rassegna stampa - Quel che MCDONALD'S nasconde: l'obesit à alla fine del pasto.



a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da "Il Manifesto.it - Le Monde Diplomatique" - dicembre 2004

Quel che MCDONALD'S nasconde: L'obesità alla fine del pasto.
In Gran Bretagna, paese particolarmente colpito dal problema dell'obesità ,
Mc Donald's risulta il terzo inserzionista (per volume) alla televisione e
alla radio, mentre al quinto posto compare un'altra industria di fast food:
la Kentuky Fried Chicken. In Francia, dove il numero di adulti obesi è
raddoppiato in quindici anni, la popolazione dei bambini sovrappeso si è
moltiplicata per cinque, mentre i minori insidiati da una grave obesità si
sono decuplicati. McDonald's si fa pubblicità acquistando intere pagine dei
principali giornali nazionali.

Philippe Froguel e Catherine Smadja
In Super Size Me, un film prodotto e diretto da Morgan Spurlock, si afferma
che il consumo regolare delle porzioni giganti proposte da McDonald's è
assolutamente nocivo alla salute fisica e mentale. Per rispondere a queste
accuse, la società-faro del pasto rapido e semplice si è impegnata in una
grande campagna mediatica: convincere l'opinione pubblica e i centri
politici decisionali che la sua produzione alimentare non c'entra affatto
con l'epidemia mondiale di malnutrizione - nel 2004 un miliardo di persone
risultava sovrappeso, e 300 milioni erano obesi a fronte di 842 milioni di
persone denutrite! (1) - ma anzi da tempo si adopera per combatterla. A
forza di spot pubblicitari, l'impresa vanta le sue pseudo-iniziative volte
«ad accompagnare i cambiamenti delle preoccupazioni alimentari dei
francesi». Definizione eufemistica tipica dell'industria agro-alimentare che
giunge a negare persino il termine «obesità».
Sui manifesti pubblicitari e in un lungo inventario alla Prévert, McDonald's
elenca in dettaglio le sue «innovazioni» dietetiche, a partire dal 1987. Fra
queste, lo yogurth da bere, i frutti «da sgranocchiare» e , recentemente, le
insalate definite «plus». Come se il consumo alimentare di frutta legumi e
latticini fosse un elemento essenziale della cultura McDonald's. L'estate
scorsa, in Gran Bretagna sono spuntati dei pannelli pubblicitari che
pubblicizzavano il «podometro gratuito» (2), offerto in omaggio insieme al
pasto Mac. Un bel gadget che non mette in causa la nocività dei prodotti
venduti, ma in compenso fornisce loro, con poca spesa, un'immagine sportiva.
La ditta degli hamburger dimentica che, malgrado queste lodevoli iniziative,
il numero di obesi è aumentato in parallelo all'incremento del fatturato
della ristorazione rapida. In breve, i fast-food non hanno sicuramente
contribuito a migliorare la qualità nutrizionale della popolazione umana.
Tutte le imprese che producono pasti e alimenti «convenienti»,
preconfezionati e facili da consumare, non fanno che rispondere con
compiacenza interessata al desiderio di molti fra i nostri contemporanei di
«guadagnare del tempo».
Ma, contrariamente a quanto l'impresa vorrebbe fare credere, la componente
essenziale del successo di McDonald's non sta negli yogurt gadget e nella
varia frutta secca da sgranocchiare. Chi desidera mangiare uno yogurt o
della frutta fresca non va ad acquistarli da McDo! Questi consumatori di
alimenti che alcuni per dileggio hanno soprannominato «slow food» (e li
perdoniamo quasi per aver utilizzato l'inglese) non interessano la
ristorazione rapida... Infatti, essa fa i suoi affari con il menu «Best of
Big Mac», che è il prodotto che l'impresa difende a ogni costo.
La pubblicità recente di McDonald's tende dunque a «ribaltare i pregiudizi»,
secondo il titolo dell'inserto, dimostrando che in realtà il Big Mac non fa
ingrassare: perché il menu «Best of», col suo contenuto nutrizionale di
«appena» 987 calorie risponderebbe solo al 35/ 40% delle esigenze caloriche
giornaliere dei francesi. Perché mai privarsi, dunque, di questo cibo?
Ahimè, i dati forniti da McDonald's sono superati almeno da trent'anni.
Sempre più sedentario, il consumatore occidentale brucia in media 1.800
calorie al giorno (in confronto alle 5.000 necessarie al cacciatore nomade
della preistoria e alle 3.000 dell'agricoltore del XIX secolo.) Fra bibite
alla soda, barrette di cereali e altre merendine «energetiche», il
consumatore moderno ingurgita ogni giorno almeno 200 calorie di «junk food».
