualità è una strada
obbligata più che una scelta o un'alternativa. Un destino nazionale, una
vocazione, una mission imposta dalla fedeltà al nostro passato e dalla
difesa del nostro comune futuro.
Qualità significa innanzitutto qualità della vita, cioè tutela dell'
ambiente, del territorio, del paesaggio, per salvaguardare la salute dei
cittadini, proteggere un patrimonio irriproducibile e alimentare l'industria
del turismo, la prima al mondo per fatturato e numero di addetti. Qualità
significa poi ingegno, creatività, fantasia nella produzione e nell'
innovazione tecnologica, per competere sul mercato globale: da una parte con
gli apparati industriali più grandi e più forti; dall'altra, con i paesi
emergenti, dalla Cina all'India, avvantaggiati dalle dimensioni dei
rispettivi mercati, dalla larga disponibilità di manodopera e quindi dal
basso costo del lavoro. E infine, qualità significa storia e tradizione, un
plusvalore che l'Italia può aggiungere ai suoi prodotti, beni e servizi, in
misura certamente maggiore di qualsiasi altro concorrente.
In questo senso, appunto, si tratta di passare dal vecchio "made in Italy" a
un nuovo "made in Quality": per dire un brand, un marchio di fabbrica, una
denominazione di origine controllata che può valere ugualmente per il design
e per la moda, per le "macchine" industriali e per quelle utensili, per l'
arte e per la musica, per la cucina e per il vino.

La ricerca della qualità presuppone caratteristiche soggettive e collettive,
doti personali e generali, individualità e metodo, inventiva e
organizzazione. Non bastano, evidentemente, l'estro del singolo, le punte di
eccellenza, i casi isolati. Quello che occorre è un sistema integrato, una
rete di competenze e di funzioni complementari, in grado di valorizzare al
massimo le diverse esperienze e di favorire una cultura diffusa: cultura d'
impresa, cultura ambientale, cultura economica e civile.
Per tutto questo occorre un "progetto di società", prima ancora di un
programma di governo: cioè un'idea dell'Italia, una prospettiva, una grande
ambizione. E contemporaneamente una leadership, una capacità di orientamento
e di guida, una nuova classe dirigente, al di là degli individualismi
velleitari e improduttivi che ancora condizionano la vita pubblica italiana.
Per costruire un paese di qualità servono figure di qualità, proposte di
qualità, comportamenti di qualità.
Gli esempi, i buoni esempi, non mancano. I "modelli" fortunatamente esistono
e funzionano. Ma sono distribuiti a macchia di leopardo, circoscritti in un
ambito territoriale oppure identificati in storie personali o familiari,
senza un collegamento organico, un tessuto connettivo capace di creare
valore aggiunto con un effetto moltiplicatore. Spesso, anzi, le rivalità,
gli antagonismi, le invidie reciproche, compromettono la crescita
complessiva, avvilendo e mortificando le iniziative dei singoli o comunque
accrescendo le difficoltà e i rischi.

Può accadere così che a Ravello, la perla della Costiera amalfitana, città
della musica e capitale del turismo di qualità, il progetto per il nuovo
auditorium regalato alla città dal celebre architetto brasiliano Oscar
Niemeyer venga ostacolato da un ricorso di Italia Nostra al Tar, contro il
parere di tutte le altre associazioni ambientaliste, danneggiando lo
sviluppo dell'economia locale. Ma il Festival estivo che si tiene ogni anno
all'aperto continua comunque a richiamare un pubblico composto in prevalenza
da stranieri, offrendo appunto un modello che vale su scala nazionale nel
connubio tra bellezza del paesaggio e spettacolo. "Natura e cultura" s'
intitola, non a caso, la stagione di incontri letterari e dibattiti che
Enrico e Iole Cisnetto organizzano in agosto a Cortina d'Ampezzo. E da Capri
alla Versilia, dalla Puglia alla Sardegna, è tutto un fiorire di
manifestazioni del genere.
Nell'Italia dei mille campanili e delle mille contraddizioni succede anche
che la Sicilia &endash; prima regione nella produzione di vino e purtroppo
casa madre della mafia &endash; riscopre l'enologia nel suo rapporto con il
territorio e con l'ambiente, come nei vigneti del Gattopardo sotto il
marchio di Donnafugata, lanciando sul mercato bianchi e rossi di grande
qualità. Alla ricerca dell'eccellenza, l'esempio viene seguito da tante
altre aziende locali. E l'isola, ricca di sole e di mare, diventa un polo di
attrazione anche per molti produttori settentrionali che arrivano dal Veneto
o dal Piemonte a coltivare uve scelte e pregiate.

