Foglio di Collegamento n. 148 - Assemblea di Firenze del 20 maggio



FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO

DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

Numero  148  -  Marzo 2007

Sommario:

Convocazione dell'Assemblea ordinaria dei Soci
		Pag.	          1
Addio ad Anthony Nealy
			          2
Volete rilevare un'Onlus? "Spring for Summers" passa il testimone
				          4
Kaine oppone il veto all'espansione della pena di morte
			          5
Fallisce il tentativo di abolire la pena di morte in Maryland
				          5
Eseguita in Iraq la quarta impiccagione eccellente
				          6
Nuova offensiva contro i detenuti in cerca di pen pal
				          7
Le Commissioni militari cominciano da un caso non capitale
				          8
Confessioni di detenuti di 'alto valore' e torture
				          9
La tragica storia di Leo Herrera narrata dalla sorella
			        11
Gerald ha bisogno di conforto
				        12
Richiesta di corrispondenza in lingua spagnola
			        12
Notiziario: Argentina, Texas, Usa
				        13


CONVOCAZIONE DELL'ASSEMBLEA ORDINARIA DEI SOCI

L'Assemblea ordinaria dei Soci del Comitato Paul Rougeau è convocata per
domenica 20 maggio 2007 alle ore 10:00.  L'Assemblea si terrà in Firenze
presso l'abitazione di Loredana Giannini, Via Francesco Crispi, 14.
L'ordine del giorno è il seguente:
1. Relazione sulle attività svolte dopo l'Assemblea del 4 giugno 2006;
2. situazione iscritti al Comitato Paul Rougeau, gestione dei soci;
3. illustrazione ed approvazione del bilancio per il 2006;
4. revisione delle quote associative;
5. eventuali dimissioni dal Consiglio direttivo ed elezione di membri del
Consiglio direttivo per rico-prire i posti vacanti.
Eventuale breve sospensione dei lavori per consentire una riunione del
nuovo Consiglio direttivo e il rinnovo delle cariche sociali.
6. Pubblicazione in lingua originale inglese del libro su Gary Graham
(contatti per i copyright);  
7. collaborazione con Marco Cinque per la diffusione dell'antologia "Poeti
da morire" da lui cu-rata;
8. proposte di invito e ospitalità di Dale Recinella nella primavera del
2008 in alcune località ita-liane;
9. eventuale impegno del Comitato Paul Rougeau a supporto del caso legale
di Gerald Marshall con-dannato a morte in Texas;
10. eventuale raccolta fondi per la difesa legale di Kenneth Foster Jr.;
11. rapporti e collaborazioni con Amnesty International e con altre
organizzazioni abolizioniste, in par-ticolare con l'associazione
"SenzaVoce";
12. discussione delle strategie abolizioniste;
13. discussione, programmazione e approvazione del prosieguo delle attività
in corso; proposte di nuove attività da parte dei soci, programmazione ed
approvazione delle stesse;
14. proposte rivolte ai nuovi iscritti di collaborare attivamente in
iniziative consone alle loro rispet-tive possibilità ed esperienze;
15. adesione ideale di personalità e di organizzazioni al Comitato Paul
Rougeau;
16. raccolta fondi e allargamento della base associativa;
17. varie ed eventuali.
Firmato: Maria Grazia Guaschino, Presidente del Comitato Paul Rougeau

AVVERTENZE:

La fine dei lavori è prevista per le ore 17 circa.
Il luogo dell'Assemblea è raggiungibile dalla Stazione di Santa Maria
Novella anche a piedi in 20'. Percorso: Stazione, Via Nazionale, P.zza
Indipendenza, Via S. Caterina d'Alessandria. Arrivati all'in-crocio col
Viale S. Lavagnini lo si attraversa al semaforo e si prosegue lungo Via A.
Poliziano che si percorre interamente, fino a sboccare in Viale Milton, in
corrispondenza di un ponte sul Mugnone. Si attraversa il ponte e si giunge
in Via XX Settembre;  si gira a sn costeggiando il Mugnone fino ad
incro-ciare, sulla ds, Via Crispi. Si gira dunque a ds e si percorre Via
Crispi fino al n°14.
Per chi preferisce l'autobus, dalla stazione  le linee utili sono: 4
(direzione Poggetto, scendere in Via dello Statuto, parallela alla vicina
Via Crispi ); 13 (dir. Piazzale Michelangelo, scendere in Via XX
Settembre); 28 (dir. Sesto), scendere in Via dello Statuto. Tutti questi
autobus si prendono alla fermata che si trova all'uscita della stazione dal
lato sinistro, lato dove si trova la farmacia della stazione.
Pernottamento: Coloro che vogliono pernottare a Firenze ci devono informare
QUANTO PRIMA della propria venuta in maniera da riservare per tempo le
camere necessarie.
Per una migliore organizzazione, vi preghiamo di avvertirci in ogni caso
delle vostra  partecipazione an-che se non intendete pernottare a Firenze.
Per tutte le informazioni organizzative e per prenotare il pernottamento a
Firenze contattate subito Loredana Giannini: tel. 055 485059 - o inviate un
messaggio email a prougeau at tiscali.it


ADDIO AD ANTHONY NEALY

Dando forma e parole al proprio dolore, Francesca Gemma ha scritto una
toccante 'lettera di addio' al suo grande amico Anthony ucciso dallo stato
del Texas il 20 marzo scorso. Pubblicare la lettera ci sem-bra il miglior
modo di ricordare Chales Anthony Nealy, lo facciamo  ringraziando Francesca
di aver voluto condividere con noi i suoi sentimenti.

L'anno scorso, molti soci e simpatizzanti del Comitato Paul Rougeau si sono
mobilitati su proposta di Francesca Gemma per scongiurare l'esecuzione di
Charles Anthony Nealy programmata in Texas per il 16 novembre. Francesca,
che ha stretto una profonda amicizia con Anthony sette anni fa, si è
impegnata intensamente per aiutalo, promuovendo infine una petizione in suo
favore attraverso la mailing list del Comitato. Abbiamo tutti tirato un
sospiro di sollievo il 13 novembre - tre giorni prima del momento fa-tidico
- quando l'esecuzione di Anthony Nealy è stata sospesa a tempo
indeterminato perché un testi-mone d'accusa aveva ritrattato. Purtroppo la
corte competente ha successivamente ritenuto non credibile la ritrattazione
di Memphis Nealy, nipote di Anthony, e, con solo due settimane di anticipo,
una nuova e definitiva data di esecuzione è stata fissata per il 20 marzo
scorso. Quel giorno il condannato ha mo-strato grande coraggio e dignità
nel fronteggiare la morte data dagli uomini.
   Charles Anthony Nealy è stato tormentato a lungo dai "tecnici"
incaricati di ucciderlo. Anthony ha ri-ferito che costoro hanno impiegato
venti minuti per trovare nella sua carne vene utilizzabili per l'iniezione
letale. Lo ha detto sul lettino dell'esecuzione quando ha rilasciato
un'ampia dichiarazione finale, esprimendo affetto e riconoscenza per i
parenti e gli amici che gli sono stati vicino in questi anni, con l'invito
pressante a non piangere per lui. Ha poi denunciato aspramente la condotta
dell'accusa che ottenne la sua condanna capitale nel 1998.


