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Missioni - Meditazione di Enzo Bianchi - IT



Veglia missionaria - Milano, 21 ottobre 2000

Meditazione di ENZO BIANCHI, priore di Bose
Vangelo secondo Matteo 5,1-12



Cari fratelli e care sorelle,

ringraziando il Padre e Vescovo Carlo Maria che mi ha voluto qui e
confessandovi la consapevolezza della mia miseria, oso rivolgervi poche
parole che vogliono essere semplice eco della Parola del Signore che abbiamo
ascoltato.

Innanzitutto ci chiediamo: "Le beatitudini, queste dichiarazioni di bontà,
di bellezza, di felicità: chi descrivono? Di chi ci parlano?". Sì, esse ci
descrivono la persona stessa di Gesù, ci narrano la sua vita, ci svelano la
sua gloria e la sua speranza, cioè il senso della sua vita, il senso del
senso.

Gesù è stato povero, anzi, si è fatto povero da ricco che era: egli era Dio,
santo, forte e immortale, ma si è fatto uomo per condividere tutto con noi.

Gesù è stato un mite e un umile di cuore, come ha confessato egli stesso, e
come tale si è presentato a noi per attirarci nella sua amicizia, per farci
gustare il suo regno.

Gesù ha avuto fame e sete di giustizia, cioè ha voluto e desiderato sopra
ogni cosa l'adempimento della volontà di Dio.

Gesù è stato misericordia per tutti: mai ha condannato chi aveva peccato,
mai ha negato la sua comunione ai peccatori, alloggiando in mezzo a loro e
sedendosi alla loro tavola, ridestando ogni volta lo sconvolgente abbraccio
tra miseria e misericordia.

Gesù ha custodito un cuore puro per poter vedere l'invisibile, per
contemplare il Padre.

Gesù ha operato la pace tra Dio e gli uomini, tra figli di Israele e genti
della terra, in mezzo a quanti credevano di avere ragioni di inimicizia e di
odio.

Gesù ha pianto, ha conosciuto l'afflizione, ha accolto anche la
persecuzione, l'ostilità, la morte in croce perché conosceva una ragione per
cui valeva la pena dare la vita: ha sofferto fino a deporre la propria vita
per Dio e per i fratelli.

In un mondo ingiusto, il giusto è perseguitato; in un mondo che non crede,
chi crede è osteggiato; in un mondo che non ama, ci ama è rifiutato.

Gesù non si è limitato a proclamare le beatitudini come buona notizia,
"evangelo": le ha anche, e soprattutto, vissute. È dalla sua esperienza che
sono sgorgate come una confessione di fede, una promessa, un canto di gioia.

Se infatti ascoltiamo i Vangeli, possiamo constatare che quella di Gesù è
stata una vita secondo le beatitudini, una vita beata perché "buona e bella"
: definire così la vita di Gesù significa far emergere che Gesù è passato
tra di noi "facendo il bene" (cf. At 10,38), operando sempre con amore.

La sua vita era talmente "buona", intessuta di bontà, che un giorno un
giovane, incontrandolo, l'ha spontaneamente chiamato "maestro buono". Gesù,
ricordandogli che "solo Dio è buono", lo spinse a interrogarsi sul rapporto
tra la sua persona e Dio (cf. Mc 10,17-22). Sì, Gesù era il "maestro buono"
perché narrava la bontà di Dio, perché spiegava nella quotidianità dell'
esistenza come Dio è buono, perché era figlio di Dio.

Quando incontrava un peccatore, Gesù ridestava una nuova vita, insegnava a
ricominciare come figli perdonati: diceva infatti che Dio ci ama anche
quando siamo cattivi, come il Padre prodigo di amore amava il figlio e aveva
continuato ad amarlo anche quando questi viveva lontano, nella regione dell'
inimicizia e della malvagità (cf. Lc 15,11-32).

Quando Gesù incontrava i malati, i lebbrosi, i sofferenti, quando si
imbatteva in situazioni di dolore o di morte, sapeva portare consolazione,
sapeva mostrare, con le parole e le opere, che l'amore è più forte della
morte e che la risurrezione, quale azione di Dio, è la speranza. Dietrich
Bonhoeffer ha così sintetizzato l'esistenza di Gesù: "una vita per gli
 altri".

Ma quella di Gesù è stata anche una vita "bella": ha conosciuto il dono dell
'amicizia, ha avuto compagni con cui condividere aneliti e attese. Un'
esistenza trascorsa non nell'isolamento ma nella vita comunitaria, intessuta
delle gioie della comunione: una dozzina di compagni, ma anche amici come
Marta, Maria e Lazzaro, Maria di Magdala e tanti altri. Sì, Gesù ha amato ed
è stato amato: sapeva stare nella compagnia degli uomini, mangiando e
bevendo con loro, sapeva ascoltarli e condividere con loro i momenti di
festa, il giorno santo del sabato, i pranzi di nozze. Che intimità amorosa
nella casa di Betania, quale dolcezza in quel vivere insieme da fratelli!