Poi c'è la cucina, l'alta cucina, la tradizione culinaria italiana. Non sono
più soltanto gli spaghetti, la pasta fatta in casa o la classica pizza a
rappresentare il tricolore sulle tavole di tutti i continenti. Adesso il
fondatore di "Slow Food", Carlo Petrini, si aggiudica il titolo di "eroe
europeo dell'anno" assegnato dalla rivista americana Time e promuove a
Pollenzo, alle porte di Torino, la prima università al mondo di Scienze
gastronomiche, dove non s'insegna a cucinare bensì storia dell'
alimentazione, microbiologia, viticoltura, analisi sensoriale e così via. Se
la dieta mediterranea invade il pianeta, l'Italia è il suo centro
propulsore, la fonte e il paradigma di una cultura che attraverso il cibo
influenza la qualità della vita, gli stili di vita, i gusti e le abitudini
quotidiane.

E infine, le "macchine", macchine italiane di tutti i tipi e per tutti i
gusti: macchine da corsa, come le mitiche Ferrari, le "rosse" di Maranello,
signore della pista e della strada; macchine per andare piano e non
inquinare, come quelle elettriche della Famm di Monterubbiano, alle porte di
Ascoli Piceno, leader europeo nei veicoli ecologici industriali; e macchine
per camminare, per muoversi, per usare il proprio corpo, come quelle della
Technogym, leader mondiale delle attrezzature per il fitness. La qualità
italiana si declina in vari modi, al passato, al presente e al futuro, ma è
un fatto che il Cavallino rampante continua a dominare in Formula 1, mentre
la vecchia fabbrica intrisa di "lambrusco & piadina" si trasforma per
volontà del suo presidente, Luca Cordero di Montezemolo, in un grande museo
del design italiano per rendere l'ambiente di lavoro più bello, più
accogliente e più funzionale. Nel frattempo, le macchinine elettriche "made
in Italy" sbarcano in Cina e le nostre cyclette o i nostri tapis roulant,
dotati di computer, teleschermi e memorie elettroniche, conquistano gli
atleti olimpici e le palestre di tutto il mondo con un mix di tecnologia e
design.
La qualità non è e non sarà mai un'esclusiva italiana, ma con altrettanta
certezza si può dire che è una prerogativa della nostra terra, fa parte del
suo DNA, del suo codice genetico. Sarebbe un errore, o peggio un delitto,
rinunciare a coltivarla, a incrementarla, a migliorarla ulteriormente in
tutti i campi in cui è possibile. Tradiremmo, altrimenti, il nostro passato
e il nostro futuro, la nostra storia e la nostra vocazione, i nostri padri e
i nostri figli. L'Italia può e dev'essere un paese di qualità.

(Giovanni Valentini)

COMPETITIVO ED ECOLOGICO:
Siena, un modello di eccellenza per lo sviluppo sostenibile