	Roma, 28 marzo 2007
Dear king Ant, 
                         le mie lettere per te le ho sempre iniziate così,
e stavolta non sarà diversa dalle altre. In questi anni, mio caro Anthony,
siamo riusciti anche a sceglierci un soprannome, speciale per noi, come
speciale è stata la nostra amicizia. E ora sei morto. Ti hanno ucciso,
proprio come avevano stabilito. E niente li ha fermati. E nessuno è
riuscito ad impedire questo assassinio.
   Ho provato a scrivere, in questi giorni, per esprimere i miei sentimenti
e le mie sensazioni riguardo alla tua morte, ma è stato necessario far
passare del tempo, perché la rabbia e la delusione sono grandi.
   Mi manchi. Sembra strano, ma è proprio così. Io la tua assenza la sento.
Percepisco che quel legame che mi legava a te ha subito un cambiamento. Un
cambiamento definitivo.
   Mio dolce Anthony, cosa ti hanno fatto? Cosa mi hanno fatto? Hanno
ucciso una persona, ma hanno anche ucciso una speranza, un cuore che
batteva e un uomo che urlava il suo bisogno di amore e di giu-stizia.
   Sono tanto triste. E il pensiero di te mi accompagna ogni minuto, come è
stato dal primo giorno in cui le nostre vite si sono incrociate. E mi hai
regalato emozioni fortissime, e irripetibili. Mi hai dato la pos-sibilità
di vivere sulla linea che separa il bene dal male, che divide i buoni dai
cattivi, l'amore dall'odio, il perdono dalla vendetta. Mi hai fatto
conoscere una realtà incredibile, al di fuori da ogni mio sospetto, da ogni
mia immaginazione, sia nel bene che nel male. Mi hai fatto conoscere te,
persona speciale e in-sostituibile, e mi hai circondato di persone che
dedicano la loro vita ad aiutare chi, come te, ha le ali le-gate e non può
più volare, ma che non desidera altro. E allo stesso tempo mi hai fatto
conoscere la realtà del braccio della morte, con le sue assurdità e le sue
innegabili aberrazioni. Mi hai coinvolto e travolto in questo vortice di
vita e di morte, ma non mi hai mai lasciata da sola, non mi hai mai fatto
sentire ina-deguata, nemmeno per un istante.
   Non potrò mai dimenticare la prima lettera che ho ricevuto da te, nel
gennaio del 2000: che grande emozione ho provato! Non sapevo altro se non
il tuo nome, ma sentivo che nulla era accaduto per caso. E poi, quanto è
stato bello incontrarti, la prima volta, occhi negli occhi, seduti una di
fronte all'altro, a pochi centimetri di distanza. E sentire il tuo respiro,
e le tue risate, ma anche vedere le tue lacrime e ascoltare le tue
richieste di aiuto. E poi che emozione l'ultima volta! Già, il nostro
ultimo incontro, a ottobre, solo 5 mesi faŠ e ora non ci sei più. Non
riesco ancora a crederci. Ci siamo detti un sacco di cose, e ci siamo
scambiati tanti sorrisi. Eravamo così a nostro agio insieme, che le 4 ore
sono volate. E poi non ci hanno nemmeno permesso di vederci il giorno dopoŠ
già, i permessi, le suppliche, le implo-razioniŠ ora sei libero da questo
mondo in cui hai sempre dovuto giustificarti e difenderti, da tutto e da
tutti. Perché il pregiudizio e la discriminazione hanno vissuto al posto
tuo, e non sei stato lasciato libero di far fruttare i tuoi doni, i tanti
doni e le tante qualità che io, in soli 7 anni, ho trovato in te.
   Non riesco a credere che non riceverò mai più una tua lettera, e che non
potrò più scriverti, e mandarti le foto, e i bigliettini. E non dovrò più
mettermi a fare oggettini da vendere per teŠ e sai qual è la cosa più
strana in tutta questa situazione? Che anche se siamo sempre stati a non so
quanti chilometri di di-stanza, sento un vuoto dentro di me che mi devasta.
La tua morte è anche un po' la mia, perché sento il peso di non aver fatto
di più, di non aver cercato altre strade. Ma la lotta era impari. Tu sei
morto per l'indifferenza della gente, per la mancanza di coscienza. E
contro questo solo il Signore può intervenire.
   In questi giorni sto piangendo molto, perché eri parte della mia vita e
ti avrei voluto con me per sem-pre, ma mi rendo conto che la tua vita negli
ultimi otto anni è stata una vita sospesa, ed è quindi giusto mettere da
parte l'egoismo, seppure innocuo, che mi porta a volerti ancora qui, per
lasciarti finalmente LIBERO.
   Io spero con tutto il cuore che tu abbia potuto sentire l'amore infinito
che mi legava a te e spero che tu non abbia sofferto troppo in quei minuti
su quel lettino di morte. Avrei voluto essere accanto a te, per sorriderti
ancora una volta e per confermarti che avevo capito la tua bontà e avevo
sperimentato il tuo grande cuore.
   Sei speciale Anthony, e sarai con me per sempre. Prego Dio che ti possa
ricoprire di tanta serenità in Paradiso, quanta sofferenza hai provato a
causa dell'uomo in questa vita. E sarai felice per sempre.
   Ci rincontreremo Anthony, un giorno, e finalmente ci abbracceremo e
staremo a chiacchierare e pas-seggiare per l'eternità.
   Ti penso amico mio. My king forever.    Francesca


VOLETE RILEVARE UN'ONLUS?  "Spring for Summers" PASSA IL TESTIMONE

La nostra amica Caterina Calderoni ci ha chiesto di divulgare a gruppi che
stanno sostenendo un con-dannato alla pena capitale il seguente annuncio
riguardante la cessione gratuita della struttura legale dell'associazione
O.N.L.U.S "Comitato di Difesa Condannato a Morte". Caterina e Susanna non
vo-gliono chiudere l'associazione attraverso la quale hanno operato in
favore di Gregory Summers, ucciso dallo stato del Texas il 25 ottobre
scorso, bensì passarla a chi la può utilizzare al meglio.

Il comitato di difesa italiano "Spring for Summers" a difesa di Gregory
Summers, condannato a morte in Texas e 'giustiziato' il 25 ottobre scorso,
si è costituito all'inizio del 1998. In seguito, esso si è for-malizzato
nell'associazione O.N.L.U.S "Comitato di Difesa Condannato a Morte". Tale
associazione era stata inizialmente fondata dal comitato di difesa italiano
di Domingo Cantu, ucciso alla fine del 1999 dallo Stato del Texas. In
seguito all'esecuzione di Domingo, i suoi sostenitori italiani, pensando
che la struttura dell'associazione potesse ancora servire ad altri gruppi,
l'hanno messa a disposizione attraverso un annuncio on-line. Abbiamo così
deciso di cogliere l'occasione di formalizzare e ufficializ-zare l'attività
del nostro comitato, rilevando l'associazione O.N.L.U.S. a sostegno di
Domingo, per avere più visibilità e per meglio promuovere le nostre
iniziative a favore di Greg Summers (raccolta fondi, concerti, incontri,
spettacoli teatrali).
   Ora, con la morte di Greg si è chiuso un fondamentale capitolo della
vita dell'associazione. Nell'ultima assemblea abbiamo deciso e deliberato
di non chiudere ma di passare gratuitamente, a no-stra volta, questa
struttura associativa a chi attualmente sostiene un condannato a morte. La
documenta-zione e i consigli del precedente comitato sono stati per noi una
guida veramente preziosa; ci auguriamo che la nostra esperienza possa ora
essere altrettanto utile ad altri.
   Le persone coinvolte nel comitato "Spring for Summers" continueranno a
titolo individuale la comune battaglia contro la pena di morte. Aver perso
la battaglia per la vita e la difesa di Greg è stato un mo-mento di grande
sconforto personale e collettivo. Ma la tragica conclusione della vicenda
di Greg, con tutti i lati oscuri di un processo ingiusto, ha ribadito
ancora una volta il valore universale della battaglia abolizionista.
L'ostinata speranza che ci ha guidato fino ad oggi ancora ci spinge a
credere che verrà il giorno in cui nessuno più dovrà morire per i propri
errori, veri o presunti.
   Chi fosse interessato a rilevare l'Associazione O.N.L.U.S "Comitato di
Difesa Condannato a Morte", registrata con atto notarile del 17.03.98, può
contattarci ai seguenti indirizzi e-mail:
   Caterina Calderoni - caterina.calderoni at libero.it
   Susanna Chiarenzi - susanna.chiarenzi at fastwebnet.it
   Nel caso di più richieste, daremo la preferenza all'organizzazione che
meglio ci sembrerà corrispon-dere allo scopo associativo e darà le maggiori
garanzie di serietà, efficienza e stabilità.
   Caterina Calderoni e Susanna Chiarenzi, Comitato "Spring for Summers Italia"




KAINE OPPONE IL VETO ALL'ESPANSIONE DELLA PENA DI MORTE

Il governatore della Virginia Timothy Kaine ha posto coraggiosamente il
veto su cinque leggi che estendono l'applicazione della pena di morte,
appena approvate dal parlamento. Il 26 marzo annun-ciando la sua decisione
il governatore ha dichiarato di non ritenere necessario espandere la pena
capitale in uno stato che è già il secondo nel paese per numero di
esecuzioni, sorpassato solo dal Texas.

