[Disarmo] Sono o non sono Charlie? Di Michel Collon




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  SONO O NON SONO CHARLIE?



    Essere o non essere? “Je suis Charlie”, proclama una folla immensa a
    Parigi. “Je ne suis pas Charlie”, rispondono numerose voci arabe,
    africane o latinoamericane. Alcuni sono arrabbiati contro Charlie;
    altri sono solidali ma chiedono perché si nega lo stesso slogan ad
    altre sofferenze come: “Je suis Gaza”. La prefazione del nuovo libro
    di Michel Collon.


/di Michel Collon/*, 26 marzo 2015


Esiste il diritto di farsi questo genere di domande? Il fossato scavato
sembra profondo e drammatico. Tra Nord e Sud, ma anche tra due France.
In questi luoghi che vengono chiamati sottovoce banlieues, dove non si
avventurano mai le nostre élite politiche e mediatiche, molti rifiutano
un unanimismo giudicato falso ed anche ipocrita. Saremo capaci di
trattare questo “shock tra le culture” non smettendo di pensare, ma
provando a pensare il doppio?

Non è questa l’impressione che dava il responsabile dei servizi politici
su France 2 lanciando l’anatema davanti a milioni di francesi: “Quelli
che non sono Charlie, bisogna segnalarli e rinchiuderli”. Ahi, la
televisione si sostituisce alla polizia! Se tu non sei Charlie, vuol
dire che sostieni gli attentati?

Questo atteggiamento ci ricorda lo spirito di George Bush dopo gli
attentati delll’11 settembre: “O siete con noi o contro noi”. Si spera
che questa signora della TV non mandi una convocazione al Vaticano dove
un certo Francesco ha dichiarato: “Non si può provocare, insultare la
fede altrui o deriderla. Se un grande amico parla male di mia madre, può
aspettarsi un pugno, è normale”. Neanche il Papa è Charlie.

Anche la scuola rischia molto di diventare un posto di polizia, infatti
la sua ministra Najat Vallaud Belkacem dice: “Ci sono state tantissime
obiezioni da parte degli alunni. E noi abbiamo ascoltato tutti i ‘Sì
sostengo Charlie ma...’, i ‘due pesi, due misure’, i ‘perché difendere
la libertà di espressione qui e non in quell’altro posto?’. Queste
domande sono insopportabili, soprattutto quando le si sentono a Scuola
che è incaricata di trasmettere dei valori”. (1)

“Troppe domande”? È questa la scuola? Una testa non deve ragionare,
nessun giovane può interrogarsi, nessun professore può imparare a
riflettere e dibattere?

Invece di escludere e demonizzare, non bisognerebbe chiedersi piuttosto
se i media non hanno contribuito anche loro a scavare questo fossato e
questa frustrazione di una gran parte della nostra gioventù? Perché due
parti della popolazione francese si informano in modo completamente
differente, non credono più alla stessa versione degli avvenimenti e non
si parlano più?

Riflettere? Per alcuni, è tutto già stato pensato. I fratelli Kouachi e
Coulibaly sono semplicemente dei mostri, non sono umani, costituiscono
una sorta di corpo estraneo che non ha nulla a che vedere con la società
francese. E la soluzione sarebbe anche semplice: più soldati nelle
strade, più spionaggio dei cittadini ed il famoso “Siamo in guerra” del
primo ministro Valls. La Francia in guerra? Questo serve a ignorare il
problema. Se si facesse piuttosto un esame di coscienza? I tre assassini
erano francesi, sono cresciuti in Francia, hanno frequentato dei
francesi e hanno seguito i corsi dell’educazione nazionale francese (2).
Allora come si fa visto che tanti nostri giovani si identificano
nell’ISIS piuttosto che nella Francia?

Se si vuole mettere fine a questo terrorismo detestabile, si devono
ricercare le sue cause. Le inchieste sui percorsi di questi
“eurojihadisti” convergono: la causa comune è la disperazione. Molto sul
piano sociale: nessun lavoro, nessun avvenire, dunque la droga, poi la
prigione ed infine il reclutamento da parte di gruppi molto organizzati
che approfittano metodicamente delle debolezze dei loro “obiettivi” per
reclutarli, inquadrarli e drogarli di nuovo ma stavolta spiritualmente.
La delinquenza non la si scusa, ma ha delle cause.

Anche sul piano dell’informazione, la disperazione: così come uno dei
fratelli Kouachi e come Amedy Coulibaly, nelle loro interviste
telefoniche a BFMTV alcune ore prima di essere uccisi, tutti i giovani
jihadisti interrogati dicono che la loro rivolta è scaturita dalle
immagini di Guantanamo, dalle torture di Abou Ghraib, dalle armi
chimiche degli USA scaricate sulla popolazione di Fallujah in Iraq o
dalle immagini dei piccoli bambini di Gaza massacrati da Israele col
sostegno vergognoso della “Francia ufficiale”.

