L'editoriale di Radio Città Aperta - 6 febbraio 2007



Il buonsenso dell'onorevole Caruso sulla violenza negli stadi

L'editoriale di Radio Città Aperta
6 febbraio 2007

Hanno fatto rumore le dichiarazioni del parlamentare Francesco Caruso
all'indomani della tragedia allo stadio di Catania che ha portato alla
morte di un agente di polizia. Il mondo della politica - con un'ipocrisia
degna del livello di conformismo raggiunto a destra e a sinistra - ha
tuonato contro Caruso e contro dichiarazioni che sono sostanzialmente di
buonsenso in una situazione in cui sembrano dominare solo dinamiche tribali
e isterie sull'ordine pubblico.
Se si vuole gestire con normalità la situazione negli stadi ed evitare il
ripetersi di tragedie ogni domenica, è chiaro che occorre tener conto non
solo delle grida dei falchi della repressione ma anche dei problemi tra le
forze di polizia e delle denunce dei gruppi di tifosi, inclusi gli ultrà.
Sembra paradossale, ma i discorsi di maggior buon senso in questo clima,
sono venuti da Pippo Baudo e dagli ultrà intervistati da pochi giornalisti
con maggiore coraggio e meno servilismo.
Chiunque di noi abbia frequentato gli stadi o abbia avuto occasione di
viaggiare in treno insieme a gruppi di ultrà, conosce benissimo l'infernale
dinamica degli eventi che può portare ogni settimana ad una tragedia come
quella di Catania.
Non ci sono simpatici quei tifosi che come dervisci rotanti paiono
inebriati da slogan urlati a ruota libera, i quali sembrano portare ad
un'estasi che molto rapidamente può trasformarsi anche in aggressività,
contro i tifosi dell'altra squadra o contro la polizia. L'escalation
dell'esibizionismo e il venir meno dei freni inibitori legittimata da
questo tipo di tifo, può rimanere limitata al folklore e alle coreografie
sulle curve oppure  può trasformarsi in violenza.
Spesso i più scatenati allo stadio la domenica sono coloro che mandano giù
bocconi amari durante la settimana sul posto di lavoro, e che dopo anni di
criminalizzazione delle lotte sociali da parte della classe politica e
sindacale non riescono - non sanno! - esprimere il conflitto e la protesta
nelle piazze. Da anni la parola d'ordine dell'establishment è stata
rimuovere e criminalizzare il conflitto sociale e relegare lo sfogo delle
tensioni nel recinto degli stadi. E oggi la contraddizione è scoppiata in
pieno in tutta la sua gravità. Chiudere gli stadi è un utile palliativo, ma
non risolverà il problema, perchè la contraddizione è nella società e non
negli stadi.
Ma abbiamo anche verificato, negli stadi, alle stazioni o sui treni, che
spesso la polizia e i carabinieri vanno giù pesanti contro i tifosi e in
modo del tutto indiscriminato, aggiungendo spesso e in negativo quel
qualcosa in più che spesso fa da detonatore e non da ammortizzatore. Ma un
legame tra cause ed effetti c'è e non va negato né rimosso a priori. In
questo le responsabilità delle forze dell'ordine ci sono eccome e
l'onorevole Caruso ha ragioni da vendere.
Un allenatore durante un dibattito televisivo, forse inconsapevolmente,
aveva posto una questione rilevante: perché c'è tanta ostilità e talvolta
odio contro le forze di polizia in misura anche superiore all'antagonismo
tra le tifoserie avversarie? A questa domanda non ci si può sottrarre senza
una analisi profonda che riguardi sia gli stadi che le periferie dei
territori metropolitani.
E' vero - lo abbiamo sperimentato in centinaia di manifestazioni - che
spesso è la capacità o la lucidità di un funzionario di polizia che può
impedire o scatenare la violenza in piazza. Saper gestire le situazioni
critiche non è roba di ordinaria amministrazione.
E' chiaro allora che se vogliamo poter tornare tranquilli negli stadi e
magari riportarci anche i bambini, occorre che tutti i soggetti siano
coinvolti e che tutti siano disposti a guardare ed accettare anche i propri
buchi neri. Certo lo dovranno fare gli ultras ma anche le forze di polizia,
perché solo se si ha la capacità di guardarsi in faccia a fronte dei
problemi possono emergere personalità nel tifo o funzionari di polizia
capaci di disinnescare situazioni critiche. Se si sceglie solo la strada
del bastone, della repressione e dell'umiliazione dei tifosi, non ci
saranno stadi pacificati ma nuove contraddizioni e nuove ostilità innescate
a tutto campo.
Infine, ma non per importanza, se il business del calcio non è disposto a
rinunciare ai quattrini per qualche settimana, i discorsi sulla sicurezza
negli stadi e fuori dagli stadi stanno a zero. La gente con o senza la
divisa indosso continuerà a morire o a rimanere ferita per un sasso o una
manganellata, ma il business ne trarrà solo vantaggi dequalificando uno
sport praticato, seguito, emulato da milioni di ragazzi e ragazzini. In tal
senso gli affaristi del calcio hanno responsabilità assai superiori di
quelle degli ultras, ma sono ricchi, hanno a disposizione televisioni,
giornali e uomini politici che sviano i problemi e mettono sul banco degli
accusati solo i tifosi. Bisognerebbe prenderli in contropiede.