Per mantenere l'equilibrio energetico, e quindi non ingrassare, dovrebbe
assimilare durante i pasti le restanti 1.600 calorie.
Il calcolo è elementare. Dopo aver mangiato a mezzogiorno un menu «Best of
Big Mac» insieme alle patatine fritte, gli restano 600 calorie da
suddividere fra la cena e la colazione. Quest'ultima, se si dà credito a un
altro mito creato di sana pianta, senza alcun fondamento scientifico, dai
mercanti di cereali (tipo Kellog's , Nestlé, ecc.), dovrebbe costituire, da
sola, almeno un quarto della nostra razione calorica quotidiana, cioè più o
meno quelle 600 calorie residue...
Insomma, non mangiate, e soprattutto tenetevi alla larga dai piatti
«alleggeriti» preconfezionati e publicizzati dagli stessi industriali
dell'agroalimentare: sovente risultano più calorici, più ricchi di grassi e
ben più salati di cibi analoghi, preparati a casa (3).
Parimenti, dopo un happy meal (pasto felice) al McDonald's che corrisponde a
700 calorie, ovvero al 50% delle esigenze energetiche di un bambino di 5
anni, mettete a dieta il vostro piccolo, soprattutto se ha mangiato a
colazione dei cereali particolarmente ricchi di zuccheri e grassi! Ma dunque
che fare? Bisognerebbe vietare la pubblicità televisiva di questi prodotti,
specie nelle fasce orarie dedicate all'infanzia?
Sicuramente no! rispondono i produttori delle trasmissioni per i bambini,
che vedrebbero in questo modo diminuire del 40% i loro introiti
pubblicitari. A sostegno della loro politica, essi evidenziano i diversi
fattori che possono essere causa dell'obesità infantile: fra questi
l'assenza dei genitori durante i loro pasti, la mancanza di attività fisica
(in parte dovuta al tempo trascorso incollati allo schermo televisivo) ed
evidentemente l'importanza dei cibi precotti nell'alimentazione quotidiana.
Per la British Diabetes Association, che spinge i poteri pubblici britannici
ad agire energicamente in questo settore, invece, s'impone una regola o
anche la proibizione totale degli inserti pubblicitari.
Obbligati a rosicchiare A supporto di questa tesi, si possono citare cifre
eloquenti: sui 22 minuti di pubblicità rivolte ogni giorno ai giovani
britannici, un quinto degli inserti riguarda cereali prezuccherati,
dolciumi, patatine, bevande ricche di zuccheri e alimenti della ristorazione
veloce. Mentre l'investimento pubblicitario per questi prodotti rappresenta
il 59% del volume d'affari della telepubblicità nel settore
dell'alimentazione, tale percentuale raggiunge il 77% durante le fasce
orarie delle trasmissioni per l'infanzia. Se poi si aggiungono latticini e
derivati, si raggiunge un picco pubblicitario del 78% per l'insieme dei
programmi, e del 96% nelle trasmissioni per l'infanzia. (4) Pur non potendo
provare la causalità diretta, si constata che i bambini che trascorrono
molto tempo di fronte al piccolo schermo, risultano tra i principali
consumatori di questo tipo di prodotti (5).
Il dibattito rimane aperto e sarà senza dubbio uno dei problemi sul tappeto
nella prossima revisione della regolamentazione televisiva europea. (6). Nel
frattempo, se veramente McDonald's e le altre compagnie di fast-food
vogliono agire in favore della salute pubblica, la smettano di nascondersi
dietro le loro insalate alibi, che mirano ad attirare nuove categorie di
consumatori (le donne attive) che rifiutavano i loro ristoranti, piuttosto
che modificare nella sostanza il loro comportamento alimentare.
Cambino piuttosto il cumulo calorico dei loro prodotti di punta: con un po'
meno di maionese e di grasso nel panino, il menu «Big-Mac» potrebbe scendere
sotto la barra delle 800 calorie, ossia 20% in meno, soprattutto se si
provasse a sostituire le sacrosante patatine fritte con un'altra fecola non
fritta. A meno, evidentemente, che le società di ristorazione veloce non
abbiano delle buone ragioni per non cambiare. I nutrizionisti
dell'agro-alimentare conoscono bene questa stupefacente realtà fisiologica.
Se il cervello umano è in grado di valutare il tenore energetico dei cibi e
quindi di regolare l'appetito in funzione di tale variabile essenziale,
l'automatismo scompare una volta superata una determinata densità energetica
(7).
Anche se una megabarra a base di cioccolato, per esempio «Snickers», pesa
solo 100 grammi, di fatto apporta una quantità di calorie superiori a quelle
