«Il più deciso pacifista italiano è stato Giulio Tremonti, con i suoi tagli alla difesa».



Invece di fare la spiritosa su Tremonti pacifista, la Pinotti vada a lavare le latrine nelle caserme dei militari.


«Il più deciso pacifista italiano è stato Giulio Tremonti, con i suoi tagli alla difesa». La battuta di Roberta Pinotti, presidente della commissione Difesa della Camera dei Deputati, fa il paio con quella dell’amm. Giampaolo Di Paola, capo di Stato Maggiore della Difesa. «Noi ci muoviamo in coerenza con l’Europa, come ci è stato chiesto di fare. Se ci chiedono di essere coerenti con il Burundi, saremo coerenti con quello». Le battute raccontano bene il dilemma della "Difesa italiana tra ambizioni e risorse", il tema scelto dall’on. Giuseppe Cossiga per il riuscito primo convegno della sua presidenza dell’Istituto Studi Ricerche e Informazioni Difesa (ISTRID). Un tema che si attaglia bene al clima di questi anni, nei quali le forze armate sono state chiamate a sostenere con la propria presenza nei teatri operativi gli impegni e gli obbiettivi dell’Italia, ricevendone in cambio tagli consistenti di risorse non pianificati che creano un clima di instabilità. Azzeccata anche l’impostazione su due sole relazioni, lasciando ampio spazio ad una discussione tra politici e militari che tocca con vivacità alcuni temi scottanti anche grazie al ruolo di stimolo - anziché di moderazione - rivendicato proprio da Cossiga.

«Verso l’asfissia operativa»
Quello della mancanza di risorse è un ritornello che le forze armate intonano, cifre alla mano, da molti anni. L’intervento di apertura del gen. d.a. Pasquale Preziosa, capo dell’ufficio generale pianificazione finanziaria e bilancio dello Stato Maggiore Difesa, ha fornito un punto di partenza essenziale presentando una «verifica di compatibilità del livello di ambizione del nostro paese nel settore della Difesa con le risorse (umane e finanziarie) disponibili». In pratica, Preziosa ha spiegato i parametri in base ai quali il modello di difesa è stato dimensionato nei suoi termini attuali e ne ha poi comparato la «coerenza» con la situazione reale. I paletti sono, in questo caso, i compiti assegnati dalle leggi italiane e gli impegni NATO (con una quota del 9,08% delle NATO Response Forces pari a una media di 2.500 uomini circa ma con picchi reali fino a 7.000) e UE (con dati analoghi), le esigenze nazionali e la necessità di una rotazione 5:1 degli assetti. È da queste cifre che si giunge, attraverso opportuni calcoli, ai 190.000 uomini del modello di difesa, dai quali ci si discosta oggi di circa l’1,5% in termini assoluti ma con gravi squilibri interni tra le componenti che vedono un eccesso di marescialli (oltre il doppio del previsto) contro una carenza di sergenti (oggi un quarto del previsto) e di VSP (meno della metà). L’altro aspetto è rappresentato dalla qualità della spesa, con indicatori quali la classica percentuale del PIL destinato alla funzione difesa (1,4% in Europa e 0,96% in Italia) ma anche quali la spesa per soldato (112.000 euro in Europa ma 61.500 in Italia) o l’investimento per soldato (71.000 euro contro soli 17.500) o ancora il bilanciamento delle spese tra personale ed esercizio+investimento (pari in Italia ad un 61-39%, contro il 50-50 minimale ed il 40-60 ottimale). Ne deriva, ha detto Preziosa, che «lo Strumento Militare nazionale risulta ipoalimentato rispetto alla media europea di circa il 40% e disarmonico nelle tre componenti» . Questo perchè - se il modello 190.000 teorico si è dimostrato rispondente ai livelli di ambizione esaminati - gli esodi naturali sanerebbero la «forte distonia numerica nella categorie Marescialli e VSP» solo «in 20-30 anni». Le risorse rese disponibili per la "funzione Difesa" sono risultate inadeguate e non sostenute nel tempo. Conclusione: «In questo contesto, le Forze Armate soffrono di una gravissima situazione di squilibrio che, in assenza di provvedimenti correttivi, porterà lo Strumento Militare nel volgere di pochi anni, verso l’asfissia operativa».