Si sapeva fin dal tempo della campagna elettorale dell'autunno del 2005,
che il candidato democratico alla carica di governatore in Virginia,
l'avvocato penalista cattolico Timothy M. Kaine, era personal-mente
contrario alla pena di morte. Egli comunque dichiarava di sentirsi
impegnato ad applicare questa pena in osservanza della legge. Aveva anche
promesso che non avrebbe imposto una moratoria delle esecuzioni (v. n. 132,
"Pena di morte sfruttataŠ").
   Tim Kaine ha vinto la competizione elettorale nonostante le speculazioni
politiche populiste del suo avversario repubblicano Jerry W. Kilgore che si
è sforzato di apparire un entusiasta delle pena capitale in uno stato
notoriamente forcaiolo.
   Kaine, divenuto governatore all'inizio del 2006, ha consentito che si
portassero a termine 4 esecuzioni in due anni. Ma il suo carattere è venuto
fuori alla conclusione dell'ultima tornata legislativa in cui il parlamento
della Virginia ha approvato ben cinque leggi che estendono l'applicazione
della pena di morte. Abbiamo già messo in evidenza la più grave tra queste
leggi, quella che abolisce la 'triggerman rule' cioè la norma che consente
di infliggere la pena di morte soltanto all' 'uomo che tira il grilletto',
in pratica a chi commette materialmente un omicidio (v. n.  147,  "Molti
stati negli USA estendonoŠ").
   Utilizzando senza esitazioni le sue prerogative, il 26 marzo Kaine ha
posto molto coraggiosamente il veto a tutte e cinque le leggi che aumentano
le fattispecie di reato capitale. 
   In una conferenza stampa indetta per annunciare la sua decisione Timothy
Kaine ha affermato di non ritenere che l'espansione della pena di morte sia
necessaria per proteggere la vita umana o per la sicu-rezza pubblica in uno
stato che già compie un gran numero di esecuzioni (96 esecuzioni compiute
dal 1976), secondo solo al Texas (che ne ha compite 387 nello stesso
periodo).
   Le organizzazioni per i diritti civili della Virginia hanno salutato con
grande soddisfazione il gesto di Kaine invitando il pubblico a
congratularsi con il governatore.
   Il vice governatore Bill Bolling e il  Ministro della giustizia Bob
McDonnell, entrambi repubblicani, si sono invece dimostrati fortemente
critici del gesto di Kaine. Lo stesso hanno fatto diversi parlamentari,
promettendo di battersi affinché, in nuove votazioni con la maggioranza
qualificata dei 2/3 in ognuno dei rami del parlamento, i veti del
governatore vengano superati.
   Si ritiene che, in ogni caso, almeno il veto più importante, quello
sulla legge e che abolisce la 'triggerman rule', non possa essere annullato
con il raggiungimento di una tale maggioranza.


FALLISCE IL TENTATIVO DI ABOLIRE LA PENA DI MORTE IN MARYLAND

Con l'autorevole appoggio del governatore Martin O'Malley, la proposta di
abolire la pena di morte in Maryland ha fatto molta strada nei mesi scorsi,
attraverso una serie di dibattiti e di audizioni.  Avrebbe tra l'altro
risolto una difficile impasse: la Corte di Appello dello stato ha bloccato
in dicembre le esecu-zioni ritenendo inaccettabile l'applicazione del
metodo dell'iniezione letale attualmente in vigore. Pur-troppo una
votazione in commissione al Senato ha fermato, per un solo voto, il cammino
della legge.

Il 15 marzo con una votazione 5 a 5 in commissione al Senato, la legge cha
avrebbe abolito la pena di morte nel Maryland è stata di fatto bloccata.
Risultano così vanificati gli sforzi di approfondimento del problema in
dibattiti ed audizioni, le attività di lobbying degli abolizionisti
religiosi e laici nonché di molte autorità convinte che sia arrivato il
momento di superare l'istituzione della pena capitale in questo stato
particolarmente avanzato in cui solo il 57% dei cittadini è ancora
favorevole al suo mantenimento (contro la media nazionale del 66%).
   La 'colpa' dell'insuccesso, se così si può dire, è del senatore Alex X.
Mooney. Repubblicano ma de-voto cattolico, ci si aspettava che desse il
voto necessario al passaggio della legge. Costui invece - dopo aver tentato
invano di mantenere la pena di morte per una ristrettissima categoria di
criminali - non se l'è sentita. "Ho deciso che una piena ed assoluta
abolizione della pena di morte in tutte le circostanze non è nel miglior
interesse del bene comune dei cittadini del Maryland" ha detto.
   Anche se il parlamento del Maryland ha in questi anni più volte
considerato l'abolizione della pena di morte, questa volta l'occasione era
particolarmente favorevole perchè vi è l'esigenza di superare un'impasse
sul piano legale: per una decisione della Corte d'Appello presa in
dicembre, non si possono più effettuare esecuzioni nello stato del Maryland
fino a che il parlamento non affronti il problema della liceità del metodo
dell'iniezione letale attualmente previsto e detti precise linee guida per
le esecuzioni. Un tentativo di superare tout court  con una legge il
divieto della Corte d'Appello è stato bocciato in commissione alla Camera
dei Rappresentanti.  Così rimane in vigore una moratoria di fatto che non
sembra possa essere superata con un accordo in un senso o nell'altro.
   Il governatore Martin O'Malley, rimasto assai deluso dal fallimento del
tentativo di abolire la pena ca-pitale, per il quale si era nobilmente
speso in prima persona, è ora costretto a trovare un modo per sbro-gliare
una situazione apparentemente inestricabile. Non è però pensabile che egli
si voglia impegnare per consentire una ripresa delle esecuzioni dato che è
profondamente contrario alla pena capitale. Te-stimoniando sia in uno che
nell'altro ramo del parlamento ha infatti definito la pena capitale
"intrinse-camente ingiusta" e incapace di scoraggiare il crimine.


ESEGUITA IN IRAQ LA QUARTA IMPICCAGIONE ECCELLENTE

Come previsto, l'ex vice presidente dell'Iraq Taha Yassin Ramadan è stato
impiccato il 20 marzo a Baghdad, subito dopo la conferma della sua condanna
a morte da parte della stessa corte d'appello che l'aveva sollecitata.
Questa esecuzione, che il governo iracheno ha evitato di spettacolarizzare
nei media così come era avvenuto per l'uccisione di Saddam Hussein, ha
suscitato una minore reazione nell'opinione pubblica mondiale. E pure è
stata - se possibile - ancora più ingiusta di quelle di Saddam e degli
altri due coimputati che lo hanno preceduto sul capestro.