contenute in una bistecca di 400 grammi, guarnita di patate e broccoli...
Ecco il punto: quando gli alimenti sono troppo ricchi di calorie, il
cervello smarrito non riesce più a calcolare la quantità di cibo che il
corpo deve ingerire per il suo fabbisogno.
Questo continuo «rosicchiare» non viene, inoltre, considerato come il pasto
che in effetti è. Stessa sottovalutazione vale per le bibite ricche di
saccarosio o fruttosio, il cui contenuto calorico non può essere
identificato dal cervello. Sarà per questo motivo che la maggior parte dei
profitti del fast-food supera allegramente questo limite?
In tal modo più i prodotti risultano calorici, meno inducono il senso di
sazietà e dunque maggiormente incitano al consumo senza limite.
Chi mai resisterà a un piccolo milk-shake in più che contiene «solo» 365
calorie? Costringere l'industria agro-alimentare a limitare il tenore
energetico dei suoi prodotti è dunque un principio essenziale per tenere
sotto controllo l'obesità. Dunque, facciamo una scommessa. Chi fra i
liberali britannici, gli ultraliberali americani, o i dirigisti francesi,
avrà per primo il coraggio di affrontare questi potenti gruppi economici? Si
tratta di una partita indispensabile, anche se insufficiente da sola, per
istituire e un vero programma a più livelli in grado di sconfiggere
l'obesità.
L'obesità non è una malattia in senso tecnico, derivante da un disordine
biologico dell'individuo, ma piuttosto una risposta «normale» della persona
nei confronti dell'ambiente patologico. La vita moderna comporta un eccesso
energetico di circa 300 calorie al giorno. Di conseguenza, se non si
modificano le condizioni in cui viviamo, l'aumento eccessivo di peso, con
tutte le conseguenze che implica per la salute e la speranza di vita (8)
resterà un fenomeno di massa ineluttabile.
Le caratteristiche genetiche di ogni persona, tuttavia, intervengono,
frenando o amplificando l'effetto del contesto ambientale. Succede che
alcune persone hanno la fortuna di essere protette dal sovrappeso, mentre
numerosi bambini sono ormai affetti da sintomi di obesità grave, a partire
dai 5 anni. La comprensione delle origini biologiche dell'obesità, intesa
come «malattia», deve procedere di pari passo al progetto di una società che
sappia armonizzare attività fisica e apporto energetico. Una società che,
però, sappia anche migliorare l'insieme delle condizioni di vita delle
popolazioni sfavorite.
Perché, attenzione, l'obesità colpisce innanzitutto i più poveri.
Secondo uno studio pubblicato dal ministero degli affari sociali, l'obesità
risulta dieci volte più diffusa tra i bambini il cui padre è un operaio
non-qualificato (7,4%) rispetto ai figli di quadri dirigenti (0,7%) (9). Uno
scarto che evidenzia modi di vita diversi (soprattutto per quando riguarda
l'attività sportiva) e una diversificazione dei comportamenti alimentari.
Ciò non significa, ovviamente, che i figli delle classi più agiate non
ingrassino. Se si guarda non all'obesità ma al semplice soprappeso, il tasso
è del 22,4 % presso i figli di operai, e 10,8% tra i figli di dirigenti.
Tutti mangiano male, consumano barrette di cioccolata e bevande zuccherate,
ma non tutti mangiano nello stesso modo a casa, non tutti hanno la stessa
possibilità di praticare attività sportive, né lo stesso sguardo
sull'obesità e le conseguenze che produce sulla salute.
Queste disuguaglianze sociali si rilevano su scala mondiale. Se la lotta
contro la fame rimane una priorità, l'Organizzazione mondiale della salute
(Oms) è altresì preoccupata dalla crescita dell'obesità nei paesi «in via di
sviluppo». L'inurbamento comporta spesso una modificazione dei comportamenti
alimentari: piatti grassi e ricchi di zuccheri, venduti a poco prezzo e
disponibili in città, sostituiscono, infatti, l'alimentazione
tradizionale...
Per esempio in Cina è stato dimostrato che il miglioramento del tenore di
vita ha determinato una maggiorazione significativa del consumo di olio.
Parimenti il consumo di prodotti ad alto tenore di materie grasse, è
aumentato molto di più fra le popolazioni più povere (10). Le forme più
acute di obesità hanno quindi sia origine biologiche che sociali.
Soltanto ricerche approfondite permetteranno di prevenirle e di curarle in
modo adeguato. A questo riguardo, la recente campagna McDonald's si rivela
per lo meno inopportuna.