Una vita bella anche perché vissuta in armonia con la creazione: Gesù sapeva
così contemplare e gioire per le gemme tenere del fico di primavera, per l'
abito candido dei gigli dei campi, per il rosseggiare del cielo al tramonto,
per il gioioso volteggiare dei passeri. Una comunione con la creazione
capace di rinnovare e alimentare la comunione con il Creatore, Dio.

Una vita buona, bella, felice, beata. Non a caso allora l'apostolo Paolo,
nella sua lettera a Tito, ci dice che Gesù è venuto per "insegnarci a vivere
in questo mondo" (Tt 2,12). Sì, perché l'esistenza di Gesù è quella che è
chiamato a vivere anche il discepolo, il quale porta il nome di "cristiano"
proprio perché vive l'esistenza umana come l'ha vissuta Gesù Cristo. Ognuno
di noi - creato secondo l'immagine, il modello del Figlio di Dio, Gesù
Cristo (cf. Col 1,16 ss.) - si può vivere, grazie alle energie dello Spirito
santo, la vita stessa di Gesù. Per questo quando qualcuno, dopo aver
conosciuto Gesù, non accetta di vivere questa vita, finisce per incamminarsi
verso un'esistenza autopunitiva, un'esistenza segnata dalla tristezza: è il
caso del giovane ricco che, pur amato da Gesù, se ne allontanò triste.


Cari fratelli e sorelle,

Gesù è qui in mezzo a noi, suoi discepoli, ed è il Signore Vivente. È il
Signore che ci chiede di seguirlo, di lasciarci coinvolgere dalla sua vita,
di vivere la sua vita come lui l'ha vissuta, nello spirito delle
beatitudini. Aderendo a lui, credendo in lui, sperando in lui, amando lui al
di sopra di tutto, noi possiamo condurre la sua vita, la vita cristiana.

Allora, se saremo tesi solo a questo, se sapremo riconoscere lui smettendo
di conoscere solo noi stessi, se sapremo abbracciare la croce e seguirlo,
allora diventeremo suoi discepoli e potremo essere riconosciuti come tali
dagli uomini.

Sì, per un cristiano è doveroso parlare di evangelizzazione, di missione
perché è connaturale alla vocazione stessa l'annunciare il Vangelo tra gli
uomini. Ma il cuore di questo annuncio è la vita di Cristo ed è cristiano
chi vive la vita di Cristo! Allora è evangelizzatore chi vive il Vangelo, è
missionario chi testimonia con la propria vita la vita di Gesù, narra Gesù
colui che ne porta i segni nel proprio corpo (cf. Gal 6,17).

L'evangelizzazione è innanzitutto un impegno spirituale e la fede
testimoniale è la condizione necessaria perché possa esserci missione.
Nessuna illusione: solo la fede è il luogo dinamico di origine della
missione. Può dire "guai a me stesso se non evangelizzo" (1Cor 9,16) solo
chi cerca ogni giorno di condurre una vita da evangelizzato; può innalzare
il vessillo della croce di salvezza solo chi accetta ogni giorno di
portarla.

Amici, essere cristiani, essere discepoli di Gesù significa fare una vita
beata, buona e bella come l'ha vissuta Gesù, accettando che la beatitudine
venga dalla croce. E cos'è la croce? Nient'altro che "dare la vita per gli
altri": questo solo può dare senso, può procurare beatitudine, può immettere
felicità nel quotidiano. Chi non ha trovato una ragione per la quale valga
la pena dare al vita, morire, non troverà neanche una ragione per vivere.
Ecco la croce di Gesù che dà senso, che indica la direzione e svela il
significato: dare la vita per gli amici (cf. Gv 15,13)!

E questa croce non è solo una possibilità remota: sovente ai nostri giorni
diventa realtà di missionari e missionarie che depongono la vita per i
fratelli, a volte fino al dono estremo del martirio. Discepoli di Gesù, ne
seguono la via, ne imitano la vita, sono assimilati a lui nella morte.
Questa è la beatitudine somma: vivere una vita conoscendone il senso
profondo, essere associati a Gesù Cristo nella passione e nella morte per
poter partecipare alla sua risurrezione. Senza questa adesione intima e
concreta a Cristo, alla sua vita e alla sua morte, la missione si riduce a
propaganda, l'annuncio a pretesa, l'azione beneficante a moralismo.

A quelli e quelle di voi che ricevono la croce o, meglio, che ricevendo una
croce ricevono la potenza e la sapienza di Dio - come dice san Paolo (1Cor
1,24) - vorrei solo ridire le parole di Francesco d'Assisi:

I frati che vanno fra gli infedeli possono ordinare i rapporti in mezzo a
loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano
soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere
cristiani. L'altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore,
annunzino la parola di Dio perché credano in Dio onnipotente Padre e Figlio
e Spirito santo. (Regula non bullata, XVI).

Sì, chi vive come Gesù ha vissuto, questi evangelizza, anche quando è afono
come agnello, come servo che non alza la voce nelle piazza: con la sua
esistenza racconta Cristo come Cristo ha raccontato Dio!



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"Call to me
    and I will answer you and will tell you great and hidden things
       which you
           have not known." - Jeremiah 33:3