«Nessuno vuole l’Eurofighter»
Scopertamente provocatorio l’intervento del gen. c.a. Fabio Mini, che ha attaccato l’impostazione della spesa militare come mera sommatoria di programmi tutti giustificati, utili e razionali. Quello che Mini definisce il «totale di Totò», rifacendosi alla battuta del comico napoletano secondo cui «è la somma che fa il totale», non sarebbe più adatto a sistemi complessi, nei quali bisogna valutare l’apporto dei programmi in termini di qualità e capacità di moltiplicare l’efficacia del sistema piuttosto che di aggiungere funzioni. In ciascuna forza armata prevarrebbe la tentazione di fare tutto da sola e meglio. Ma la domanda da porsi non è, secondo Mini, «posso fare meglio?» quanto piuttosto «sto facendo la cosa giusta?». La risposta, per il relatore, è no. In netto contrasto con la posizione prevalente, Mini tende a vedere nei marescialli dei portatori di esperienza da trattenere. La "compattazione" del grado sul terreno fa sì che il maresciallo sia comunque impiegato come un soldato, ma percependo lo stipendio che si fa fatica a dare al soldato. Se riduzione vi deve essere, che sia su un lungo arco di tempo. Controcorrente anche l’analisi dei singoli programmi. Mini non salva né il semovente PzH 2000 («non sembra un sistema in linea con la tendenza alla mobilità, alla trasportabilità e alla "leggerezza" che caratterizza l’attuale evoluzione delle forze»), né l’Eurofighter («tutti dicono che non serve, non lo vuole nessuno e ha bisogno di adeguamenti continui») né il Cavour e le due Orizzonte (definite «piattaforme d’immagine» che «hanno finito col prosciugare gran parte delle risorse, tanto che non c’erano più soldi per le FREMM») e così via con il cingolato Dardo, i missili SAMP/T e MEADS, la brigata digitale e persino il C-27J («aereo bellissimo, ma che ci costa un occhio» ed i cui costi di sviluppo «non si ammortizzeranno mai»).

«Dopo Vicenza, Cameri?»
«Il quadro di Mini non risponde alla realtà attuale perché ce lo siamo lasciato alle spalle da anni», ha ribattuto Di Paola, chiamato direttamente in causa. «Forse Mini pensa di vendere la fontana di Trevi agli americani, però non ci sono nemmeno più gli americani che la comprano». La coerenza, spiega, «si può avere solo se ci si dice con cosa si deve essere coerenti», che sia l’Europa o il Burundi. Ma, a parte questa difesa non senza una punta di asprezza, il dibattito ha ruotato attorno ai due temi principali del personale e della comunicazione. Partendo dall’irriverente ma diffusa definizione di «marescialli con la panza», Cossiga lo ha definito «un problema sociale di trentamila persone che hanno già dato 15-20 anni di vita al servizio del paese senza che nessuno spenda qualcosa per loro». Di qui, anche in considerazione delle 120-150.000 persone famiglie comprese toccate dal problema, la proposta di un intervento straordinario. Opposta la posizione di Mini, mentre il gen. c.a. Filiberto Cecchi, capo di Stato Maggiore dell’Esercito, e l’ex sottosegretario alla Protezione Civile Giuseppe Zamberletti hanno espresso più di un rimpianto per la leva. Per Pinotti il problema difesa è anche un problema di comunicazione che richiede l’impegno delle due parti, politica e militare, per aumentare la comprensione dei meccanismi. «Mi ha colpito il ciclo di 40 anni dei programmi, perché quello della politica è drammaticamente incerto. Ecco la prima discrasia». Il non parlare delle cose fa sì che non si conoscano, fino a rendere la cittadinanza «poco consapevole di quelle che sono le difficoltà e le esigenze reali». Un problema che vale anche per le persone serie come il ministro della Difesa Arturo Parisi, al quale Pinotti imputa una comunicazione «disastrosa» sul bilancio della difesa, nonostante la disponibilità del centro-sinistra non solo ad aumentare la spesa ma anzi a mettere i soldi proprio sui programmi più critici, come il JSF. «Senza un’adeguata comunicazione, dopo Vicenza rischiamo di avere Cameri». Ma l’aumento era necessario, ha spiegato la presidente della commissione difesa, anche perché era necessario pagare i ratei dei programmi internazionali senza incorrere nelle penali e senza continuare a chiedere all’industria di sopperire. «Se tutti i leader della sinistra mi dicono che la missione in Libano va bene, allora bisogna anche assumersi la responsabilità di mandare le truppe con tutto quello di cui hanno bisogno per operare in sicurezza». Un quadro largamente condiviso, anche se Cossiga non ha mancato di ricordare come la scarsa informazione dei parlamentari sia un fenomeno molto particolare, dato che su ogni programma le commissioni sono chiamate a dare un parere consultivo. Un’occasione informativa spesso perduta, dato che i parlamentari spesso si limitano a prendere atto delle richieste. «Se i militari sottoponessero al Parlamento l’acquisto di mongolfiere per la difesa contro i missili balistici, la commissione Difesa lo approverebbe». Una garbata provocazione alla quale Di Paola risponde in chiusura con una battuta che è un auspicio di sempre maggiore collaborazione: «Certo che se noi vi proponiamo le mongolfiere e voi ce le approvate è un bel casino!»