note:

* Rispettivamente direttore delle ricerche al Cnrs e amministratrice civile
in servizio presso il ministero britannico della cultura, della
comunicazione e dello sport.

(1) Organizzazione mondiale della salute (Oms).
www.who.int/dietphysicalactivity/pubblications/facts/obesity/en.

(2) Si tratta di un apparecchio ultraleggero, che si porta alla cintura, e
serve per contare i passi compiuti nel corso della giornata. Le autorità
sanitarie britanniche raccomandano di effettuare da 10 a 12.000 passi al
giorno.

(3) Perché tanto sale? Forse per indurre la consumazione di bevande, specie
acqua minerale e soda, venduta dagli stessi gruppi industriali? O allora per
rendere più appetibile il gusto di alimenti mediocri con poca spesa?
(4) Studio Nielsen per il rapporto realizzato da Ofcom, relativo alla
normativa di media e telecomunicazioni britanniche. Childhood obesity : food
advertising in context, Londra, 22 luglio 2004.

(5) Ibid.
(6) Sull'argomento si veda: François Brune: «De l'enfant-roi à
l'enfant-proie», (Dal bambino re al bambino preda), in Le Monde
diplomatique, settembre 2004.

(7) Andrew Prentice et Susan Jebb «Fast Foods, energy density and obesity: a
possible mechanistic link» Obesity Rewiews, Oxford, novembre 2003, vol. 4,
N. 4.

(8) Secondo i dati epidemiologici pubblicati dal Journal of the American
Medical Association, Chicago, marzo 2004, l'obesità è diventata negli Stati
uniti, insieme al tabacco, la causa principale della mortalità.

(9) Da: Etudes et résultats, n. 283, gennaio 2004, Drees, Ministero degli
affari sociali. Dati relativi all'anno scolastico 2000-2001.

(10) Barry M. Popkin «The nutrition transition and obesity in the developing
world» in Journal of Nutrition, Bethesda , 2001.
(Traduzione di E. G.)
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