Il 15 marzo la 'Camera d'Appello' cioè la corte di appello dell'Alta Corte
dell'Iraq (il tribunale speciale deputato a giudicare gli esponenti del
regime di Saddam Hussein), ha confermato all'unanimità, come previsto,  la
condanna a morte dell'ex presidente Taha Yassin Ramadan pronunciata il 12
febbraio per il suo asserito coinvolgimento nella sanguinosa repressione
scatenata da Saddam Hussein nel villaggio di Dujail nei primi anni Ottanta
(v. n. 147).   
   Il giudice Munir Haddad ha sentenziato: "Dopo aver verificato il caso,
la corte d'appello giudica che l'inasprimento della sentenza dell'ergastolo
in una sentenza di morte da parte dell'Alta Corte dell'Iraq è in accordo
con quanto la legge prevede, pertanto la corte d'appello decide di
confermare la sentenza di morte contro il criminale Taha Yassin Ramadan." 
   Questa ingiusta quanto lapalissiana decisione non stupisce: infatti era
stata la stessa Camera d'Appello a  richiedere l'inasprimento della
sentenza! Indigna invece la normativa che rende il tribunale speciale e
l'annessa 'Camera d'Appello' un unico efficiente meccanismo di morte a
disposizione del potere ese-cutivo iracheno (ed americano), atto a sfornare
con rapidità e sicurezza sentenze capitali al termine di processi iniqui,
senza una seria possibilità di appello e privando perfino il Presidente
dell'Iraq della tra-dizionale facoltà di concedere la grazia.
   "Date le gravi irregolarità nel processo," aveva affermato Sara
Darehshori di Human Rights Watch. "Non c'è dubbio che l'imposizione della
pena di morte in questo caso è errataŠ Si suppone che la Camera d'Appello
debba correggere gli errori del processo, non aggiungerne altri".
   Dopo di ciò, non essendoci più scappatoie per il condannato all'infuori
di un impensabile (anche se doveroso) rifiuto degli Americani che lo
detenevano di consegnarlo ai boia iracheni, non rimaneva che far congetture
sul giorno scelto dal sanguinario Primo Ministro iracheno al-Maliki per far
ammazzare Ramadan.
   Il condannato ha vissuto solo altri quattro giorni. E' stato impiccato
prima dell'alba del giorno 20. Nella massima riservatezza. Eventuali orrori
del tipo di quelli occorsi ed ostentati in occasione delle esecuzioni di
Saddam e di suoi due ex collaboratori sono stati risparmiati al grande
pubblico.
   Un comunicato governativo ha reso noto che l'esecuzione è avvenuta alle
3 e 5' di notte, alla presenza dei rappresentanti del Ministro della
Giustizia e del Ministro degli Interni, di un delegato del Primo Ministro
Nuri Kamal al-Maliki, di un giudice dell'Alta corte, dell'accusatore Jaafar
al-Musawi e dell'avvocato difensore di Ramadan. Il rappresentante di
Maliki, Bassam Ridha, non si è potuto tratte-nere dal render noto, con un
certo sadismo, che nell'imminenza dell'impiccagione Ramadan non era
tranquillo, anzi spaventato, terrorizzato, veramente terrorizzato, e che è
collassato. 'Sapete che cosa prova un uomo quando sta per essere
giustiziatoŠ'
   In parte per una certa assuefazione alle ricorrenti impiccagioni di
Bagdhad, in parte per il riuscito sforzo del governo iracheno di non
spettacolarizzare nei media l'esecuzione di Ramadan, questa quarta
esecuzione eccellente ha suscitato pochissimo scalpore nell'opinione
pubblica mondiale. Eppure l'uccisione dell'ex vice presidente iracheno è
stata - se possibile - più ingiusta delle tre precedenti. In-fatti, come
hanno notato le organizzazioni per i diritti umani, è da ritenere che il
coinvolgimento - asse-rito ma non provato - di Ramadan nei crimini commessi
dal 1982 in poi durante la repressione nel vil-laggio di Dujail sia assai
più tenue di quello dei coimputati.


NUOVA OFFENSIVA CONTRO I DETENUTI IN CERCA DI PEN PAL

A tutti i detenuti delle prigioni statali del Missouri è stato imposto, a
scanso di provvedimenti discipli-nari, di far rimuovere entro il 1° giugno
dai siti web i loro nomi e i loro annunci di richiesta di pen pal. I
detenuti sono stati parimenti ammoniti a non tentare in futuro di far
pubblicare annunci in rete. Sia il Dipartimento di Correzione che il
pubblico dovranno vigilare per assicurare il rispetto della disposi-zione.
Il fallimento di analoghe iniziative prese in passato in altri stati e la
palese incostituzionalità della disposizione fanno sperare che dopo un
periodo di incertezza e di confusione tutto ritornerà come prima.

Dopo l'insuccesso in diversi stati nordamericani di vari tentativi di
sabotare i rapporti tra i detenuti e i loro sostenitori al di fuori del
carcere e in particolare dopo il clamoroso fiasco dell'Arizona che nel 2000
promulgò una legge che vietava ai detenuti del braccio della morte di
comparire in siti web per la ricerca di corrispondenti - legge che visse
solo tre anni, senza produrre effetti pratici, prima di essere di-chiarata
incostituzionale da una corte federale - ci riprova ora il Missouri.
   Questa volta non è stata approvata una legge ma semplicemente emanata
una disposizione ammini-strativa. Si tratta di un provvedimento del
Dipartimento di Correzione del Missouri rivolto non solo ai condannati a
morte ma a tutti i prigionieri delle prigioni statali.  A 29 mila detenuti
è stata spedita nella prima decade di marzo una lettera in cui si dice che
dal 1° giugno è bandita per loro la possibilità di sollecitare pen pal da
siti web. La lettera ricorda ai detenuti che è responsabilità di ciascuno
di assicu-rare che il proprio nome e gli annunci siano rimossi dal web, se
si è membri di un sito che sollecita pen pal.  A chi ometterà di far questo
o in futuro tenterà di far pubblicare annunci in siti che richiedono pen
pal, sarà contestata una violazione disciplinare. Il Dipartimento di
Correzione, che vigilerà sui siti  per assicurare il rispetto del divieto,
invita chiunque venga a conoscenza di una tale attività 'fraudolenta' a
denunciarla collegandosi al sito web del Dipartimento stesso.
   Il motivo addotto per il provvedimento - raccomandato da un apposito
Comitato insediato nel 2005 - sarebbero le truffe perpetrate dai criminali
ai danni del pubblico.
   "Nel corso della nostra ricerca, abbiamo identificato numerosi criminali
che, per mezzo di ingannevoli messaggi e foto, hanno sollecitato migliaia
di dollari da individui ed hanno posto in essere altri modi creativi e
decisi di defraudare il pubblico," ha dichiarato Lisa Jones che presiede il
'Comitato contro le frodi dei detenuti' creato dal Dipartimento di
Correzione. 
   E' comprensibile l'allarme suscitato dalla lettera giunta a metà marzo
ai prigionieri del Missouri - in particolare tra i condannati a morte e i
loro sostenitori esterni.  Tuttavia le grandi difficoltà pratiche di
realizzare la censura proposta, nonché la precedente esperienza
fallimentare dell'Arizona (v. nn. 74, 132) dovrebbero tranquillizzare gli
interessati. Ad ogni buon conto organizzazioni per i diritti civili stanno
già muovendosi per attaccare per vie legali la disposizione impartita dal
Dipartimento di Corre-zione del Missouri.
LE COMMISSIONI MILITARI COMINCIANO DA UN CASO NON CAPITALE

Dopo quasi sei anni dalla loro istituzione, le tristemente famose
Commissioni Militari designate a pro-cessare i 'nemici combattenti' degli
Stati Uniti hanno cominciato a lavorare a Guantanamo giudicando il
cittadino australiano David Hicks che fu catturato dalle forze
dell'Alleanza del Nord durante la guerra in Afghanistan nel 2001 e passato
agli Americani. Nei confronti di Hicks - anche per le pressioni
di-plomatiche australiane -  il governo Bush ha deciso di non chiedere la
pena di morte. Il 1° marzo David Hicks è stato incriminato di 'sostegno
materiale al terrorismo,' un'accusa che secondo il Militaty Commissions Act
è da considerarsi 'crimine di guerra'.  Il 26 marzo, nel corso di
un'udienza burrascosa e dopo un'interruzione di alcune ore, il detenuto si
è dichiarato colpevole di uno dei capi d'accusa in cambio di una drastica
riduzione della pena che altrimenti sarebbe potuta arrivare all'ergastolo.
Si pre-sume che - per effetto del patteggiamento - Hicks potrà tornare
libero nel giro di un anno dopo aver scontato un residuo di pena in
Australia. E' quasi certo che l'esito relativamente benevolo del processo
contro Hicks consegua alle pressioni del governo australiano sugli USA.
Anche David Hicks - come tanti altri detenuti che sono riusciti a farlo
direttamente o tramite i loro avvocati -  denuncia di essere stato
torturato e di aver assistito a torture nei riguardi di altri prigionieri.