Questa via terroristica, l’hanno scelta in piena libertà o vi sono stati
spinti? Da chi e come? La Francia inonda di armi migliaia di islamisti
in Siria e si stupisce di ritrovarne alcune sul proprio territorio?
Israele riceve cinque miliardi di dollari all’anno per costruire un Muro
e massacrare a Gaza e ci si stupisce che i giovani covino la rabbia?

È su questo che è importante riflettere e discutere. Sulle cause. Dopo
questo crimine barbaro ed il contesto psicologico che lo ha seguito,
un’analisi serena delle cause non è facile. Ma è urgente. Non credo che
Charb <http://it.wikipedia.org/wiki/Charb>, che disegnava per i
palestinesi, avrebbe apprezzato nel vedere Netanyahau venire a
manifestare al fianco di François Hollande per la “libertà di
espressione”. Non credo che Wolinski
<http://it.wikipedia.org/wiki/Georges_Wolinski>  che difendeva Cuba
contro gli Stati Uniti avrebbe apprezzato di vedersi “arruolato” dalla
Nato e dall’estrema destra.

Questi avvenimenti non erano completamente prevedibili, e quindi
annunciati? Nel giugno 2013, ho organizzato a Bruxelles un grande
dibattito: “Giovani che partono in Siria, che cosa possiamo fare?”.
Avevo da subito invitato i quattro grandi partiti politici belgi. Per
settimane ho insistito: “L’eurojihadismo avrà delle ripercussioni qui in
Europa, bisogna fare qualcosa e proporre ai giovani un vero dibattito
democratico sul Medio Oriente e l’informazione”. Solo Philippe Moureaux
(Partito Socialista) aveva accettato. Tutti gli altri (CDH, MR, Ecolo)
erano assenti. Perché?

Il numero di eurojihadisti è raddoppiato tra il gennaio 2014 ed il
gennaio 2015! La Francia contava già 1.200 jihadisti partiti dal suo
suolo nel 2014 contro i 412 partiti nel 2013. In Belgio: + il 64%. La
Svizzera ne conterebbe ancora di più. Si è contenti del bilancio delle
politiche fin qui seguite? Continueremo a fare le stesse cose o è tempo
di fare diversamente?

Se vogliamo comprendere e prevenire, bisogna dibattere. Senza
esclusioni. E innanzitutto sul modo in cui siamo informati. O
disinformati? Se vogliamo impedire che ci si trascini verso nuove guerre
che porterebbero necessariamente nuovi attentati, non serve meno, ma
maggiore democrazia. Bisogna chiedersi quante volte ci hanno tirato il
bidone dello scoop delle “armi di distruzione di massa” senza che noi
l’abbiamo notato. Una democrazia che non pensa e che non si interroga
sulla propria informazione non è più una democrazia. E sarà sempre preda
del primo populista che farà surf sull’onda delle paure. Per la
disgrazia nostra e di tutti.

Questo piccolo libro, redatto velocemente e necessariamente incompleto,
vuole aprire il dibattito. Portando informazioni e punti di vista che
sono stati messi da parte. Per comprendere il mondo, talvolta è
necessario cambiare gli occhiali. L’intellettuale parigino ha ragione a
rivoltarsi contro la carneficina alla redazione di Charlie, ma dovrà
avere lo stesso interesse a mettersi al posto del torturato di Abou
Ghraib o di Guantanamo, del bombardato di Gaza, dell’affamato del Mali.
Solo così possiamo rispondere tutti insieme a questa domanda: “Sono o
non sono Charlie?”. (3)


* Fonte: Investig’Action
<http://michelcollon.info/harlie-ou-pas-Charlie-La-preface.html?lang=fr%20>

Il libro è acquistabile alla pagina:
http://www.michelcollon.info/boutique/fr

Note:

(1) Najat Vallaud Belkacem, 14 gennaio 2015, citato in Médiapart del 20
gennaio.

(2)
isegorie.wordpress.com/2015/01/12/charlie-hebdo-lettre-ouverte-a-un-ami-francais/ <http://isegorie.wordpress.com/2015/01/12/charlie-hebdo-lettre-ouverte-a-un-ami-francais/>


(3) Il dibattito è aperto sulla pagina facebook di Investig’Action –
Michel Collon
https://www.facebook.com/pages/Michel-Collon-InvestigAction/39804752934


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