Un patrimonio artistico da primato e la consapevolezza e la capacità di
farne un vera e propria industria; paesaggi mozzafiato e il coraggio di
conservarli anche a costo di autoescludersi dall'Autostrada del sole; un'
identità e una coesione sociali forti che permeano profondamente il vivere
cittadino e insieme la capacità di imporsi nel mercato globale. Eccoli gli
ingredienti irripetibili che fanno di Siena non solo una delle città più
belle e più visitate del mondo, ma anche un "modello economico e di
 sviluppo" dell'era globale.
Così viene definita in uno studio dell'Ocse, l'organizzazione per la
cooperazione e lo sviluppo economico, che ne passa al vaglio il territorio,
gli aspetti sociali, produttivi e ambientali: "un modello di sviluppo rurale
sostenibile", "una realtà capace di generare continuamente nuova crescita".
Leggendo quel rapporto si trova la conferma che il successo della città sta
nell'aver saputo produrre innovazione scommettendo sulla tradizione. Nell'
aver creduto che con la tutela e la salvaguardia dell'ambiente e del
paesaggio si può dare ricchezza al territorio, nell'esser stata capace di
accrescere il benessere tenendo saldo il rapporto fra i cittadini e le
istituzioni. Siena, potremmo sintetizzare così, ha scommesso sulla qualità,
e la rinuncia fatta decenni fa di rinunciare a essere raggiunta dall'
Autostrada del sole oggi appare una scelta lungimirante e paradigmatica. A
Siena la disoccupazione è sotto il 3%, la città &endash; prima in Italia
&endash; è intermente cablata e non si vedono più antenne o pali elettrici.
Nelle classifiche sulla qualità della vita Siena è sempre ai primi posti e
può vantare una presenza di biblioteche, cinema, associazioni culturali,
librerie che non ha paragoni in nessuna città italiana. C'è un florido e
intraprendente sistema museale, una fitta rete agrituristica, un'eccellente
produzione di olio e vini, c'è la cultura del vivere e del mangiare bene. Ci
sono le Contrade che reggono il tessuto sociale ed economico. C'è una
fondazione bancaria, Monte dei Paschi, che ogni anno contribuisce a
rafforzare questa direzione di sviluppo sostenibile finanziando progetti nel
campo della ricerca scientifica, di recupero dello straordinario patrimonio
artistico, nella sanità e nell'assistenza sociale. Legami forti nella
comunità e con il territorio, dunque, ma anche ponti verso il mercato
globale.

Il turismo, innanzitutto: ogni anno Siena registra un milione di presenze
turistiche (pernottamenti) e dai 4 ai 6 milioni di visitatori giornalieri
(escursionisti), la gran parte dei quali sono stranieri. La scommessa sui
valori simbolici, sul paesaggio, l'arte e la buona cucina, ha vinto: oggi i
turisti prediligono sempre più i profili personalizzati, il valore dell'
esperienza diretta, il cibo, gli acquisti fra artigiani, artisti, antiquari.
Così, come risulta da un'indagine dell'Apt, per il visitatore Siena vuol
dire prima di tutto Piazza del Campo, poi le sue colline, l'eno-gastrononima
(il successo del turismo nell'area senese si lega a doppio filo alla fama
del Chianti), la sua preziosa architettura, l'arte e il Palio. Ma non c'è
solo turismo nel passaporto internazionale di Siena: c'è anche il polo
industriale biotecnologico, uno dei più importanti d'Europa, in continua
crescita grazie al rapporto simbiotico con l'università e agli investimenti
di multinazionali del settore. Quella di Siena dunque è la storia della
felice scommessa sulla qualità, che nel nostro paese vuol dire industria
leggera, legami con la ricerca universitaria e produzioni enogastronomiche;
vuol dire storia, identità, paesaggio, e coesione sociale. E se è vero che i
singoli ingredienti sono inimitabili, altrettanto vero è che la ricetta è di
sicuro successo.

(Daniele Di Stefano)

Alcuni degli indicatori più significativi

Indicatore 1 Indice di benessere umano (HDI)

Indicatore 4 Impronta ecologica

Indicatore 34 Prezzi dell'energia elettrica e del gas in Italia e in Europa

Indicatore 37 Qualità ambientale dei veicoli

Indicatore 45 Rilasci di organismi geneticamente modificati

Indicatore 55 Industria e servizi intellettuali e tecnologici

Indicatore 69 Emissioni atmosferiche pericolose in Italia

Indicatore 77 Gestione forestale sostenibile

Indicatore 90 Efficienza energetica delle abitazioni

Indicatore 99 Commercio equo e solidale

(Duccio Bianchi)