Il 1° marzo il Pentagono ha presentato, nei riguardi del cittadino
australiano David Hicks detenuto a Guantanamo, l'imputazione di aver
fornito 'supporto materiale al terrorismo', reato che secondo il Military
Commissions Act approvato in settembre (v. n. 142) è da considerarsi
crimine di guerra. Il primo detenuto ad essere giudicato dalle famigerate
Commissioni Militari a Guantanamo si è visto così risparmiare le più gravi
incriminazioni di tentato omicidio, cospirazione ed aiuto al nemico,
preparate dall'accusa in precedenza. Hicks non è accusato di aver sparato
sugli Americani nel  conflitto Afgano - nel corso del quale fu fatto
prigioniero dall'Alleanza del Nord e poi passato agli Americani - bensì
sa-rebbe reo confesso di aver incontrato Osama Bin Laden e di aver fatto la
guardia all'ambasciata USA a Kabul abbandonata.
   La prima udienza, quella in cui l'imputato doveva dichiararsi colpevole
o innocente si è tenuta il 26 marzo. Hicks e i suoi legali sono stati
incerti fino all'ultimo sulla dichiarazione da rendere. L'udienza è
cominciata in modo burrascoso perché il giudice presidente ha impedito a
due dei tre membri del colle-gio di difesa di agire.
   Hicks è arrivato in aula tenuto sotto le braccia da due guardie che
hanno posto le sue mani sul tavolo riservato alla difesa prima che una
terza guardia gli spingesse sotto una sedia facendocelo sedere. Non gli è
stato consentito di alzarsi in piedi quando è entrato il giudice
presidente, colonnello Ralph Kohlmann. Costui ha cominciato col sentenziare
che Rebecca Snyder, assistente del maggiore Michael Mori, avvocato militare
d'ufficio, non poteva far parte della difesa, almeno per il momento, perché
non era un militare in servizio. Il giudice ha inoltre impedito
all'avvocato civile di fiducia Joshua Dratel di assumere la difesa perché
si è rifiutato di firmare delle carte che avrebbero dovuto limitare la sua
auto-nomia in conseguenza delle regole che governano le Commissioni
Militari, regole peraltro ancora non ben definite.
   Respinte una serie di contestazioni, il giudice Kohlmann ha sospeso
l'udienza onde consentire un patteggiamento tra accusa e difesa. Le parti
sono state riconvocate in aula dopo tre ore, alle 8 di sera, essendosi
maturato un accordo.(*) L'imputato si è riconosciuto colpevole (di una
parte) dell'accusa contestatagli. Da una fonte australiana si è saputo che
in cambio di ciò gli verrà irrogata una pena de-tentiva lieve, poco
superiore alla detenzione già scontata. Si tratta di circa cinque anni di
carcere, molto meno della massima pena prevista in un processo non capitale
davanti alle Commissioni Militari, che è l'ergastolo. Si è saputo anche che
un residuo di pena, dopo l'inferno di Guantanamo, Hicks potrà scon-tarlo
nelle più confortevoli carceri australiane.
   In cinque anni, il 'raccomandato' ex cacciatore di canguri Hicks, è
stato l'unico detenuto di Guantanamo ad avere il permesso di incontrare i
propri familiari.
   L'esito dell' 'affare' Hicks appare una diretta conseguenza delle
pressioni esercitate sull'amministra-zione americana dal governo
australiano che in precedenza aveva già ottenuto la pro-messa di un
pro-cesso non capitale per il proprio concittadino. In particolare, la
svolta sarebbe conse-guita da accordi presi nel corso della recentissima
visita di Dick Cheney al Primo Ministro australiano John Howard, du-rante
la quale il vice presidente americano è stato messo sotto pressione da
Howard e da diversi parla-mentari che chiedevano di porre termine al 'limbo
legale' di David Hicks.
   E' doveroso aggiungere che in una dichiarazione giurata depositata
presso la corte, Hicks ha denun-ciato che fu malmenato più volte durante
gli interrogatori e che ha assistito ad abusi compiuti nei ri-guardi di
altri detenuti. Prima del suo trasferimento a Guantanamo gli Americani
scaraventarono lui, come altri detenuti, a terra, gli camminarono sopra, lo
spogliarono nudo, lo depilarono integralmente e gli inserirono un oggetto
di plastica nel retto. Gli abusi cominciati già durante i primi
interrogatori in Afghanistan, continuarono quando egli fu trasferito da una
nave militare all'altra, tra aerei ed edifici sconosciuti ed infine a
Kandahar, prima di divenire uno di coloro che inaugurarono il campo di
Guantanamo. A Guantanamo, Hicks non è stato più picchiato bensì sarebbe
stato sottoposto sistemati-camente a misteriose iniezioni che influivano
sul suo stato mentale. Una volta vide un detenuto con una sola gamba
assalito da una squadra speciale che conduceva dei cani. L'uomo fu estratto
dalla sua cella col volto insanguinato lasciando del sangue sul pavimento.
Hicks ne fu tanto spaventato da decidere di collaborare al massimo, da
allora in poi, con gli Americani.
   J. D. Gordon, portavoce delle Commissioni Militari, ha smentito le
accuse di Hicks definendole false e destituite di ogni fondamento.
Nonostante ciò esse rimangono perfettamente plausibili, perché coe-renti
con quanto sono riuscite a denunciare, direttamente o tramiti i propri
legali, decine e decine  di persone detenute dagli Americani nel corso
della cosiddetta 'guerra al terrore".
________
(*) Anche nei confronti di un altro combattente in Afghanistan, l'
"americano talebano" John Walker Lindh, che fu indotto a confessare dietro
minacce di morte e torture, si arrivò ad irrogare, dopo il patteggiamento
in una corte federale, una pena detentiva relativamente contenuta (10 anni
di carcere), v. nn. 92, 94


CONFESSIONI DI DETENUTI DI 'ALTO VALORE' E TORTURE

In margine alle udienze 'amministrative' tenutasi in segreto per la
conferma dello status di 'combattenti illegali' dei 14 prigionieri di 'alto
valore' detenuti a Guantanamo - che avrebbero confessato ampia-mente la
militanza in al-Qaeda e il coinvolgimento in un gran numero di attentati
terroristici -  emer-gono di nuovo pesanti sospetti di torture perpetrate
dalla CIA. Nonostante ciò le confessioni rilasciate a suo tempo e le
attuali dichiarazioni rese durante le udienze amministrative potrebbero
essere usate come prove a carico in futuri processi capitali davanti alle
famigerate Commissioni Militari.