Indice di benessere umano (HDI)
indicatore

Il benessere non può essere racchiuso nella misura del reddito e del PIL. Un
indicatore aggregato
per la misura della sostenibilità sociale e del benessere è lo Human
Development Index,
elaborato nell'ambito dell'UNDP. Lo HDI è costituito dalla media semplice
dell'indice di
longevità (speranza di vita alla nascita), dell'indice dei risultati
scolastici (media del tasso di
alfabetizzazione e del tasso di iscrizione ai 3 livelli scolastici pesato
sulla relativa quota di popolazione)
e dell'indice del PIL reale proc. aggiustato (a parità di potere d'
acquisto). Nel corso
degli ultimi 30 anni gran parte dei paesi ha conosciuto un miglioramento del
benessere,
ma il miglioramento non è stato né omogeneo né costante, e i percorsi di
sviluppo molto differenziati.
Nel 1975 il Brasile aveva un HDI più basso del Paraguay e del Venezuela, ma
negli
ultimi 25 anni ha superato ambedue questi paesi. Al contrario lo Zimbabwe,
che ancora
nel 1990 aveva lo stesso indice della Cina, è oggi a un livello inferiore
del 35%.
L'indice mostra anche che non c'è relazione meccanica tra livelli di reddito
e livelli di benessere
umano. Il Costarica ha lo stesso indice di benessere umano del Kuwait pur
avendo un
reddito procapite di circa la metà; analoghi rapporti valgono per lo Sri
Lanka rispetto alla Repubblica
Dominicana o per il Vietnam rispetto al Guatemala.

l'energia
Prezzi dell'energia elettrica e del gas
in Italia e in Europa

indicatore
Il sistema italiano dei prezzi energetici italiano presenta alcune anomalie
rispetto al contesto
europeo. Nel settore elettrico per gli usi residenziali l'Italia - a
differenza degli altri paesi europei
- ha una struttura dei prezzi progressiva, che ha incentivato il
contenimento degli usi elettrici.
I prezzi finali per gli utenti con bassi consumi sono molto inferiori alla
media europea (anche
la metà); le utenze con consumi più elevati hanno invece prezzi ben al di
sopra della media
europea. Per le imprese italiane, invece, i prezzi elettrici, sia al lordo
sia al netto delle imposte,
si collocano sempre al di sopra della media europea. L'incidenza (e
soprattutto il valore assoluto)
delle imposte è tra le più alte d'Europa.
Anche nel settore del gas per le piccole utenze domestiche i prezzi italiani
sono tra i più bassi
in Europa. Per livelli di consumo superiore - a cui è associato l'uso del
gas naturale anche per
il riscaldamento - i prezzi italiani al lordo delle imposte si collocano
invece ai livelli più alti, con
uno scostamento dalla media europea superiore al 50%, soprattutto per la
forte incidenza fiscale.
Per le imprese, invece, mentre a bassi livelli di consumo di gas i prezzi
italiani sono tra i
più elevati in Europa (circa 13-17% sopra i valori medi), ad alti livelli di
consumo i prezzi si collocano
attorno o sotto la media europea.

I settori sia industriali sia - e soprattutto - dei servizi, caratterizzati
da un più elevato contenuto
tecnologico e di conoscenza, hanno un ruolo sempre crescente nella
formazione della
ricchezza e nell'occupazione, anche nei principali paesi in via di sviluppo.
Nel settore industriale l'Italia mantiene una specializzazione in settori a
medio e basso contenuto
tecnologico, ormai molto esposti alla competizione dei paesi emergenti. Sia
in termini
di valore aggiunto che di occupati, l'Italia ha un'incidenza dei settori ad
alta e medio alta
tecnologia (industria aerospaziale, farmaceutica, elettronica, mezzi di
trasporto, chimica e altre)
inferiore alla media europea. Negli anni più recenti, tra il 2000 e il 2003,
è invece cresciuta
in Italia - con tassi superiori alla media europea - sia l'occupazione sia
la formazione
di valore aggiunto nei servizi a elevato contenuto intellettuale (servizi di
telecomunicazione,
software, ricerca e sviluppo, finanziari, educativi e altri). L'incidenza di
questi settori resta
però ancora ben inferiore alla media europea e molto lontana dai principali
paesi.
Anche un'analisi su scala regionale mostra che nessuna regione italiana è
tra le prime 30 regioni
europee per specializzazione in servizi di contenuto intellettuale, e solo 3
regioni italiane
(Piemonte, Lombardia ed Emilia) sono tra le prime 30 regioni europee per
specializzazione
in industrie ad alta e medio alta tecnologia.

EU 15
Germania
A fine 2002, l'adeguamento del parco veicolare ai nuovi standard emissivi
della serie Euro è
ancora parziale, anche se ormai molto prossimo alla media europea. Nel 1992,
prima che la
direttiva diventasse cogente, in Italia la percentuale di auto catalizzate
era pari al 9%, e quindi
molto inferiore alla media europea del 21% (in Germania era addirittura pari
al 52%).
Nel 2002 il 61% delle autovetture (era il 49% nel 2000) è adeguata agli
standard europei Euro
1, Euro 2 e Euro 3, ma la situazione è più critica per le altre tipologie di
veicoli. In particolare,
solo il 45% degli autocarri è oggi a norma.
In tutti i vari segmenti del parco veicolare si sconta un notevole ritardo
nelle regioni meridionali.
L'abbattimento delle emissioni derivanti dal traffico è stata resa possibile
dalla emanazione
da parte della Commissione Europea di standard di emissione per i veicoli,
con le direttive
Euro 1, Euro 2 ed Euro 3, entrate in vigore rispettivamente nel 1993, 1997 e
nel 2001 (nel
2006 entrerà in vigore la nuova Euro IV).

la mobilità
Qualità ambientale dei veicoli

Rilasci di organismi
geneticamente modificati
(
Alla fine del 2004 in Europa è stata autorizzata la commercializzazione di
11 piante geneticamente
modificate (mais, colza, riso, patata, cotone) e sono in valutazione altre
13 richieste.
In Italia nessuna semente è commercializzata.
Più ampia è la sperimentazione in campo aperto. Il rilascio di organismi
geneticamente modificati
ha visto in Europa una prima fase di espansione nel periodo 1992-97, anno in
cui si
è raggiunto il massimo, a cui è seguita una fase di forte contrazione negli
anni 1998-2002
connessa con la moratoria alle colture e con la regolamentazione imposta
dalla Commissione
Europea. Dopo una leggera ripresa nel 2003, nel 2004 si è avuta una nuova
riduzione delle
sperimentazioni. L'Italia, che negli anni del boom (1995-1999) era seconda
solo alla Francia,
ha invece poi progressivamente diminuito le proprie sperimentazioni e nel
2004 registra
solo 4 sperimentazioni.
La sperimentazione si concentra sulle colture industriali: mais, colza,
patata e barbabietola
costituiscono il 71% delle sperimentazioni in Europa e il 53% in Italia.

Emissioni atmosferiche
pericolose in Italia
(
Le stime - elaborate dall'Emep, organizzazione della convenzione sul
Long-Range Transmission
of Air Pollutants in Europe - sulle emissioni atmosferiche pericolose in
Italia segnalano
una consistente riduzione dei rilasci di quasi tutti i composti, ad
eccezione degli idrocarburi
policiclici aromatici, stimati in crescita del 20%.
Specifici processi industriali sono responsabili della parte più rilevante
delle emissioni pericolose:
il 97% delle emissioni di zinco, il 93% delle emissioni di piombo, l'87%
delle emissioni
di arsenico, il 74% delle emissioni di mercurio, il 68% delle emissioni di
diossine, il 67%
delle emissioni di cadmio.
L'adozione di specifiche misura ha consentito in alcuni casi di ottenere
drastiche riduzioni
dei rilasci. Il cambio di combustibili ha consentito di abbattere la quota
di emissioni di piombo
dei trasporti dal 90% all'1% del totale.
Analogamente, l'adozione di nuovi standard e dispositivi di filtrazione per
gli incenerimenti
avrebbero consentito di ridurre, tra il 1990 e il 2002, da 174 a 1 g (I-Teq)
le emissioni di diossine
da incenerimento. Sul totale delle emissioni di diossine (ancora 286 g nel
2002) quelle
derivanti da incenerimento sarebbero passate dal 39% del 1990 allo 0,3% del
2002 (con la
quota dominante derivante da processi industriali, in particolare
metallurgici).