Per ordine del nuovo ministro della difesa degli Stati Uniti, Robert M.
Gates, le udienze amministrative concesse ai 14 detenuti di 'alto valore'
detenuti a Guantanamo  per consentir loro di contestare lo status di
combattenti illegali, si tengono in segreto. Con ciò si è interrotta la
prassi di dare una sia pur limitata informazione indipendente all'opinione
pubblica, attraverso i resoconti della stampa, su questi singolari
procedimenti.  Ora è il Pentagono stesso a comunicare, a sua discrezione,
brandelli di notizie su queste udienze.
   Le udienze per la revisione dello status dei prigionieri di Guantanamo
da parte del 'Tribunale di revi-sione dello stato di combattente' formato
da tre militari, non sono da considerarsi procedimenti giudi-ziari, tanto è
vero che non viene concesso ai detenuti un difensore legale ma soltanto un
consigliere mi-litare. Abbiamo già sottolineato che si tratta
dell'escamotage con cui il governo americano ha deciso di onorare una
sentenza della Corte suprema federale del giugno 2004  (erroneamente
definita 'positiva' da Amnesty International) che aveva affermato il
diritto per i miseri prigionieri di Guantanamo di con-testare la qualifica
di 'nemici combattenti' che viene loro attribuita ad libitum
dall'amministrazione, con ciò destinandoli ad una detenzione illimitata
senza processo (v. nel n. 120 gli art. "Confuso e deboleŠ" e "Una farsaŠ"
).
   Il Pentagono ha fatto sapere che in due o tre udienze in giorni
consecutivi a partire dal 9 marzo sono stati sentiti i casi di almeno tre
detenuti di 'alto valore': il presunto organizzatore degli attacchi dell'11
settembre 2001, Khalid Shaikh Mohammed, e i presunti esponenti di al-Qaeda
Abu Faraj Libbi e Ramzi Binalshibh. Il Pentagono ha altresì rilasciato dei
resoconti - estremamente lacunosi perché censurati 'per ragioni di
sicurezza' -  da cui risulta che i detenuti abbiano confessato i loro
crimini, anzi che si siano abbandonati ad  una vera orgia di 'confessioni'.
   Khalid Shaikh Mohammed  avrebbe confessato di essere l'ideatore degli
attacchi dell'11 settembre 2001 e di una trentina di altri gravi attentati
terroristici, alcuni portati a termine, altri solo progettati. "Sono
responsabile dalla A alla Z delle operazioni dell'11 settembre." Avrebbe
dichiarato qualificando le sue azioni come una campagna militare. "Non sono
felice che 3000 persone siano state uccise in America. Ne sono sempre
addolorato. Non mi piace uccidere bambini e bambinelli." Ha aggiunto: il
linguaggio della guerra sono le vittime. Dopo di ciò Mohammed si sarebbe
spontaneamente attribuito una serie incredibile di attentarti e di progetti
di attentati, alcuni dei quali neanche contestatigli dalla CIA, tra cui
attentati dinamitardi a New York e Londra, piani per assassinare l'ex
presidente Jimmy Carter, Bill Clinton e Giovanni Paolo II. Dalle
trascrizioni diffuse dal Pentagono si apprende che Mohammed ha dichiarato
che alcune delle confessioni fatte alla CIA furono il risultato di torture
ma che ora egli parla liberamente.
   (E' appena il caso di notare che quest'ultima dichiarazione, congiunta
con le precedenti ammissioni, è più che sufficiente per assicurare al suo
autore una condanna capitale in un eventuale futuro processo davanti alla
Commissioni Militari. Tanto più che - secondo il Military Commissions Act e
il Regola-mento attuativo delle Commissioni - basterebbero anche
confessioni ottenute sotto tortura e testimo-nianze per sentito dire, v. n.
142 e n. 146, Notiziario).
   Può sembrare strano - se i resoconti del Pentagono sono fedeli e
veritieri -  che il detenuto abbia fatto queste ammissioni (tra l'altro
poco credibili nel loro insieme). Tuttavia comportamenti di questo genere
si presentano in individui che hanno subito forti e ben studiate pressioni
psicologiche. (*)
   Si ritiene che nelle trascrizioni fornite dal Pentagono sia stata
censurata la descrizione delle torture subite, fatta da Khalid Shaikh
Mohammed.
   Il detenuto di 'alto valore' Walid bin Attash ha invece confessato il 12
marzo di aver progettato l'attacco alla nave militare americana Cole
ancorata nel porto di Aden nello Yemen avvenuto nel 2000, con 17 mariani
uccisi. Anche questo detenuto avrebbe fatto una confessione piena e
sovrabbondante con una dovizia di ammissioni che aggravano la sua
partecipazione. Attash  ha pure confessato di aver te-nuto il collegamento
tra Osama Bin Laden e cellule terroristiche di al-Qaeda in Africa orientale
così come il coinvolgimento per conto di al-Qaeda negli attentati
dinamitardi alle ambasciate americane in Kenya e in Tanzania che nel 1998
fecero almeno 224 morti.
   Le ampie confessioni di Attach sono state accolte con soddisfazione in
ambienti della Casa Bianca che sostengono la tesi della regia di al-Qaeda
in una vasta rete di attentati.
   Da una trascrizione rilasciata dal Pentagono solo il 30 marzo
riguardante l'udienza del giorno 14, ri-sulta che il detenuto Abd al Rahim
al Nashiri, un Saudita di discendenza yemenita, ha invece ritrattato tutto
ciò che, a suo dire, aveva confessato sotto tortura, sia riguardo alla
partecipazione all'attentato contro la nave militare Cole sia riguardo ad
altre attività terroristiche chi si era attribuito. Parlando sotto
giuramento, egli ha detto di aver fatto una lunga lista di disegni
terroristici e di attentati di al-Qaeda a cui avrebbe partecipato, in modo
che i suoi torturatori lo lasciassero in pace, arrivando a 'confessare' che
Osama Bin Laden aveva una bomba nucleare.
   Nashiri ha detto che gli Americani lo torturarono già subito dopo averlo
catturato nel novembre del 2002 negli Emirati Arabi e che le torture
finirono solo quando egli fu tolto dalla custodia segreta della CIA e
trasferito a Guantanamo nello scorso settembre.
   Il Pentagono dal canto suo afferma di avere le prove che Nashiri era un
esperto terrorista con espe-rienza nel campo degli esplosivi e che svolse
effettivamente un importante ruolo nell'attacco alla nave Cole. Nashiri è
anche accusato di essere coinvolto negli attentati dinamitardi alle due
ambasciate statu-nitensi in Africa orientale del'98 e di aver progettato un
attacco contro una petroliera francese nel 2002.
   La CIA non ha voluto commentare le accuse di tortura fatte da Abd al
Rahim al Nashiri, limitandosi a dichiarare per bocca del portavoce Paul
Gimigliano che: "Gli Stati Uniti non usano e non tollerano la tortura e il
programma di interrogazione dei terroristi è stato attuato secondo la
legge, con grande cura e attenta supervisione. Ha prodotto informazioni
vitali che hanno aiutato a far fallire piani e a salvare delle vite." Dal
canto suo il portavoce del Pentagono Bryan Whitman ha assicurato che le
accuse di tortura saranno investigate a fondo.
   La descrizione di Nashiri delle specifiche torture subite, non compare
nelle 36 pagine di trascrizioni dell'udienza rese note; c'è inoltre
un'udienza segreta per la quale non è stata rilasciata alcuna
trascri-zione. Parte dei reclami del detenuto sarebbero stati cancellati
'per ragioni di sicurezza' da funzionari del Governo americano.
__________
(*) Una 'confessione' ampia e poco plausibile, ma utilmente sfruttata
dall'accusa, fu quella di Zacarias Moussaoui il cosiddetto 'ventesimo
attentatore' delle torri gemelle che mancò per un soffio la pena di morte
l'anno scorso (v. nn. 137, 138, 139)


LA TRAGICA STORIA DI LEO HERRERA NARRATA DALLA SORELLA

E' uscito un libro su Leonel Torres Herrera, condannato a morte in Texas,
scritto dalla sorella Norma. Il ricorso Herrera v. Collins è tra quelli che
hanno marcato la storia della pena di morte negli Stati Uniti d'America. Fu
avanzato da Leonel Herrera alla Corte Suprema federale per ottenere che
venissero prese in considerazione nuove prove di innocenza che potevano
scongiurare la sua esecuzione. Il ricorso di Herrera fu respinto a stretta
maggioranza e il condannato subì l'iniezione letale nel 1993.