Gestione forestale sostenibile
I sistemi forestali su scala mondiale sono ancora sotto forte pressione,
specialmente nei paesi
tropicali. Per promuovere forme di gestione sostenibili e controllate, anche
ai fini del commercio
internazionale, è stata creata una certificazione della gestione delle
foreste, sia per le
foreste naturali che per le piantagioni. L'organismo più autorevole è il
Forest Stewardship
Council (FSC). La certificazione FSC può durare fino a 5 anni, richiede
audit annuali e prevede
criteri di effettivo miglioramento della gestione delle foreste. Un altro
organismo di certificazione,
con criteri diversi per la registrazione, è il PEFC.
A livello mondiale nel gennaio 2005 la superficie di foresta certificata FSC
era pari a circa 49
milioni di ettari, il 29% in più sul 2003. Sotto il PEFC sono registrati 55
milioni di ettari (22
solo in Finlandia). La crescita più consistente si è registrata in Sud
America (dove sono raddoppiate
le superfici FSC) e nei paesi africani. In Italia risultano certificate 4
aree forestali con
lo schema FSC e 4 aree con lo schema PEFC.
area certificata ettari anno
FSC PEFC FSC PEFC
Magnifica Comunità in Val di Fiemme (TN) 11.000 1998-mar 2003
Consorzio Forestale dell'Amiata 2.913 luglio 2003
Bosco di Piegaro (prov. di Perugia) 160 ott 2003
Pioppeto di S. Alessandro (prov. di Pavia) 257 ott 2003
Associazione PEFC (Friuli-Venezia Giulia) 67.348 lug. 2004
Riserva Naturale di Monte Rufeno 2.885 ott 2004
Gruppo PEFC Veneto 35.194 dic. 2004
Unione Agricoltori BauerBund 250.643 dic. 2004
totale 14.302 356.098
Aree Forestali Certificate in Italia (2004)
Foreste certificate (FSC) (gennaio 2005)

Efficienza energetica delle abitazioni
La qualità edilizia e dell'abitare ha un ruolo sempre più rilevante nelle
politiche energetiche.
Nel 2001 i consumi energetici del settore residenziale rappresentavano il
21% dei consumi
energetici finali dell'Italia. Nel periodo 1990-2001 i consumi residenziali
sono cresciuti in valore
assoluto da 25,2 a 28,7 Mtep, con un incremento di circa il 14%.
La struttura dei consumi è rimasta sostanzialmente stabile nell'ultimo
decennio, con una incidenza
del 68% del riscaldamento degli ambienti, del 14% degli usi elettrici, del
12% per la produzione
di acqua calda e del 6% dei consumi per la cottura.
I consumi per riscaldamento tra il 1990 e il 2001 sono aumentati del 13%, ma
considerando
l'andamento climatico l'incremento reale è stato del 20%. Anche i consumi
elettrici obbligati
nello stesso periodo sono incrementati del 20%, rimanendo però a un livello
assoluto di consumo
che è il più basso in Europa.
Complessivamente - in primo luogo per effetto della bassa qualità degli
involucri edilizi e per
l'inefficienza dei sistemi di riscaldamento - il consumo energetico
specifico italiano (adattato
al clima) è allineato alla media europea, in crescita e ormai superiore non
solo a paesi più poveri
come la Spagna e il Portogallo, ma anche a paesi come l'Olanda, la Finlandia
o la Danimarca
più efficienti sotto il profilo edilizio.

Commercio equo e solidale

I prodotti del commercio "equo e solidale" (Fair Trade) sono prodotti
importati, certificati da
specifici marchi di rilevanza nazionale e internazionale che identificano le
modalità organizzative
e commerciali del sistema di etichettatura per il commercio equo, nonché le
specifiche
condizioni di produzione per i piccoli produttori agricoli e i lavoratori
occupati nelle piantagioni/
fabbriche (retribuzioni adeguate, condizioni di salute e sicurezza,
prefinanziamento e
assistenza ai produttori, ricaduta sociale dei progetti, ecc.).
Il sistema del commercio Fair Trade coinvolge 800.000 produttori e contadini
dei paesi in via
di sviluppo ed è diffuso in 19 paesi sviluppati. I principali mercati
internazionali sono il Regno
Unito e la Svizzera. I prodotti più rilevanti in termini di vendite sono le
banane, il caffè e
il cacao. La situazione del commercio equo e solidale in Italia rispecchia l
'espansione che si
registra anche a livello europeo e mondiale, dove le vendite di prodotti
Fairtrade sono più che
raddoppiate negli ultimi quattro anni.
In Italia si può addirittura parlare di vero e proprio boom nella vendita di
questi prodotti: il fatturato
complessivo delle sei principali centrali d'importazione è più che
triplicato negli ultimi
tre anni e la quantità venduta è più che quadruplicata tra il 2002 e il
2003.
Altro elemento interessante è che ormai l'80% della vendita dei prodotti
TransFair avviene attraverso
la grande distribuzione e il restante 20% in botteghe eque e solidali,
negozi biologici,
privati.