Il caso di Leonel Torres Herrera è ben noto a tutti coloro che si occupano
di pena capitale (noi ne ab-biamo parlato in varie occasioni, ed anche nel
libro "Muoio Assassinato Questa Notte" perché influì sull'iter giudiziario
di Gary Graham). Adesso la sorella di Leonel, Norma, ha scritto un libro
che docu-menta la tragica e ingiusta vicenda di suo fratello nel braccio
della morte del Texas. (*)
   Nel libro "Last Words From Death Row" ("Ultime Parole dal Braccio della
Morte"), uscito in questi giorni, Norma Herrera ricorda le sofferenze
patite da lei e dalla sua famiglia nel tentativo di liberare suo fratello
Leo dal braccio della morte del Texas prima della sua esecuzione avvenuta
il 12 maggio1993. 
   La Corte Suprema degli Stati Uniti, a partire dal caso di Herrera,
affermò il principio che non vi è di-ritto costituzionale ad un intervento
delle corti federali basato sulla scoperta di nuove prove di effettiva
innocenza, se il processo capitale fu esente da errori procedurali.
Respingendo il ricorso Herrera v. Collins, con 5 voti contro 4, la Corte
suprema degli Stati Uniti, nell'opinione scritta dal Giudice Capo
ultraconservatore William H. Rehnquist, sostenne infatti che Leonel Torres
Herrera non aveva il diritto alla riapertura del suo caso dopo 10 anni
dalla condanna, basandosi solo sull'argomento di una nuova prova di
innocenza. I giudici  conservatori Sandra Day O'Connor e Anthony M. Kennedy
- che per de-cenni hanno costituito l'ago della bilancia nel massimo organo
giudiziario statunitense - sottoscrissero questa opinione aggiungendo che
avevano pochi dubbi sulla colpevolezza di Herrera.
   L'ispanico Leonel Herrera era un veterano decorato nella guerra del
Vietnam e presentava problemi psichici di natura post-traumatica quando fu
incriminato per l'omicidio di due poliziotti ad un posto di blocco. Lo
picchiarono fin quasi a ucciderlo dopo l'arresto. Fu poi rapidamente
condannato a morte da una giuria principalmente costituita da impiegati
negli uffici della polizia o da persone a questi stretta-mente collegate. I
suoi avvocati difensori presentarono, in fase di appello, testimonianze
attestanti che il fratello di Leonel aveva di fatto commesso il crimine e
che alcuni poliziotti locali avevano nascosto volutamente la verità. Uno di
questi avvocati difensori, Robert McGlasson, ha dichiarato: "Davvero, nei
miei quasi 10 anni di pratica legale in casi capitali, non ho mai visto
prove così schiaccianti che dimo-strano non solo l'innocenza del mio
cliente, ma anche l'estremo livello di coinvolgimento da parte del governo
nell'inganno e nella collaborazione ad un crimine".
   Le ultime parole di Leo Herrera, pronunciate sul lettino
dell'esecuzione, furono: "Sono innocente, in-nocente, innocente. Non
abbiate dubbi su questo. Non ho nessun debito con la società. Continuate la
lotta per i diritti umani, aiutando quelli che sono innocenti, specialmente
il signor Graham. Sono un uomo innocente, e qualcosa di molto ingiusto sta
avvenendo stanotte. Dio vi benedica. Sono pronto."
   Leo aveva chiesto alla sorella di narrare la sua storia, e adesso lei ha
realizzato questo desiderio.
   Pensiamo che sia estremamente istruttivo per tutti leggere il libro -
scritto da Norma Herrera basan-dosi su documentazione originale dell'epoca
-  e auspichiamo soprattutto che la sua pubblicazione negli Stati Uniti
possa contribuire a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle storture del
sistema della pena capitale. Speriamo che la morte di Leo, come quella di
molti altri probabili innocenti, possa almeno ser-vire ad accelerare il
cammino abolizionista. (Grazia)
_______________
(*) Norma Herrera - Last Words From Death Row  - Nightingale Press, 2007 -
$ 19.95


GERALD HA BISOGNO DI CONFORTO

La socia Laura Silva ci invita a pubblicizzare la richiesta di
corrispondenza di Gerald Marshall detenuto nel braccio della morte del
Texas. Pubblichiamo una laconica lettera di Gerald preceduta da una breve
nota informativa preparata da Laura. La stessa Laura è anche disposta a
tradurre in inglese le lettere che i lettori vorranno scrivere a Gerald
(fatelo con moderazione, perché i molti impegni umanitari di Laura non le
lasciano il tempo per tutto ciò che generosamente vorrebbe fare per gli
altri.) Chi volesse giovarsi delle traduzioni di Laura può scrivere
all'indirizzo e-mail del Comitato:  prougeau at tiscali.it

Abbiamo conosciuto Gerald Marshall, attraverso la sua corrispondente Anna
Langiano, poco più di un anno fa. Di lui sapevamo solo che "stava male",
che scriveva poco e non rispondeva alle lettere. Ab-biamo approfondito il
suo caso legale (v. n. 146) e l'abbiamo 'preso in carico' dal punto di
vista affet-tivo, scrivendogli. Poco alla volta ha cominciato a rispondere
a qualcuno di noi.
   Gerald è un giovane che ha avuto un'esistenza difficile. Ha pochissimi
contatti con la famiglia, e cerca nuovi corrispondenti. Il suo umore è
incostante, spesso non ce la fa e si lascia andare... sono i momenti in cui
non riesce a scrivere, ma le lettere che riceve sono per lui un conforto
enorme; altre volte invece è pieno di energia e di buon umore. Fra i
detenuti è uno di quelli che peggio sopportano il braccio della morte e non
riescono a trovare un modus vivendi per tirare avanti, sono quindi preda di
crisi di sconforto e di solitudine che li lasciano senza forze per reagire.
   Dopo averlo sollecitato a scrivere un appello per i nostri lettori, ci
ha mandato niente di più di questo breve messaggio, in cui si legge tutto
il suo bisogno di conforto.
   Cari voi,
                 ho bisogno del vostro aiuto. Non mi viene in mente
nient'altro che questo.
Spero di trovare nuovi corrispondenti. Laura potrà tradurre in inglese le
vostre lettere,  
   sinceramente vostro
                                   Gerald Marshall 

   Mr. Gerald Marshall # 999489
   Polunsky Unit
   3872 FM 350 South
   Livingston, TX 77351 - USA


RICHIESTA DI CORRISPONDENZA IN LINGUA SPAGNOLA

Walter Sorto è un salvadoregno di 29 anni che è nel braccio della morte del
Texas da 5 anni. Scrive in spagnolo e dice di non sapere quasi niente di
inglese e chiede di scrivergli "en espanol, por fabor. Gracias."  La sua
famiglia è nello stato centro-americano di El Salvador e in Texas non ha
proprio nessuno. Ecco il suo indirizzo:  Mr. Walter Alexander Sorto #
999465  -   Polunsky Unit  -  3872 FM  350 South   -  Livingston, TX 77351
USA


NOTIZIARIO

Argentina. Inflitto in Italia l'ergastolo a cinque responsabili delle
'sparizioni' degli anni '70'. La tracotante e folle dittatura militare in
Argentina, al potere tra il 1976 e il 1983, nel sostanziale disinte-resse
internazionale (e nel silenzio assordante della gerarchia cattolica) si
rese colpevole di una brutale, estesissima e sanguinosa repressione che
fece migliaia di vittime (si parla di 30 mila persone fatte 'spa-rire').
Molti dei desaparecidos furono narcotizzati e lanciati in mare da aerei in
volo (v. ad es. Horacio Verbitsky - Il volo - trad. italiana Feltrinelli,
1996). Entrata in rotta di collisione con il Regno Unito, dopo la sconfitta
nella guerra delle Falkland del 1982 la giunta militare si dissolse, ma i
successivi mal-fermi governi democratici non ebbero la forza di assicurare
le condizioni necessarie per perseguire ade-guatamente centinaia e
centinaia di responsabili di crimini atroci, che pure furono individuati.
Ora una corte italiana ha reso una sentenza che, almeno simbolicamente (i
condannati non verranno mai estra-dati), rende giustizia alla memoria di
tre italiani scomparsi durante la dittatura argentina: Angela Aieta,
Giovanni e Susanna Pegoraro. Il 15 marzo sono stati infatti condannati in
contumacia all'ergastolo dalla Corte d'Assise di Roma, con l'accusa di
omicidio plurimo premeditato, cinque ex ufficiali della Marina argentina:
Jorge Eduardo Acosta, Alfredo Ignacio Astiz, Jorge Raul Vildoza, Hector
Antonio Febres e Antonio Vanek.

Texas. Howard Guidry nuovamente condannato a morte. Quale esecutore
materiale dell'omicidio di Sarah Fratta, moglie trentatreenne di Robert
Fratta, un agente della pubblica sicurezza, Howard Paul Guidry fu
condannato a morte in Texas nel 1997. Secondo l'accusa, Robert Fratta, in
conflitto con la moglie per l'affidamento dei tre figlioletti nel corso di
una causa di divorzio, assoldò nel 1994 tale Joseph Prystash per far
uccidere Sarah, costui a sua volta avrebbe assunto Guidry. Fratta, nel
1995, e Prystash, nel 1996, erano stati in precedenza anch'essi condannati
a morte. In Texas si creò inizialmente un robusto movimento in favore di
Robert Fratta soprattutto ad opera della sorella Jil che afferma la sua
innocenza. A sostegno di Howard Guidry - divenuto un attivista radicale nel
braccio della morte - si è poi fortemente mobilitata l'associazione
abolizionista 'di sinistra' Texas Death Penalty Abolition Movement che
sostiene a spada tratta la sua innocenza. Il processo originario di Howard
Guidry fu an-nullato da una corte federale nel 2003 perché Howard fu
indotto a 'confessare' con l'inganno e furono ammesse nel dibattimento
prove a carico 'per sentito dire'. Ma lo stato del Texas ha chiesto un
nuovo processo che si è svolto quest'anno. Esibendo a sorpresa nuove
testimonianze a carico da parte di tre detenuti prezzolati, l'accusa ha
ottenuto rapidamente l'affermazione di colpevolezza ed una seconda condanna
a morte per Guidry. La nuova sentenza di morte, pronunciata il 1° marzo
scorso, ha deluso profondamente i sostenitori di Howard e in particolare
gli attivisti del Texas Death Penalty Abolition Movement.

Texas. Si muove il caso di Tony Ford fermo da un anno. L'esecuzione del
nostro amico Tony Ford, fissata per il 7 dicembre 2005, fu sospesa
all'ultimo momento per merito delle indagini fatte fare in extremis dal suo
bravissimo avvocato Richard Burr (v. n. 133 ). L'indagine portò al
ritrovamento dei vestiti che lo stesso Ford e il suo complice Victor Belton
portavano il 18 dicembre 1991, giorno in cui fu ucciso a casa sua il
diciottenne Armando Murillo di El Paso. Tony ha sempre sostenuto che a fare
ir-ruzione nell'appartamento dei Murillo per una questione di droga, ad
uccidere la vittima ed a ferire sua madre e una sorella, furono i fratelli
Van e Victor Belton e che lui non entrò neanche nella casa della vittime.
In effetti risultò che sui vestiti di Victor Belton vi sono delle macchie
di sangue, non ve ne sono invece sui vestiti di Tony Ford (da notare: le
tre congiunte di Armando Murillo sopravvissute riferirono di due
assalitori, la partecipazione di Van sembra accertata). La data di
esecuzione di Tony Ford fu di nuovo fissata per il 14 marzo 2006, al
termine di un periodo di tempo giudicato congruo per far eseguire dei test
del DNA sui vestiti ritrovati. Burr riuscì poi a far sospendere
l'esecuzione a tempo indetermi-nato, mentre i reperti venivano mandati ad
un importante laboratorio canadese per i test. Il caso giudi-ziario di Ford
è rimasto fermo da allora e fino al 2 marzo scorso, quando l'avvocato Burr
ha annunciato che i test del DNA sarebbero cominciati in marzo per essere
conclusi probabilmente in aprile. Stiamo tutti col fiato sospeso per sapere
quale sarà il responso degli esperti. Se si dimostrasse che il sangue
tro-vato sui vestiti di Victor Belton appartiene a qualcuna delle vittime,
la posizione di Tony Ford si alleg-gerirebbe notevolmente tanto da mettere
in dubbio almeno la congruità della sua condanna a morte. Tutto ciò anche
se l'accusatore Jaime Esparza ha già messo le mani avanti dichiarando di
dubitare che i risultati dei test del DNA possano "mettere in questione il
verdetto in questo caso."

Usa. Un nuovo studio sui processi capitali contraddice il famoso rapporto
di James Liebman. Da un'anticipazione diffusa da USA Today il 1° marzo,
apprendiamo che sta per uscire un nuovo studio sui processi capitali negli
Stati Uniti che smentirebbe i risultati trovati dal prof. James Liebman
della Columbia University ed esposti nel suo famoso rapporto del 2000
(integrato nel 2002) pubblicato col titolo: "Un sistema a pezzi" (v. n.
94). Il rapporto di prossima uscita, commissionato nel 2005 dal
Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti a due professori
universitari per trovare il modo di accele-rare l'iter dei processi
capitali, prende in esame 1676 casi recenti (nel decennio 1992-2002) -
mentre Liebman si è occupato dei casi capitali occorsi tra il 1973 e il
1995 - per giungere alla conclusione che il sistema della pena di morte
funziona sufficientemente bene negli USA e che semmai vi è un problema di
scarsa efficienza: prima di 'giustiziare' un prigioniero si perde troppo
tempo e si spendono in media ben 274.000 dollari per mantenerlo in
prigione, con grande danno per i contribuenti e per le famiglie delle
vittime del crimine. Secondo i professori Barry Latzer e James Cauthen,
docenti nel  College "John Jay" di Giustizia criminale di New York, lo
stato più virtuoso è la Virginia in cui i detenuti esau-riscono gli appelli
statali in meno di un anno (295 giorni in media)  mentre gli stati lumaca
da biasimare sono l'Ohio, il Tennessee e il Kentuky che consentono ai
condannati di metterci tre anni e mezzo. Se-condo loro inoltre non è vero
che, come affermava Liebman, il 41% dei casi capitali vengono ribaltati nel
primo appello: ad essere ribaltati nel 'direct appeal' sono soltanto il 26%
dei casi di pena di morte. Sappiamo che il rapporto di Liebman è stato
sempre contestato con acrimonia dai sostenitori delle pene di morte che non
hanno mancato di definire (come fosse un insulto) il prof. Liebman un
oppositore della pena capitale. Non crediamo che Liebman abbia mai
inalberato la bandiera dell'opposizione aprioristica alla pena di morte,
piuttosto i professori Latzer e Cauthen, sembrano crogiolarsi negli
argomenti cari ai tradizionali sostenitori della pena capitale.
Probabilmente vogliono contentare il committente: il Dipartimento di
Giustizia dell'amministrazione Bush.


AIUTIAMOCI A TROVARE NUOVI ADERENTI

E' di vitale importanza per il Comitato potersi giovare dell'entusiasmo e
delle risorse personali di nuovi aderenti. Dal momento che non abbiamo i
mezzi finanziari per accedere ai canali della pubblicità, facciamo
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pregandoli di trovare persone disposte ad aderire al Comitato Paul Rougeau.


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fax. Appena puoi paga la quota associativa sul c. c. postale del Comitato
Paul Rougeau.
   Responsa-bile dei con-tatti con i soci è Loredana Giannini (Tel. 055
485059).
   I soci in regola hanno diritto alla rice-zione della versione cartacea
del Foglio di Colle-gamento.
   Le quote associative annuali sono le seguenti:
Socio
Ordinario                                                                   
	¤  25
Socio
Sostenitore                                                                    
	¤  50
Socio Giovanile (fino a 18 anni o a 26 anni se studente)    	¤  15
  L'edizione e-mail del bollettino è gratuita per soci e simpatizzanti,
richiedetela a:
 prougeau at tiscali.it
   Le quote associative devono essere versate sul c. c. p. n. 45648003,
intestato al Comitato Paul Rougeau, Viale Pubblico Passeggio 46, 29100
Piacenza, specificando la causale.

*****************
Il nostro indirizzo postale è : Comitato Paul Rougeau C. P. 11035, 00141
Roma Montesacro.

Dalla redazione: il Foglio di Collegamento di norma viene preparato
nell'ultima decade di ogni mese.  Pertanto chi vuole far pubblicare
articoli, appelli, comu-nicati, commenti o rifles-sioni per-sonali, deve
inviarci i testi in tempo utile, per posta o per e-mail all'indirizzo
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Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 31 marzo
2007